2
che sotto il profilo delle competenze amministrative prima (L.
59/97 e L. 127/97), dell’assetto organizzativo di governo e
statutario delle Regioni (L. Cost. 1/99 e 2/01) e della competenze
legislative in particolare poi (L. Cost. 3/01) hanno completamente
ridisegnato forme e modalità di articolazione del potere
all’interno dello Stato
2
. Il nuovo ordinamento delle autonomie
regionali edificato da tali riforme gia ad una prima generale
osservazione esibisce anche intrinseche e vistose contraddizioni
frutto di oscillanti e variegati indirizzi. E così se nel 2003 si assiste
al processo di attuazione della riforma con la legge 131/03 (c.d.
Legge La Loggia), per un altro verso si assiste alla progettazione
di un articolato disegno di legge Cost. di c.d. ”riforma della riforma”
approvato dal Senato in via definitiva nel novembre del 2005
verso una definizione in chiave federalista dell’ordinamento
statale, ispirato ad una ratio in parte diversa dalla prima revisione
del Titolo V.
3
2
In tutto ciò va ricordata la sfortunata esperienza della commissione
bicamerale per le riforme istituzionali a cui era stato affidato il gravoso
compito di predisporre un progetto di riforma organica della costituzione
alle cui proposte ci si è comunque ispirati nella riforma del 2001.
3
MANGIAMELI S., il federalismo italiano dopo lorenzago. considerazioni sulla
riforma del titolo v e sulla riforma della riforma, in Iustitia, 2004, pag. 465 e ss
3
La generale impressione che emerge dalla lettura del
progetto è, per un verso il delineamento di una forma di
regionalismo forte, per quanto attiene alla c.d. devolution
realizzato dalla previsione di una competenza legislativa
regionale esclusiva, dalla riaffermazione della clausola di
residualità e da un ampia potestà normativa e statutaria per
l’organizzazione politica dell’ente, per un altro verso una forma di
Stato che del modello federalista non ha né l’impianto strutturale,
né la legittimazione; esempio evidente di tale situazione è
l’istituzione di una seconda Camera rappresentativa delle Regioni
(Senato Federale) che difetta di un idoneo collegamento con le
articolazioni regionali sotto il profilo della rappresentatività.
Insomma la lavagna costituzionale di questo inizio secolo
viene a ritrovarsi di fronte a continue riscritture e cancellature. Il
tutto a scapito di un progetto organico e chiaro a fronte di un uso
congiunturale della normazione costituzionale frutto di
funamboleschi compromessi tra le stesse forze politiche di
maggioranza intese alla costruzione di un carta costituzionale di
parte.
4
Nel corso di questa tesi, dapprima, passerò in disamina il
complessivo assetto istituzionale del rapporto Stato-Regioni, il
nuovo contenuto dell’autonomia regionale alla luce delle recenti
revisioni del Titolo V della Costituzione e le prospettive future in
relazione al “nuovo” progetto di devolution, per poi passare
all’esame il nuovo ordinamento regionale cosi come risulta dalle
Leggi Cost. 1/99 e 2/01 sotto il profilo della rinnovata potestà di
autorganizzazione politica dell’ente tramite la previsione delle
c.d. leggi regionali “statutarie” per le Regioni di diritto comune e
la diretta revisione costituzionale dei 5 Statuti di quelle speciali,
all’interno di un quadro costituzionale che ‘suggerisce’, non senza
vincoli, una nuova forma di governo, di cui l’elezione diretta del
Presidente costituisce una opzione preferenziale.
5
CAPITOLO PRIMO
PROFILI STORICI
§ 1. Il ruolo delle autonomie regionali negli ultimi 30 anni
Il testo della Costituzione del 1948 prevedeva che le Regioni
esercitassero funzioni prevalentemente legislative,
programmatorie e di controllo, dall’altro, essa conteneva alcune
disposizioni che consentivano a queste ultima di disporre di una
propria amministrazione periferica. In particolare l’art. 129,
comma 1, prevedendo che le Province e i Comuni fossero anche
circoscrizioni di decentramento statale e regionale, offriva alle
Regioni la possibilità di disporre di una propria amministrazione
periferica con funzioni di gestione diretta
4
.
4
In quest’ultima direzione si muoveva, tra l’altro, la previsione dell’art.
