IL MEDIUM LUDICO
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pochi anni come leader mondiale nel segmento delle piattaforme elettroniche
dedicate al gioco.
Era il 3 Dicembre del 1994, quando in una fredda giornata di Tokyo
veniva lanciata la console che avrebbe davvero rivoluzionato l'intero universo
videoludico. Pochi lo immaginavano, ma quella console non avrebbe
significato soli videogames, ma un concept, uno stile di vita, un sinonimo di
completo divertimento elettronico.
Contestualmente, dal lato della domanda, si è assistito, a partire dalle
seconda metà degli anni ’90, ad un sensibile ampliamento del numero degli
utenti di videogiochi per console e ad una modificazione della composizione
qualitativa del pubblico di consumatori di software di intrattenimento
interattivo.
L'espressione "PlayStation Generation" aiutò a comprendere una
generazione. I videogames uscirono dal limbo settoriale cui erano confinati
per diventare un fenomeno di massa, trendy, spesso anche culturale. Fate
caso a quanta gente oggi pubblicamente dichiara di passare parte del suo
tempo libero a videogiocare con PlayStation: attori, calciatori, cantanti,
soubrette. Perfino l'universo femminile - tradizionalmente lontano dai
videogiochi - ne è stato affascinato, ed oggi non sono poche le pulzelle che
passano qualche ora con i videogiochi.
Deve essere sottolineato, in particolare, l’innalzamento dell’età
anagrafica media del target destinatario di questi prodotti, che ha contribuito
in modo significativo ad allargare il mercato degli utenti potenziali ed ha
consentito di raggiungere segmenti di consumatori dotati di un elevato
reddito discrezionale.
Conseguentemente i videogiochi (concettualmente intesi, in questa
trattazione, sia in termini di contenuti e software, sia di supporti tecnologici e
più precisamente nella loro veste di console per l’intrattenimento domestico)
hanno acquisito una rinnovata è più matura identità, sottraendosi all’etichetta
di mero passatempo per bambini e configurandosi, anche tra un pubblico più
adulto, come forma di intrattenimento alternativa ai tradizionali prodotti e
servizi dedicati alla piacevole occupazione del tempo libero.
Gentile Domenico
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Personaggi come Lara Croft, Solid Snake, Spyro, Crash; saghe come
Final Fantasy, Winning Eleven/Pro Evolution Soccer, Tekken. Tutto questo è
il mondo della PlayStation, il nostro mondo.
Il marchio PlayStation ha assunto ormai un elevatissimo valore,
destinata a diventare nel tempo una linea di prodotti e anche molto di più.
b) Punto di partenza è questa constatazione: i processi attraverso i
quali si forma la percezione del tempo che è trascorso dall’introduzione e
dalla commercializzazione di specifiche innovazioni tecnologiche si
diversificano da individuo ad individuo in relazione ad una serie piuttosto
elevata di variabili.
Una sembra essere l’età, forse la più rilevante: per alcuni individui certi
apparecchi sono stati i compagni della propria adolescenza, per altri della
propria maturità. Da un lato vi è l’esperienza di chi è nato con i videogiochi,
dall’altro quella di chi ha dovuto introdurli nella propria quotidianità in età
matura. Proprio la percezione di maggiore o minore distanza temporale
indotta dalla diversa età dei soggetti dà luogo a conseguenze che incidono
sul rapporto complesso che definiamo con questi apparecchi.
Il passare degli anni e il succedersi delle generazioni di supporti
tecnologici e videogiochi ha dato luogo ad una vera storia dei videogiochi.
Altro punto di analisi è l’insieme della categoria di gioco. Il rapporto tra
vita quotidiana e gioco; l’introduzione della mimesi, intesa come slittamento
delle passioni; il cinismo, quale concetto al limite tra misurato e patologico,
sono i passaggi che ci conducono a porre in questione la rilevanza
semantica della distinzione tra gioco ludico e vita quotidiana.
Il video è l’altro oggetto di cui analizzare il passaggio dalle funzioni di
“semplice” schermo, a quelle successive di portale di accesso e di cordone
ombelicale tra l’attore sociale e l’esperienza, spazio e meccanismo di
elezione di quei processi di costruzione di iperrealtà di cui parlano gli studiosi
dei processi di rappresentazione.
