L’erosione patrimoniale nella Zona Monumentale di Patan, Valle di Kathmandu Patrimonio dell’Umanità
PREMESSA
7
conservazione ed erosione patrimoniale della Zona Monumentale di Patan, utile alla
formulazione di una proposta di riperimetrazione della Zona Monumentale stessa.
Il lavoro è articolato in cinque capitoli ed è corredato in allegato da cinquanta
schede di dettaglio e dieci tavole. Da un’analisi generale della conservazione del
patrimonio culturale nei Paesi in Via di Sviluppo lo studio affronta la realtà della
Valle di Kathmandu in relazione al suo status di Sito Patrimonio dell’Umanità,
concentrandosi in dettaglio nella Zona Monumentale di Patan. Da qui, un’analisi
qualitativa del fenomeno erosivo è stata completata dalla valutazione del livello di
erosione patrimoniale tramite i dati raccolti ed elaborati con il GIS, ed ha portato
alla proposta finale di riperimetrazione della Zona Monumentale.
Le numerose difficoltà riscontrate sul campo di lavoro nepalese possono
aver dato luogo ad alcune incertezze o imperfezioni riscontrabili anche nella
redazione finale. Esse testimoniano il carattere sperimentale della ricerca, la tenacia
e la volontà di riuscire a terminarla nonostante la scarsità di mezzi a disposizione in
un contesto estremamente complesso come quello della Valle di Kathmandu.
CAPITOLO 1
Quadro generale
L’erosione patrimoniale nella Zona Monumentale di Patan, Valle di Kathmandu Patrimonio dell’Umanità
CAP. 1 QUADRO GENERALE
9
1.1 La conservazione del patrimonio culturale nei PVS
Lo scenario dei Paesi in Via di Sviluppo presenta fattori particolari che
richiedono tecniche di analisi e operative distinte da quelle usuali.
1
Le
problematiche e gli ostacoli che si frappongono alla realizzazione di una politica di
conservazione e restauro rimandano immediatamente alle più generali questioni che
caratterizzano queste aree, in cui le pressanti priorità di sviluppo sociale ed
economico appaiono incompatibili con iniziative culturali considerate di secondaria
importanza.
I problemi che emergono non sono sempre di tipo conservativo, di restauro,
di ricostruzione filologica ma di ordine ben più vasto, abbracciando la sfera
economica, politica e sociale. Le condizioni che incidono su ciascuna situazione
possono variare enormemente, le soluzioni applicabili in un Paese possono non
esserle in altri, bisogna mettere a punto strumenti su misura della specifica realtà,
evitando di replicare esperienze realizzate altrove. Il concetto stesso di patrimonio
2
,
quale bene prezioso da conservare e valorizzare, è di recente importazione europea
e il suo carattere universale è messo facilmente in discussione nel momento in cui
deve confrontarsi con realtà e sistemi culturali profondamente differenti, in cui
pratiche tradizionali e rituali religiosi appaiono incompatibili con le istanze
conservative attuali
3
.
In generale, un difficile ostacolo da superare riguarda lo scarso
apprezzamento che gli stessi abitanti del luogo dimostrano nei confronti del
patrimonio storico e delle tradizioni culturali locali. Infatti in molti Paesi i rapidi
1
Per una trattazione generale dell’argomento vedi: M. BALBO, Povera Grande Città. L’Urbanizzazione nel
Terzo Mondo, Franco Angeli, Milano 1992; M. BALBO, L’Intreccio Urbano. La Gestione della Città nei Paesi in
via di Sviluppo, Franco Angeli, Milano 1999; M. BALBO (A CURA DI), La Città Inclusiva. Argomenti per la Città
dei PVS, Franco Angeli, Milano 2002; D. DRAKAKIS-SMITH, Third World Cities, Routledge, London 2000;
2
Cfr CHOAY, F., 1992.