129, comma 2, il quale prevedeva che le circoscrizioni provinciali
potessero essere suddivise in circondari con funzioni esclusivamente
amministrative per un ulteriore decentramento. L’art. 129 Cost.
sottolineava come dovesse essere intrapresa un’azione volta a realizzare
un effettivo decentramento facendo in modo che le circoscrizioni
provinciali e comunali diventassero delle amministrazioni periferiche
statali e regionali.
6
A questo proposito, si è rilevato che, mentre il decentramento
amministrativo dello Stato è previsto dall’art. 5 Cost., il
decentramento in ambito regionale non è stato espressamente
previsto in Costituzione. In particolare: 1) il terzo inciso dell’art. 5
avrebbe potuto non riferirsi anche al caso di decentramento
interno della Regione; 2) l’art. 118, comma 3, prescindeva da
un’amministrazione propria della stessa. Tali considerazioni
hanno spinto parte della dottrina a ritenere che la Regione non
dovesse essere necessariamente dotata di un’amministrazione
periferica con la quale operare in modo alternativo a quanto
disposto dall’art. 118 comma 3
5
. L’art. 117, comma 1, inoltre,
attribuiva alle Regioni competenza legislativa in ordine agli uffici
e agli enti amministrativi dipendenti dalla Regione. Tale
disposizione è stata letta nel senso di permettere alle Regioni di
dotarsi di un’amministrazione propria, poiché si riteneva che gli
uffici in questione non fossero quelli esclusivamente
indispensabili per il funzionamento degli organi regionali, ma
5
In tal senso E. ROTELLI, Commento all’art. 128 Cost., in Commentario della
Costituzione, a cura di G. Branca, A. Pizzorusso, Tomo III, Bologna-Roma,
1990, p. 1 ss..
7
fossero anche quegli uffici regionali preposti all’esercizio di
funzioni amministrative in determinati settori.
L’attuazione del sistema regionale ha preso definitivamente
avvio nel 1970, anno di elezione dei consigli regionali. In
particolare nel 1968 fu emanata la prima legge elettorale (n. 108) e
due anni dopo fu emanata la legge n. 281 contenente i
provvedimenti finanziari per l’attuazione del nostro sistema
regionale, con delega al governo (art. 17) per l’emanazione delle
norme necessarie al passaggio delle funzioni e del personale dallo
Stato alle Regioni. Con la legge del 1975 n. 382 lo Stato si impegnò
a completare il trasferimento attraverso una nuova legge delega
sulla base della quale si emanarono i decreti nn. 616, 617, 618 del
1977. Allora, in forza di una singolare inversione del modo di
intendere il principio del parallelismo di funzioni, la misura del
trasferimento condizionò lo spazio di esplicazione della stessa
potestà legislativa. A ciò si aggiunga: la trasposizione
dell’interesse nazionale dal piano del merito a quello della
legittimità come criterio generale del riparto della competenza
stato Regioni; l’utilizzazione sempre dell’interesse statale a
fondamento della funzione statale di indirizzo e coordinamento,
8
non nota al costituente, introdotta dalla citata legge n. 281 del 1970
ed estesasi dall’ambito dell’attività amministrativa a quello della
legislazione,e dalle Regioni ad autonomia ordinaria a quelle a
Statuto speciale; il carattere derivato e vincolato della finanza
regionale; l’esercizio puntuale in via preventiva del controllo
statale su atti e leggi regionali per non parlare della riserva
assoluta del potere centrale dei rapporti internazionali e affari
comunitari.
Tra tali limiti e vincoli si è arrivati negli anni novanta ad un
primo processo riformatore c.d. di terza regionalizzazione con cui si
è realizzato il trasferimento di funzioni amministrative alle
Regioni in senso decisamente regionalistico. A dare avvio a tale
processo è stata la Legge 59/1997 (c.d. Legge Bassanini)
contenente una serie di deleghe per il trasferimento di funzioni e i
successivi decreti di attuazione della delega (primo fra questi il
112 del 1998) che non solo hanno aumentato le competenze
regionali, ma anche invertito la relazione tra legislazione e
amministrazione, ponendo il principio che l’amministrazione
spetta per regola alle Regioni e (ai poteri locali) anche nelle
materie di competenza legislativa statale,salva espressa
9
attribuzione legislativa allo stato; con ciò, si inserisce
nell’organizzazione e nei modi di esercizio del potere il principio
di sussidiarietà nelle sue dimensioni verticale e orizzontale.