In relazione all’ultimo punto va detto che il videogioco è nato dalla
televisione, di cui condivide il linguaggio iconico e le modalità espressive;
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esso però vi si è ben presto differenziato per le sue caratteristiche di
interattività e coinvolgimento attivo del giocatore, il quale, uscito dalla
condizione di spettatore, deve decidere con il suo fare l’evolversi e il
dipanarsi delle vicende rappresentate sullo schermo.
Il videogioco che, riprendendo alcune delle funzioni del gioco e del
video, ha contribuito a creare quell’industria di cui il rapporto tra commercio
legale e pirateria costituisce un momento di sviluppo strategico. Il videogioco
è dunque ciò che permette di allargare l’ambito concettuale dell’analisi
all’intero electronic entertainment. Non può più essere considerato una pura
rappresentazione ma parte di un modello definito praxis, dove l’uomo
moderno agisce e interagisce attivamente come il protagonista di questa
iperrealtà.
Questo modello si definisce attraverso ulteriori varianti di videogiochi,
in particolare con la serie del videogioco Winning Eleven, che si rigenera ad
ogni campionato di calcio, e con The Sims e Unreal Tournament.
Da Milano si sta infatti diffondendo un nuovo approccio all'analisi del
videogame basato
su una criteriologia assai diversificata, formulata dai più attenti studiosi
del medium elettronico che hanno deciso di coltivare questo ambito di ricerca
con una ragionata specializzazione. Oggi, finalmente, lo studio del medium
ludico sta progressivamente conquistando una sua dignità accademica. Nel
giro di un decennio, siamo passati dalla più feroce tecnofobia (Eugene
Provenzo ed epigoni) alla più manifesta tecnofilia (James Paul Gee, uno dei
più entusiasti propugnatori dell’efficacia pedagogica del medium videoludico).
È necessario, a nostro avviso, trovare un giusto equilibrio tra i due poli.
Il primo passo consiste nel superare i limiti di una critica videoludica
che, de facto, non
esiste.
Non sorprende, allora, che l’attenzione di questi pseudo-critici, o
meglio recensori, sia riservata in massima parte agli aspetti tecnologici ed
estetici del videogame. Non viene prestata alcuna attenzione alle implicazioni
ideologiche, politiche, artistiche e culturali. La cosiddetta critica videoludica è
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ossessionata dall’imperativo della comparazione numerica, della
quantificazione astratta, della misurazione scientifica della “qualità” del gioco,
impropriamente e ingenuamente misurata con parametri che, da trent’anni a
questa parte, non sono mai cambiati (“grafica-sonoro-giocabilità-longevità”).
La critica videoludica è, in larga parte, un’applicazione del concetto di
determinismo tecnologico. È come se le riviste di cinema valutassero la
“qualità” di un film prendendo in considerazione un unico parametro: gli effetti
speciali. Ciò che rappresenta un’eccezione nell’ambito della critica
cinematografica è lo standard nel settore videoludico. Nessuno vuole
ammetterlo, ma le riviste di videogiochi sono le prime a promuovere la
ghettizzazione socioculturale del medium.
Per superare l’impasse, c’è chi propone una definizione alternativa: il
videogioco come “pratica”. Questo termine è più versatile dei precedenti
perché tiene in considerazione anche le dinamiche sociali innescate dal
medium videoludico (essenziali, per molti, a definirne la peculiarità rispetto
ad altri media).
Dire che il videogioco è una “pratica” significa prestare attenzione non
tanto e non solo a quello che vediamo sullo schermo, ma a quello che
avviene di fronte allo schermo. Vuol dire assegnare una priorità alle vite
davanti allo schermo rispetto a quelle dello schermo. Oltre il testo, il contesto:
il che implica preoccuparsi dei processi mentali e sociali attivati dal giocatore
nel momento in cui decide di dare vita ad una sessione interattiva.
Il videogioco come pratica è inoltre riconducibile alla dimensione del
rito. Un rito postmoderno, beninteso, ma pur sempre oscillante tra la
dimensione del sacro e del profano. Il videogioco come marca di
appartenenza a una tribù, passione che unisce e divide.