3
Gli esempi di “living monuments” in questi paesi abbondano. Per esempio nel mondo buddhista coloro che
contribuiscono alla manutenzione degli edifici religiosi riceveranno benifici nella futura reincarnazione.
Purtroppo le pratiche manutentive divergono nettamente da quelle conservative contemporanee e spesso
risultano disastrose per la conservazione dell’edificio. Vedi THE GETTY CONSERVATION INSTITUTE, Asia’s Past.
Preservation of Architectural Heritage of Asia, Miguel Angel Corzo Editor, Los Angeles 1995
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CAP. 1 QUADRO GENERALE
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cambiamenti politici e sociali che hanno fatto seguito all’indipendenza nazionale
hanno determinato un rigetto dell’immediato passato coloniale e della loro eredità
culturale. Soprattutto nei Paesi africani dove spesso la maggior parte del patrimonio
edificato è costituito da edifici o strutture urbane costruite dai colonizzatori europei
per l’esclusiva soddisfazione dei loro bisogni di conquista e di sfruttamento:
fortezze e caserme per le truppe, depositi e magazzini per il commercio di merci e
schiavi, palazzi per i governatori, o semplici abitazioni per commercianti e
funzionari, chiese e conventi per la dominazione culturale.
4
Queste strutture, pur
testimoniando un periodo doloroso per la recente storia di questi Paesi, non solo
sono un importante testimonianza storica dell’architettura occidentale, ma sono
utili, funzionali e soprattutto compatibili con le moderne esigenze. La sua
conservazione viene vista come un’attività dispendiosa e non è facile dimostrare
come i programmi di recupero edilizio possono collegarsi ad iniziative che
generano occupazione e nuove fonti di reddito, contribuendo in tal modo alla
crescita delle comunità interessate ed incoraggiandone le capacità di autosufficienza
economica.
Inoltre la tacita accettazione dei contemporanei modelli di importazione
occidentale, considerati simbolo di affluenza e progresso economico, hanno
determinato il rifiuto delle condizioni di vita e della cultura indigena, generalmente
associata all’idea di povertà, arretratezza e ignoranza. Un simile atteggiamento non
è del resto estraneo alla stessa esperienza europea, dove tanta parte del patrimonio
storico è stata sacrificata, soprattutto fra il dopoguerra e gli anni sessanta, nel nome
della modernità e del progresso economico.
Comunque l’ostacolo più evidente è rappresentato dall’assenza pressoché
totale di leggi di tutela e di specifici strumenti urbanistici per l’intervento sull’edilizia
esistente, nonché la cronica mancanza di fondi. Anche in questo caso occorre
studiare a fondo la situazione locale, alla ricerca di possibili canali di finanziamento
4
Cfr F. SIRAVO, Recupero Edilizio e Riqualificazione Urbana a Lamu, Kenya, in M. BALBO (A CURA DI), La
Città degli Altri. La Riqualificazione Urbana nei Paesi in via di Sviluppo, Cluva Editrice, Venezia 1989
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alternativo che in genere si trovano in settori complementari a quello del recupero
edilizio che possono però legarsi alle sue finalità con opportune iniziative e
programmi. quali la formazione professionale, l’occupazione, la dotazione
infrastrutturale, il supporto ad attività artigianali e così via.
Un ruolo fondamentale è giocato dal turismo internazionale, le cui
dimensioni negli ultimi decenni sono cresciute notevolmente e il cui mercato ha
visto l’ingresso di molti Paesi in Via di Sviluppo, per molti dei quali oggi l’industria
turistica costituisce la principale risorsa economica nazionale. L’interesse del
mercato per un’area e per una cultura può spingere i locali verso la riscoperta della
propria eredità culturale rafforzando il senso d’identità di una comunità e l’orgoglio
di appartenervi, oltre che stimolare supporto politico e finanziario per la gestione e
conservazione del patrimonio. Tutto ciò ha comunque una serie di impatti sul paese
di ordine ambientale, economico, sociale e culturale e spesso ha indubbie
responsabilità nella rapida erosione del patrimonio storico nazionale.
