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Non è nelle intenzioni di chi scrive sostenere che il modello privato rappresenta,
per lo sviluppo del sistema culturale, una soluzione di ottimo rispetto al modello
pubblico.
Inoltre scopo di questo progetto di tesi non è aggiungere, a quelle già esistenti,
un’ulteriore riflessione sulla possibilità e modalità con cui il soggetto privato può
colmare il deficit strutturale del sistema culturale.
Questo lavoro intende proporre un diverso approccio al rapporto tra finanza e
cultura, che si incentra sulla possibilità, qualora le aziende investano in cultura,
di un mutuo scambio di valore tra questi due ambiti. Nel momento in cui si parla
di mutuo scambio di valore si parte dall’assunto che i termini considerati si
trovino in posizione paritaria e non, come si è ritenuto per molto tempo, che il
privato deve supplire alle deficienze del pubblico sulla scorta di una logica,
ancora una volta, assistenziale.
Il nodo centrale attorno al quale si sviluppa la tesi è che le imprese, intervenendo
nella “tutela, conservazione e valorizzazione” dei beni e delle attività culturali,
possono generare valore per la cultura ma, contemporaneamente, trarre valore da
essa.
E’ assolutamente necessario precisare che la possibilità per l’azienda di ottenere
ritorni duraturi si realizza nel momento in cui questa effettui un vero e proprio
investimento e non una semplice sponsorizzazione. La natura episodica ed
occasionale di quest’ultima permette di ottenere solo visibilità nel breve periodo.
Dopo aver chiarito la differenza tra le due tipologie di intervento a favore della
cultura, nel primo capitolo viene sottolineato e definito il diverso quadro
normativo entro cui si inseriscono la sponsorizzazione e, diversamente, le
erogazioni liberali, ponendo particolare attenzione agli attuali incentivi fiscali
all’investimento privato in cultura.
Nell’ambito della spesa privata è sembrato opportuno dare una fotografia e una
previsione futura di quante e quali aziende (analizzate rispetto alla dimensione, al
settore merceologico e alla distribuzione territoriale) hanno superato la
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tradizionale pratica della sponsorizzazione occasionale in favore di un impegno
di lungo termine.
Il secondo capitolo va nel dettaglio delle radici teoriche del valore ed incrociando
le quattro dimensioni, individuale, sociale, tangibile ed intangibile della cultura
con la natura quali-quantitativa della stessa di è determinato il VET (Valore
Economico Totale della cultura). Dopo aver palesato l’esistenza di un valore
appunto economico della cultura si è provveduto poi a qualificare l’investimento
come intangibile estetico, avendo precedentemente verificato che sussistono le
condizioni tali per cui questo bene è un intangibile.
L’intangibile estetico rappresenta il trade union del rapporto di reciprocità
assunto in incipit , reciprocità che si concretizza nel concetto di sostenibilità della
cultura, da un lato, e delle aziende dell’altro.
Si è provveduto ad individuare, quali strumenti che incidono sulla sostenibilità
finanziaria della cultura, tre fondi di investimento etici che nella realtà
permettono lo scambio di risorse tra finanza e cultura.
Di converso si è dimostrato, attraverso il supporto di studi accademici ed
empirici, che alcuni intangibili, tra i quali l’investimento in comunità, impattano
sulla corporate sustainability e, nello specifico, sulla performance finanziaria
delle imprese.
Dalle molteplici interviste effettuate per questa tesi si è rilevato che la domanda
più ricorrente che molti imprenditori che hanno investito in cultura si pongono è
“ se volessi calcolare il valore generato dall’investimento di x milioni di euro in
cultura a quanto ammontano i ritorni e che tipologia di ritorni ho ottenuto” ?
Attorno a tale quesito si è sviluppato il cuore di questo progetto di tesi, cioè una
proposta di valutazione dell’intangibile estetico.
Per l’elaborazione della stessa si è ritenuto opportuno considerare i valori
evidenziati nel VET e, precisamente, la natura qualitativa, quantitativa della
cultura e la multidimensionalità della stessa.
Partendo da quanto detto ora, la proposta si compone necessariamente di
un’analisi di marketing e di una valutazione di tipo finanziario, volte a rilevare
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non solo il valore effettivamente generato dall’intangibile ma anche quello
potenziale.
Infine, negli ultimi due capitoli l’analisi teorica dapprima esposta scende sul
campo attraverso la presentazione di due casi, scelti proprio perché, nell’ambito
di quanto affrontato, si tratta di esperienze pilota non ancora studiati.
Si è deciso di approfondire l’esperienza bresciana in quanto città, tipicamente
industriale, che sta applicando le logiche imprenditoriali nella gestione di un
investimento in cultura, qual è Brescia Musei S.p.A., concepito come volano di
industrializzazione.
Inoltre la selezione di questo caso nasce dalla volontà di mostrare come, nei fatti,
la cultura consti di un valore d’uso diretto ed indiretto e quindi impatti non solo
sulla dimensione sociale ma anche su quella economica.
Progetto Italia di Telecom Italia è, invece, la realizzazione in concreto di quanto
è stato sviluppato durante questo lavoro poiché si tratta di un esperienza
creazione di un intangibile estetico, che esplicita un reale rapporto di reciprocità
tra finanza e cultura.
Per entrambi i casi si è pervenuti alla determinazione del valore, attualmente
calcolabile rispetto ai dati di cui si disponeva, che l’investimento culturale
genera.
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1. STATO ATTUALE DEL RAPPORTO TRA
FINANZA E CULTURA
“La filantropia è strettamente legata
alle innovazioni che trasformano la
società; non si tratta semplicemente di
mantenere lo status quo o di
soddisfare quelle urgenze sociali di
base che erano in passato competenza
del settore pubblico. E’ un termine
troppo spesso frainteso. Ho il sospetto
che molte compagnie abbiano iniziato
a comprendere di avere in ruolo
importante all’interno della
comunità”.
