2
La prima fase vede una forte consistenza dei flussi
migratori con tendenza decisamente crescente dovuta a
fattori economico- sociali e politici. La prima grande
depressione mondiale (1873-1879), il crollo dei prezzi delle
derrate alimentari (con conseguente caduta dei redditi
agricoli), l’insufficiente domanda di lavoro nei settori extra-
agricoli e la politica protezionistica del governo italiano
spingono molti a partire per sopravvivere, visto che
l’agricoltura costituisce il fondamento della Nazione; per
quel che riguarda i fattori politici, c’è da ricordare che la
politica migratoria di quel periodo (liberale) sancisce la
libertà di emigrare.
2
Osservando il fenomeno più da vicino, si può notare
come la massa migrante sia assai giovane, con partenze
individuali di braccianti agricoli, per due terzi
settentrionali, con destinazione europea, ed in particolar
modo Francia e Germania, mentre, gli emigranti del Sud
prediligono paesi extra- europei come Argentina, Brasile ed,
in seguito, USA.
2
In questa prima fase, il numero degli espatri raggiunge 5.300.000 unità circa. Cfr. Golini A.- Amato
F., Uno sguardo ad un secolo e mezzo di emigrazione italiana, cit., pp. 49-50.
3
Con la fine del secolo e l’avvio del processo di
industrializzazione, in Italia, inizia, paradossalmente, una
nuova fase di espatri, nota come la “Grande emigrazione”,
poiché si assiste ad un vero e proprio esodo che conterà,
all’inizio della Prima Guerra mondiale, quasi nove milioni di
partenze.
3
Il dualismo (a prima vista paradossale) tra sviluppo
industriale e “Grande emigrazione” è dovuto all’incapacità
da parte del primo di assorbire la sempre più crescente
manodopera che si è vista, così, costretta a cercare fuori
dai confini nazionali la possibilità di lavorare e
sopravvivere.
Come nel periodo precedente, le mete sono Francia e
Germania, alle quali si aggiunge la Svizzera, per quel che
riguarda il continente europeo ed ancora gli Stati Uniti per
le destinazioni d’oltreoceano dove si recano soprattutto gli
emigranti dell’Italia meridionale. In generale, i settori
d’occupazione sono sempre gli stessi: attività di
sfruttamento dei giacimenti, costruzioni di strade e ferrovie
ed edilizia.
3
La media annuale di espatri era di circa 600 mila unità, salvo raggiungere il culmine nel 1913 con
più di 870 mila partenze. Per i dati precisi, cfr. Golini A.- Amato F., Uno sguardo ad un secolo e
mezzo di emigrazione italiana, cit., p. 51.
4
Qualcosa di diverso dagli anni passati, comunque, c’è:
viene adottata, infatti, da parte del Governo italiano nel
1901, una legge generale sull’emigrazione, con la quale si
crea “un unico organo, il Comitato generale
dell’emigrazione, che accentra su di sé l’amministrazione
dei servizi relativi all’intera materia precedentemente di
competenza di più enti pubblici e regolamenta le condizioni
per l’espatrio.”
4
Il periodo tra le due guerre mondiali vede il numero
delle partenze in netta fase decrescente sia per le restrizioni
imposte da alcuni paesi di destinazione
5
, sia come
conseguenza della grande crisi economica, sia, infine, per la
politica fascista marcatamente anti- emigratoria che vietava
l’espatrio per motivi di prestigio e, soprattutto, per non
perdere leve di giovani da inserire nelle forze armate, salvo
poi rivedere tale politica, i cui principi basilari erano: a.
proibizione dell’emigrazione stabile; b. tolleranza
dell’emigrazione temporanea; c. espansione economica,
commerciale e culturale dell’Italia all’estero attraverso il
4
Cfr. Golini A.- Amato F., Uno sguardo ad un secolo e mezzo di emigrazione italiana, cit., pp. 51-52.
