4
Individueremo quindi le fasi di Inventio, Dispositio ed Elocutio, fino ad arrivare
allo studio dell’Actio. La nostra analisi crediamo possa mostrare come anche nei
discorsi politici moderni, sia possibile individuare quella struttura che Aristotele ha
indicato come basilare per il testo argomentativo.
5
1.Capitolo 1 La Retorica
1.1. Cenni storici
La retorica è un’arte coltivata fin dai tempi più antichi: fra i primi studiosi di
retorica va ricordato Gorgia di Leontini, che nel 427 a.C. si trasferì ad Atene, dove
si dedicò con Trasimaco e con altri sofisti e retori all’arte del bel dire e della prosa
elegante. Egli considerò la retorica come l’arte dell’allettare con dolcezza di suoni e
armonia di ritmi, l’arte di scrivere in prosa che della poesia abbia le cadenze e le
soavità. Dalla sua scuola proviene Isocrate, che perfeziona la struttura sintattica e
ritmica del periodo. Anche Aristotele si inserisce nel dibattito sull’identità e le
caratteristiche della retorica, già vivo tra i sofisti e Platone, e le riconosce una
funzione specifica, in stretta connessione con la dialettica e come sua “controparte”.
Secondo Aristotele la retorica è “la facoltà di considerare in ogni caso i mezzi
disponibili di persuasione
1
”; la retorica così definita dal filosofo greco è stata
prevalente per molti secoli
2
. Gli allievi del filosofo coltivano l’ars rhetorica del
maestro introducendo la suddivisione dei tre stili (alto, medio e tenue) e il
complesso sistema di tropi (o figure del pensiero) e di parole, di allegorie, metafore,
trasposizioni.
Si viene, d’altra parte, accentuando nel corso del tempo, l’ostilità tra retori e
filosofi, che rimproverano ai primi il fatto che la retorica sia caduta in un vuoto
1
Aristotele, Retorica, I, II, 1355 b 2.
2
Cfr. N. Abbagnano, Dizionario di Filosofia, 1971 ed. UTET, Torino p.988.
6
formalismo, che diventa predominante quando il venir meno dell’indipendenza
politica delle città fa della retorica politica un puro gioco.
Anche a Roma la retorica si afferma tra le arti educative. Ai Romani interessa
specialmente la retorica come strumento nel campo forense e politico; essi cercano
in Grecia dei maestri dai quali imparare un’arte che viene poi “trapiantata” e
adattata alla pragmatica mentalità romana. A Roma il massimo esponente della
retorica è senza dubbio Cicerone, il quale è pure un grande teorico delle regole e
degli stili, che studia minuziosamente in una serie di opere (De Inventione, Orator,
De oratore, Brutus). Cicerone ha un alto concetto della retorica, per lui l’oratore
deve essere anche filosofo e uomo politico, deve specialmente saper riconoscere gli
argomenti che meritano orazione e distinguere ciò che è manipolatorio da ciò che è
persuasivo, conoscere, studiare e meditare per poter affinare le sue doti: “Neque
vero mihi quicquam" inquit "praestabilius videtur, quam posse dicendo tenere
hominum [coetus] mentis, adlicere voluntates, impellere quo velit, unde autem velit
deducete […]
3
”.
Con l’affermarsi del principato, la retorica politica decade a puro esercizio
formalistico, tanto che già Seneca propone la filosofia come asse della formazione
dell’uomo di cultura del suo tempo; nuova centralità alla retorica viene in seguito
restituita da Quintiliano, il primo maestro di retorica stipendiato da Vespasiano
4
.
Anche l’elaborazione e la diffusione della cultura cristiana si avvalgono della
retorica di derivazione greca, sia in oriente – con l’apporto della cultura giudaica e
3
“Né in verità a me niente sembra più bello, trattenere le menti degli uomini, allettare le loro
volontà, spingerli dove uno voglia, da dove voglia distoglierli […]”, Cicerone, De Oratore, I, 30-34.
4
Cfr. R. Barthes, L’ancienne rhétorique, trad. it. di Paolo Fabbri, Milano 1980, pp. 22-24.