Comunque negli ultimi anni le scienze della conservazione stanno sempre
più assumendo una propria autonomia in alcuni dei paesi in via di sviluppo.
Terminata infatti, la fase coloniale dove istituzioni ed esperti dei Paesi sviluppati
intervenivano nei Paesi terzi, è stata avviata una fase nazionale, dove esperti
nazionali proteggono il patrimonio del loro paese. L’importanza della
conservazione dei beni del paese come fattore di sviluppo dovrebbe essere il modo
in cui la gente si confronta con la propria eredità culturale, piuttosto che viverla
come un ostacolo. La partecipazione della comunità è essenziale tanto nei processi
di sviluppo quanto nella conservazione del proprio patrimonio. Anche se la
conservazione ha un suo costo rilevante, non è pensabile che le agenzie
internazionali continuino a supportare interventi nei Paesi in Via di Sviluppo.
L’economie emergenti di molti di questi Stati, dovrebbero prevedere un’apposita
voce nel bilancio nazionale; adesso gli investimenti più rilevanti vengono
concentrati sull’industria turistica e i pochi interventi di conservazioni dei siti
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CAP. 1 QUADRO GENERALE
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culturali sono finalizzati solo al ritorno turistico. Bisognerebbe fondare le politiche
su una maggiore attenzione e considerazione per i valori della cultura nazionale e su
un maggior interesse per una dimensione di continuità all’interno di condizioni che
vanno mutando con estrema rapidità.
Comunque appare chiaro che l’eredità culturale costituisce un pesante onere
per i Paesi terzi, i cui deboli apparati amministrativi faticano a trovare un equilibrio
fra le necessità di tutelare l’edilizia storica e quella di rispondere ai bisogni di una
società in rapida trasformazione. Nei prossimi anni, senza un’attenta pianificazione
e una oculata gestione dei beni disponibili, si rischia una rapida ed irreversibile
distruzione non solo del patrimonio storico, ma degli stessi assetti ecologici che
garantiscono la stabilità e la sopravvivenza delle popolazioni insediate, con costi
sociali ed economici incalcolabili per le rispettive comunità nazionali.
1.1.2 Centri storici e sviluppo demografico
Uno degli aspetti più rilevanti delle trasformazioni che interessano i Paesi in
Via di Sviluppo da qualche decennio è sicuramente il fenomeno
dell’urbanizzazione
5
, dovuto sia all’elevato tasso di incremento naturale della
popolazione, sia alla persistenza di un movimento immigratorio dalle aree rurali: “In
tutto il Terzo Mondo la città costituisce ormai l’elemento intorno cui si snoda, o si infrange, ogni
tentativo di uscire dal sottosviluppo: sulla città si riversa la maggior parte delle risorse; nella città si
genera la maggior quota di ricchezza nazionale; alla capacità di governare le trasformazioni e il
funzionamento sono legate le prospettive di crescita di un paese, economica, sociale, tecnologica,
culturale, politica.”
6
Il fenomeno, con ritmi diversi da regione a regione, ha portato ad
un aumento considerevole della popolazione urbana, rendendo sempre più urgente
5
Secondo le stime delle Nazioni Unite, nel 2025 due terzi della popolazione mondiale vivrà nelle città. Nel 2015
il pianeta conterà 33 metropoli con più di 8 milioni di abitanti, delle quali 18 saranno in Asia, 6 in America
Latina, 3 negli Stati Arabi, 2 nell’Africa sub-Sahariana. Dati ONU, 2002.
6
M. BALBO, Povera Grande Città. L’Urbanizzazione nel Terzo Mondo, Franco Angeli, Milano 1992.
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la “domanda di città” contro una quantità di risorse, sia pubbliche che private, del
tutto insufficienti a farvi fronte, oltre che spesso in vistosa diminuzione.
