4
Dalle esperienze sul campo ci si accorge che i nuovi bisogni sociali,
insieme a quelli sanitari, raramente trovano soddisfazione dall’intervento
posto in essere da parte di un’unica figura professionale. Tali bisogni
richiedono lo sviluppo di un lavoro per progetti che vede ogni utente
coinvolto nella costruzione di un programma personalizzato nel quale le
diverse professioni - appartenenti ad un medesimo servizio, équipe o
provenienti da istituzioni ed agenzie diverse - apportano il proprio
contributo.
Il presente lavoro è diviso in tre parti.
Nella prima parte uno degli obiettivi è quello di spiegare cosa sia una
rete sociale e quali siano le necessarie conoscenze per potere lavorare in
rete. Inoltre, si descrivono i reali problemi organizzativi che i servizi
possono incontrare nell’affrontare situazioni multiproblematiche che
richiedono necessariamente l’apporto professionale di più Enti e operatori.
Le teorie ed i concetti trattati sono significativi contributi di autori - italiani
e non - che hanno affrontato il lavoro di rete non solo da un punto di vista
teorico ma anche, e soprattutto, da un punto di vista pratico-esperieziale. La
riflessione volge, poi, sulla possibilità che il lavoro di rete ha di essere
sostenuto da alcune leggi dell’Ordinamento italiano. In tale direzione, si è
posta particolare attenzione all’implementazione della legge quadro nr. 328
del 2000 “Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di
interventi e servizi sociali” e della legge nr. 285 “Disposizioni per la
promozione di diritti e di opportunità per l’infanzia e l’adolescenza”.
Nella seconda parte la riflessione sul lavoro sociale di rete diventa
più concreta in quanto si fa particolare riferimento a come, e se, nel
territorio crotonese, è considerata e applicata la strategia di rete dal
complesso sistema dei servizi alla persona. Attraverso delle interviste fatte
ad alcuni operatori sociali, appartenenti a diversi servizi, si è cercato di
capire concretamente quali sono le dimensioni che favoriscono e/o
5
ostacolano il “lavoro a rete” nella specifica realtà locale. Lo scopo è stato
quello di comprendere:
J
se e come è stato consapevolizzato il concetto di
“networking” a livello organizzativo da parte dei singoli Enti
e degli operatori;
J
quali sono gli elementi che, nella particolare realtà crotonese,
possono ostacolare e/o favorire i percorsi di crescita della
comunità.
Nella terza parte si tirano le fila del lavoro compiuto attraverso delle
personali riflessioni conclusive.
6
CAPITOLO PRIMO
Che cos’è il “lavoro di rete”
1.1 Introduzione
L’introduzione al concetto di “lavoro di rete” si avvale del
significativo contributo di Lambert Maguire
1
, che ha approfondito lo
studio del networking sociale.
Negli ultimi anni il termine “lavoro di rete” è stato usato
abbondantemente e, a volte, in modo improprio. Per questo è necessario
chiarirne bene il significato in modo che la sua potenziale utilità, per gli
operatori sociali, non venga compromessa da possibili errori interpretativi.
In generale per “networking” si intende quel processo finalizzato a
legare tra loro tre o più persone tramite “connessioni e catene, significative,
di relazioni interpersonali”
2
. In quanto tale, il lavoro di rete non richiama
un processo inventato negli ultimi anni ma è qualcosa che fa parte della
natura umana sin dalle sue origini, anche se “solo adesso” lo si sta sempre
più considerando come una possibile strategia di intervento sociale.
Molte ricerche nel campo della psicologia, dell’antropologia, della
sociologia della salute e dell’epidemiologia hanno ottenuto risultati che
sostengono a pieno l’utilità delle strategie di rete. Gli operatori dei servizi
sociali dovrebbero considerare le eccezionali potenzialità, che spesso
rischiano di rimanere inespresse, degli approcci che si basano sui network.
1
Titolare di cattedra alla Scuola di Servizio Sociale dell’Università di Pittsburgh, ha lavorato
nell’ambito dei servizi psichiatrici di Comunità e nell’anno in cui è stato pubblicato il libro
“Understanding social networks” era direttore di un progetto per lo sviluppo di organizzazioni
informali di vicinato, nella città di Pittsburg.