5
Come ad es. gli USA, i quali, prima, con il Literacy Test respingono gli immigrati analfabeti e poi,
con il Quota Act del 1921 e del 1924 stabiliscono le quote di immigrati da ammettere, soprattutto per
le genti provenienti da paesi non più graditi.
5
veicolo dell’emigrazione di professionisti, tecnici e studenti;
d. recupero spirituale delle comunità italiane nel mondo.
6
Le destinazioni prevalenti sono quelle transoceaniche,
principalmente verso l’Argentina e quelle europee, in
particolar modo, dopo la stipulazione dell’Asse Roma-
Berlino (1936), verso la Germania dove i nostri lavoratori
vengono impiegati nelle attività industriali e nell’edilizia,
oltre che, ovviamente, nel settore agricolo.
Caratteristica evidente di questo periodo sono gli
spostamenti di intere famiglie o di familiari rimasti in
Patria, chiamati dai parenti emigrati anni indietro. Molti,
infatti, sono i giovani sotto i 14 anni che partono,
accompagnati da un elevato numero di uomini e donne che
hanno smesso di lavorare.
7
Con la fine della Seconda Guerra mondiale ha inizio la
quarta ed ultima fase dell’emigrazione italiana che si
protrae fino agli anni Ottanta. Ovviamente, dopo un iniziale
periodo crescente, con il passare degli anni, il fenomeno
6
Per la politica fascista sull’emigrazione si veda Ostini M.R., Leggi e politiche di governo nell’Italia
liberale e fascista, in Bevilacqua P.- De Clementi A.- Franzina E. (a cura di) “Storia dell’emigrazione
italiana. Partenze.”, cit. . Con il passare degli anni, il fascismo si rassegnerà al fenomeno migratorio e,
anzi, farà in modo di trarne profitto: non si parlerà più di emigrati, ma di italiani all’estero (a
sottolineare il legame con la Patria) e verrà dato impulso alla nascita di associazioni per la loro
assistenza a fini propagandistici.
7
Emigrano in questo periodo più di 4 milioni di italiani. Per i dati cfr. Sanfilippo M., Tipologia
dell’emigrazione di massa, in Bevilacqua P.- De Clementi A.- Franzina E. (a cura di) “Storia
dell’emigrazione italiana. Partenze.”, cit.
6
migratorio si è attenuato sempre più fino a scomparire,
facendo sì che l’Italia da paese d’emigrazione divenisse
paese d’immigrazione.
Così. dopo il periodo di quasi stasi del Ventennio, l’Italia
ha visto riprendere in maniera crescente i flussi migratori,
anche se le cause di espatrio erano diverse da quelle del
passato. Dopo la guerra, il nostro Paese ha subito profondi
mutamenti politici, sociali ed economici; la forte
industrializzazione ha provocato l’abbandono delle
campagne a favore delle città più industrializzate, le quali
non furono in grado di assorbire la manodopera eccedente,
favorendo la ricerca di lavoro oltre i confini nazionali,
soprattutto nelle nazioni dell’Europa occidentale, sia perché
queste ultime offrivano maggiori possibilità, sia perché
alcuni paesi (come ad es. gli USA) imposero delle restrizioni
agli ingressi, sia, infine, perché le situazioni economiche e
politiche precarie dell’America Latina la rendevano sempre
meno appetibile.
Le mete principali in Europa riguardano Francia,
Svizzera, Germania e Belgio. Proprio verso quest’ultimo
paese rimane un ricordo triste e doloroso dell’emigrazione
7
italiana: l’8 agosto 1956 muoiono 262 minatori nel rogo
della miniera del Bois du Cazier a Marcinelle, di cui 136
erano italiani.