Non è difficile immaginare lo spessore delle trasformazioni culturali e sociali
che si sono inevitabilmente accompagnate a mutamenti demografici e territoriali di
tale portata. Il progressivo aumento dei poveri urbani e il loro spostamento verso le
aree centrali, là dove vi è una qualche dotazione di servizi e infrastrutture, ha
causato l’aumento delle densità abitative in tali zone, aggravando la già
problematica situazione della città storica
7
. I vecchi abitanti si trasferiscono nelle
nuove periferie, allentando i legami tribali o parentali o di casta che costituivano il
tessuto su cui si reggevano molte delle società tradizionali, mentre i nuovi poveri
costruiscono abitazioni precarie negli spazi liberi o tra le rovine delle vecchie
abitazioni. Aree dotate di una grande ricchezza storica e culturale riversano in una
grave situazione di fatiscenza e degrado, segnate da una marcata povertà economica
e sociale, una sorta di periferia interna in una struttura urbana che si espande come
sommatoria di parti molto diverse, pianificate o spontanee (e spesso abusive)
8
.
Le minaccie al patrimonio non derivano soltanto dall’abbandono cui parte di
esso è lasciato ma anche dalle trasformazioni cui è soggetto. I rapidi cambiamenti
dovuti all’aumento di popolazione, allo sviluppo del turismo, rischiano di
compromettere non solo il delicato equilibrio ambientale ma anche l’edilizia storica.
Un esempio potrebbe essere la frequente e improvvisata trasformazione in case
albergo degli edifici tradizionali, attuata con l’obiettivo di realizzare il maggior
numero possibile di camere d’affitto e senza alcun riguardo per il carattere storico
degli edifici. Sotto la spinta della modernizzazione, inoltre, gli spazi abitativi
tradizionali sono considerati inadeguati e obsoleti per le accresciute necessità di
spazio e privacy all’interno dei nuclei familiari. Ciò determina una serie di radicali
7
Cfr F. CARRION, Centri Storici e Attori Patrimoniali, in M. BALBO (A CURA DI), La Città Inclusiva. Argomenti
per la Città dei PVS, Franco Angeli, Milano 2002.
8
“La città del Terzo Mondo è, ovunque, una città “illegale”, dove cioè gran parte della gente lavora, costruisce,
vive al di fuori delle regole; il comun denominatore è proprio la distanza che separa la capacità che lo stato ha
di pianificare, costruire e gestire una città di “diritto” da quella che è la città “di fatto”. M. BALBO, Povera
Grande Città. L’Urbanizzazione nel Terzo Mondo, Franco Angeli, Milano 1992.
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trasformazioni che iniziano con modifiche e suddivisioni interne e culminano con
l’aggiunta di quarti e quinti piani, al di sopra di fondazioni originariamente
predisposte per strutture di due o al massimo di tre piani. Queste trasformazioni
sono spesso realizzate senza un progetto prestabilito e senza un adeguato supporto
tecnico. Inoltre, l’introduzione di nuovi modelli edilizi e materiali da costruzione,
rende tali modifiche incompatibili non solo con il carattere storico degli edifici ma
anche con il clima e con le tecniche edilizie locali. I nuovi spazi residenziali
finiscono così per essere sempre più congestionati e sempre meno confortevoli,
oltre che insoddisfacenti sotto il profilo tecnico e strutturale. Il pericolo maggiore è
tuttavia rappresentato dal proliferare di nuove costruzioni e di incontrollate
trasformazioni edilizie, dall’alienazione delle zone di proprietà pubblica e dalla
progressiva erosione degli spazi liberi tradizionalmente destinati ad altre attività,
determinate dalla crescente spinta al reperimento di nuove aree edificabili. Una
buona parte del patrimonio architettonico e urbano è andato già perduto e tutto
quello che rimane apre problematiche complesse e nuove per gli operatori.
