6
Il primo capitolo fornisce una visione generale dello stato del comparto
distributivo, evidenziando, da un lato, le peculiarità che distinguono l’Italia (ancora
caratterizzata dalla presenza di un numero elevato di negozi indipendenti) dagli altri
paesi ad economia avanzata; dall’altro, le tendenziali linee di sviluppo che
caratterizzano l’attuale scenario, sintetizzabili dai fenomeni di integrazione verticale
(orientati a scardinare le tipiche relazioni di filiera in cui la distribuzione assume un
ruolo sempre più importante) e dai processi di internazionalizzazione avviati dai grandi
retailer dell’abbigliamento che hanno costruito la loro strategia vincente sulla base del
concetto di fast fashion (esemplificato in questo lavoro dall’esperienza di Zara).
Il secondo capitolo prende in esame due fattori che hanno indirizzato le imprese
verso la realizzazione di un punto vendita realmente innovativo, ossia il ruolo della
marca e il comportamento dei consumatori, mettendone in rilievo il percorso di
evoluzione intrapreso da entrambi nel corso del tempo, finalizzato a dare spazio non
soltanto alla dimensione funzionale, bensì pure a quella ludica, ricreativa ed
esperienziale.
Infine, il terzo capitolo mette in evidenza il ruolo assunto dal punto vendita –
oramai non più inteso come luogo destinato all’acquisto, ma anche e soprattutto come
strumento di comunicazione volto a ottenere la fedeltà del cliente –, soffermandosi sulla
definizione delle principali leve a disposizione del retailer che, in maniera maggiore o
minore, contribuiscono a trasformare lo spazio vendita in “teatro” di comunicazione
capace di infondere una chiara e nitida brand identity. In particolare viene preso in
considerazione il ruolo dei flagship store, proponendo alcuni casi di successo quali i
Niketown, i flagship store Ralph Lauren ed il flagship store italiano di Armani,
Armani/via Manzoni 31.
7
1. STRUTTURA E DINAMICHE DELLA DISTRIBUZIONE NEL
TESSILE-ABBIGLIAMENTO
1.1. Peculiarità strutturali del comparto distributivo del tessile-
abbigliamento in Italia
Il settore del tessile-abbigliamento in Italia mostra alcune caratteristiche
particolari, che lo contraddistinguono dagli altri paesi ad economia avanzata.
In particolare, la struttura delle industrie di produzione è composta da un elevato
numero di imprese concentrate e ben radicate in sistemi locali (i cosiddetti distretti
industriali) aventi un forte impatto economico e sociale. I distretti industriali – alcuni
specializzati nel campo dei prodotti tessili, altri nell’abbigliamento – svolgono la
funzione di accogliere e raggruppare al proprio interno una serie infinita di piccole
imprese che caratterizzano il settore altamente frammentato del tessile-abbigliamento. I
distretti industriali, grazie a questa loro peculiarità, hanno contribuito ad accrescere il
livello di specializzazione e di innovazione della struttura industriale, assicurandole al
contempo il conseguimento di vantaggi tipici della grande dimensione (economie di
scala) e della piccola (flessibilità) (Saviolo e Testa 2000).
Sia nel settore del tessile che nell’abbigliamento, le imprese manifatturiere italiane
hanno raggiunto significative posizioni competitive.
Nel campo dei prodotti tessili, l’Italia, nel 2002, rappresenta più del 27% del
fatturato ed il 24% degli investimenti dei paesi dell’Unione Europea, con una posizione
che appare sostanzialmente stabile tra il 1996 ed il 2002. Nel campo dell’abbigliamento,
8
la posizione italiana nel 2002 sembra rafforzarsi, rispetto al 1996, per quanto concerne
sia il fatturato sia gli investimenti in rapporto con gli altri paesi dell’Unione Europea: il
fatturato passa dal 34,2% nel 1996 al 37,2% nel 2002; gli investimenti passano dal 47%
nel 1996 al 48,3% nel 2002 (fig. 1).