8
Una caratteristica peculiare di questo primo momento
migratorio è rappresentata dal fatto che i (pochi)
trasferimenti d’oltreoceano hanno carattere definitivo e si
tratta, per la maggior parte, di ricongiungimenti familiari,
mentre quelli con destinazioni europee sono spesso
individuali e temporanei con conseguenti rientri in Patria
dopo un certo periodo. Tale temporaneità ha la sua
particolarità nelle cosiddette rimesse, delle quali hanno
beneficiato sia i familiari dei migranti, che l’intera economia
nazionale. Si tratta dei soldi guadagnati all’estero dagli
emigrati ed inviati in Italia alle famiglie: “una fantastica
pioggia d’oro” sono state definite le rimesse dagli
osservatori economici. Infatti, grazie ad esse, le famiglie più
povere (soprattutto nel Meridione e nelle campagne)
poterono contare su ingenti somme di denaro e permettersi
una vita più decorosa, aumentando, al tempo stesso, la
8
Per non dimenticare questa tragedia, nel dicembre 2001 il Governo italiano ha emanato una direttiva
che designa l’8 agosto “Giornata Nazionale del Sacrificio del Lavoro Italiano nel Mondo”, a
testimonianza degli enormi sacrifici fatti dai nostri lavoratori all’estero, con particolare riferimento a
Martinelle.
8
disponibilità al consumo e, quindi, la domanda globale.
Inoltre, buona parte dei proventi furono investiti in titoli del
debito pubblico o rimasero nelle casse postali, garantendo
allo Stato la possibilità di adottare tali risparmi per il
sostegno dello sviluppo industriale.
Se questa delle rimesse fu una conseguenza molto
importante dell’emigrazione, non dobbiamo dimenticarne
altre, negative e positive, come ad esempio la perdita di
popolazione (e quindi di forza lavoro) in alcune zone
specifiche del paese che ha provocato lo spopolamento di
piccoli comuni, alterando così lo squilibrio demografico-
ambientale oppure la creazione di più stretti legami
culturali ed economici tra l’Italia ed i paesi d’immigrazione
che hanno favorito il cambiamento di atteggiamenti e di
comportamenti della popolazione rimasta in loco.
In linea generale, però, va riaffermato con forza che
l’emigrazione è stata un fenomeno causato da aspetti
negativi e non ha risolto, da solo, le condizioni di
arretratezza in cui vivevano intere zone del Paese,
nonostante esso abbia avuto un impatto positivo sulla vita
di molte persone.
9
1.2.L’associazionismo degli emigranti
Strettamente connesso all’emigrazione è lo sviluppo
delle associazioni degli emigranti italiani che, dagli anni
Quaranta in poi, ha coinvolto fino ad oggi più di un milione
e mezzo di nostri concittadini.
E’ una pubblicazione, Associazione degli italiani nel
mondo della Direzione Generale per l’emigrazione e gli affari
sociali presso il Ministero degli Affari Esteri, che, aggiornata
negli anni (la prima uscita risale, infatti, al 1970), ci
fornisce una sorta di catalogazione sulla realtà
dell’associazionismo di emigrazione.
Per avere una prima idea sui numeri che girano attorno
a questo fenomeno associativo, possiamo individuare, ad
esempio, nelle quattro maggiori aree di destinazione
(Europa - America Settentrionale- America Centrale e
Meridionale- Oceania) le circoscrizioni consolari con il più
elevato numero di associazioni: Basilea in Europa, Toronto
nell’ America Settentrionale, Curitiba in America Centrale e
Meridionale e Melbourne in Oceania. Riportando qualche
10
dato, a Basilea sono state censite circa 421 associazioni,
tra le quali la sede cantonale Acli Argovia con 1170 soci, il
Comitato italiano d’intesa del Birstal con 350 soci e
l’Associazione trevisani nel mondo con 242 soci; a
Melborune esistono 214 organizzazioni per un totale di
circa 25 mila soci, tra le quali il Veneto social club (4500
soci) ed il Leonardo da Vinci con quasi mille aderenti.