Non si tratta soltanto della tutela e salvaguardia di centri storici, del mero
recupero di un patrimonio edilizio degradato, di un bene economico prezioso in
situazioni di così marcata penuria di risorse. La riqualificazione della città esistente
va collocata nel contesto di una struttura urbana sempre più frammentata,
discontinua e complessa. Un’attenta pianificazione deve conciliare le istanze
conservative con le necessità di una popolazione in costante crescita, con il
progressivo impoverimento e con l’erosione delle risorse e degli spazi disponibili.
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1.2 La Convenzione per il Patrimonio dell’Umanità
Le rapide trasformazioni sociali, economiche e ambientali che interessano il
pianeta da qualche decennio a questa parte e che, tra altre cause, minacciano
seriamente il patrimonio culturale e naturale dell’umanità intera e la considerazione
che spesso le risorse nazionali non sono sufficienti a garantirne l’adeguata
protezione, spinse la Conferenza generale dell’UNESCO, riunitasi a Parigi nel
Novembre 1972, ad adottare La Convenzione Riguardante la Protezione del Patrimonio
Culturale e Naturale dell’Umanità
9
, che promuove l’identificazione, la protezione e la
salvaguardia dei beni culturali e naturali considerati di eccezionale valore per
l’umanità. La Convenzione è oggi, tra tutti gli strumenti giuridici internazionali di
tutela quello che ha il maggior numero di aderenti: ben 178 Stati
10
(su 190
11
che
aderiscono alle Nazioni Unite) l’hanno fino ad ora ratificata, sposandone i principi
e accettandone gli indirizzi di salvaguardia.
La prima azione di cooperazione internazionale atta a preservare un bene di
inestimabile valore sorse in seguito alla decisione di edificare la diga di Assuan sul
fiume Nilo in Egitto che avrebbe inevitabilmente sommerso una vasta area di terra
emersa sulla quale trovavano posto i templi d Abu Simbel, un sito archeologico di
valore unico, testimonianza di un particolare periodo storico della millenaria civiltà
egizia. Nel 1959, dopo un appello dei governi del Sudan ed Egitto, l’UNESCO,
decise di lanciare una campagna internazionale che raccolse 80 milioni di dollari tra
50 paesi, che permise di smantellare i templi minacciati e di ricomporli nelle loro
medesime fattezze in luogo adiacente ma più adatto. André Malraux, ministro
francese della Cultura dell’epoca, disse che attraverso questo progetto la prima civiltà
del mondo dichiara pubblicamente che l’arte mondiale è un patrimonio indivisibile.
La Convezione per il Patrimonio traeva la sua ispirazione dalla sinergia
internazionale di questo grande progetto, al quale ne seguirono altri promossi
9
UNESCO, Convention Concerning the Protection of the World Cultural and Natural Heritage, Paris 1972
10
Dato relativo al 1 Maggio 2004. Fonte: UNESCO, World Heritage Centre, Parigi.
11
Dato relativo al 1 Ottobre 2003. Fonte: UNESCO, Parigi.
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dall’UNESCO durante gli anni ’60 per tutelare tesori come Venezia, la città di
Menjodaro in Pakistan, i templi buddisti di Borobodur in Indonesia. Nel 1965, negli
Stati Uniti venne organizzata una conferenza alla Casa Bianca nella quale emerse la
proposta di creare una Fondazione Mondiale che incoraggiasse la collaborazione
internazionale per la tutela delle zone del mondo caratterizzate da natura e paesaggi
straordinari, nonché da siti storici, a favore delle generazioni presenti e future di
tutto il mondo. Michel Batisse, all’epoca Vice Direttore Generale per le Scienze
dell’UNESCO, definì come “profondamente innovativa” l’idea di redigere un testo
giuridico unico per la tutela e la protezione dei patrimoni culturali e naturali
dell’umanità.. Successivamente alla Conferenza delle Nazioni Unite sull’Ambiente
Umano tenutasi a Stoccolma nel 1972, e grazie al lavoro di gruppi di esperti che
hanno coinvolto il World Conservation Union (IUCN), l’International Council on
Monuments and Sites (ICOMOS) e l’UNESCO, è stato possibile riunire insieme tutte
le proposte e i contributi dando vita alla Convenzione per il Patrimonio dell’Umanità.
