L’Amazzonia è tutto questo e molto di più: non credo esista una combinazione di parole adatta
a esprimerne i caratteri nella loro interezza e a neutralizzare lo stupore continuo di chi in essa osi
addentrarsi. La caratteristica che accomuna tutti gli scritti che la riguardano, dalla narrativa di
viaggio alla letteratura sensazionalistica e, talvolta, agli studi specialistici, sembra essere proprio la
volontà di comunicare l’intenso stupore che nasce dalla scoperta di un mondo di incredibile fascino
e meraviglia, e, forse ancora di più, dalla ri-scoperta di se stessi all’interno di quel mondo.
Allora, se è impossibile raccontare l’Amazzonia nella sua totalità, nei suoi mille volti e in
maniera oggettiva, è forse possibile, invece, abbozzare un quadro, per quanto incompleto, attraverso
il racconto di se-stessi-in-Amazzonia. Nel mio caso, si tratta di una breve esperienza (due mesi) di
vita e di lavoro all’interno della riserva Xixuau-Xiparinà, che si trova nello stato di Roraima, nel
nord del Brasile, e ospita una piccola comunità di caboclos cresciuta anno dopo anno e protagonista
di un percorso di sviluppo nato con la fondazione, nel 1992, dell’Associação Amazônia, ONG con
sede a Manaus, e dell’Associazione Amazonia Onlus, con sede a Grosseto. Questo percorso,
iniziato con la creazione della riserva, ha portato alla realizzazione di progetti di conservazione
dell’ambiente e di sviluppo che saranno descritti e analizzati nel corso del presente lavoro.
Il lavoro si propone di dimostrare, attraverso l’analisi dell’operato dell’Associazione
Amazonia e della mia esperienza personale di collaborazione con essa, che è possibile realizzare
progetti concreti di sviluppo a scala locale, in aree fortemente caratterizzate dal predominio della
componente naturale rispetto a quella antropica, senza con ciò compromettere i preesistenti equilibri
ecosistemici, ma anzi traendo vantaggio proprio dalla loro integrità, e con la partecipazione attiva e
costante delle popolazioni locali, tanto nella fase ideativa, quanto in quella applicativa. Inoltre, si
intende dimostrare che le Organizzazioni Non Governative (ONG) e Organizzazioni Non Lucrative
di Utilità Sociale (ONLUS) di piccole dimensioni, operanti sul territorio, costituiscono
un’importante risorsa per l’ambiente e lo sviluppo, in virtù della loro prossimità a contesti e
popolazioni locali, che determina una conoscenza adeguata e approfondita delle dinamiche e delle
reali problematiche inerenti le aree di interesse e le rende particolarmente idonee a operare a stretto
contatto con i diversi attori locali, che devono essere i primi sostenitori e beneficiari dei progetti di
sviluppo. Esse dovrebbero avere, di conseguenza, uno spazio sempre maggiore nel quadro della
cooperazione internazionale allo sviluppo, al fine di evitare inutili sprechi di risorse economiche,
umane e ambientali, peraltro già abbastanza limitate.
Si intende sostenere, quindi, che nell’ambito della cooperazione allo sviluppo i processi di tipo
bottom-up, nei quali il territorio viene messo in grado di esprimere le sue potenzialità, attraverso la
valorizzazione delle risorse naturali presenti e il contributo delle popolazioni locali, coinvolte in
maniera attiva nei progetti di sviluppo, siano preferibili ai processi di tipo top-down, come la
realizzazione di grandi piani regionali, che si sono spesso risolti in spreco di risorse economiche,
umane e naturali, soprattutto in Amazzonia.