2
Cfr. Lambert Maguire, “Understanding social network”, SAGE Publications, Inc,. Beverly
Hills, California, USA; trad. it. Il lavoro sociale di rete, Trento, Edizioni Centro Studi “M.H.
Erickson”, 1987, op. cit. pg. 9
Che cos’è il “lavoro di rete”
7
I network si possono definire in diversi modi. Un importante autore
che affronta il tema del social network è J. C. Mitchell
3
che definisce le reti
come “un insieme di legami che si stabiliscono fra un insieme di persone; le
caratteristiche peculiari di questo legame, permettono di comprendere e
dar senso ai comportamenti sociali delle persone coinvolte in esso”.
Un’altra significativa definizione è quella offerta dall’antropologo
J.A. Barnes
4
che considera i network come “insiemi di punti congiunti da
linee; i punti rappresentano persone ed anche gruppi e le linee indicano
quali persone stiano interagendo con ciascun altra”. Riferendosi, in
particolare, ai social network l’autore propone una definizione metaforica,
rappresentandoli come un intreccio di relazioni sociali: attraverso metodi
matematici e particolari tecniche relative alla Teoria dei grafi è possibile
effettuare una certa misurazione che permette di costruire un grafico e
descrivere statisticamente le interazioni, i vincoli e le connessioni casuali
fra le persone. Mediante questo tipo di analisi possono essere esaminate in
dettaglio le relazioni che le persone vivono e realizzano tra loro
comprendendo, così, le cause e gli effetti di tali relazioni.
Per una maggiore chiarezza di quanto, in seguito si tratteranno alcuni
concetti relativi alla citata “teoria dei grafi”.
Dunque, le reti di relazioni sono connaturate all’essere umano,
infatti, in passato, le persone hanno sviluppato forme di reciproca
solidarietà che erano, senz’altro, più semplici delle forme specializzate e
professionalizzate di oggi: ci si appoggiava agli amici, ai vicini ed ai
familiari per sostegni di tipo economico, emotivo e sociale.
Se un tempo non c’era nessun progetto/intervento da parte dello
Stato né tantomeno esistevano forme organizzative finalizzate alla tutela e
alla difesa del “benessere” della società è evidente che il forte impiego di
risorse professionali nel campo dei servizi sociali è tipico del XX° secolo.
3
J. C. Mitchell, Social Networks in Urban Situations, Manchester University Press, Manchester,
1969, pg. 2. Citato in ivi, pg. 25
4
Barnes, J.A. (1972), Social Networks. Reading, MA: Addison-Wesley. Citato in ivi, pg. 26.
Che cos’è il “lavoro di rete”
8
Accadeva, quindi, che una madre il cui bambino avesse problemi
caratteriali e di comportamento aveva la sola possibilità di ricevere aiuto dai
propri genitori, da un parente o da un conoscente con alcune competenze
riguardo alla singola situazione. Spesso questa sorta di “consulente” poteva
diventare l’esperto in un determinato campo, capace di dare buoni consigli
sul trattamento dei bambini e di fornire delle spiegazioni sulle varie
problematiche o patologie. Tale consulente o specialista poteva
“consegnare” la situazione-caso ad un “collega” con competenze più vicine
al problema. In tal modo si costituivano dei network formati da
“terapeuti naturali” (natural helper) che, in ogni comunità, riuscivano a
dare una risposta a tutti i vari problemi. Anche oggi la funzione dei network
è in parte ancora questa.
Il network naturale si configura come un insieme di relazioni di
importanza vitale per la risoluzione di ogni disagio sociale. Oggi, però, ad
esso ci sono diverse alternative. Infatti, la maggior parte dei servizi alla
persona si avvalgono di uno svariato numero di figure professionali, quali,
assistenti sociali, psicologi e altri operatori. Ergo, oltre al network naturale
(informale), esiste un network di servizi e professionalità specialistiche
(formale).
Che cos’è il “lavoro di rete”
9
1.2 Esperienza nella riserva indiana nel Sud Dakota
In merito ai network naturali può essere significativo ricordare una
delle prime esperienze lavorative dell’autore Lambert Maguire nel campo
dell’organizzazione di comunità.
