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componenti (gravità del fatto commesso, pericolosità del
soggetto etc… da un lato; pena come afflizione, neutralizzazione
del reo etc…, dall’altro). Ciò che è rimasto costante, a dare il
senso reale della giustizia, è l’esigenza che vi sia una certa
corrispondenza tra ciò che sta su un piatto e ciò che sta sull’altro.
Ultimamente sembra che i due piatti contengano le contropartite
di una sorta di “baratto” che interviene tra l’accusato e lo Stato: il
primo si impegna a rinunciare ad estrinsecare senza limiti la
propria attitudine delinquenziale; il secondo si impegna a
rinunciare a rispondervi, in puri termini di sanzione penale.
Questo avviene nel processo penale per adulti
1
, ma soprattutto
nel campo del processo penale minorile, nel quale l’esempio più
clamoroso è quello della messa alla prova, la quale prevede che,
in sede di valutazione della personalità del minorenne, se il
giudice lo ritenga opportuno, il processo venga sospeso, si
elabori un progetto ad opera dei servizi ministeriali in
1
Nel corso di messa alla prova nella fase di esecuzione della condanna, ma anche in quella
del trattamento a cui si invita il tossicodipendente, o del patteggiamento.
6
collaborazione con quelli degli enti locali contenente una serie di
prescrizioni che il minore dovrà adempiere e rispettare per un
tempo stabilito, ed alla fine, se il giudice considera superata la
prova, viene pronunciata con sentenza l’estinzione del reato.
In questo lavoro cercheremo di delineare proprio le
caratteristiche di un istituto così importante. Si darà un cenno alla
specificità del processo minorile ed alle sue peculiarità,
inquadrandolo storicamente e rappresentandone “gli attori”
principali, cioè gli organi della giustizia minorile, per poi
“calarsi” alla scoperta di un istituto (la messa alla prova) che può
essere, non a torto, considerato uno dei più innovativi ed
interessanti tra gli altri “forgiati” per fronteggiare la questione
minorile, nel continuo bisogno di soddisfare l’esigenza di punire
un soggetto che ha commesso un reato, con quello di
risocializzare, rieducare e restituire al mondo una personalità non
più deviata.
7
Si tratteranno un po’ tutti i punti che riguardano la messa alla
prova, partendo dalla sua ratio e le sue fonti, i presupposti
applicativi, ripercorrendo l’istituto da varie angolazioni; tra essi
si valuterà la consensualità della misura (se cioè essa
presupponga necessariamente il consenso del minore) e si
coglierà la “risposta” della Corte Costituzionale nella sentenza n.
125 del 1995.
Con riferimento alle eventuali prescrizioni riparativo-conciliative
contenute del progetto, si coglierà l’occasione per introdurre una
delle possibili future soluzioni alla questione minorile, e che
(solo) adesso muove i suoi primi passi anche in Italia: la
mediazione penale (dedicando un cenno alla figura del
mediatore).
In seguito si valuterà l’istituto dal suo profilo procedurale, con
tutto ciò che esso comporta: le sue fasi, l’eventuale revoca ed i
possibili esiti.
8
Doverosa sarà un’analisi dei servizi minorili e del ruolo che essi
assumono nell’ambito della messa alla prova, per poi entrare nel
vivo delle questioni attinenti la valenza della messa alla prova:
dopo una opportuna osservazione del fenomeno della devianza,
dei connotati che ha assunto la criminalità minorile in Italia negli
ultimi vent’anni e della prassi applicativa seguita dai Tribunali
italiani nel concedere la messa alla prova, la nostra attenzione
sarà concentrata sul disegno di legge n. 2501 che il Consiglio dei
Ministri ha varato l’8 marzo del 2002. Con esso il Governo, tra le
altre novità, intende escludere l’applicabilità della messa alla
prova per i minori che abbiano commesso alcuni reati più gravi:
omicidio volontario, delitti sessuali, partecipazione ad
associazione a delinquere di stampo mafioso. La motivazione di
tale irrigidimento nei confronti dei minori discende soprattutto
dalla necessità di fronteggiare l’allarme sociale che negli ultimi
tempi è cresciuto nella popolazione, dovuto al verificarsi di
crimini efferati commessi proprio da minori. Grandi polemiche,
9
dubbi, perplessità ed accuse si lanciano al Governo sulla
credibilità di tale disegno che invero, benché accolto con un
respiro, a conti fatti potrebbe ingenerare disastri nel lungo
periodo, tendendo in concreto a neutralizzare i capisaldi del
sistema della giustizia minorile: l’esigenza cioè di tenere sempre
al centro dell’attenzione gli effetti stigmatizzanti che il carcere
potrebbe avere nei confronti di personalità che sono ancora in via
di formazione, e cercare invece si salvare quelle personalità che,
benché siano sfociate nella commissione di un reato, non abbiano
ancora imboccato la strada della devianza e che, invece, una
segregazione nella “scuola superiore dell’illegalità” (come
appare essere il carcere), eleggerebbe a delinquenti.