A più di trent’anni di distanza le ragioni del suo successo vanno forse
ricercate nell’eccezionalità stessa del concetto di patrimonio mondiale e nella sua
universale applicazione: l’eredità culturale e naturale di ciascun Stato appartiene a
tutta l’umanità, a prescindere dal territorio in cui si trova. La protezione di tale
inestimabile patrimonio è dovere di tutta la Comunità internazionale nel rispetto
delle sovranità nazionali e delle proprietà degli Stati a cui appartiene. Senza
l’appoggio della comunità internazionale molti beni di incalcolabile valore
potrebbero deteriorarsi e quindi scomparire solo a causa della mancanza dei mezzi
che possono preservarli. Inoltre per la prima volta vengono correlati in un unico
documento il concetto di difesa della natura con quello di conservazione del
patrimonio culturale
12
, sottolineando come l’uomo interagisce con l’ambiente che lo
circonda nella formazione della sua identità culturale e ribadendo la necessità di
12
L’emblema stesso del Patrimonio dell’Umanità è espressione di questa caratteristica: un quadrato, prodotto
dell’uomo, è inscritto e intimamente legato ad un cerchio che rappresenta la natura ed il mondo stesso, simbolo
di protezione.
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mantenere una giusta bilancia tra i due. La nozione di patrimonio eccezionale invece
appare un po’ limitante, in quanto si basa su un criterio non quantificabile che
spesso da luogo a non poche interpretazioni errate e fraintendimenti. Il fatto che un
sito culturale o naturale non entri a far parte della lista del patrimonio non significa
assolutamente che non meriti di essere conservato e preservato. La Convenzione
richiama l’impegno degli Stati membri a preservare tutti i beni di interesse locale e
nazionale e ad identificare e quelli di interesse universale. Ogni sito iscritto
probabilmente ne esclude un altro, e la sua eccezionalità non trova giustificazione
se non in relazione con tutto il contesto storico, artistico, paesaggistico del
territorio nel quale si trova. Purtroppo un diffuso atteggiamento tende soltanto a
considerare il numero dei siti iscritti come un indice di prestigio internazionale,
senza che i criteri e lo spirito della Convenzione sia ben interpretato dagli stati
stessi.
Comunque sono indubbi i risultati raggiunti dalla Convenzione che oggi
estende la sua tutela a 788 Siti
13
, testimoniando l’estrema ricchezza e varietà dei
tesori naturali e culturali della Terra. Essa ha guadagnato prestigio in tutte le parti
del mondo, diffondendo una nuova coscienza fortemente legata alla propria eredità
culturale e naturale e ampliando il concetto stesso di patrimonio. E’ uno strumento
vivo, in continua evoluzione, che negli anni ha mirato attraverso una Strategia
Globale
14
a equilibrare e diversificare l’Elenco dei Siti inscritti, incoraggiando i Paesi
non sufficientemente rappresentati a nominare un maggior numero di siti e ad
identificare nuove categorie di beni. Con la crescita della Convenzione però sono
anche aumentati i pericoli che minacciano tale patrimonio, non solo per cause
naturali di degrado ed erosione ma soprattutto per le pressioni e i pericoli
provenienti dall’inquinamento, urbanizzazione incontrollata, povertà, disastri
13
Tra i quali 611 culturali, 154 naturali e 23 misti. La Lista verrà aggiornata dal Comitato nella sua prossima
sessione nel Luglio 2005. Fonte: UNESCO, World Heritage Centre, Parigi.
14
Nel 1994 è stata adottata la Strategia Globale per una rappresentativa e bilanciata Lista del Patrimonio
dell’Umanità, per equilibrare il numero dei siti iscritti per aree geografiche e categorie di beni. Vedi M. YANG, J.