7
bizantina – sia in occidente, dove i grandi scrittori e filosofi come Tertulliano e
Agostino innalzano la retorica a strumento di espressione della Verità
5
.
Nel Medioevo l’interesse per la retorica, spesso confusa con la grammatica, è
sempre vivo, anche perché la prosa medioevale obbedisce alle regole del cosiddetto
“cursus”, cioè delle finali ritmiche dei periodi; la retorica diventa così l’arte dello
stile e del “bel” dire.
Con l’Umanesimo trionfa di nuovo, invece, la retorica classica, e Cicerone diventa
il maestro dei prosatori, come Virgilio quello dei poeti. Dopo la fioritura dell’età
rinascimentale le sorti della retorica decaddero sino ad una quasi completa eclissi
nel secolo XIX, per il prevalere del razionalismo scientifico. Dopo la retorica
barocca del Seicento e l’esperienza neoclassica, si passa alla posizione
“antiretorica” del Romanticismo, che è naturalmente contrario a ogni forma di
retorica accademica in quanto considerata come un freno alla libera espressione
dell’ispirazione individuale e coinvolta nell’insofferenza per la tradizione
classicistica. Nel secolo seguente, con De Sanctis prima e con Croce
6
poi, la
retorica viene definitivamente separata dall’arte e considerata semplicemente una
disciplina propedeutica o un mezzo per saper scrivere, ma non per scrivere
artisticamente; essa infatti è considerata un ostacolo alla libera espressione
dell’“intuizione lirica”.
Dopo la prima metà del Novecento ci fu il ritorno alla concezione della retorica
come teoria del discorso persuasivo, che ha nell’argomentazione il suo fulcro e la
sua ragione d’essere. Questa ripresa “positiva” dell’arte retorica è da attribuirsi in
gran parte agli studi di Chaïm Perelman, a partire dagli anni Cinquanta del
5
“Due sono le cose su cui si basa ogni trattato delle Scritture: il modo di trovare le cose che occorre
comprendere e il modo di esporre le cose comprese; parleremo quindi prima del modo di trovare e
poi del modo di esporre.” Sant’Agostino, La Dottrina Cristiana, libro IV.
6
“Le categorie retoriche debbono, di certo, seguitare a comparire nelle scuole: per esservi criticate.”
B.Croce, Breviario di Estetica: quattro lezioni, 1912.
8
Novecento. Lo studioso belga, infatti, attua un moderno ritorno alle teorie classiche
e soprattutto di matrice aristotelica; egli propone una “nuova retorica”, una teoria
dell’argomentazione che si ispira direttamente ed esplicitamente ad Aristotele. La
retorica che Perelman propone ha per oggetto lo studio delle argomentazioni miranti
all’accettazione o al rifiuto di una tesi in discussione e le condizioni della
presentazione delle argomentazioni stesse ad un uditorio
7
.
E’ chiaro quindi come la retorica aristotelica sia ancora base e fonte per studi
retorici e argomentativi moderni. Aristotele, sottolineò in particolare che fulcro
dell’arte oratoria è la creazione di un legame, di una fides (o pistis) che coinvolge
tutti i fattori della comunicazione: il parlante, l’ascoltatore e il discorso. La retorica
vuole essere la tecnica attraverso la quale si persuade, l’adesione che il parlante
ottiene con il suo dire, un’adesione non meccanicizzata o manipolatoria, ma
un’adesione che risponde alle esigenze della ragione. La ragione non sarà perciò
persuasa se non ritrova un legame del discorso col vero, con la realtà. La
comunicazione per Aristotele è la persuasione stessa, impedire a qualcuno di parlare
significa impedire non solo la comunicazione, ma la dinamica stessa della
persuasione, si impedisce insomma una qualsiasi forma democratica di società e
comunità. Oggi il problema retorico più sentito è proprio riguardo a questa
concezione di comunicazione; non si riesce più a distinguere ciò che è bello, vero, e
quindi persuasivo, da ciò che vuole attrarre senza dire il vero, e che, come per i
sofisti, si basa solamente su un criterio pragmatico dell’utile: il bene e il vero
perdono il loro significato, per piegarsi al potere e alla vittoria. Oggi è facile
ritrovare testi e discorsi che seguono chiaramente una struttura aristotelica, ma che
evitano, o cercano di evitare, il legame fondamentale con la verità. Un discorso
7
Cfr. Ch. Perelman, L. Olbrechts-Tyteca, Traité de l’argumentation, Presses Universitaires de
France; trad. It. di C. Schick, M. Mayer, E. Barassi, Trattato dell’argomentazione: la nuova retorica,
Torino 1966.