La crescita notevole e continua delle industrie manifatturiere del tessile-
abbigliamento in Italia è tutt’oggi un elemento che contraddistingue il nostro paese
dagli altri paesi europei ad economia avanzata. Questa differenza dimensionale è
accompagnata da una differenza qualitativa (il famoso made in Italy) che caratterizza le
imprese di produzione italiane.
Fig. 1 – Fatturato e investimenti nel 1996 e nel 2002 nell’Unione Europea.
Fatturato (%) Investimenti (%) Fatturato (%) Investimenti
(%)
Tessile
1996 2002 1996 2002
Abbigliamento
1996 2002 1996 2002
Italia 27,5 27,5 24,3 24,0 Italia 34,2 37,2 47,0 48,3
Germania 18,9 16,4 18,7 17,4 Germania 13,7 15,0 9,9 10,2
Francia 15,5 16,2 14,7 12,7 Francia 17,1 13,8 11,3 8,6
Regno Unito 10,6 10,5 7,2 7,6 Regno Unito 13,2 10,9 8,0 7,7
UE - 15 100,0 100,0 100,0 100,0 UE - 15 100,0 100,0 100,0 100,0
Fonte: Euratex-Bulletin 2003-2.
Tale evoluzione industriale, caratterizzata dalla presenza di una quantità enorme
di piccole imprese, ha risaltato la posizione del piccolo distributore specializzato che
ben si adatta alla gestione di un ampio portafoglio prodotti e ad una efficace fornitura di
servizi al cliente.
Il sistema distributivo dell’abbigliamento italiano è infatti caratterizzato da
un’elevata frammentazione, con una forte presenza del piccolo negozio indipendente.
Neppure negli anni del boom economico la grande distribuzione è riuscita ad affermarsi,
a causa dell’esistenza di meccanismi legislativi e fiscali che di fatto hanno sempre
favorito i piccoli commercianti. La stessa struttura delle città italiane, con i loro centri
storici e la quasi totale inesistenza di pianificazione urbanistica, ha ostacolato lo
sviluppo della grande distribuzione e favorito i piccoli negozi al dettaglio (Saviolo e
Testa 2000).
9
Ancora oggi, nonostante la nuova normativa – i cui principi essenziali sono
contenuti nella cosiddetta Legge Bersani
1
– abbia introdotto una serie di innovazioni
che hanno portato un accresciuto livello della pressione competitiva nel settore,
l’apparato distributivo nazionale appare dominato in modo indiscusso dal piccolo
dettaglio indipendente (fig. 2).
Fig. 2 – Quote di mercato dei canali distributivi nell’abbigliamento in Italia.
Canali
distributivi
1989 1997 1998 1999 2000 2001 2002 2005
(1)
Negozi
indipendenti
77% 57,6 56,5 55,7 55,2 55,2 54,0 52
Catene
specializzate
4% 13,3 13,7 14,0 14,0 13,8 14,5 16
Grandi
magazzini
(GDO)
6% 15,5 14,8 15,0 15,3 15,1 16,0 18
Mercati
ambulanti
7% 9,5 9,7 9,8 10,2 10,6 10,8 10
Altri 6% 4,1 5,3 5,5 5,3 5,3 4,7 4
Totale 100% 100% 100% 100% 100% 100% 100% 100%
Fonte: Sita Nielsen/Federazione Moda Italia (2004).
Nota: (1) I dati del 2005 sono stimati.
Quantunque la quota di mercato sia passata dal 77% nel 1989 al 54% nel 2002, il
confronto con la media europea (fig. 3) sottolinea la caratteristica particolare dell’Italia,
in cui i punti vendita sono per lo più a conduzione familiare e contano mediamente due
addetti su una superficie intorno ai 180 mq. Per molti operatori del settore l’attività
commerciale rappresenta un’alternativa al lavoro dipendente ed il risultato economico è
visto piuttosto come reddito di natura professionale e non come profitto d’impresa da
reinvestire per la crescita dell’azienda (Zaghi 2003). La dimensione raggiunta dal
dettaglio indipendente in Italia non ha rivali negli altri paesi dell’Unione Europea.