L’analisi, che ha per oggetto specifico la riserva Xixuau-Xiparinà, inquadrata nell’ambito
della regione amazzonica, sarà svolta a diverse scale: in primo luogo verrà introdotta, a scala
globale, l’emergenza ambientale che riguarda le foreste pluviali tropicali, interessate da fenomeni di
distruzione, frammentazione e degrado degli habitat naturali; quindi saranno descritte le principali
caratteristiche ambientali e antropiche della regione amazzonica (scala regionale) e, restringendo
ancora il campo, dello Stato di Roraima; infine, l’attenzione sarà concentrata sull’area del Rio
Jauaperi, nella quale opera, dal 1992, l’Associazione Amazonia (scala locale). Attraverso questa
analisi multiscalare si tenterà di far emergere le caratteristiche dell’area considerata in relazione al
contesto in cui è inserita, in modo tale da poter valutare gli effetti del lavoro svolto
dall’associazione. Tale valutazione non può che essere qualitativa, in quanto, relativamente all’area
specifica d’interesse, non sono disponibili dati sociali e demografici precisi, che consentano un
confronto di tipo quantitativo.
Al termine di questo passaggio dalla piccola alla grande scala, nel quarto capitolo verrà
compiuto un ulteriore salto: si abbandonerà il punto di vista “oggettivo”, per dare spazio a un
contributo più specificamente soggettivo, nella convinzione che tale scelta possa contribuire a
definire un quadro più completo della realtà, centrando l’attenzione su quegli aspetti percettivi che
un approccio “oggettivo” esclude, per sua natura, dall’analisi. L’impostazione soggettiva arricchisce
l’analisi di elementi che coinvolgono la sfera emotiva e sensoriale, dando la possibilità di centrare
l’attenzione su altri aspetti della realtà o fornendo un punto di vista diverso, secondo le inclinazioni
e la sensibilità particolare del soggetto. A questo scopo ho ritenuto utile riportare alcuni testi
originali scritti durante la mia permanenza a Xixuau, in parte sul diario personale, in parte nella
corrispondenza telematica, con la speranza che tale materiale possa contribuire alla costruzione di
un’immagine maggiormente definita dell’oggetto di studio e a mettere in luce elementi che, pur non
avendo carattere scientifico, possono risultare un ausilio importante alla comprensione del tema
trattato.
CONCLUSIONI
L’attuale sistema di organizzazione socio-economica mondiale presenta squilibri così evidenti
e contraddizioni così laceranti che la sua stabilità appare notevolmente compromessa e la sicurezza
della popolazione umana sempre più a rischio. Le sperequazioni nella distribuzione della ricchezza
e dell’accesso alle risorse hanno portato alla separazione netta di due mondi sempre più distanti: da
una parte una minoranza di persone che vive nel benessere e consuma le risorse a un ritmo sempre
più incontrollato, decisa a difendere i propri privilegi a qualunque costo; dall’altra la stragrande
maggioranza della popolazione mondiale, alle prese con una quotidiana lotta per la sopravvivenza,
dove la denutrizione e la malnutrizione debilitano le persone nel corpo, l’istruzione non è garantita
nemmeno al livello elementare, si muore ogni giorno per la mancanza di farmaci e assistenza
medica e i diritti dei cittadini possono essere calpestati impunemente.
A tali squilibri sociali si somma una pressione sempre crescente sulle risorse naturali, che
rischia di compromettere definitivamente gli equilibri ecosistemici che hanno reso possibile la vita
dell’uomo e delle altre specie sulla Terra. Gli effetti disastrosi dell’azione antropica sull’ambiente
naturale sono ormai sotto gli occhi di tutti e, nonostante l’esistenza di diverse scuole di pensiero che
attribuiscono un peso variabile all’influenza umana nei confronti delle dinamiche ambientali, è fuori
di dubbio che l’uomo, con le sue attività produttive ed estrattive e i suoi sistemi insediativi sia oggi
uno dei principali agenti modellatori del paesaggio e, particolarmente in certi ambienti naturali,
costituisca la principale causa di degrado degli ecosistemi. Nonostante l’azione sempre più decisa
delle organizzazioni che impiegano risorse umane ed economiche per la tutela dell’ambiente, la
deforestazione procede a ritmi vertiginosi, per l’utilizzo del legname e delle risorse minerarie del
sottosuolo, così come per l’agricoltura estensiva e l’allevamento del bestiame. La perdita del
patrimonio biologico costituito dalle foreste pluviali tropicali rischia di essere catastrofica per
l’economia globale del pianeta, alterando i cicli del carbonio, dell’ossigeno e dell’azoto e portando
a nuovi equilibri che potrebbero non essere favorevoli alla presenza della specie umana. Anche dal
punto di vista economico, le risorse naturali, in virtù del loro valore diretto e indiretto,
rappresentano un patrimonio che andrebbe opportunamente considerato e inserito nei bilanci e nelle
analisi costi-benefici. Di particolare rilevanza è il valore economico dei servizi ecosistemici, che
Costanza et al. (1997) hanno stimato essere dell’ordine del doppio del prodotto interno lordo di tutti
i Paesi del mondo messi insieme.
