e guerra, 1975) in cui il personaggio della morte è un chiaro riferimento
farsesco a Det sjunge inseglet (in Italia Il settimo sigillo, 1956). Ma nel
caso dei ‘nostri’ due film, di parodia non si tratta; possiamo considerarla,
più che altro, una variazione sul tema.
Se Allen ha avuto anche modo di immergersi nelle atmosfere nordiche
bergmaniane, lavorando a dei film dal tono serio, in A midsummer night’s
sex comedy è il suo stile comico a prevalere. Il fatto che più volte Allen
abbia dichiarato la sua ammirazione per Bergman, non deve far ritenere che
ogni suo film si ispiri a quest’ultimo. Con maggiore probabilità accade che,
inevitabilmente, il regista riporti nei suoi lavori le reminiscenze del
migliore cinema ha conosciuto. Così, se c’è chi afferma che «quella sua
componente bergmaniana è rintracciabile sin dai tempi della sequenza
dell’incubo in Il dittatore dello stato libero di Bananas»
4
(titolo originale
Bananas, 1971), bisogna anche considerare che «quell’ossessione nei
confronti di temi come l’amore e la morte»
5
è intrinseca nell’essere
alleniano, a prescindere dalla sua particolare stima per il regista svedese.
Quindi come porsi dinanzi al paragone tra i due film presi in esame?
«Una commedia sexy in una notte di mezza estate è ancora sì un
omaggio al Bergman dei Sorrisi»
6
, ma omaggio personalizzato, che si
conclude con quella sfera del finale che proietta immagini e svela fantasmi.
È un’ennesima dichiarazione d’amore per il cinema, su cui Allen afferma:
«mi sento meglio nel mondo del film che nella vita reale»; il cinema come
sogno, desiderio, spettacolo sono per egli un referente essenziale della
nostra vita.
4
F. LA POLLA, Memorandum per la critica: ringraziare Woody, «Garage. Cinema Autori Visioni», cit.,
p.20.
5
Ibidem.
6
G. CREMONINI, Cinema days, «Garage. Cinema Autori Visioni», cit., p. 32.
3
Nella Commedia sexy sono assenti alcuni elementi che hanno
caratterizzato altre pellicole alleniane, come l’ambientazione a Manhattan,
la psicoanalisi alla quale si sottomettono i protagonisti, la figura
dell’intellettuale cosmopolita, spesso impersonata dal regista stesso, e, per
finire, le discussioni ardite su temi esistenziali o culturali. Il film è
caratterizzato da temi a lui cari, rivisitati con un nuovo registro. Stiamo
parlando dell’amore, dei rapporti di coppia e della fedeltà. Non è il primo
film in costume che ci propone – pensiamo a Love and death – ma
l’ambientazione e l’abbigliamento non sono fondamentali per lo sciogliersi
dell’intreccio, bensì per l’effetto ottico ed estetico che ne deriva.
Può sembrare un controsenso affermare l’originalità di Woody Allen e
poi impostare un discorso sui confronti e i paragoni che si possono
cogliere tra un suo film e uno di Bergman. Per questo continueremo a
sottolineare che Commedia sexy deve innanzitutto essere vista come
un’opera facente parte di un cammino stilistico del regista; Allen dimostra
la sua indipendenza dalle precedenti esperienze, sia che parliamo della sua
medesima produzione, sia che ci riferiamo al grande cinema di Bergman, di
Fellini o di chiunque sia considerato un suo modello. Per questo i suoi film
annoverati come "alla maniera di...", e in particolare A midsummer night’s
sex comedy, devono essere apprezzati per la loro originalità risolutiva nelle
scelte registiche e di narrazione. L’ammirazione va a quel suo proporci una
citazione nascosta di Sommarnattens leende, senza che ne risulti
un’imitazione. Possiamo quasi dire che, come un Raffaello, egli coglie il
meglio dai lavori altrui per tradurli in un codice rinnovato dalla sua
personale capacità narrativa coltivata negli anni. E poi ancora dobbiamo
evidenziare che non tutti i suoi film si rifanno al cinema altrui. Anzi,
scorrendo la sua produzione, si incontrano numerosissimi auto-rimandi.