Infatti, negli anni Novanta, mentre si è assistito in tutta Europa al declino dei negozi
1
In particolare, le innovazioni hanno provocato da una parte la scomparsa dell’istituto protettivo
della licenza e delle tabelle merceologiche (che hanno governato l’evoluzione passata del settore
commerciale definendo marcati confini a livello settoriale), e dall’altra, una modifica delle competenze
dei vari enti territoriali nel senso di un decentramento delle funzioni agli enti locali e di una
valorizzazione del ruolo delle regioni (Castaldo 2001; Zaghi 2003).
10
indipendenti
2
ed alla contemporanea crescita delle catene specializzate, dei department
store, degli ipermercati e dei supermercati; in Italia il dettaglio indipendente è sì
diminuito, ma in maniera molto più lenta e la quota detenuta dai canali della grande
distribuzione organizzata e dalle catene specializzate non ha registrato una crescita
rilevante: nel quinquennio che va dal 1997 al 2002 la diminuzione del canale
tradizionale è stata soltanto del 3,6%, mentre la crescita della GDO e delle catene è stata
rispettivamente dello 0,5% e dell’1,2% (fig. 2); i dati evidenziano anche come i mercati
ambulanti abbiano beneficiato in misura superiore alle catene ed alla GDO del declino
del dettaglio tradizionale, dato che il canale degli ambulanti presenta a fine 2002 una
quota che si attesta su valori pari al 10,8% del mercato, rispetto al 9,5% del 1997.
Fig. 3 - Quote di mercato dei canali distributivi nell’abbigliamento in Europa.
Francia Germania Gran Bretagna Spagna Unione
Europea
Canali
distributivi
1996 2005
(1)
1996 2005
(1)
1996 2005
(1)
1996 2005
(1)
1998 2005
(1)
Negozi
indipendenti
29% 19% 40% 20% 16% 15% 48% 30% 32% 34%
Catene 23% 33% 21% 32% 35% 35% 20% 30% 25% 28%
Grandi
magazzini
(GDO)
26% 26% 14% 12% 29% 28% 22% 23% 23% 20%
Vendite per
corrispondenza
- - - - - - - - 8% 10%
Altro 22% 22% 25% 36% 20% 22% 10% 17% 12% 8%
Totale 100% 100% 100% 100% 100% 100% 100% 100% 100% 100%
Fonte: Sita Nielsen, Mark Data, Osservatorio europeo del tessile abbigliamento.
Nota: (1) I dati del 2005 sono stimati.
Dunque, mentre negli altri paesi dell’Unione Europea le catene della grande
distribuzione e le catene specializzate occupano una posizione di rilievo, in Italia il
piccolo dettaglio specializzato mantiene ancora un’elevata quota di mercato
3
. E’ infatti
2
La crisi del dettaglio indipendente appare dovuta ad una serie di cause, tra le quali si distinguono
le caratteristiche tipiche del format, la promiscuità del posizionamento che obbliga ad una scarsa
profondità degli assortimenti e ad una frequentazione per acquisti marginali, la nascita di formati
innovativi e i mutamenti negli atteggiamenti d’acquisto dei consumatori (Guercini, Ranfagni e Runfola
2003).
3
A tal proposito, si può notare come le nuove formule di factory outlet centre si siano sviluppate
molto dopo in Italia rispetto ad altri paesi europei come Francia e Germania.
11
molto importante sottolineare il fatto che, negli ultimi anni, la quota del dettaglio
“moderno” si sia trovata in una fase di relativa stabilità sul mercato nazionale,
nonostante le previsioni di crescita.
Secondo Zaghi, in Italia, il piccolo dettaglio nell’abbigliamento, per lo più a
conduzione familiare, è caratterizzato da una sostanziale carenza nel fattore che
tipicamente favorisce la modernizzazione di un settore, ossia la spinta imprenditoriale
allo sviluppo della dimensione di impresa in Italia. L’autrice ritiene che il dettagliante
tradizionale non ha un’adeguata capacità di pianificazione e non dispone di metodologie
di misurazione e controllo dei risultati; in questo senso si spiega non solo la tendenza
verso il basso delle piccole imprese distributive italiane, ma anche la loro resistenza nel
mercato pur in condizioni economiche in progressivo peggioramento (Zaghi 2003).