PHARES, C. GUTTMAN, Investing in World Heritage: Past Achievements, Future Ambitions, WHC, Paris 2002
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ambientali, conflitti armati o semplicemente dal turismo di massa. Per questo oggi i
valori promossi dalla Convenzione sono più attuali che mai. La sua scommessa, come
strumento operativo e normativo, nei prossimi decenni, sarà di preservare le risorse
naturali e culturali dell’umanità quale fattore di sviluppo sostenibile e occasione di
crescita economica, sociale e culturale.
1.2.1 La Lista del Patrimonio dell’Umanità
Gli stati aderenti alla Convenzione hanno l’opportunità di proporre i beni di
eccezionale interesse collocati nel loro territorio come potenziali siti patrimonio
dell’umanità, secondo i criteri stabiliti dalla Convenzione stessa. Per patrimonio culturale
si fa riferimento a beni immobili, monumenti isolati o insiemi di edifici, città o siti,
elementi o strutture di natura archeologica, testimonianze del lavoro congiunto di
uomo e natura aventi eccezionale valore universale sotto il punto di vista storico,
artistico o scientifico. Per patrimonio naturale s’intendono beni naturali quali
formazioni fisiche, biologiche e geologiche, ambienti naturali in cui specie animali e
vegetali sono minacciate di estinzione o depauperamento, ed aree geografiche
aventi eccezionale valore universale dal punto di vista estetico o scientifico.
15
La domanda di candidatura deve comprendere alcune indicazioni in merito
alle caratteristiche specifiche del bene in oggetto, oltre a un programma dettagliato
sulla gestione del sito e sulla sua protezione da parte della legge nazionale
16
, e dovrà
essere accompagnata da solide argomentazioni supportate dalla necessaria
documentazione grafica e bibliografica, in particolare per il patrimonio culturale,
che dimostri che il bene portato a candidatura sia veramente di inestimabile valore
15
Vengono identificati anche siti misti, che hanno eccezionale valore universale sia dal punto di vista naturale
che culturale. Nel 1992 è sta inoltre introdotta una nuova categoria, il paesaggio culturale, che testimonia
interazioni significative tra l’opera dell’uomo e l’ambiente naturale.
16
Gli articoli 1 e 2 della Convenzione richiamano chiaramente ai doveri dei singoli Stati nella difesa e
salvaguardia del patrimonio sito nel suo territorio. L’attività dell’UNESCO è di supporto e non può in nessun
modo sostituire l’impegno delle autorità nazionali. Comunque l’Organizzazione offre un contributo annuale ai
Paesi in Via di Sviluppo ed a quelli a basso reddito per finanziare l’assistenza tecnica, i corsi di aggiornamento o
il supporto tecnico e finanziario per preparare le candidature e per portare a termine progetti di conservazione.
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universale. E’ inoltre richiesto un test di autenticità e di integrità dei materiali, dello
stile artistico o architettonico per il patrimonio culturale, di prova scientifica per
quanto riguarda il patrimonio naturale, che sia basato su una dettagliata e completa
documentazione dell’originale e non su tentativi congetturali.
Nel 1992, in occasione del ventesimo anniversario della Convenzione è stato
istituito il Centro del Patrimonio dell’Umanità
17
, come punto focale di coordinazione di
tutte le attività dell’UNESCO in materia di patrimonio culturale e naturale e con
l’obiettivo principale di implementare la Convenzione. Tra i suoi compiti c’è anche
quello di ricevere, valutare e archiviare tutte le candidature e predisporre tutto il
materiale necessario per l’inclusione nella Lista del Patrimonio, collaborando
attivamente con esperti, istituzioni e organi interessati. Il Comitato per il Patrimonio
Mondiale
18
si riunisce una volta all’anno ed esamina le domande basandosi su
valutazioni tecniche fornite dai suoi enti consultivi ovvero l’ICOMOS e l’IUCN.