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CAPITOLO 1
APPROCCIO SOCIOLOGICO
In questo secolo, che è stato dominato dalla produzione di massa e
dal lavoro nelle industrie e negli uffici, noi dobbiamo cedere gran parte del
nostro tempo alle necessità della vita sociale e lavorativa, nel senso più lato,
e non ne siamo più padroni. Generalmente questo tempo ceduto alla vita
sociale ha un ritmo accelerato rispetto a quello che vorremmo imprimergli; al
termine di esso, rimane a nostra disposizione un “tempo libero”, che tende a
crescere con il ridursi dei tempi e orari di lavoro. Esso viene ripartito, in una
miscela diversa per ciascuno, tra un'imitazione giocosa del tempo accelerato
(sport, gioco, attività ricreative di gruppo) e un tempo rallentato, rilassato, a
cui affidiamo il compito della nostra ricostituzione psichica e fisica e della
gestione dei rapporti umani e affettivi. La console, medium ludico per
eccellenza, agisce nell’area del tempo rallentato. In altre parole, è un
“sistema esperto” per il nostro relax; il quale può anche comprendere in una
certa misura necessità informative o comunicative, ma che è profondamente
diverso dall’acquisto sul mercato di prodotti come un disco, un giornale, una
videocassetta, un libro. La console risponde piuttosto a un’esigenza di
ricostituzione psicofisica e consente un’occupazione molto pervasiva del
tempo personale e collettivo. La sociologia non può restare indifferente ad
uno strumento che è in grado di spodestare i media classici nei modi in cui la
gente sceglie di passare il tempo rallentato.
Sono, inoltre, profondamente mutati sia gli scopi della socializzazione
sia il ruolo relativo dei diversi agenti. Dissoltosi il modello di socializzazione
basato sulla trasmissione-integrazione, siamo ormai in presenza di un forte
rischio di iposocializzazione, caratterizzata da diffusi comportamenti di tipo
narcisistico ed antisociale. Anche la tv va perdendo terreno come mezzo di
autosocializzazione, poiché la sua azione è oggi contrastata da quella dei
new media, che hanno una funzione fortemente de-socializzante. È molto
frequente osservare come anche le poche volte che hanno occasione di
incontrarsi a casa, anziché comunicare tra di loro, i ragazzi giochino alla
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PlayStation, secondo modalità comunicative comunque dettate dal mezzo e
fortemente caratterizzate dalla finalità di raggiungere alti livelli di prestazione.
I ragazzi tendono sempre più a concentrare le loro energie ed il loro impegno
su queste performances: da esse si attendono molto, ma sono per molti
anche causa di un forte stress, contribuendo spesso a de-socializzarli
piuttosto che a socializzarli, inducendo frustrazioni in caso del mancato
raggiungimento degli obiettivi.
Vediamo, quindi, quali sono i principali filoni che ci aiutano a
comprendere il rapporto tra gli attori sociali e questo tipo di medium.
1.1 Morin
Secondo Morin il nuovo assetto della società industriale avanzata
dominato dai mezzi di comunicazione di massa dà luogo a un vero e proprio
complesso culturale di civiltà, storia e cultura che, costituendosi come un
insieme di simboli, valori, miti e immagini, concernenti sia la vita pratica che
l’immaginario collettivo, è destinato ad essere fruito dalla maggior parte della
popolazione. Grazie allo sviluppo industriale e tecnico insito nelle nuove
configurazioni societarie di massa, assistiamo all’emergere di nuovi bisogni
individuali che vanno da quelli tradizionali di tipo affettivo a quelli legati alla
sfera dell’immaginario e a quelli incentrati sul benessere economico. La
cultura di massa viene così identificata nella sua dimensione più ludica come
propugnatrice di evasione e disimpegno che accomuna in una visione
sincretica anche categorie diverse dell’industria culturale come
l’intrattenimento e l’informazione. Sempre di più l’immaginario mima il reale e
il reale assume i colori dell’immaginario. Nella sua conversione etica del
loisir
1
, la cultura di massa esortando anche al consumo dei prodotti, lo
1
Il termine viene utilizzato per riassumere tutta la sfera delle attività ludiche. «Le attività che
ne fanno parte sembrano molto diverse tra loro; ci sono occupazioni di loisir come l’andare a
teatro, a un concerto o al cinema, la caccia, la pesca, le scommesse, il ballo e guardare la
televisione. Le attività di questa classe sono attività del tempo libero, connotate come loisir,
sia che vi si prenda parte come attori o come spettatori, poiché la partecipazione ad esse
non è un occupazione specializzata con cui ci si guadagna da vivere, quando lo è, cessano
di essere attività di loisir e diventano un tipo di lavoro con tutti gli obblighi e le costrizioni
caratteristiche del lavoro nelle società come la nostra, sebbene in sé le attività praticate
siano vissute come molto piacevoli» (Elias, Dunning,1989).