9
In generale, è possibile effettuare una classificazione dei
vari tipi di organizzazioni, in riferimento alla loro natura o
alle loro finalità:
• Associazioni ricreative, comprendenti circoli per
pensionati, circoli sportivi, del dopolavoro ed altri. Il
legame che tali enti mantengono con l’Italia non è di
tipo organico con le istituzioni e tendono ad avere
rapporti con il Paese di accoglienza solo per motivi di
opportunità specifica (richiesta di autorizzazioni,
chiusura o apertura di sedi). In sostanza, godono di
una forte indipendenza nelle loro azioni anche se, non
di rado, rientrano in strutture ben organizzate come
quelle politiche, religiose o sindacali;
9
Per maggiori informazioni sulle organizzazioni degli emigranti, si veda Colucci M.,
L’associazionismo di emigrazione nell’Italia repubblicana, in Bevilacqua P.- De Clementi A.-
Franzina E. (a cura di), “Storia dell’emigrazione italiana. Partenze”, cit.
11
• Associazioni assistenziali, molto legate a quelle di
tipo religioso in quanto nascono proprio per opera di
istituti legati alla Chiesa, assistono gli emigrati,
risolvendo loro problemi di inserimento, di lavoro o di
alloggio. Con il passare degli anni, questi enti si sono
orientati verso settori più specifici come l’educazione,
la famiglia, la sanità fino a diventare il perno attorno
al quale sono sorte scuole ed ospedali;
• Associazioni religiose, nate come enti
assistenziali, sono tra le più vecchie organizzazioni
fondate dagli emigrati già al tempo della “Grande
emigrazione”. Per citare qualche esempio, possiamo
ricordare, oltre le stesse strutture episcopali, anche
l’Opera Bonomelli e gli Scalabriniani;
10
• Associazioni sindacali sono, ovviamente,
numerose nei paesi con forte presenza italiana per
tutelare l’inserimento dei nostri connazionali nel
10
Associazione fondata da Giovanni Battista Scalabrini nel momento in cui si presenta in dimensioni
impreviste il dramma dell’emigrazione di massa. In mezzo all’assenza dello Stato e all’imbarazzo
della Chiesa, egli fu ideatore e operatore di un intervento globale a favore dei migranti; previde
un’assistenza religiosa, sociale, umanitaria che rispondesse a tutte le esigenze umane dei milioni di
emigrati, sparsi principalmente nelle Americhe. Oggi, questa struttura si è messa al servizio di tutti i
migranti, rifugiati, profughi, di qualsiasi nazionalità, con una conseguente internazionalizzazione dei
suoi membri che operano in 26 paesi. Per maggiori informazioni, visitare il sito www.scalabrini.net
12
mondo del lavoro, spesso accompagnato da
sfruttamento e discriminazione;
• Associazioni culturali, divise tra quelle a
carattere locale, con la gestione delle biblioteche o
scuole private, e quelle a carattere mondiale, “come la
Società Dante Alighieri
11
, orientate alla promozione
internazionale su larga scala della cultura italiana. E’
molto importante, in questo settore, la presenza degli
Istituti italiani di cultura, dipendenti dalle autorità
consolari”
12
;
• Associazioni politiche, legate sia ai tradizionali
partiti italiani di riferimento (in particolar modo, AN e
DS sono i gruppi maggiormente rappresentati
all’estero), sia ad iniziative locali per le diverse realtà
sociali, economiche o lavorative;
11
La società Dante Alighieri nasce nel 1889 grazie a degli intellettuali, guidati da Carducci,
interessate a tutelare e diffondere la lingua e la cultura italiana nel mondo, ravvivando i legami
spirituali dei connazionali all’estero con la Madrepatria e alimentando tra gli stranieri l’amore e il
culto per la civiltà italiana (come recita l’art. 1 dello Statuto sociale). Per il raggiungimento di tali
finalità, la Società si affida ad oltre 500 Comitati, di cui più di 400 attivi tra l’Africa, l’America,
l’Europa, l’Asia e l’Oceania. Visitare il sito www.societadantealighieri.it
12
Cfr. Colucci M., L’associazionismo di emigrazione nell’Italia repubblicana, in Bevilacqua P.- De
Clementi A.- Franzina E. (a cura di), “Storia dell’emigrazione italiana. Partenze”, cit., p. 422.