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Capitolo 1
IL SISTEMA DI GIUSTIZIA PENALE MINORILE: STORIA
E MODELLI.
§ 1. Controllo sociale minorile: cenni storici.
“…Questa nostra epoca è capace di perpetuare, e perfino
aggravare enormi squilibri. Non solo tra nord e sud del mondo,
ma anche all’interno delle stesse zone più sviluppate: nelle
periferie delle città il degrado e la violenza portano i ragazzi ad
un’anonima solitudine che produce sofferenza e marginalità. Le
stesse fonti delle Nazioni Unite, sulla base di numerose ricerche,
individuano come fattore sempre presente nella devianza
minorile il venir meno di un tessuto di solidarietà ed accettazione
che includeva l’infanzia all’interno di relazioni sociali
significative e strutturanti per la personalità. Verso il bambino
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non c’è più solo trascuratezza: egli sta invece diventando oggetto
di specifica e accurata attenzione (…).
La criminalità minorile nel nostro Paese è raddoppiata nei cinque
anni che vanno dal 1986 al 1990. Il raddoppio riguarda i delitti
contro la persona ed il patrimonio, mentre le infrazioni sugli
stupefacenti sono triplicate. E’ soprattutto importante notare
l’evoluzione qualitativa della criminalità minorile, che si presenta
oggi in Italia come tridimensionale. Accanto alla tradizionale
devianza minorile, riconducibile alla condizione psicologica
dell’età e normalmente riassorbibile con la crescita, è aumentata
in rapporto al crescere delle presenze la criminalità minorile degli
stranieri: dei nomadi e degli slavi, che si manifesta attraverso
reati contro il patrimonio (borseggi, furti in appartamenti), e
quella dei minori nord-africani, orientata soprattutto verso il
traffico di stupefacenti. Ambedue queste forme di criminalità
sono da ricondurre all’uso strumentale di minori ad opera dei
12
clan di appartenenza o delle organizzazioni delinquenziali dedite
al traffico di droga.
La terza dimensione riguarda i minori italiani che compiono reati
tipici di criminalità organizzata: estorsioni, regolamento di conti
(ferimenti, omicidi, attentati dinamitardi), spaccio di droga,
gestione di attività illegali. Questo fenomeno assume la maggiore
concentrazione nel sud del Paese, dove sono radicate la più forti
organizzazioni criminali (mafia, camorra, ‘ndrangheta) (…) Ciò
che ancora è più grave è che questo coinvolgimento riguarda non
solo i ragazzi che hanno la capacità penale (fissata in Italia tra i
14 ed i 18 anni ), ma anche i bambini, che per fare questi lavori
sono pagati, insieme alle loro famiglie e ciò ha una grande
capacità suggestiva ai fini di una scelta di vita (…).
Quanto al punire, il Governo italiano ha saputo esercitare una
più forte repressione penale verso gli adulti “strumentalizzatori”
piuttosto che verso i minori, i quali sono essi stessi vittime.
Alcuni recenti provvedimenti legislativi approvati dal
13
Parlamento, contenenti norme più severe, hanno consentito un
maggiore controllo in carcere di molti pericolosi delinquenti di
stampo mafioso. Si è inoltre realizzato un migliore
coordinamento e la specializzazione della polizia a delle procure
della Repubblica in tema di lotta alla criminalità organizzata. Con
un’altra legge è stato istituito un fondo per le vittime del racket
delle estorsioni nell’ambito del recupero di un rapporto di fiducia
tra il cittadino e lo Stato. Le nuove disposizioni con cui sono state
aumentate le pene a carico dei genitori e dei parenti che inducono
i minori a commettere reati sono più direttamente influenti.
Nessuno specifico inasprimento di sanzioni è stato deciso invece
a carico dei minori strumentalizzati, per il quale si applica il d.p.r.
n. 448 del 1988, il quale privilegia la responsabilizzazione e il
recupero sociale del minorenne deviante rispetto alla punizione
ed alla carcerazione”
2
. Questo è ciò che nel 1992 scriveva l’On.
Claudio Martelli in occasione del suo intervento introduttivo al
2
Intervento dell’on. C. Martelli, Uso strumentale dei minori in attività criminali: un
impegno del governo italiano, in Esp. giust. min., 1992, p. 8 e ss.
14
meeting internazionale di esperti sull’uso strumentale di minori
in attività illecite, organizzato dall’Ufficio delle Nazioni Unite e
dall’Ufficio Centrale per la giustizia minorile di Vienna.