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traduce in una sorta di auto consumo della vita individuale: il loisir diventa un
vero e proprio stile di vita. Da non trascurare la considerazione circa
l’indebolimento, da parte del mondo illusorio dei mass media, delle
prerogative educative appannaggio tradizionale delle istituzioni familiare e
scolastica in un contesto che accusa di passività gli interlocutori dei media.
1.2 Uses and gratifications
Il contesto della ricezione in cui avviene la fruizione comunicativa
viene modificato grazie al forte ridimensionamento della tradizionale
concezione passiva dell’audience in favore di una matura consapevolezza
che i suoi membri siano attivi e in grado di selezionare i contenuti dei
messaggi veicolati dai mezzi di comunicazione:i media vengono così
sostenuti quali promotori di meccanismi e processi che favoriscono la
partecipazione e l’integrazione sociale. Una delle teoria più interessanti è
incentrata sulle funzioni assolte dai mezzi di comunicazione di massa, più
che sugli effetti che sortiscono nel contesto sociale: la teoria degli usi e
gratificazioni. Questa è basata proprio sulle motivazioni che sollecitano usi
ed aspettative nei confronti dei media, i quali vengono considerati strumenti
atti a soddisfarli. Vi è stato, infatti, un grande aumento di interesse per i modi
in cui le persone usano i mass media e i piaceri che questi offrono alla gente.
I media sono considerati dai fruitori strumenti in grado di soddisfare i
bisogni generati dalle situazioni sociali. Il pubblico agisce pertanto sulla base
di strategie ben determinate e finalizzate al raggiungimento di un obiettivo
concreto: il soddisfacimento dei bisogni che, nel contesto in cui si fonda
l’approccio usi e gratificazioni, viene associato alle funzioni sia manifeste che
latenti dei prodotti mediali.
I principali usi e gratificazioni che il pubblico aspira a soddisfare
attraverso l’uso dei media sono i seguenti
2
: informazione, identità personale,
interazione sociale, intrattenimento.
2
Si tratta della tipologia più articolata ed è attribuita a McQuail, Blumer e Brown, e riproposta
in D. McQuail (1983).
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1.3 Teoria della dipendenza
La precedente teoria trova la sua corrispondenza nella teoria della
dipendenza (De Fleur e Ball-Rokeach), specie nell’analizzare il ruolo che i
media rivestono nell’appagare la vasta gamma di bisogni degli attori sociali.
La teoria sottolinea come l’attuale organizzazione sociale faccia in modo che
gli individui raggiungano i propri obiettivi e soddisfino i bisogni grazie
soprattutto alle risorse informative fornite dal loro sistema mediale
3
. Quanto
più le notizie dal mondo esterno sono necessarie agli attori, tanto più intensa
sarà la loro dipendenza dai media. È da tener presente che, laddove i luoghi
deputati alla formazione e socializzazione rivestano per l’individuo un ruolo
più determinante rispetto ai mezzi di comunicazione, le forme di controllo
sulle risorse informative esercitate dai media stessi vengono ridimensionate.
Le motivazioni che spingono gli individui a dipendere dai media sono
da ricercare nel fatto che i media stessi forniscono conoscenze che usiamo
per comprendere e rappresentare noi stessi e la realtà in cui viviamo, per
orientare le azioni individuali e sociali e per divertirci da soli o in compagnia;
parliamo rispettivamente di: a) dipendenza cognitiva, b) dipendenza
nell’orientamento, c) dipendenza nello svago.