4
Quasi scontato negare, in questa sede, l’accusa che gli ha posto la critica di
fare sempre lo stesso film
7
.
Ora, il nostro lavoro consiste nell’analizzare la commedia alleniana, per
poi scovarvi quanto di bergmaniano sia rintracciabile. Il tutto stando attenti
alle forzature o alle banalizzazioni. In più, se sono parecchie le cose in
comune, non si deve giungere alla conclusione di un’ennesima copiatura;
nonostante l’evidente lontananza tra Bergman e Allen, i due hanno delle
affinità che vanno ben oltre il risultato filmico. Vedremo dunque la
similitudine di metodo lavorativo, di sentimento nei confronti della vita e
del modo di porsi rispetto al loro lavoro.
Nel lontano sedicesimo secolo, il figlio di un commerciante di pellami di
Stratford si trasferì a Londra. In questa città il ragazzo, quasi trentenne,
s’inserì all’interno di ciò che chiamiamo teatro elisabettiano e divenne un
attore e un famosissimo drammaturgo; il suo nome era William
Shakespeare. Fra i suoi numerosi drammi e le commedie, una ci interessa in
particolare: A midsummer night’s dream. Quest’opera, ancora oggi
rappresentata dalle compagnie teatrali, ha avuto anche due trasposizioni
cinematografiche, nel 1935 e nel 1999
8
. Vedremo come Bergman, e
soprattutto Allen, vi abbiano preso spunto per quanto riguarda il tema della
notte, del sogno, del rimescolamento delle coppie di amanti, del bosco e
della magia. I registi vi hanno colto questi elementi e li hanno rielaborati in
base alle loro trame, adattandoli ai loro tempi e alle loro vedute. Molto
formali le scappatelle dei personaggi bergmaniani, più schietti gli adulteri
7
Cfr., F. LA POLLA, Memorandum per la critica: ringraziare Woody, «Garage. Cinema Autori Visioni»,
cit., p.27.
8
La prima è una produzione hollywoodiana dei registi Max Reinhardt e William Dieterle; la seconda è
una collaborazione Usa/Germania di Michael Hoffman. Inoltre vi sono anche due versioni farsate quali
Sogni di una notte d’estate (1983), primo lavoro di Gabriele Salvatores e Sogno di una notte di mezza
sbornia (1959) di Eduardo De Filippo. Cfr., P. MEREGHETTI, Il dizionario dei film, Baldini & Castoldi,
Milano, 2004.
5
alleniani. Meno contemplata la magia in Sorrisi, che ha un ruolo
fondamentale nel finale di Commedia sexy.
Concludendo, è molto difficile essere seri in un film comico; Bergman vi
è riuscito per propensione naturale, Allen non ne aveva l’intenzione, anche
se afferma: «Amo fare film di solo humour, ma la morte e la metafisica si
inseriscono in tutto quello che faccio»
9
e poi «In teoria è più difficile
realizzare una commedia che un dramma, perché per fare ridere bisogna
avere una capacità innata.[…]Un comico può fare un film serio, il contrario
accade raramente. Certamente dovrà lavorarci tutta una vita per
raggiungere un livello come quello di Bergman, ma ne vale sicuramente la
pena provarci
10
».
9
S. BONI-E. VINCENTI, Woody Allen si racconta, «Garage. Cinema Autori Visioni», cit., p.11.
10
Ivi, p.12.
6
CAPITOLO 1
1.1 Due grandi cineasti a confronto
Woody Allen e Ingmar Bergman sono due registi agli antipodi: l’uno
considerato “comico-intellettuale”, l’altro per lo più drammatico, il primo
americano, il secondo svedese; visti i loro film, cosa gli si potrebbe trovare
in comune?