Questi ebbe un’esperienza significativa in una riserva indiana di Pine
Ridge nel Sud Dakota. In seguito al suo arrivo, l’autore si pose degli
interrogativi determinati, ossia, si chiese dove fossero, in una comunità così
grande, le persone che avevano bisogno di aiuto, che avevano problemi
coniugali, difficoltà nell’educazione dei figli, depressioni, ansia e stress.
Nella riserva vi erano evidenti problemi di alcolismo e disagi nella
conduzione delle famiglie ma ciò nonostante la casistica dello
psicoterapeuta era molto ristretta.
Dunque, egli iniziò a chiedersi il perchè non ottenesse buoni risultati
con gli utenti Dakota Sioux. La risposta arrivò solo quando, passato del
tempo all’interno della riserva, Maguire ebbe la possibilità di conoscere
alcuni leaders della comunità indiana e vari patriarchi e matriarche delle
principali tiyospayes
5
della riserva.
Risultò, così, che i problemi familiari e i disturbi psichiatrici in realtà
esistevano ma venivano assorbiti e risolti all’interno dei network amicali e
familiari. In particolare, il gruppo familiare era costituito da un intreccio di
relazioni e di responsabilità che inglobava un nutrito numero di figure
importanti, come zii, nonni e cugini, i quali tutti vivevano sotto lo stesso
tetto in casolari vicini, oppure, in baracche o roulottes. I legami che univano
queste famiglie erano strutturati in network parentali che rappresentavano
un solido sostegno sociale, emotivo e comportamentale per i propri
componenti. All’interno della stessa riserva avevano luogo riunioni
importanti alle quali partecipavano i membri di tutta la comunità: una di
queste occasioni era rappresentata dai funerali.
5
Tiyospayes, nel linguaggio Sioux, indicava il network parentale o la famiglia allargata
Che cos’è il “lavoro di rete”
10
Quando tra gli indiani si presentava un problema di qualsiasi genere,
anche coniugale, se ne parlava in prima istanza con la matriarca; questa, a
sua volta, poteva chiedere aiuto ad un altro membro del network familiare
che avesse delle conoscenze sui presupposti e sulle conseguenze del
problema e che avesse, anche, delle competenze in merito. Così, insieme,
cercavano di dare una possibile risposta al bisogno sottoforma di aiuto. Se
un indiano faceva parte di una cerchia familiare e parentale potente e aveva
bisogno di un lavoro, un buon consiglio o un sostegno economico tutto
questo gli veniva assicurato dal network familiare.
Da quanto detto, emerge che tali intrecci di relazioni possano
apportare solo azioni e contributi positivi. Tuttavia l’esperienza non ha
confermato ciò: questa rete di relazioni, in alcuni casi, è vero che poteva
essere vitalizzante e sostenitrice ma in altri dava la possibilità a determinate
persone, che per interessi individuali manipolavano le potenzialità del
network, di perpetuare comportamenti inaccettabili solo perché erano
tacitamente accettati dalla larga cerchia familiare e di conseguenza
dall’intera comunità.
Che cos’è il “lavoro di rete”
11
1.3 Self-help e lavoro di rete
Si possono individuare due tipi di sistemi di aiuto:
· formale
· informale.
Il primo è composto da assistenti sociali, psichiatri, psicologi,
educatori, medici e operatori sociali di vario genere.
Il secondo sistema di aiuto è costituito da amici, parenti, colleghi di
lavoro, vicini di casa i quali possono incidere, in un certo qual modo, sulla
vita delle persone affinché queste possano soddisfare i loro bisogni
autonomamente.
La differenza tra i due sistemi risiede nel fatto che gli operatori che
svolgono una professione d’aiuto hanno delle competenze e utilizzano delle
tecniche che permettono loro di svolgere il proprio compito mentre i
natural helper
6
non hanno bisogno di strutturare il loro ruolo, in quanto,
agiscono spontaneamente diventando una preziosa risorsa naturale di
self-help.