E mentre partiva questo imponente processo devolutivo a
c.d. costituzione invariata si assisteva all’ennesimo fallimento di
una revisione costituzionale organica elaborata da una speciale
Commissione Bicamerale istituita con Legge Cost. 1/97. Di fronte
alla impossibilità di procedere a revisioni organiche, si è pensato
di procedere a passi graduali nella rimodulazione di un nuovo
assetto istituzionale Stato/Regione e nella elaborazione di un
diverso ordinamento regionale sul solco delle precedenti
conquiste raggiunte dal legislatore ordinario con ‘le Bassanini’
6
.
Quindi, nel corso della XIII legislatura, modo di essere, poteri
e funzioni delle Regioni e di tutto il sistema delle autonomie
vengono ridefiniti dalle due note Leggi Costituzionali: la prima la
n. 1/99 (rubricata “Disposizioni concernenti l’elezione diretta del
Presidente delle Giunta Regionale e l’autonomia statutaria delle
6
Del resto è proprio per ciò che si è opportunamente parlato di
federalismo amministrativo in relazione alla ridefinizione del ruolo
dell’apparato del Governo statale operato dalle Bassanini a fronte di un
successivo “regionalismo legislativo” operato con la revisione del Titolo V.
cfr. BILANCIA P., in AA.VV., Problemi del federalismo, Giuffrè, Milano,
2001, pp. 67 ss..
10
Regioni”) di modifica di alcune disposizioni costituzionali, relativa
principalmente, ma non esclusivamente, alla organizzazione
specie per ciò che concerne la potestà statutaria e la forma di
governo delle Regioni ordinarie; la seconda, n. 3/01 (rubricata
“Modifiche al Titolo V della parte seconda della Costituzione”), di
revisione dell’intero Titolo V, parte II, della Costituzione,
riguardante competenze e poteri delle Regioni e quindi la ricca
trama dei rapporti interistituzionali in cui è destinata ed operare,
tutto ciò, come gia detto, sul solco dei principi e criteri della
precedente stagione di riforma amministrativa del ’97.
Con riguardo alle Regioni a Statuto speciale la Legge
Costituzionale n. 2/01 di modifica degli Statuti delle 5 Regioni ha
analogamente previsto una capacità organizzativa in merito alla
propria forma di governo come già previsto per le Regioni
ordinarie. In particolare, la riforma del Titolo V ha configurato
una Regione del tutto nuova liberata da vincoli e condizionamenti
che ne avevano mantenuto la capacita di azione in un ambito
discontinuo, esposto alle facili incursioni del potere centrale,
trattenuta nell’esplicarsi dell’efficacia dei propri atti, dai controlli
preventivi autonomi.
11
Ma nonostante ciò, allo stato attuale, non è consentito
affermare che l’assetto del sistema istituzionale abbia raggiunto
uno stato di compiutezza e stabilità e anzi si sono delineati
possibili sviluppi talvolta contraddittori del processo riformatore
avviatosi. Se da un lato si è avuta la Legge 131/03 (c.d. Legge La
Loggia) adottata per adeguare l’ordinamento della Repubblica
alla Legge Cost. 3/01 che ha suscitato non poche riserve, prima fra
tutti riguardo al tema della ‘ricognizione’ dei principi
fondamentali nelle materie di potestà legislativa concorrente,
dall’altro si è assistito al recente progetto (n. 2544-b) c.d. di
“riforma della riforma“ approvato dal Senato in via definitiva nel
novembre 2005 che modifica ancora il Titolo V sul versante del
riparto delle materie Stato-Regioni, facendo riaffiorare
esplicitamente nel testo costituzionale l’interesse nazionale, con
l’attribuzione al Presidente della Repubblica di un potere di
annullamento di leggi regionali ritenute dal Parlamento in seduta
comune pregiudizievoli di tale interesse, ma sopratutto la
previsione di un Senato Federale rappresentativo delle Regioni.
Insomma se da un lato abbiamo una Regione per tanti versi
nuova perché dotata di un ampio patrimonio di poteri e funzioni,
12
dall’altro si assiste alla mancata completa attuazione e
consolidazione del processo riformatore avviato nel corso della
XIII Legislatura.
13
§ 2. Le autonomie regionali nel nuovo Titolo V Cost.