John D. Rockefeller,
fondatore del Modern Art Museum.
1.1 La cultura nasce nel privato: prima l’individuo poi l’impresa
Le fucine del sostegno dei privati alla cultura vanno rintracciate in un passato
lontano quando regnanti, nobili, borghesi e uomini di chiesa si facevano
mecenati
1
di grandi opere sulla scorta, rispettivamente, di diverse strategie di
potere, di prestigio, di piacere e di edificazione religiosa
2
. Si deve parlare di
mecenatismo poiché tra affari e cultura, ed è stato così per molto tempo, sussiste
uno iato profondo e un dislivello programmaticamente perpetuato nel tempo. I
primi, concepiti in posizione sovra ordinata destinavano risorse per il proliferare
della cultura ma dettando rigidi orientamenti affinché la stessa fosse diretta
1
Il sostegno alla cultura assume agli inizi la forma del mecenatismo. In itinere ne verrà esplicitato il
diverso ruolo assunto.
2
Bondardo Comunicazione , La defiscalizzazione dell’investimento culturale, Roma, Sipi, 2003.
9
emanazione (e tale termine vuole rimarcare l’assenza di una situazione paritaria)
degli intendimenti politici che si volevano portare avanti, degli ideali del tempo.
Non vi è dubbio che i mecenati, a cui sicuramente dobbiamo essere grati,
avevano colto la capacità/pericolo di impatto della cultura sulla società tant’è che
seppero sfruttarne il potenziale comunicativo in senso autoreferenziale ma
dall’altro non dimenticarono di ribadirne il ruolo ancillare. La letteratura è ricca
di esempi epistolari in cui pittori, scultori, musicisti dialogano con i propri
finanziatori talvolta per ringraziare talvolta per “batter cassa” ma in entrambi i
casi palesando che il mecenate ha sempre rappresentato la conditio sine qua non
per il proseguimento della attività artistica.
Va poi sottolineato che la dimensione all’interno della quale la cultura si è
sviluppata è stata, più frequentemente, quella individuale o meglio
individualista. Questo esasperato individualismo
3
ha infatti da sempre riguardato
non solo il primo anello della filiera, ossia la produzione (l’immagine dell’artista
chiuso nella sua turris eburnea non è solo un topos letterario bensì una realtà del
tempo) ma anche il consumo, da sempre concepito come godimento individuale,
elitario, come soddisfazione personale.
Con il processo di democratizzazione che, sulla scorta di un principio di equità
ha prodotto una diffusione del benessere tra la popolazione e quindi una
diminuzione percentuale e quantitativa dei grandi patrimoni, la figura del
mecenate, dapprima rappresentata dalla grandi famiglie nobili, successivamente
assume le sembianze dell’impresa ma, nonostante ciò, la fruizione della cultura è
rimasta chiusa e conchiusa in una sfera meramente elitaria e autoreferenziale.
“Gli imprenditori continuano a considerare la cultura un magnifico lusso, una
piccola evasione dalla routine quotidiana, da concedersi occasionalmente e con
moderazione, più come espressione di una passione individuale che come attività
3
Leon Battista Alberti in I libri della famiglia porta in auge la corresponsabilità sociale insita nell’etica
calvinista rispetto all’individualismo utilitaristico tipico della società italiana.
10
in qualche modo collegabile alle logiche di impresa. La cultura come negazione
del profitto, dunque, e il profitto come negazione della cultura” ( Sacco 2003)
4
.
E’ solo nel corso del Novecento, sulla scia dei paesi anglosassoni e grazie anche
al trattato di Maastricht che accelerò l’evoluzione dello Stato Moderno, che va
scemando la netta distinzione tra pubblico e privato e tra economia e cultura. Per
molti anni pubblico e privato, economia e cultura hanno rappresentato quasi un
ossimoro nella realtà italiana laddove invece sussistono forti interconnessioni sia
all’interno dei singoli gruppi che tra i due gruppi sopra evidenziati.
Il patto di stabilità insito nel trattato di Maastricht rimarca l’importanza di uno
Stato “leggero”, garante dell’interesse generale, con un ruolo più di
orchestrazione che di gestione diretta.
In questo frangente il privato, sussumendo le finalità pubbliche entro una logica
di responsabilità sociale, integra e corrobora l’intervento pubblico nella “tutela,
conservazione e valorizzazione” dei beni e delle attività culturali, laddove il
principio di valorizzazione può assumere la doppia accezione di attribuire valore
ma anche trarre valore
5
.
E’ sulla base di quanto detto ora che il rapporto tra finanza e cultura non si sostanzia più
come unidirezionale, al contrario scaturisce naturalmente un rapporto di reciprocità che
attiva un circolo virtuoso generativo di valore, ergo di ricchezza. La forte differenza
rispetto al passato è che i tre nodi principali di tale circolo virtuoso, cultura-economia-
società, non sono più slegati ed indipendenti bensì rappresentano, ognuno, la
precondizione per un impatto positivo sull’altro che dà luogo ad un meccanismo a
catena (Tab. 1).
4
Sacco P. , Alla ricerca del tempo perduto: nuove risorse per la cultura, in La defiscalizzazione
dell’investimento culturale, Roma, Sipi, 2003.
5
Bellezza E. , Nuovi modelli di intervento del privato nel settore culturale, contenuto in La
defiscalizzazione dell’investimento culturale, Roma, Sipi, 2003.
Il concetto citato rappresenta il primo passo verso il rapporto di reciprocità di cui si darà approfondita
spiegazione nel terzo capitolo.