All’inizio della sua carriera Allen gira film prettamente comici;
addirittura nei primissimi, da What’s new, Pussycat? (in Italia Ciao
Pussycat, 1965) - di cui è solo soggettista e sceneggiatore, ed appare per la
prima volta sugli schermi come attore - fino a Everything you always
wanted to know about sex but were afraid to ask (1972), prevale il suo lato
di stand-up comedian su quello del narratore. Punto di forza delle
sceneggiature sono le battute, più rilevanti della trama stessa. La sua non è
una comicità da torte in faccia, bensì da «torte sull’inconscio
11
»;
ossessionato da tragedie metafisiche,
12
il suo è l’umorismo di colui che ha
letto Kierkegaard, Kant o Leibnitz, li ha compresi e ne è rimasto
profondamente colpito. Negli anni settanta il pubblico che andava a vedere
un suo nuovo film si aspettava che facesse ridere, in linea con la comicità
dei precedenti. Numerose, infatti, le critiche, e in alcuni casi la mancanza di
pubblico, per quei suoi film più seri, drammatici e impegnati, che giungono
11
U. ECO, Allen Woody: un everyman per happy few, introduzione a W. ALLEN, Saperla lunga, Bompiani,
Milano, 1973, p. VI. Traduzione dall’originale inglese Getting even a cura di Alberto Episcopi e Cathy
Berberian.
12
Il protagonista è spesso afflitto da angoscianti paure, spesso paradossali; prima fra tutte, e la
incontriamo in diversi film, la paura della dilatazione dell’universo. Cfr. Radio days, 1987.
7
dopo ben undici commedie esilaranti. Dopo il grande successo di Annie
Hall (in Italia Io e Annie, 1977), che riscuote un ottimo risultato di pubblico
e di critica
13
, ecco che esce il primo film che si possa definire
“bergmaniano”, per il suo tono cupo, per l’inusuale lentezza e per il finale
tragico: Interiors (1978). A questo, tra una commedia e un’altra, se ne
possono accorpare altri due, September (1987) e Another woman (1988).
Ma da Manhattan (1979) in poi, per “commedia alleniana” si dovrà
intendere una sintesi tra comicità e preoccupazioni esistenziali, che
diventerà tipica dei suoi personaggi e soprattutto della sfilza dei suoi alter-
ego.
Quando, nel 1944, Bergman compie il suo avvicinamento al cinema
scrivendo la sceneggiatura di Hets (in Italia Spasimo)
14
, è già un affermato
regista di teatro
15
e direttore dello Stadteater di Helsingborg; considerato
quale «artista incomprensibile e pretenzioso
16
», nessuno si aspetta da lui
una commedia. Anche Bergman, come il collega americano, fa il suo
ingresso nel cinema come sceneggiatore, grazie alla fama che si era fatto
nel mondo teatrale.
17
13
Il film vince gli Oscar per il miglior film, il miglior regista, la migliore sceneggiatura e la nomination
per miglior attore; tuttavia, Allen, che non crede nei premi cinematografici, non li ha neanche ritirati. Cfr.
J.M. FROUDON, Conversazione con Woody Allen, Einaudi, Torino, 2001, p. 104.
14
Nel 1944 la Svensk Filmindustri, la più importante casa di produzione cinematografica svedese, gli
chiede di scrivere una sceneggiatura per un film che sarà poi girato dal regista svedese Alf Sjöberg.
Grazie al successo che il film incontra in patria, Bergman ottiene, nel 1946, di girare il suo primo film,
Krisis. Cfr. I.BERGMAN, La lanterna magica, Garzanti, Milano, 1987. Traduzione dall’originale svedese a
cura di Fulvio Ferrari.
15
Oltre al suo autore preferito Strindberg, inscena Ibsen, Shakespeare, Molière, Hjalmar Bergman,
Anouilh, Yeats, Ronnovist e anche alcuni propri testi, dei quali non va molto fiero e per i quali non
autorizza la messa in scena ad opera di altri registi teatrali. Cfr. I.BERGMAN, La lanterna magica, cit.
16
T. RANIERI, Ingmar Bergman, «Il Castoro Cinema», La Nuova Italia, Firenze, 1974, p. 42.
17
Bergman racconta: «Ho cominciato come sceneggiatore. C’era una compagnia, la Svensk Filmindustri,
con un dipartimento di sceneggiatura. Eravamo sei schiavi a lavorare in questo dipartimento. Dopo il mio
primo lavoro teatrale hanno pensato che potevo avere talento come dialoghista. […] Mi davano dei
romanzi oppure dei racconti, da cui dovevo trarre le sceneggiature». Cfr. O.ASSAYAS-S.BJÖRKMAN,
Conversazione con Ingmar Bergman, Laterza, Bari-Roma, 1994, p. 17.