Secondo alcune previsioni, di questo passo le foreste pluviali sono destinate a scomparire dal
pianeta in un tempo molto breve: già nel 2040 potrebbero rimanerne tracce solo all’interno delle
aree protette (Primack, 2003, p.117). Con le foreste, andrebbe perduta irrimediabilmente la
biodiversità in esse contenuta, comprendente una quantità di specie ancora sconosciute. In questo
preoccupante contesto la foresta amazzonica, che rappresenta da sola un terzo delle foreste pluviali
del mondo, è oggi un patrimonio irrinunciabile, alla cui distruzione occorre urgentemente porre un
freno. Molto è stato fatto e si sta facendo in questa direzione, ma spesso gli interessi economici di
gruppi di potere o di imprese multinazionali prevalgono sull’interesse collettivo e scavalcano le
regole e i principi stabiliti nei trattati internazionali, a partire dalla Conferenza di Rio de Janeiro del
1992, che ha sancito, almeno in linea teorica, l’affermazione del concetto di sviluppo sostenibile.
Dieci anni dopo, a Johannesburg, si riconosceva il fallimento della messa in atto dei principi
contenuti nell’Agenda 21 e si rinnovava l’invito, ai Paesi partecipanti, a una maggiore presa di
coscienza dell’emergenza ambientale e sociale in atto. In quella sede, il governo brasiliano
presentava il progetto ARPA (Amazon Region Protected Areas), elaborato insieme alla Banca
Mondiale e al WWF-Brasile, nel quale si impegnava a triplicare l’area di foresta tropicale sotto
protezione federale, entro il 2012, passando dal 4% al 12% in dieci anni.
Lo sforzo della conservazione dell’ambiente naturale sarà vano, però, se non si interverrà sul
fattore che più di tutti alimenta questo sistema distruttivo: il consumo sfrenato di risorse. Se le
politiche di protezione ambientale non saranno sostenute da un’adeguata campagna per
l’affermazione di stili di vita e modelli di consumo sostenibili, la guerra sarà già persa in partenza.
Per questo ritengo che attualmente l’educazione ambientale rivesta un ruolo chiave e che una delle
sfide più importanti del nostro secolo sia riuscire, attraverso la comunicazione, a generare
un’inversione di tendenza nel rapporto tra società umana e ambiente naturale. Se questa volontà non
sarà sostenuta dai centri di potere e se la società umana continuerà, nella prassi, a considerare
l’ambiente come una fonte di risorse sfruttabili fino all’esaurimento, a cui restituire i prodotti di
scarto senza curarsi delle conseguenze, allora gli sforzi fatti per la salvaguardia dell’ambiente
potrebbero risultare vani.
Dal momento che questo patrimonio riguarda l’intera collettività umana, sarebbe auspicabile
una netta presa di responsabilità da parte della comunità internazionale, che si dovrebbe fare carico
della conservazione degli spazi naturali residui, condividendo gli oneri di tale impegno e
individuando delle modalità per indurre i Paesi detentori del patrimonio ambientale a preferire la
conservazione piuttosto che lo sfruttamento dei territori ad alta naturalità, a partire da un sostegno
economico per il mancato utilizzo, a favore dell’interesse collettivo, di risorse altrimenti a
disposizione.