La teoria della dipendenza, peraltro, a differenza dell’approccio usi e
gratificazioni, giustifica la nostra dipendenza dai media sulla base non tanto
delle gratificazioni connesse al loro utilizzo, quanto sui diversi livelli di
intensità che si stabiliscono nel rapporto fra sistema sociale e sistema
mediale.
3
M. De Fleur , S. Ball, Rokeach (1989).
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1.4 Socializzazione mediata e immediata
La visione attualmente condivisa, circa le fasi della esperienza
formativa e comunicativa, vede sempre al centro dell’esperienza giovanile
l’istituto familiare, ma affiancato e coadiuvato da un insieme di agenzie sia
istituzionali (scuola e chiesa) che informali (gruppo amicale e mass media).
L’attenzione si incentra, quindi, su due concetti strettamente connessi
a questa rinnovata visione pluralista: la socializzazione mediata e quella
immediata.
Per socializzazione mediata si intende far riferimento al ruolo di guida
proprio delle agenzie familiare e scolastiche. In questo caso la formazione
avviene seguendo norme verticali.
I mass media ed il gruppo dei pari, invece, essendo immessi
spontaneamente e senza mediazioni, influiscono direttamente sulla sua
esperienza quotidiana, restituendogli centralità e potere. La socializzazione
immediata è caratterizzata così da un rapporto orizzontale e parallelo che i
media ed i grippi dei pari instaurano con il ragazzo nella costruzione
dell’identità.
I mass media in generale, ed il nostro medium ludico in particolare, si
impongono quali formule vincenti poiché riescono a sviluppare occasioni
alternative e originali di integrazione e socializzazione che coinvolgono senza
pretendere qualcosa in cambio.
I due approcci si diversificano, così, in merito alle circostanze sociali in
cui operano; alle modalità con le quali veicolano valori e norme; alle finalità
che si propongono di conseguire: le agenzie tradizionali intraprendono la
propria missione educativa istillando nel soggetto regole e norme istituzionali.
La concezione rinnovata della socializzazione prevede , invece, un ambiente
quotidiano, in cui il giovane si forma anche grazie al contatto con i media
comunicativi, il gruppo dei pari e le attività ricreative del tempo libero; queste
fasi realizzano spesso la loro convergenza, attraverso il nostro medium
ludico, all’interno della stessa esperienza.
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Ma tra le due forme di socializzazione, possiamo parlare più spesso di
contesa piuttosto che di sinergia; le basi poggiano sulla dilatazione del tempo
scelto rispetto a quello ordinato e sulle rinnovate modalità di consumo
4
. La
socializzazione immediata è scelta volontariamente dal soggetto che, a
fronte di un’abbondanza di stimoli e proposte, vi si espone in maniera
selettiva per soddisfare sia bisogni post-materialisti legati al benessere e alla
pura evasione, che di status, quali la funzione di determinati oggetti ed
accessori nelle subculture giovanili.
La presenza attiva del soggetto nella selezione e nella fruizione
consolida, così, un agire di consumo fondato sulla legittimazione di un
proprio ed esclusivo progetto di vita nel cui ambito sia i mezzi di
comunicazione che i consumi culturali costituiscono strumenti validi per
stabilire priorità nella gestione della vita quotidiana e partecipare agli altri non
più solo attraverso variabili quali status socio-economico e livello di
istruzione, ma sulle scelte di fruizione mediale e culturale.
Appare evidente che la logica del consumo si integri saldamente a
quella edonistica grazie ad una forte componente ludica rilevata, ad esempio,
nella pratica di giocare ai videogiochi: l’atto di mettere in comune il consumo,
condivisioni di segni e simboli, può fornire il giusto significato della
socializzazione culturale giovanile.
In questo panorama i new media divengono capaci di demandare veri
e propri modelli cognitivi e i loro linguaggi audiovisivi (interattività,
multimedialità) consentono al soggetto di farsi componente attiva del
processo di comunicazione, spostando sensibilmente il piano dell’esperienza
cognitiva verso la dimensione del loisir. La PlayStation ne è un esempio
evidente.
4
Per un approfondimento, D. Cannizzo, Educazione, formazione e media (2004).