8
Ma il suo stile iniziale sarà in linea con quello americano, perché negli
anni Cinquanta in Svezia l’unico modo di raccontare storie per il cinema
era quello del modello hollywoodiano e di ciò ne risentiranno anche le sue
prime opere come regista fino a Sommaren med Monnika (in Italia Monica
e il desiderio, 1952); almeno secondo il giudizio di Allen che così si
esprime a proposito: «[…] Per me lo stile di Bergman ha cominciato a
prender forma con Monica e il desiderio. I suoi film precedenti li
consideravo degli ottimi film americani»
18
. Ma poi il suo cinema si farà
poesia, ed egli metterà, progressivamente, tutto se stesso nei suoi film; anno
dopo anno si mostrerà per intero, unendo ai suoi pensieri pezzi di vita
vissuta, dando ai suoi personaggi una visceralità tutta sua. «[…] Come ha
sancito la rivoluzione freudiana, la più affascinante arena dei conflitti è
diventata quella dell’interiorità e il cinema ha dovuto fronteggiare tale
problema
19
». Così, Bergman è riuscito ad indagare l’anima creando uno
stile che si misura con l’interiorità umana, lo stile “bergmaniano”. Ma il
regista farà sempre molta attenzione, film dopo film, a non rifare se stesso,
a rinnovarsi pur in quella continuità che possiamo riscontrare nella sua
opera intera. Qualche critico gli ha anche rimproverato di girare ogni volta
film “alla Bergman”, ma bisogna anche riconoscere che se un regista ha
sviluppato col tempo un suo stile personale e un suo filo di pensiero,
cercare di allontanarsene volutamente, per far piacere alla critica, sarebbe
solo una forzatura.
Non è stata soltanto la settima arte ad affascinare i nostri due artisti. È
risaputo come Bergman sia stato impegnato in regie teatrali sin dai tempi in
18
S.BJÖRKMAN, Woody su Allen, cit., p. 11.
19
W. ALLEN, La vita come in uno specchio, in R.W.OLIVIER, Ingmar Bergman il cinema, il teatro, i libri,
Gremese, Roma, 1999, p. 46, già uscito nel 1988 sul «New York Times Book Review».
9
cui era solo uno studente e come abbia continuato per tutta la vita,
persino dopo il suo ritiro dal cinema, avvenuto nel 1982; resta famosa la
frase in cui afferma che il cinema è stato per lui un’amante, mentre il teatro
era una moglie fedele. Per Woody il teatro in senso stretto, a prescindere
dal suo passato di comico da cabaret, non è mai stato più che un semplice
piacere del raccontare storie per il palcoscenico; egli non si è mai dilettato
nel dirigerne la messa in scena. Oltre che a non ritenersene capace, obbietta
che questo ambito è molto più noioso del cinema, in quanto prevede un
lungo periodo di prove prima della rappresentazione e poi svariate repliche
durante la stagione teatrale. Così non ha mai curato la regia dei suoi scritti
teatrali, anche se afferma di assistere quanto più è possibile alle prove
20
. In
più si lamenta del fatto che ormai il teatro, a New York, sia completamente
scaduto e Broadway sia totalmente corrotta dal “business”. La profonda
differenza dei due punti di vista si può comprendere ancor più facilmente
da un’affermazione di Bergman a proposito del suo compito di regista di
teatro: «[…] Non prendo mai parte al dramma, io traduco, concretizzo. Non
concedo spazio alle mie complicazioni personali. […] In ogni prova vi
devono regnare autodisciplina, pulizia, luce e tranquillità. Ogni prova è un
vero e proprio lavoro.[…] Solo così possiamo avvicinarci all’infinito. Lo
stesso spettacolo ogni sera che si genera sempre nuovo, senza che si
trasformi in un’intollerabile, morta routine […]. Ogni buon artista conosce
il segreto, i mediocri devono impararlo, i cattivi non lo imparano mai
21
».
Sembrerebbe quindi più facile parlare delle differenze piuttosto che degli
elementi in comune tra i due, ma non bisogna trascurare che entrambi
20
Cfr. J.M. FROUDON, Conversazione con Woody Allen, Cit., p. 17.
21
I. BERGMAN, La lanterna magica, cit., p. 37.
10