Il caso Amazzonia è emblematico della duplice componente (ambientale e sociale) delle
attuali problematiche globali. Essa si presenta come un’isola di diversità all’interno del grande Stato
brasiliano, dal punto di vista ambientale, biologico, sociale, economico. L’analisi delle condizioni
di vita delle popolazioni amazzoniche porta alla conclusione che la regione sia un’ampia area di
sottosviluppo in seno a un Paese che dimostra, invece, delle grandi potenzialità e occupa una
posizione di rispetto nel panorama internazionale. Gli stili di vita tradizionali delle popolazioni
amazzoniche sono ormai compromessi dall’assedio del loro ambiente e delle loro risorse, tanto che
le persone sono sempre più spesso costrette ad abbandonare le proprie origini per cercare fortuna in
città, ritrovandosi di colpo nel degrado delle favelas di periferia. Il netto aumento della popolazione
urbana in tutti gli Stati dell’Amazzonia brasiliana è un chiaro sintomo di una perdita di prospettive e
sicurezza che riguarda la popolazione rurale. Per porre un freno a tale situazione è necessario
individuare delle soluzioni alternative che assicurino un futuro e un presente dignitoso alle genti
d’Amazzonia, senza depauperare un ambiente che è una risorsa collettiva irrinunciabile.
Come dimostra il caso, per quanto piccolo, della riserva Xixuau-Xiparinà, è possibile
coniugare le esigenze della protezione ambientale con i percorsi di sviluppo delle comunità locali. I
risultati ottenuti dall’Associazione Amazonia, in diversi campi, dimostrano come nell’ambito dello
sviluppo locale sia conveniente agire partendo da una profonda conoscenza delle peculiarità delle
singole realtà locali, e non da idee preconcette riguardo uno sviluppo che forzatamente debba
percorrere un itinerario segnato a priori e valido in ogni caso, indipendentemente dal contesto. È
invece rispettando le specifiche vocazioni del territorio, valorizzando al massimo grado le sue
risorse e limitando per quanto possibile i fattori di rischio e le cause di degrado, che è possibile
porre le basi per un eventuale sviluppo sociale ed economico delle aree in difficoltà: uno sviluppo
equilibrato e duraturo, non concepibile se non in armonia con l’ambiente naturale circostante.
Il lavoro di tali organizzazioni deve porsi in antitesi alla dilagante cultura
dell’omogeneizzazione e quindi della banalizzazione del territorio e delle culture: proprio partendo
dalle diversità locali e traendo spunto da esse, tale lavoro deve arrivare a concepire e proporre
modelli di sviluppo nuovi e alternativi a quelli più diffusi, dimostratisi troppo spesso inadeguati a
risolvere i problemi reali delle popolazioni. Credo, quindi, che i processi di tipo bottom-up siano la
via più indicata per agire in maniera pertinente ed efficace e realizzare progetti che apportino reali
benefici a quelle popolazioni che risultano ai margini dell’attuale sistema mondiale globalizzato. È
proprio a partire dal basso, dall’integrazione del contributo delle popolazioni locali con quello degli
operatori da queste riconosciuti e quindi legittimati, che è possibile individuare le strade più idonee
da percorrere e gli strumenti necessari per raggiungere le mete prefissate: attraverso un
coinvolgimento di questo tipo le popolazioni locali non solo risultano motivate a partecipare
attivamente alla elaborazione e realizzazione di progetti di sviluppo, ma possono anche aspettarsi,
in un domani non troppo lontano, di raggiungere una totale indipendenza da contributi esterni e di
diventare, così, pienamente autonome.