Un terzo ente consultivo, l’International Centre for the Study of the Preservation and
Conservation of Cultural Property (ICCROM) fornisce consulenza rispetto al restauro
dei monumenti ed organizza corsi di formazione per tecnici e professionisti
predisposti alla gestione dei Siti. Una volta scelto, il nome del sito e la zona di
localizzazione vengono inseriti nella Lista del Patrimonio dell’Umanità, aggiornato
annualmente
19
.
Per essere inseriti in tale elenco, i siti devono soddisfare i criteri di selezione
contenuti nelle Linee Guida Operative che insieme al testo della Convenzione,
rappresentano lo strumento normativo principale. I criteri vengono revisionati
regolarmente dal Comitato per adeguarsi all’evoluzione del concetto stesso di
17
Il World Heritage Centre, con sede a Parigi all’interno dell’Headquartes dell’UNESCO.
18
Il World Heritage Committe è composto da 21 rappresentanti dei diversi Stati membri. Si riunisce una volta
l’anno per esaminare le candidature e le richieste di assistenza tecnica e finanziaria. Il Bureau è formato da 7
membri del Comitato e prepara il materiale per la seduta annuale del Comitato stesso. Può anche approvare
richieste di emergenza.
19
L’elenco completo dei Siti Patrimonio dell’Umanità, aggiornato alla seduta del Comitato del Luglio 2004, si
trova sul sito internet del World Heritage Centre.
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CAP. 1 QUADRO GENERALE
20
Patrimonio Mondiale, includendo nuove categorie e aggiornando i parametri, per
assicurare la credibilità della Convenzione.
1.2.2 Patrimonio in pericolo
La conservazione del patrimonio è un processo continuo. L’elencazione di
un sito resta un’operazione fine a se stessa se non è seguita da adeguate azioni di
salvaguardia o se progetti di sviluppo rischiano di distruggerne le caratteristiche che
ne hanno giustificato l’eccezionale valore universale.
Gli Stati membri hanno l’obbligo di sottoporre alla valutazione del Comitato
rapporti periodici sulle condizioni dei siti, sulle misure intraprese per la loro
conservazione e sul loro sforzo nel sensibilizzare la popolazione verso la protezione
del patrimonio culturale e naturale. Qualora il Comitato venga informato, da
individui, organizzazioni non governative o altri gruppi, rispetto a possibili pericoli
che minacciano l’integrità del sito e dopo aver accertato l’entità del problema, può
decidere se inserire il sito nella Lista del Patrimonio dell’Umanità in Pericolo
20
. Tale
elenco non costituisce una misura punitiva ma vuole richiamare l’attenzione della
comunità internazionale sui rischi che minacciano il sito, attirando assistenza
tecnica e finanziaria per intraprendere azioni di emergenza
21
. In casi particolari,
come lo scoppio di una guerra, il Comitato redigerà l’elenco senza avere ricevuto
richiesta formale da soggetti esterni.
Verranno considerati come elementi di pericolo potenziali o accertati quelli
dipendenti dall’azione umana, ovvero quei fattori che possono essere corretti
tramite azioni legislative o amministrative, interruzione di progetti o piani
urbanistici inadeguati, modifiche allo status giuridico dell’area etc.
20
Anche questo elenco viene aggiornato annualmente ad ogni sessione del Comitato, con l’inserimento di nuovi
siti e l’esclusione di quelli fuori pericolo.
21
Il Centro del Patrimonio dispone di un Fondo per il Patrimonio dell’Umanità incrementato dai contributi
degli Stati membri e da donazioni volontarie e garantisce assistenza tecnica e finanziaria agli Stati che ne faranno
richiesta. Gli Stati membri che non versano il contributo annuale (pari all’1% di quello dovuto all’UNESCO)
non potranno usufruire dei finanziamenti nell’anno successivo, tranne in casi d’emergenza.