9
manipolatorio può infatti nascondersi dietro una facciata persuasiva, celando il falso
dietro una maschera di verità. Studiando e facendo ricerche per questo nostro
lavoro, abbiamo potuto notare come la dinamica manipolatoria si realizzi
frequentemente attraverso l’affermazione: “Se qualcosa è bene per me, è
sicuramente bene anche per te”. Il problema è capire se questo bene sottostà alle
dinamiche della manipolazione o no, capire se c’è un interesse vero dell’oratore al
destino dell’ascoltatore. La manipolazione infatti “[... ] opera secondo la stessa
dinamica del peccato. Peccato ogniqualvolta un essere non segue il suo destino, il
suo bene [...]”
8
, l’oratore può far sembrare il bene di un singolo, il suo bene, come il
bene della comunità, maschera così la manipolazione mostrando un falso interesse
al destino di chi ha davanti, della totalità degli uditori. Si passa dalla persuasione,
cioè “[...] una sorta di dimostrazione, fondata sul Οóγoζ, sul ragionamento”
9
, che
cerca di instaurare un legame vero con il pubblico, una fides che porti al bene e al
vero, a una forma di manipolazione “[...] un ‘peccato retorico’, un ammaliamento,
un’attrattiva esercitata non per il bene dell’altro, ma che per attrarre deve avere in sè
un bene piccolo, che fuorvia dal bene grande”
10
. Il discorso politico forse è il testo
dove è più difficile distinguere nettamente queste due dinamiche, persuasione e
manipolazione, essendoci un solo uomo che parla a una nazione intera e che cerca
di instruire, convincere, orientare ed educare un popolo. Gli Stati Uniti d’America
vengono considerati come il paese più potente del mondo, di conseguenza chi ne è a
capo risulta l’uomo politicamente più influente, un uomo che parla non solo alla sua
nazione, ma che, indirettamente o direttamente, si rivolge al globo intero. Questo
potere, questa enorme autorità, portano un uomo ad assumersi delle responsabilità
rilevanti, un uomo che, eletto democraticamente, deve portare, atteaverso le sue
8
E. Rigotti, Lezioni di linguistica generale, Milano 1997, Edizioni CUSL, p. 249.
9
Ibidem, p. 239.
10
Ibidem, p. 249.
10
parole, il popolo al bene, fargli seguire il suo destino, funzioni che già Aristotele
aveva riconosciuto. Un presidente, ma quindi un uomo che deve saper discernere e
riconoscere cosa sia bene per milioni di persone e cosa non lo è. Egli potrà
persuadere o mascherare una manipolazione; il nostro studio vuole sottolineare
come per arrivare a fare ciò il discorso politico americano si basi ancora sulle
categorie retoriche in dividuate da Aristotele, come la retorica sia ancora un’arte
viva e presente e come, anche se attraverso analisi e sviluppi più diversi, si ispiri
ancora al filosofo greco.
Nel paragrafo seguente introdurremo il pensiero di Aristotele riguardo alla lingua e
al suo uso, presentando l’opera dedicata all’arte retorica e, infine, mostrando e
spiegando le quattro categorie fondamentali individuate dal filosofo.
1.2 La retorica di Aristotele
La Retorica si colloca nell’ultimo periodo della vita di Aristotele, e fu scritta dopo
la Poetica, durante l’ultimo viaggio ad Atene del filosofo greco. In generale le
opere di Aristotele sono di due generi: quelle destinate alla diffusione presso il
pubblico, che egli stesso definisce “essoteriche” (cioè rivolte all’esterno,
pubblicate); quelle concepite per l’uso interno della scuola, redatte in forma di
lezioni o di appunti, definite “esoteriche” (cioè destinate all’interno) o
“acromatiche” (cioè destinate all’ascolto). Anche se potrebbe sembrare il contrario,
le prime si sono perdute e se ne conservano solo frammenti, mentre al secondo
gruppo appartengono le opere che si sono conservate: la Retorica è una di queste.
