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Questo fenomeno è individuabile nelle cosiddette libere unioni
ovvero, come si sul dire, nella convivenza more uxorio,
caratterizzate dalla non totale conformità allo schema legale della
famiglia legittima in quanto o del tutto carenti dell’elemento
formale della celebrazione del matrimonio, oppure fondate su un
atto formale non rilevante per l’ordinamento giuridico come il
matrimonio canonico non trascritto.
E’ indubbia infatti la rilevanza che nell’ambito sociale ha
assunto la convivenza tra due persone
1
. Pertanto si avverte sempre
di più l’esigenza di non ignorare situazioni che anche se divergenti
dallo schema legale, nondimeno in fatto sussistono e, come tali,
proprio perché non disciplinate dalla legge, richiedono una più
intensa ricerca dottrinale al fine di individuare se e quali effetti
possono coesistere e armonizzarsi con quelli che scaturiscono dalla
fattispecie legale.
1
Secondo i dati Istat del 1992, la famiglia di fatto è un fenomeno in continuo aumento
e risulta crescere in misura rilevante, con stratificazione sociale estremamente
diversificata anche per età, con punte del 4,6% rilevate nei grandi comuni del nord
Italia, anche a seguito del crescente numero dei divorzi e delle separazioni.
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Si apre così il problema della rilevanza giuridica che questi
rapporti potrebbero assumere sia nell’ambito dei principi generali
dell’attuale ordinamento, sia in riferimento a precise norme
costituzioni, civili, penali, assistenziali, previdenziali ad essi
inerenti.
Parte della dottrina
2
ritiene possibile l’individuazione di un
preciso ambito di tutela riferibile alle situazioni familiari atipiche,
tutela che verrebbe a porsi su di un piano non di contrapposizione
ma di coerenza e coesistenza con quella prevista per il nucleo
familiare legittimo.
Tale orientamento è in contrasto con quella tesi che considera
il carattere esclusivo della tutela giuridica della famiglia fondata sul
matrimonio da cui fa derivare l’irrilevanza sul piano
dell’ordinamento di situazioni non legalizzate.
2
Vedi in particolare: P. BARILE, La famiglia di fatto: osservazioni di un
costituzionalista, in La famiglia di fatto, Atti del Convegno di Pontremoli, 27-30
maggio 1976, Montereggio, 1077, p. 41 ss.; G. GANDOLFI, Alcune considerazioni
(‘de iure condendo’) sulla “famiglia naturale”, in Foro it., 1974, IV, c. 211 ss.; G.
FERRANDO, Sul problema della famiglia di fatto, in Giur. mer., 1977, II, p. 133; G.
FERRANDO, Famiglia legittima e famiglia di fatto nella disciplina costituzionale, in
Giur. cost., 1977, I, p. 930 ss..
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Nell’ordinamento italiano occorre precisare infatti che non c’è
famiglia se non in presenza del matrimonio. L’art. 29 di quella
costituzione che è alla base del nostro sistema giuridico statuisce
che “La Repubblica Italiana riconosce i diritti della famiglia come
società naturale fondata sul matrimonio”, ancorando così
inderogabilmente con una proposizione tanto lapidaria quanto
efficace, la famiglia all’istituto del matrimoniale, il quale assume
come principale funzione quella di conferire dignità giuridica alle
primordiali “società naturali”
3
.
Da più parti è stata contestata la validità di tale tesi,
prospettandosi in linea di principio l’ammissibilità accanto alla
famiglia legittima di altre situazioni derivanti da fonte non
matrimoniale alle quali ben potessero essere riconosciute la
qualifica, la dignità e la tutela della famiglia.
3
Sul punto: C. GRASSETTI, voce Famiglia (diritto privato), in Noviss. dig. it., Torino,
1961, vol. VII, pp. 50-51 e più di recente: S. PULEO, Concetto di famiglia e rilevanza
della famiglia naturale, in Riv. dir. civ., 1979, I, p. 384 ss.
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Una volta posto il problema, il risvolto pratico di questa
soluzione dottrinale, incentrata sull’asserita sostanziale identicità,
non poteva non sfociare sull’assunto che, di fronte a carenze
legislative attinenti ai rapporti familiari atipici, la tutela di queste
situazioni avrebbero potuto comunque trovare piena realizzazione
con il ricorso all’estensione analogica della disciplina legislativa
dettata per la famiglia tout-court.
Sul punto comunque non vi è stata una totale convergenza di
opinioni in quanto si è ravvisato l’impossibilità a porre sullo stesso
piano situazioni che sono pur sempre derivanti da fonti extra
matrimoniali.
La convivenza infatti è frutto di una libera scelta della coppia
determinata dal desiderio di un rapporto che non sia fissato e
vincolato da condizionamenti giuridici, ma si rinnovi e si rafforzi
nella costante volontà dei soggetti. Si parla da più parti di un
accordo, quello dei conviventi, che si rinnova giorno per giorno.
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La famiglia di fatto pertanto, nella maggior parte dei casi, non
viene equiparata, salvo alcuni aspetti legati alla presenza di figli
naturali, alla famiglia legittima fondata sul matrimonio. Così
facendo di fronte alle relazioni familiari si ravvisa una tendenza del
diritto ad assumere un atteggiamento di crescente indifferenza.
L’ordinamento rinuncia infatti ad imporre alla coppia modelli
precostituiti ed evita interferenze nelle zone più personali del
rapporto uomo-donna lasciando margini sempre più ampi
all’organizzazione ed al funzionamento della vita in comune:
estendendo cioè gli spazi di libertà legale. Parallelamente però, il
diritto garantisce che determinati valori ed interessi della coppia,
non inerenti strettamente alla sfera personale, siano comunque
salvaguardati. In sintesi, la famiglia attraversa un processo di
deregulation. La diffusione e il parziale riconoscimento della
famiglia di fatto documentano questo processo di liberazione delle
relazioni di coppia da ogni schema giuridico precostituito.
