5
Anni ‘45-‘60
Nel dopoguerra, le fonderie dovettero ridurre la loro
produzione in seguito al venir meno delle commesse pubbliche.
Le officine produttrici di macchine agricole, con l’eccezione
della Fiat, restarono legate alle produzioni tradizionali e non
riuscirono a specializzarsi nella fabbricazione delle nuove macchine
agricole leggere. La crisi era dovuta all’incapacità degli imprenditori
di affrontare le nuove regole del mercato che da protetto divenne
molto rapidamente concorrenziale. La maggioranza degli industriali
reagì, però, scatenando un’offensiva contro la classe operaia.
L’attacco ebbe inizio subito dopo le elezioni del 1948 con le serrate
della Valdevit e della Carrozzeria Padana e culminò con la strage
del 9 gennaio 1950. Tra il 1949 e il 1957 furono circa tremila gli
operai metalmeccanici licenziati in provincia di Modena, fra i quali
248 dipendenti Fiat. Tuttavia, questi ultimi licenziamenti non
avevano il solo obiettivo di colpire la Fiom, ma erano la
conseguenza anche dell’introduzione della lavorazione a catena (e
quindi di una ridefinizione della manodopera verso operai comuni) e
della chiusura della Grandi motori con il trasferimento di una parte
dei suoi macchinari all’Oci. A partire dalla seconda metà degli anni
‘50, l’indotto della Fiat a Modena incominciò ad assumere
dimensioni rilevanti e a riequilibrare il bilancio occupazionale.
Va tenuto presente che, diversamente da altri imprenditori,
Enzo Ferrari riuscì, invece, a riconvertire l’attività della propria
azienda con successo, senza mai operare tagli drastici alla
manodopera e raggiungendo un accordo con la Cgil2.
2
Ibid.
6
Anni ‘60
Già a partire dal ’45 a Modena erano sorte un discreto numero
di piccole imprese metalmeccaniche, fondate in prevalenza da ex
operai delle fabbriche della città e, in alcuni casi, anche da fabbri,
lattonieri, carpentieri e persino contadini. Durante gli anni del
“miracolo economico” (1959-63) questa nuova imprenditoria
metalmeccanica modenese conobbe la sua affermazione e acquistò
sempre maggiore rilievo.
L’industria metalmeccanica modenese riuscì a superare
rapidamente la recessione del 64-65 e la seconda metà degli anni ’60
fu un nuovo periodo di rapida espansione, caratterizzato soprattutto
da un considerevole aumento delle esportazioni. Motivi principali
del successo furono la cultura del lavoro propria della classe operaia
modenese e l’organizzazione del processo produttivo vigente nelle
maggiori fabbriche metalmeccaniche modenesi negli anni ’40 e ’50
che permetteva ai lavoratori di ampliare la propria capacità
professionale, il ruolo svolto dalle scuole tecniche della provincia, la
creazione dei villaggi artigianali e una rete diffusa di servizi sociali3.
L’andamento dell’occupazione operaia dal 1966 al 1975 nel
settore metalmeccanico della provincia di Modena era fortemente
correlato con l’andamento dell’occupazione operaia nello stesso
settore su tutto il territorio nazionale, anche se si manteneva sempre
più alto: il saggio di incremento medio annuo dell’occupazione
provinciale era, infatti, del 4,5% contro il 3% nazionale. Nel periodo
‘66-’69, che fu quello di maggiore espansione del settore, il saggio
di incremento medio era del 6,3% contro quello nazionale del 4,8%.
Quindi, l’occupazione operaia, nella provincia, era aumentata in
percentuale maggiore rispetto ai livelli nazionali nel settore e, pur
corrispondendo i periodi di sviluppo o di crisi, le crisi furono assai
meno sensibili perché controbilanciate da un più forte trend di
crescita.
3
Ibid.
7
Analogamente, dal 1966 al 1969, crebbe il numero di imprese4.
Ciò fu causato anche dal fatto che, a partire dalla seconda metà degli
anni’60, molte imprese cominciarono a decentrare un numero
crescente di lavorazioni a piccole aziende subfornitrici, costituite
spesso da ex operai e che, contemporaneamente, si assistette alla
nascita di numerose piccole aziende che si presentavano sul
mercato con un prodotto parzialmente modificato rispetto a quello
dell'impresa in cui lavorava in precedenza il neo-imprenditore.
Molte di queste nuove imprese sin dall’inizio decentrarono
numerose lavorazioni a subfornitrici esterne5.
L’industria metalmeccanica modenese si venne costituendo
secondo una rete di microimprese omogenee/complementari
arrivando ad assumere, quindi, in quegli anni una struttura
distrettuale.
4
L’industria metalmeccanica in provincia di Modena (1966-75), Comune di Modena, 1978,
pp.119-122.
5
A. Rinaldi, L’industria metalmeccanica nel Modenese (1945-1991), cit.
8
Anni ‘70
Tra il 1971 e il 1981 in provincia di Modena, l’industria
presentava un incremento di peso, relativo al totale, sia in termini di
popolazione attiva sia di valore aggiunto al costo dei fattori, diverso
dall’andamento regionale e, ancor più, da quello nazionale,
caratterizzato da un trend decrescente. Nell’area comunitaria, infine,
la dinamica decrescente assunta dall’industria rispetto ad altri settori
produttivi, si rivelava ancor più evidente.
Le diversità evolutive evidenziate per l’industria italiana nei
confronti di quella dei principali partners europei sembrano
riconducibili sia a differenze nel grado di sviluppo dell’apparato
produttivo nazionale, sia alle politiche monetarie nazionali degli
anni ’70 successive alla prima crisi petrolifera, tramite una
svalutazione strisciante della lira. Ulteriori elementi erano
rappresentati dall’utilizzo massiccio della CIG, quale strumento
improprio di politica industriale, nonché della strategia di
contenimento del costo del lavoro.