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CAPITOLO 2
GIOCO E VITA QUOTIDIANA
Innanzi tutto sul concetto di gioco, in rapporto alle attività quotidiane,
prendendo come modello l’approccio drammaturgico di Erving Goffman e
discostandosi da alcune teorie che stabiliscono una netta distinzione tra
tempo produttivo e tempo libero. Si analizza in tal modo la commistione tra le
due dimensioni, tipica di una società postindustriale e mediatizzata. Ci si
sofferma sulla passione, intesa come un’azione subita dall’attore sociale che
nell’interazione comunicativa riveste il ruolo di ricevente.
Si approda alla teorizzazione dell’iperrealtà e a Baudrillard che
scriveva: di medium in medium il reale si volatilizza, diventa il reale per il
reale.
Ricostruzione storica del prodotto videoludico -dalle sue origini (Pong)
ai giorni nostri (Playstation2) – che non trova riscontro nella letteratura
scientifica italiana. Un quadro complessivo che testimonia come tale forma di
intrattenimento, oggi, nonostante la giovane età sia riuscita a superare altri
comparti storicamente più consolidati.
Si può riflettere anche sulla vecchia diatriba tra cultura alta e cultura
bassa: di fronte ad un fenomeno che approssimato per difetto coinvolge oltre
130 milioni di persone, non ci si può soffermare sulla sua valenza culturale. È
più opportuno giudicarlo esclusivamente un fatto dalle dimensioni fortemente
estese ed il cui pubblico risulta essere assolutamente eterogeneo.
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2.1 Attività umane e gioco
Le attività umane si possono dividere in due grandi insiemi:
- il primo, definito tempo produttivo, è costituito dai
momenti che delineano un impegno preciso, riconducibile all’idea di
produzione e di lavoro;
- Il secondo, è legato all’esercizio di svago o meglio
all’utilizzo del tempo libero, visto non in chiave di risorse sottratte alla
produzione, bensì come indispensabile spazio per le attività ludiche e
piacevoli, le quali garantiscono riposo e ricreazione
5
.
Questa dicotomia può essere risolta riflettendo su come queste
interpretazioni non tengano conto della complessità dei codici
comportamentali ai quali i soggetti vanno incontro. In altri termini, il tempo
dedicato al lavoro non è avulso da qualsiasi schema o sistema di aspettative
o modelli esperienziali. È impossibile immaginare infatti un tempo lavorativo
esclusivamente come momento routinario, dove tutto è prevedibile e
all’interno del quale le soluzioni ad ogni problema sono automatiche.
L’esperienza lavorativa non è connessa esclusivamente al guadagno, bensì
è essa stessa un’esperienza di interazione in cui vengono messe in gioco
tutte le competenze dell’attore sociale. Richiamando il modello di E.
Goffman, si immagini il soggetto come un attore impegnato, nel corso della
giornata, su differenti palcoscenici, che l’autore definisce frame. A seconda
delle varie cornici in cui il soggetto si ritrova, esso utilizzerà una maschera
adeguata e dei codici comportamentali appropriati. All’interno del frame
lavorativo la persona sfrutta il proprio bagaglio di abilità per recitare la parte
che gli viene richiesta. Goffman, proponendosi di esaminare la vita sociale
nella sua espressione elementare, costruisce e organizza gli elementi
connessi ad ogni interazione. Elementi che sono innanzitutto il modo in cui
un individuo presenta il proprio modo di agire a se stesso e agli altri; in
secondo luogo il modo in cui egli guida e controlla le impressioni che di lui si
5
Questa si può considerare, in pratica, la rivisitazione di una distinzione ben presente già
nei classici latini, quella tra otium e negotium.
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vanno formando gli altri; infine, il modo con il quale egli esamina il genere di
atti che può o non può compiere mentre svolge la propria rappresentazione
in presenza di altri attori.
Presentata dal punto di vista dell’interazionismo goffmaniano, la
visione e definizione del tempo lavorativo precedente, viene sostituita dal
modello delle human relations in cui si elimina la dicotomia tra homo faber e
homo ludens e le due figure finiscono per fondersi
6
. Di conseguenza, diventa
impossibile immaginare che si possa produrre ricchezza, senza arricchirsi
interiormente e viceversa.