Secondo altri autori, invece, queste caratteristiche particolari dell’apparato
distributivo in Italia sono collegabili alle peculiarità del sistema manifatturiero: Michael
Porter ritiene che le caratteristiche particolari della distribuzione in Italia rappresentino
un fattore che può spiegare la forza delle imprese manifatturiere italiane a livello
internazionale (Porter 1991)
4
; altri autori hanno messo in risalto che una “domanda
esperta” può contribuire ad accrescere il potenziale innovativo delle imprese dei distretti
locali.
4
In particolare, Porter sostiene che la forza delle imprese italiane in alcuni settori nei quali sono
altamente competitive a livello internazionale è dovuta ad una serie di ragioni. In particolare, nel settore
dell’abbigliamento viene riconosciuta la “sofisticazione dei compratori italiani” rafforzata dalla “presenza
di canali di distribuzione sofisticati (…), i negozi al dettaglio italiani sono quasi sempre più piccoli e più
specializzati in prodotti particolari di quanto non lo siano quelli stranieri. I dettaglianti conoscono
intimamente il loro business e rappresentano un acquirente intermedio estremamente preparato ed
esigente per i prodotti che trattano. Le imprese italiane debbono costantemente proporre nuovi modelli
per assicurarsi e conservare la distribuzione (…). L’Italia rappresenta un poderoso esempio dell’effetto
auto-rafforzante che si manifesta quando consumatori, canali e produttori sofisticati interagiscono tutti a
stretto contatto l’uno con l’altro” (Porter 1991).
12
1.2. Alcuni fattori di cambiamento nel panorama distributivo
Negli ultimi anni, nel sistema moda
5
, si assiste ad una serie di avvenimenti che
conducono allo sconvolgimento dell’attuale scenario di riferimento.
In particolare, si assiste alla ridefinizione dei ruoli relazionali all’interno della
filiera distributiva, in seguito al verificarsi di un numero crescente di processi di
integrazione verticale che coinvolgono da una parte le imprese di produzione
(confezionisti e produttori di semilavorati tessili) e dall’altra le imprese di distribuzione.
Per di più, emergono grandi attori internazionali della distribuzione che, grazie
alle loro politiche incentrate sulla velocità produttiva, logistica e distributiva, hanno
provocato e continuano a provocare forti cambiamenti nell’attuale contesto distributivo.
1.2.1. Le nuove forme di relazione nei rapporti di filiera
L’affermarsi di alcuni mutamenti nei rapporti tra industria e distribuzione nel
settore dell’abbigliamento, esemplificati dalle nuove formule di “moda rapida” oltre che
dai processi di integrazione verticale (che saranno argomento di discussione dei due
paragrafi seguenti), appare essere accompagnato da una ridefinizione dei ruoli
relazionali nei rapporti di filiera tradizionali che segna il passaggio da una logica
interattiva ad una logica network (Guercini, Ranfagni, Runfola 2003).
In particolare, nei rapporti con l’industria tessile, il contributo delle competenze
della distribuzione al dettaglio può divenire critico rispetto a quello delle competenze
tipiche della confezione. Questo significa che si tende ad abbandonare la sequenza di
rapporti relativamente isolati tra di loro (tessile-confezione, confezione-retail), per
assumere una logica a rete integrata, in cui emerge la figura del retailer “industriale”,
che definisce le collezioni di abbigliamento ed identifica le fonti di approvvigionamento
di semilavorati e le imprese manifatturiere produttrici del capo finito con cui interagire
5
Si usa la metafora del “sistema” a proposito del fenomeno moda, perché la moda si muove con
una logica che vede la modifica di ogni elemento riflettersi sugli altri (Manaresi 1999).