L’industria provinciale, unitamente al complesso delle attività
produttive, risentì favorevolmente di tali politiche in misura
maggiore rispetto alle aree ad antica industrializzazione. In un clima
di forte incertezza economica e finanziaria, la piccola dimensione
sperimentò una fase di significativo sviluppo.
L’evoluzione dell’industria modenese, nel periodo ‘71-’81,
appariva in netto contrasto con quella nazionale. Ma le attività
economiche, in cui nella provincia di Modena si riscontrarono i più
significativi incrementi di addetti e di unità locali, erano le stesse
rilevate al livello regionale e nazionale, anche se con variazioni
decisamente più sostenute. Infatti, le attività con variazioni negative
al livello nazionale assumevano connotazioni più attenuate in Emilia
e si presentavano con variazioni nulle o positive in provincia di
Modena.
L’apparato industriale provinciale visse, dunque, nel decennio
‘71-’81 un periodo di intenso rafforzamento, con variazioni nel
numero degli addetti e delle unità locali assai sostenute.
9
La forte crescita complessiva degli addetti e delle unità locali
realizzata nella provincia, presentava caratteri di sviluppo
industriale in parte analoghi a quelli in atto nell’Italia Nord-Est,
mentre la composizione settoriale dell’industria tendeva ad
assomigliare, almeno per quanto concerne una relativa
despecializzazione nei settori tradizionali, a quella dell’Italia del
Nord-Ovest.
Nel decennio ‘71-’81 le esportazioni provinciali presentavano
un incremento in termini reali di oltre il +200%, assai superiore al
dato nazionale (attorno al +90%). La politica adottata dall’industria
provinciale appariva caratterizzata da una propensione
all’esportazione assai più sostenuta di quella nazionale, tale da
collocarla al sesto posto tra le province esportatrici e caratterizzata
da politiche di ricerca di nuovi mercati decisamente più attive.
La ricerca di nuovi spazi stimolò la ricerca di maggiore
flessibilità, mediante la moltiplicazione di unità produttive ed il
ricorso ad una tecnologia polivalente nell’area dei prodotti
tradizionali, affinati in ragione della qualità del prodotto, del
marchio e del prezzo. Ma, a fianco di segnali positivi, convivevano
aspetti che indubbiamente richiedevano miglioramenti. Il livello
tecnologico dell’industria, in primo luogo, non era adeguatamente
elevato. Inoltre, sarebbe stato da valorizzare maggiormente il ruolo
delle attività di terziario avanzato (consulenza, marketing,
informatica, etc.), le cui funzioni in un sistema di piccole-medie
imprese era cruciale.
Per quel che riguarda il settore metalmeccanico, il peso relativo
del suo export si presentava in forte crescita (dal 19,8% nel 1971 al
44,5% del totale nel 1981). In particolare, si presentano forti gli
incrementi dell’export meccanico, dovuto per circa il 60% al
comparto macchine agricole, ad indicare una capacità di
spostamento verso settori a media tecnologia con mercati in
espansione.
I prodotti metalmeccanici si orientarono soprattutto all’esterno
dell’area CEE (nella quale veniva esportato nell’81 il 28,6% del
totale provinciale).
10
Il comparto meccanico, congiuntamente alla forte espansione
sui mercati esteri, presentava una consistente crescita occupazionale
e delle unità locali, segnalando una capacità competitiva in aumento
ed una ricerca di nuovi e più redditizi mercati. Tra il 1971 e il 1981
gli addetti al settore aumentarono del 45% e la potenza installata del
146%; il valore delle esportazioni crebbe in termini reali di circa
l’80%6. Alla notevole crescita del metalmeccanico nella città di
Modena corrispondeva un contesto di crescita del comprensorio
molto più consistente. Si era sviluppata, quindi, una tendenza
combinata di decentramento produttivo e di diffusione territoriale
dello sviluppo economico dalle aree centrali a quelle periferiche,
con conseguenti effetti di riequilibrio all’interno del territorio
comprensoriale. Tale evoluzione in parte era spontanea, cioè dovuta
a fattori endogeni ai vari settori, ma non bisogna dimenticare la
politica dell’ente pubblico indirizzata in questo senso7.
In questi anni, presero avvio altre politiche di intervento con
caratteristiche particolari. Innanzitutto, mostrarono una grande
attenzione alle piccole imprese. Inoltre, erano indirizzate non alle
singole imprese, ma la sistema di imprese e tendevano a dotare il
distretto delle capacità che esso, attraverso il mercato, non era
capace di procurarsi. Erano giocati più sulla capacità di iniziativa e
gestione che di rilevanti capacità di erogazione. Avevano, quindi, un
costo relativamente basso. Il pubblico si riservava la funzione di
iniziativa, di progettazione, gli investimenti iniziali e di controllo,
ma tutta la gestione era affidata alle associazioni di produttori e ai
privati. Questa collaborazione era faticosa, ma garantiva un forte
consenso sociale attorno alle iniziative degli enti locali. Tale
consenso da parte delle comunità interessate era ottenuto anche
grazie l’omogeneità politica, testimoniata dal fatto che il PCI
disponeva della maggioranza assoluta in tutta la provincia.
6
L’evoluzione della struttura industriale in provincia di Modena (1971-1981), Provincia di
Modena, 1985, pp. 95-101.
7
Insediamenti produttivi e sviluppo economico: “Il caso Modena”, Ufficio stampa del Comune
di Modena, 1993, p. 51.