Questi due sistemi di aiuto - formale ed informale - si possono
considerare elementi essenziali del lavoro di rete. Lasciati a sè stessi i due
sistemi di intervento potrebbero andare uno contro l’altro non producendo,
sicuramente, benessere sociale. Dunque, il modo più efficace di utilizzare i
network sembra essere quello di coordinare gli interventi professionali con
le risorse naturali che ogni comunità possiede. Per questo i professionisti
dovrebbero accettare i natural helper come validi collaboratori nella loro
azione. Vista la continua diminuzione di investimenti e finanziamenti, da
parte degli Stati moderni, nel campo dei servizi sociali si rende sempre più
necessario un coordinamento ed una maggiore valorizzazione delle risorse
sociali che possono esistere in ogni comunità. Infatti, se è vero che i servizi
6
I natural helper, o “terapeuti naturali”, sono caratterizzati dal fatto che non hanno nessuna
formazione specialistica, non pretendono nessuna remunerazione per l’aiuto prestato, ed hanno
un interesse o una relazione in comune con le persone che aiutano.
Che cos’è il “lavoro di rete”
12
sociali continueranno a funzionare a singhiozzo a causa dell’incostante
sostegno dello Stato è altrettanto vero che la fonte stabile di risorse è data
dai network naturali di aiuto.
7
1.3.1 Gruppi di auto aiuto
Vi sono molte buone ragioni per cui gli operatori sociali dovrebbero
sviluppare le strategie di rete per valorizzare al massimo le risorse di
self-help. Ad un tale proposito si può, qui, ricordare l’importanza del ruolo
che i professionisti del sociale potrebbero avere in quelli che sono i gruppi
di auto-aiuto.
Maguire parlando di gruppi di self-help afferma che, negli ultimi
anni, lo sviluppo di tali gruppi è stato impressionante e ne individua quattro
tipi:
gruppi per la raccolta di fondi,
gruppi volti ad attività di tipo politico,
gruppi di tutela che si impegnano per modificare degli
atteggiamenti e dei pregiudizi nell’opinione pubblica,
gruppi di mutuo-aiuto di tipo terapeutico.
Molti di questi gruppi cercano, per quanto più è possibile, di mettersi
in evidenza attraverso la pubblicità ed i mass-media: tali sono, ad esempio i
gruppi per i diritti degli omosessuali; mentre altri gruppi restano più
nascosti all’opinione pubblica, come gli alcolisti anonimi.
Caratteristica fondamentale di tali gruppi è che sono costituiti da
persone che vivono - e condividono - una stessa problematica od uno stesso
disagio sociale. Per questo motivo, forse, gli assistenti sociali potrebbero
naturalmente essere estromessi dai processi di aiuto che interessano i gruppi
di self-help. In realtà, si verifica un fenomeno ben diverso che è quello che
7
ivi, pg. 41
Che cos’è il “lavoro di rete”
13
da origine ad esperienze di continua collaborazione tra gli operatori
professionali e i natural helper, tra le istituzioni dei servizi sociali ed
organizzazioni informali in genere. L’avvicinamento dei due sistemi si
fonda sul presupposto che l’integrazione e l’interazione delle risorse
disponibili nei diversi ambiti del lavoro sociale non può fare altro che
migliorare le prestazioni e i processi di aiuto che si baseranno finalmente
sulle tecniche e sulla necessaria umanizzazione dei processi di aiuto.
Infatti, uno dei contributi che l’assistente sociale, attraverso la sua
preparazione, può offrire è quello di sostenere, favorire e rinforzare le
soluzioni che un gruppo con le proprie risorse riesce a trovare.
1.3.2 L’intervento dell’operatore sociale di rete nei processi
di auto-aiuto
Un importante compito al quale l’assistente è chiamato è quello di
incoraggiare le persone ad impiegare e valorizzare le proprie risorse che
possono provenire da amici e parenti o da determinate capacità individuali.
Attraverso l’intervento dell’operatore le persone potranno, quindi, utilizzare
al meglio e coltivare le già presenti potenzialità di auto-aiuto che risiedono
in loro stesse.
Le situazioni in cui l’assistente sociale potrebbe intervenire sono
svariate. Tra queste si possono mettere in evidenza quelle in cui le persone
vivono particolari condizioni:
di carenza di risorse personali,
in cui le risorse sono presenti ma non sono percepite dalla
persona (risorse latenti),
di gravi problematiche radicate nella vita delle persone,
di difficoltà di reperire risorse che può invece offrire l’operatore.