13
• Associazioni locali, fondate sulla comune
provenienza da un paese, provincia o regione. Il boom
di tali organizzazioni si ebbe subito dopo guerra,
quando l’identità nazionale era subordinata
all’orgoglio locale.
13
Nello sviluppo del fenomeno dell’associazionismo esiste
una differenza tra i paesi dove gli italiani sono arrivati nel
periodo tra la fine della Prima Guerra mondiale ed il
fascismo (America Settentrionale e Meridionale, Australia e
le colonie africane) e quelli dove i nostri connazionali sono
giunti nel secondo dopoguerra (Europa occidentale). Infatti,
nel primo caso, un ruolo decisivo fu svolto dal regime che
vedeva (anche se solo in un secondo momento, come
ricordato in precedenza) negli italiani all’estero un motivo di
propaganda per il Paese (ed il regime stesso), tanto da
premiare gli emigrati con organizzazioni assistenziali e
ricreative, ideologicamente legate al fascismo; nel secondo
caso, l’associazionismo si caratterizza per la nuova realtà in
cui veniva a trovarsi. Le organizzazioni sorte non si
13
Le regioni più rappresentate sono la Sicilia, la Campania ed il Veneto, secondo dati aggiornati al
2000.
14
rifacevano all’ideologia passata, ma miravano a tutelare i
diritti sul lavoro o in materia di previdenza o di assistenza
(gruppi sindacali e religiosi), più che a trasmettere
“l’italianità” nel mondo.
In conclusione, l’importanza dell’associazionismo è
stata, ed è ancor oggi, fondamentale per gli emigrati, in
quanto essi hanno sempre potuto contare su una fitta rete
di appoggio per le loro necessità e per la tutela dei loro
diritti. Tal patrimonio, fatto di culture, tradizioni e storie di
persone semplici partite alla ricerca di un qualcosa che
potesse cambiare loro la vita, va conservato nella memoria
non solo di coloro che vivono all’estero, ma anche in quella
di tutto il Paese, affinché si comprenda quanto sarebbe
stato molto più difficile per i nostri connazionali inserirsi
nei paesi di destinazione senza l’aiuto di queste
organizzazioni.
Le associazioni rivestono, dunque, un’importanza di
rilievo per il loro fare da trait- d’union tra le comunità
italiane sparse nei vari Paesi e l’Italia e per loro capacità di
farsi portavoce delle istanze delle comunità di riferimento
sia verso l’Italia sia verso i Paesi ospitanti.
15
In tale ottica va inserita l’istituzione del Comitato
Tricolore per gli Italiani nel Mondo (CTIM), fondato nel 1968,
grazie all’impegno dell’attuale Ministro Mirko Tremaglia ed
altri, con lo scopo di attuare una concreta politica per gli
emigrati. Partendo dal presupposto che l’Italia per
lunghissimo tempo si è totalmente dimenticata dei propri
cittadini all’estero, il CTIM ha, sin dall’inizio, intrapreso la
via di far divenire “produttiva” nel circuito nazionale ed
internazionale la presenza italiana nel mondo. Considerato
che un importantissimo fattore di forza internazionale del
nostro Paese è rappresentato dalle comunità italiane
all’estero, il Comitato si pone come scopi il rafforzamento
dei legami fra le varie comunità italiane nel mondo e la
Madrepatria; la difesa dei diritti e degli interessi delle
nostre collettività; una politica di appoggio e di intervento
in favore del “made in Italy”; la promozione, anche in
Patria, di idonee iniziative per far conoscere e risolvere i
gravi problemi degli italiani sparsi per il mondo.
14
Inoltre, oggi più che mai, si sente l’esigenza di
riavvicinare quest’ “altra Italia”, quest’ Italia lontana, alle
sue origini, in quanto essa potrebbe influire, specie nei
14
Per ulteriori informazioni circa il CTIM, vedere il sito ufficiale www.ctim.it