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Dunque il problema che in concreto si pone è volto ad
individuare un adeguato punto di equilibrio tra necessario rispetto
della libertà individuale e doveroso intervento della norma per la
regolamentazione e la tutela della famiglia di fatto, soprattutto in
riferimento alle aspettative ed agli interessi dei soggetti più deboli
del rapporto (la donna e i figli), ai quali deve assicurarsi adeguata
protezione legale: non già equiparando nel trattamento giuridico
famiglia di fatto e famiglia legittima, ma attribuendo alla prima
quel tanto di rilevanza giuridica necessaria e sufficiente a garantire
le posizioni individuali che, all’interno di essa, appaiono meritevoli
di tutela, attraverso opportuni strumenti normativi.
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2. Attuale rilevanza sociale della famiglia di fatto.
Nell’attuale momento storico, come già rilevato, le relazioni di
fatto hanno assunto una accresciuta rilevanza sul piano sociale e nel
contempo, data l’evoluzione in ottica libertaria dei costumi
avvenuta negli ultimi venti anni, esse tendono a liberarsi da
quell’alone di biasimo sociale e da quell’ipotetica riprovazione
etica, che le aveva condizionate per tanto tempo, come si vedrà in
seguito, soprattutto per influenza dell’etica cristiana.
Oggi, quindi la coppia non coniugata e che ovviamente si
dichiari tale nella propria vita di relazione
4
, è accettata dalla
comunità civile senza pregiudizio alcuno, salvo forse qualche
riserva di ordine morale da parte di chi professa un credo religioso.
Ma anche in riferimento a questo occorre tenere presente che lo
stesso atteggiamento della Chiesa che è sempre rimasto fermo nella
assoluta condanna delle unioni extramatrimoniali
5
, si può
4
In realtà molto spesso i conviventi more uxorio nei rapporti sociali si presentano come
marito e moglie “nel riconoscimento ufficiale della loro unione” (Cass. Sez. Un. 26
maggio 1969 n. 1859, in Foro it., 1969, I, c. 1429 ss.).
5
La condanna della libera unione è stata confermata dal nuovo Codex iuris canonici
emanato nel 1983 dove il concubinato è previsto come delitto specifico contro il buon
costume.
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considerare mutato almeno in termini di tolleranza se non
addirittura di acquiescenza tanto che alcuni parroci hanno rilasciato
attestati ai conviventi more uxorio circa l’esistenza e la durata del
loro ménage; attestati che sono stati opportunamente utilizzati
anche in sede giudiziaria
6
.
Naturalmente in termini di rilevanza sociologica è arduo
individuare le motivazioni oggettive e soggettive che inducono una
coppia a costituire un’unione di fatto, ma a titolo meramente
esemplificativo, tra quelle più ricorrenti può individuarsi l’ipotesi di
chi, già coniugato con altra persona ed in attesa di divorzio, non
potendo contrarre matrimonio nell’arco necessario per ottenerlo,
instaura una convivenza more uxorio, o quella di chi liberamente
costituisce tale unione intendendo vivere la propria vita
sentimentale al di fuori di ogni legame giuridico.
Evidente è la differenza.
6
In una sentenza del Tribunale di Bari del 1977, in Dir. fam. e pers., 1979, p. 1186 ss.
la motivazione fa riferimento, come determinante ai fini della decisione, ad una lettera
del parroco attestante una convivenza more uxorio intercorsa per ben 17 anni.
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Nella prima ipotesi la rinuncia alla formalizzazione della
relazione parafamiliare si prospetta come conseguenza di una
necessità legale che ostacola lo stesso desiderio della coppia di
apporre il crisma legale alla propria unione, in altri termini è la
stessa legge che impone l’extralegalità ovvero preclude la legalità
del rapporto
7
.
Nella seconda, invece, la scelta ideologica di convivere fuori
del matrimonio è libera e può presentarsi a livello psicologico
variamente motivata: può coincidere con un atteggiamento di
insofferenza per un vincolo sentito come artificiale coercizione
della spontaneità degli affetti, oppure può costituire espressione di
un netto rifiuto alla legalizzazione del rapporto.
In altri casi, invece, l’unione di fatto si instaura in un’ottica
totalmente diversa, cioè vista come punto di passaggio verso la
successiva legalizzazione del rapporto, delineandosi come una
specie di matrimonio in prova destinato a dissolversi nel nulla se
7
Del resto questa situazione si verificava a maggior ragione prima dell’emanazione
della legge sul divorzio quando vigeva nel sistema il principio della indissolubilità del
vincolo matrimoniale che impediva la regolarizzazione di tali unioni.
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l’esperimento di convivenza non dà risultati positivi, oppure, al
contrario, a convertirsi in un vero e proprio matrimonio attraverso
la celebrazione nelle forme stabilite dalla legge.
L’opzione per una convivenza more uxorio, in altri casi
ancora, risulta determinata da ragioni puramente pratico-
economiche, come ad esempio continuare a godere della pensione
del coniuge premorto o a percepire l’assegno di divorzio che,
altrimenti, con il passaggio a nuove nozze verrebbe meno; in questa
ipotesi si potrebbe dire che la relazione familiare di fatto è assunta
dai soggetti del rapporto come veicolo formale per la realizzazione
di effetti giuridici che il matrimonio, se posto in essere, non
consentirebbe di attuare.