Nell’epoca moderna e postmoderna
7
l’attenzione si concentra
essenzialmente sulla dimensione del tempo libero.
È proprio la dimensione del tempo libero ad essere quella più
difficilmente definibile: la società industriale considera, infatti, il tempo come
un periodo di pura e semplice transizione tra un inizio e una fine, come uno
strumento atto a perseguire e raggiungere gli obbiettivi di una
razionalizzazione sempre più efficace della vita umana. Oggi più che mai il
tempo è diventato nell’immaginario collettivo un bene sempre più prezioso,
da maneggiare con cura e da distribuire equamente e secondo i criteri di
ottimizzazione razionale tra le tante attività che compongono la vita sociale.
Tuttavia la definizione del tempo libero rappresenta ormai un
controsenso, perché nel momento in cui si comincia a pensare a una
distinzione tra i momenti di svago e il resto della quotidianità, si rende
necessaria una programmazione che non rende più libero il tempo stesso,
arrivando a creare dei palinsesti personali. Già Edgar Morin in relazione alla
tematica del loisir, evidenziava che: il consumo della cultura di massa si
inserisce in gran parte nello svago moderno, il loisir. Il moderno loisir non è
soltanto l’accesso democratico a un tempo libero privilegio sinora delle classi
dominanti, ma è il frutto dell’organizzazione stessa del lavoro burocratico e
industriale.
6
Sull’argomento si veda Mayo (1933).
7
Il tema è oggetto di ampio dibattito. Si veda, tra gli altri, Harvey (1993).
Gentile Domenico
17
Nella letteratura sociologica, una conferma che l’idea secondo la
quale la dicotomia tra produzione e svago sia fuorviante, è costituita tra l’altro
dall’opera di N. Elias ed E. Dunning i quali affermano che i due concetti sono
stati tradizionalmente mistificati, poiché il lavoro veniva identificato come un
dovere morale fine a se stesso, quindi positivamente, mentre lo svago era
collegato al piacere e risultava essere fuori posto in una società
industrializzata in cui ogni attività deve risultare mercificabile.
Occorre eliminare ogni fraintendimento dal concetto di svago. Esso
non è astratto da qualsiasi regola o schema, ha invece una ben delineata
struttura. Da qui si individua il denominatore che lega i due momenti dell’ozio
e del lavoro: la necessità di entrambe le sfere di azione di seguire delle
regole. Tale processo può trovare una sua definizione in quella di gioco,
fornita da un dizionario: “Il complesso delle convenzioni che devono essere
rispettate o utilizzate dai giocatori nell’ambito di un determinato tipo di
competizione”. Di conseguenza il termine competizione deve essere riferito
sia a sfere economicamente produttive, sia a contesti ludici che personali.
Questa tesi trova riscontri nel pensiero di J. Huizinga, per il quale la
società umana sorge e si sviluppa nel gioco, come gioco
8
. Però Huizinga
utilizza un approccio alquanto spiritualista, cercando di isolare un prius dal
quale scaturirebbero tutte le forme comportamentali dell’agire sociale.
Appare più convincente richiamare il lavoro di Goffman, il quale coglie aspetti
apparentemente irrazionali o naturali dell’interazione basata sul gioco. Si
pensi ai giochi di faccia, ai rituali adottati negli incontri quotidiani, per arrivare
ai giochi d’azzardo utilizzati dal sociologo americano come metafora per
spiegare il comportamento strategico. Per gioco d’azzardo non si intende
semplicemente un gioco fondato sulla fortuna, bensì un contesto in cui ogni
partecipante cerca di vincere utilizzando un controllo delle proprie emozioni
e, contemporaneamente, studiando quelle degli avversari. Così, mentre per
Huizinga il gioco è pre cultura, secondo Goffman il comportamento umano è
8
«Il gioco come tale oltrepassa i limiti dell’attività puramente biologica: è una funzione che
contiene un senso.[…]che cosa è in fondo il gusto del gioco? Quest’ultimo elemento, il gusto
del gioco, resiste ad ogni analisi o interpretazione logica .[…] Noi giochiamo e sappiamo di
giocare, dunque siamo qualche cosa di più che esseri puramente raziocinanti, perché il
gioco è irrazionale» (Huizinga, 1949).