Il quadro sulla realtà minorile è di certo molto più variegato; a
questo studio sarà dedicata solo una parte del presente lavoro, il
cui obiettivo è invece quello di valutare un peculiare istituto,
specifico per i minori, inserito nel decreto contenente il nuovo
processo penale minorile, all’art. 28: “Sospensione del processo e
messa alla prova”.
Recentemente si assiste ad un’inversione di tendenza: un
progetto di legge, il 2501, approvato dal Governo nel marzo
2002, ha fortemente messo in discussione alcuni dei capisaldi che
reggevano il processo dei minori: il principio di specializzazione
dei giudici e le tipologie di reato cui è applicabile la messa alla
prova; destando, per certi versi, clamori, critiche ed indignazioni.
Ma andiamo con ordine e cerchiamo di ricostruire i passaggi
chiave della “odissea” minorile.
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La “storia” inizia nel 1789 o nel 1942, o forse ancora prima: nel
Medioevo, quando un bambino, se scampava all’infanticidio e se
superava il periodo critico di maggiore mortalità, era inserito
direttamente nella vita sociale, nel senso che veniva utilizzato nel
lavoro esattamente come un adulto.
Nel Rinascimento, in Italia e nell’Europa preindustriale, i minori
divennero strumento di espressione della violenza urbana, armi
della comunità contro quelli che essa riteneva i suoi nemici.
Giova ricordare le “beate pudiche schiere” di Savonarola che,
una volta sottratte ai loro compiti di difesa della fede, erano
protagoniste di sassaiole e di spedizioni soprattutto contro gli
ebrei. Quando i minori non erano controllati dalle famiglie o
utilizzati nella violenza ”giustizialista”, venivano considerati
devianti e quindi da controllare, da moralizzare, esattamente
come tutti gli oziosi, i vagabondi, i derelitti, i folli, gli
abbandonati che erano considerati pericolosi per l’ordine
pubblico. Ordine e sicurezza erano esigenze dei nascenti Stati
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moderni, così nel 1650 nacque a Firenze la “casa dei Monellini”
che diventerà “casa di correzione per i ribelli all’autorità
paterna”.
Nel 1703 venne istituito a Roma da Papa Clemente XI il San
Michele, che inaugurò il trattamento differenziato per minorenni
“fatti prigionieri per motivi penali, da correggere mediante
l’insegnamento, la pratica della religione e l’apprendimento di
qualche arte meccanica”. Il San Michele è rimasto carcere
minorile dal 1703 al 1964, anno in cui fu costruito “Casal del
marmo”, l’attuale istituto penale minorile di Roma. In questo
periodo storico la preoccupazione moralizzatrice ed il controllo
sociale si affermarono come salvaguardia dell’infanzia
3
.
La monarchia
Il codice Zanardelli del 1889 fissava la maggiore età a fini penali
al raggiungimento del ventunesimo anno e distingueva l’età
3
Controllo sociale minorile, storia e modelli, in www.tmcrew.org
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minore in quattro periodi: il minore di età inferiore ai nove anni
non era imputabile, tuttavia era sottoposto a misure di sicurezza
se non ubbidiva all’autorità paterna; per i minori tra nove e
quattordici anni occorreva accertare l’esistenza del
“discernimento” nell’azione deviante.
La questione del discernimento, in linea con la scuola positiva,
introdusse in carcere la figura del medico che stabiliva la capacità
di intendere del minore. Dai quattordici ai diciotto e dai diciotto
ai ventuno erano previste riduzioni di pena. Tutti i minori del
Regno erano sottoposti a misure di Pubblica Sicurezza se privi di
genitori oppure dediti alla mendicità o alla prostituzione. Tali
minori erano ricoverati presso Istituti Correzionali o affidati a
“famiglie oneste”.
All’inizio del secolo XX anche in Italia operavano associazioni
di volontariato composte soprattutto da borghesi del nord Italia
che si proponevano per l’affidamento e la tutela dei giovani
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condannati. Questi movimenti filantropici erano pervasi
dall’ambiguità che continua a pervadere tutti i movimenti rivolti
ai minori: protezione, tutela ed educazione accanto a correzione,
controllo e punizione.
4
Il fascismo
Nel 1934 il fascismo istituì con il Regio decreto n. 1404 il
Tribunale per i Minori, per ragioni di prestigio in ambito europeo
e per utilizzare uno strumento di controllo verso l’adolescenza
che non era più sottoposta alle tradizionali agenzie di controllo,
come la famiglia patriarcale rurale. Al tribunale furono attribuite
tre competenze tuttora esistenti: penale, civile, amministrativa,
affidate alle Procure minorili, ai Tribunali dei minori ed ai
Tribunali di Sorveglianza per i minorenni. Fu anche stabilita la
4
Controllo sociale minorile, storia e modelli, cit.