11
L’opera è divisa in 3 libri: nei libri I e II vengono trattate e analizzate le fonti da cui
si ricavano le prove, cioè i mezzi di persuasione nel discorso pubblico; nel libro III
viene trattato lo stile e la disposizione delle parti del discorso.
1.2.1 Libro I (1354 a - 1377 b)
Il Libro I è “[…] il libro dell’emittente del messaggio, il libro dell’oratore […]”
11
.
Esso può essere diviso in due macro strutture: (a) l’introduzione, la definizione e la
divisione della materia; (b) gli argomenti della retorica: (b.1) deliberativa, (b.2)
epidittica, (b.3) giudiziaria.
Aristotele da subito definisce l’oggetto di studio dell’opera confrontando dialettica
e retorica: le due tecniche si configurano come complementari, che si assomigliano
senza essere uguali
12
. Il filosofo prosegue delineando la possibilità di creare un
metodo rigoroso per la retorica, che egli trova a partire da una attenta critica delle
tecniche retoriche del passato. Aristotele prosegue studiando l’entimema
(enthymema) e dandone una prima definizione
13
, delinea poi vari ambiti in cui ha
utilità la retorica: la qualità specifica della retorica consiste così nella facoltà di
rinvenire per qualsiasi argomento i mezzi di persuasione reali e apparenti.
Aristotele dunque, dopo aver definito i confini della disciplina, ne dà una prima
definizione
14
passando poi a dimostrare le relazioni dell’ars oratoria con dialettica,
11
R. Barthes, Op. cit., p. 21.
12
“La retorica è analoga alla dialettica: entrambe riguardano oggetti la cui conoscenza è in un certo
qual modo patrimonio comune di tutti gli uomini e che non appartengono a una scienza
specifica.[...]” Aristotele, Ret., I 1354 a.
13
Aristotele, Ret. I 1355 a.
14
“[…] è inoltre evidente che la sua funzione non è persuadere, ma individuare in ogni caso i mezzi
appropriati di persuasione […]” Aristotele, Ret, 1355 b.
12
etica e politica. Dopo aver studiato tecniche e non-tecniche di persuasione, il
filosofo riprende il concetto di entimema
15
differenziandolo dall’esempio.
Nell’ultima parte della prima macro-struttura l’autore studia tre tipi distinti di
retorica e il loro fine, in funzione dell’uditorio e del tempo cui si riferiscono: il tipo
deliberativo, giudiziario, epidittico
16
.
(b) La seconda parte del Libro I prende in considerazione nel particolare i tre tipi di
retorica. Aristotele comincia con la retorica deliberativa
17
mostrandone gli
argomenti: politici ed etici. Passa poi a delineare la retorica epidittica che ha come
scopo quello di dimostrare l’eccellenza di una persona o di una cosa, la virtù e il
bello. Per ultima l’autore descrive la retorica giudiziaria, cioè come accusare e
come poter difendere qualcosa o qualcuno, il filosofo entra perciò in ambito
strettamente processuale analizzando i poteri del discorso
18
.
1.2.2 Libro II (1377 b – 1403 b)
Il Libro II è: “il libro del ricevente del messaggio, il libro del pubblico: vi si tratta
delle emozioni (delle passioni) e di nuovo delle argomentazioni, ma questa volta in
quanto sono recepite (e non più, come prima, concepite)”
19
. Questo secondo libro
può, come il primo, essere suddiviso in quattro macro strutture: (a) l’introduzione;
(b) le emozioni; (c) il carattere; (d) le forme dell’argomentazione logica.
15
“Definisco entimema un sillogismo retorico, esempio un’induzione retorica.” Aristotele, Ret, I
1356 b.
16
Aristotele, Ret., I 1358 a – 1359 a.
17
“Dell’oratoria deliberativa fanno parte tanto l’esortazione quanto la dissuasione [...]”. Aristotele,
Ret., I 1358 b 7.
18
Aristotele, Ret., I 1368 b.
19
R. Barthes, Op. cit., p. 20.