Ma non è tutto. Visti ormai gli squilibri e le contraddizioni insite nell’attuale sistema
mondiale, delle quali si è accennato precedentemente, nonché la conseguente instabilità strutturale
cui essi portano, è oggi quanto mai necessario considerare possibili modelli alternativi di
organizzazione socio-economica e aprire le porte a eventuali influssi innovatori, che portino a
migliori condizioni di vita nel cosiddetto “mondo ricco”. Anche all’interno del Primo Mondo,
infatti, non mancano drammatici paradossi: all’opulenza nei consumi fa da contraltare un diffuso
senso di smarrimento morale e psicologico che si traduce nella diffusione di depressione, stati
d’ansia, attacchi di panico, senso d’inadeguatezza, bulimia e anoressia; i ritmi di vita esasperati
delle realtà urbane generano stress, nervosismo, incomunicabilità ed esasperano i rapporti umani;
l’inquinamento prodotto dalle tecnologie utilizzate si riversa sugli stessi fruitori, che ne ricavano
patologie dell’apparato respiratorio e altre malattie, anche letali, come i tumori; l’eccesso di
nutrizione provoca gravi problemi di obesità nelle popolazioni; l’aumento della durata della vita si
risolve spesso in drammatici anni di stenti e solitudine.
Di fronte a queste semplici constatazioni, se ci fermassimo un attimo a pensare, se per un
giorno smettessimo di correre, di produrre, di pubblicizzare, di consumare, forse ci accorgeremmo
che abbiamo tanto da imparare da quel mondo etichettato come “sottosviluppato” o, più
ipocritamente, secondo un’ottica ormai superata che lo vorrebbe sulle orme dell’esperienza
occidentale, “in via di sviluppo”.
In questo senso la questione è ribaltata: la cooperazione non è più vista come un processo
unidirezionale nel quale è assolutamente ben chiaro chi dà e chi riceve, chi aiuta e chi è aiutato, chi
insegna e chi impara; ma invece si presenta come un processo con percorsi necessariamente
bidirezionali, in cui ciascun attore è allo stesso tempo protagonista e spettatore, allievo e maestro, e
dove il limite tra il dare e il ricevere non è più così ben definito. Nell’avvicinarsi all’altro con
umiltà, elasticità e apertura mentale è possibile così instaurare una relazione di scambio che apporti
benefici concreti ad entrambe le parti coinvolte: sia sul piano individuale che sul piano collettivo.
Per questo motivo, come ho scritto in precedenza, non sarebbe del tutto onesto definire la mia
esperienza in Amazzonia un’opera di volontariato: troppe sono le cose che ho imparato dalle
persone che ho incontrato e dal contatto con il maestoso equilibrio della foresta.
Proprio su questo aspetto, la dimensione dello scambio, ritengo utile porre un ultimo accento,
in quanto sintetizza un tipo di approccio alla cooperazione che non è basato su forme di
assistenzialismo o solidarietà, ma su di un interesse reciproco al contatto, sulla precisa volontà di un
incontro paritario. La mia volontà di esplorare lo spazio amazzonico era perlomeno pari (e forse
superiore) alla loro necessità di apprendere da me l’utilizzo del computer: è proprio da questo
incontro di esigenze che nasce lo scambio. La riserva Xixuau-Xiparinà presenta i caratteri di una
notevole integrazione tra popolazione locale e operatori esterni, così che questa distinzione risulta
sempre meno significativa, pur mantenendo ognuno, all’interno della comunità e degli spazi
condivisi, la propria identità e le proprie origini culturali.
I caboclos di Xixuau sono ormai consapevoli di quale privilegio sia per noi occidentali passare
un periodo di tempo nel paradiso naturale che custodiscono gelosamente. La presa di coscienza di
questo tesoro è un’importante via di autoaffermazione della comunità, che riscopre il valore del
proprio sapere, arricchendolo grazie al contatto con persone di cultura e provenienza diversa, che
forniscono loro nuove competenze.
Sviluppo delle potenzialità del territorio, in armonia con la conservazione dell’ambiente
naturale; incontro di culture per uno scambio di saperi che porti benefici a entrambe le parti
interessate; diffusione di una mentalità responsabile e consapevole delle conseguenze delle scelte
effettuate nei confronti dell’ambiente e delle altre società: questi sono gli ingredienti che hanno
determinato il successo dell’esperimento Xixuau-Xiparinà. L’esportazione di questi principi e la
promozione di questo modello di relazione tra l’uomo e il territorio rappresentano una sfida
difficile, ma non impossibile, per costruire un presente più sereno e garantire un futuro alle
generazioni di domani. Una sfida che può essere vinta.