13
ed instaurare un rapporto di partnership che si può concludere in alcuni casi anche con
operazioni di acquisizione (fig. 4).
In quest’ottica emergono grandi operatori internazionali della distribuzione che si
muovono a contatto diretto con il cliente finale e presentano dimensioni nettamente
maggiori a quelle dei loro fornitori.
Dunque, a differenza della tradizionale impresa retailer di abbigliamento, il
retailer industriale non si limita a svolgere attività di distribuzione al dettaglio, ma
realizza un processo di integrazione delle funzioni di ricerca e sviluppo tipiche
dell’industria di confezione
6
.
Fig. 4 – Dalla centralità del prodotto del confezionista (a sinistra) alla centralità del retailer
industriale (a destra) nella filiera del tessile abbigliamento.
Produttore di tessuti (T), confezionista (C) e distributore al dettaglio (R)
7
Fonte: Guercini (2003).
Tutto ciò comporta una serie di conseguenze. In primo luogo, come già emerso,
nelle relazioni industria-distribuzione, il contributo delle competenze di retail diventa
6
Come vedremo in seguito, l’integrazione di capacità di progettazione e di ricerca e sviluppo con
competenze nella gestione di catene di punti vendita al dettaglio di abbigliamento che caratterizza il
retailer industriale può avere origini diverse, ovvero può provenire dall’integrazione a valle di imprese
produttrici di semilavorati tessili o di abbigliamento oppure può discendere dall’integrazione nella ricerca
e sviluppo di collezioni di abbigliamento da parte di operatori da tempo impegnati nella distribuzione.
7
La linea tratteggiata orizzontale nella parte a destra della figura indica la maggiore frequenza con
la quale i produttori di tessuti e quelli di confezione possono localizzarsi in altri paesi.
C
RRR R R R R
T TT
R
T
T
T
T
C
C
C
C
14
più importante del contributo delle competenze tecniche tipiche della confezione. In
secondo luogo, si rileva una spinta verso il terzismo delle competenze di manifacturing
(cucitura, stiratura) di abbigliamento, accompagnato da un’accelerazione del processo di
decentramento internazionale. In terzo luogo, nell’offerta del retailer industriale, il
manufatto può perdere di centralità rispetto all’immagine di marca ed all’esperienza
fruibile dal cliente nel punto vendita (Guercini 2003).
1.2.2. Le strategie di integrazione verticale
Il retailing di abbigliamento assume una posizione centrale nei rapporti di filiera
grazie non solo al suo potere contrattuale (che ricopre un ruolo di grande importanza
nelle transazioni) ma soprattutto al suo potere di mercato, capace di orientare le
decisioni dei consumatori (Guercini 2004).
“Anche se ultimo anello, la distribuzione è per molti versi il cuore della filiera del
tessile-abbigliamento e più in generale del sistema moda. Il punto di vendita non è più
solo canale distributivo, ma luogo in cui si concretizza la strategia commerciale
dell’intera filiera che sta a monte fino alla fibra: si fa comunicazione, si costruisce e si
rafforza il rapporto di fidelizzazione con la clientela. Inoltre, nel settore della moda
come in nessun altro è il punto vendita a fornire gli input più affidabili e tempestivi in
merito all’evoluzione dei gusti e delle esigenze dei consumatori” (Saviolo e Testa
2000).
Per questo motivo, negli ultimi anni sono aumentate le imprese che sono ricorse
all’utilizzo di strategie di integrazione verticale.
I processi di integrazione verticale nel campo del tessile-abbigliamento possono
essere intrapresi sia dalle industrie manifatturiere (di confezione o di semilavorati
tessili) sia dalle industrie della distribuzione. Essi possono attuarsi attraverso percorsi di
crescita interna od esterna (Guercini, Ranfagni e Runfola 2003).
Il passaggio da un operatore della distribuzione di abbigliamento tradizionale al
retailer industriale avviene attraverso un processo strategico di integrazione verticale
delle funzioni tipiche degli operatori della confezione. Tale integrazione può avvenire