Al fine di dare un’attuazione concreta al principio
autonomistico di cui all’art. 5 della Costituzione, la legge
costituzionale n. 3 del 2001 ha profondamente modificato il
sistema dei rapporti tra Stato, Regioni ed enti locali. Rispetto al
passato, quando la valorizzazione delle Regioni era realizzata
attraverso un decentramento di funzioni dallo Stato alle Regioni
(e agli enti locali) secondo lo schema tradizionale piramidale che
vedeva al vertice lo Stato, ora l’art. 114 cambia completamente la
prospettiva. La valorizzazione delle autonomie territoriali parte
da una nuova costruzione del sistema istituzionale: si ha una
rimodulazione dei pubblici poteri che parte dai livelli territoriali
più prossimi ai cittadini, per poi andare verso l’alto, ai livelli di
governo via via più vicini al livello più alto
7
.
In questa nuova ottica si inserisce il nuovo art. 114, comma 1,
della Costituzione, laddove prevede che “La Repubblica è
7
In tal senso, cfr. PASTORI G., I rapporti tra Regioni ed enti locali nella
recente riforma costituzionale, in AA.VV., Problemi del federalismo, Milano,
2001, p. 217 ss.; OLIVETTI M., Lo Stato policentrico delle autonomie (art. 114,
1° comma), in La Repubblica delle autonomie. Regioni ed enti locali nel nuovo
Titolo V, a cura di T. Groppi, M. Olivetti, Torino, 2001, p. 37 ss..
14
costituita dai Comuni, dalle Province, dalle Città metropolitane,
dalle Regioni e dallo Stato”. Tale nuovo articolo ponendo sullo
stesso piano Stato, Regioni, Province, Comuni e Città
metropolitane: questi tutti assieme costituiscono la Repubblica,
conferisce pari dignità a tutti i livelli territoriali
8
.
La nuova formulazione contenuta nell’art. 114 Cost. si muove
nella direzione di una maggiore valorizzazione degli enti locali,
facendo venir meno la tradizionale subordinazione degli stessi al
centro e, in parte, alle Regioni
9
. I rapporti tra i diversi livelli di
governo che non sono più improntati ad uno schema di
sovraordinazione o di separazione, bensì a modelli maggiormente
collaborativi
10
.
Si è parlato a questo proposito di “pluralismo istituzionale
paritario” che si differenzia dal precedente sistema istituzionale
pluralistico, perché le diverse articolazioni del sistema sono poste
sullo stesso piano, rendendo impossibile che una di esse si
8
Cfr. PIZZETTI F., Il sistema costituzionale delle autonomie locali, Milano,
1979, p. 526.
9
Per una critica all’art. 114 Cost. si veda FROSINI T.E., Quale federalismo
senza Mezzogiorno?, in Forum di Quaderni costituzionali, 2001.
10
Cfr. PIZZETTI F., Le nuove esigenze di governarne in un sistema policentrico
“esploso”, in Le Regioni, 2001, p. 1153 ss.
15
collochi in una posizione di preminenza rispetto alle altre
11
. La
visione gerarchica dei diversi livelli territoriali che costituiscono la
Repubblica, ha pertanto lasciato il passo ad una visione
orizzontale del sistema istituzionale
12
.
Vi è poi un altro elemento innovativo rispetto al precedente
testo costituzionale: le diverse entità previste all’art. 114 diventano
dei veri e propri elementi costitutivi della Repubblica. Si
abbandona così la visione di una Repubblica che al proprio
interno si articolava in Regioni, Province e Comuni.
Apparentemente contraddittorio appare, invece, l’art. 114,
comma 2, laddove si prevede che le Regioni siano “enti autonomi
con propri statuti, poteri e funzioni secondo principi fissati dalla
Costituzione”. Tale disposizione, infatti, sembra introdurre una
distinzione fra Regioni (Province, Città metropolitane e Comuni),
da un lato, e lo Stato, che non è incluso nell’elenco dell’art. 114, 2°
comma.
11
CAMMELLI M., Amministrazioni (e interpreti) davanti al nuovo titolo V
della Costituzione, in Le Regioni, 2001, p. 1274 ss.
12
Non mancano, tuttavia, autori che non ravvisano nella formula
utilizzata dall’art. 114 una parità di posizione delle varie componenti della
Repubblica. È di questo avviso, ANZON A., Un passo indietro verso il
regionalismo “duale”, comunicazione all’incontro di studio promosso dall’A.I.C.
su “II nuovo Titolo V della Costituzione — Primi problemi della sua attuazione”
(Bologna, 14 gennaio 2002), in www.associazionedeicostituzionalisti.it.