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Dopo una sintetica riflessione riguardante il significato e gli effetti della
separazione patrimoniale attuata tramite l’istituto, non si poteva prescindere
dall’esame dei due modelli tra i quali le imprese possono scegliere: il
modello cosiddetto “operativo” o “industriale”, disciplinato dall’art. 2447-
bis lett. a), attraverso il quale la separazione patrimoniale diviene uno
strumento di tipo produttivo o gestionale e il modello cosiddetto
“finanziario”, disciplinato dall’art. 2447-bis lett. b), attraverso il quale la
separazione patrimoniale diviene invece uno strumento finanziario
esclusivamente legato all’andamento dell’affare. Con entrambi gli istituti la
società può conseguire l’ottenimento di fondi, qualunque siano l’attività
svolta e l’oggetto sociale, da impiegare in nuovi progetti, senza dover
necessariamente costituire società ad hoc, e la loro idoneità ad accrescere le
forme di raccolta è notevole specialmente nel caso in cui si scelgano
tecniche di finanziamento partecipativo.
Nel terzo capitolo si trattano invece gli aspetti contabili legati
all’applicazione dell’istituto: l’art. 2447-sexies c.c. stabilisce che, la società
che abbia destinato patrimoni separati alla realizzazione di uno specifico
affare ai sensi dell’art. 2447- bis lett. a) c.c. , debba tenere separatamente
libri e scritture contabili, mentre per quanto riguarda i finanziamenti
destinati ad uno specifico affare, l’art. 2447- decies prescrive l’obbligo di
adozione di sistemi di incasso e contabilizzazione atti a identificare in ogni
momento i proventi dell’affare, mantenendoli sempre distinti dal rimanente
patrimonio della società. Ciò si concretizza nella rappresentazione distinta,
nello stato patrimoniale, dei beni e rapporti facenti parte del patrimonio
destinato, e nella redazione di un separato rendiconto da allegare al bilancio
da parte degli amministratori. Nell’attivo dello stato patrimoniale vanno
presentati disgiuntamente i beni che formano il patrimonio, mentre nel
passivo vanno indicati i debiti prodotti dalla gestione separata e tra le poste
del patrimonio netto, il patrimonio dedicato stesso. Tra i conti d’ordine, in
calce allo stato patrimoniale, deve essere poi precisata l’eventuale
responsabilità illimitata, offerta ai creditori particolari per le obbligazioni
connesse allo specifico affare. Naturalmente andranno specificati nella nota
integrativa, quale documento esplicativo e integrativo dei dati di bilancio,
tutti gli elementi utili ad ottenere un quadro preciso dell’operazione posta in
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essere. Al compimento dell’affare, ovvero nel caso in cui sopraggiunga
l’impossibilità alla sua realizzazione, il Consiglio di Amministrazione deve
redigere un rendiconto finale che verrà depositato presso l’ufficio del
registro delle imprese, insieme alla relazione dei sindaci e del soggetto
incaricato della revisione contabile. Per la realizzazione delle norme relative
agli aspetti contabili, viene presentato sia il modello contabile indicato
dall’Organismo Italiano di Contabilità, il quale ha approvato il testo
definitivo del documento il 13 luglio 2005, sia un modello alternativo
proposto da Flavio e Luca Dezzani, con il quale gli Autori tentano di
superare alcuni limiti sofferti dal modello scelto dall’O.I.C.
Nel quarto e ultimo capitolo viene esposta un’analisi comparativa con gli
istituti presenti negli ordinamenti di origine anglosassone, dai quali, vista
loro capacità di essere sempre all’avanguardia, il legislatore italiano ha
esplicitamente tratto spunto: la pressante esigenza di strumenti di
finanziamento alternativi, idonei a garantire la tutela del credito, e
l’opportunità di arrivare a una uniformazione delle tecniche operative a
livello internazionale, ha portato dunque all’introduzione del nuovo istituto
nella sua duplice veste, unitamente alle altre novità presentate dalla riforma.
In tal modo, alle forme di garanzia fortemente tipizzate presenti nel nostro
ordinamento, si affiancano nuove forme di finanziamento dotate di tutele
particolari e regimi di separazione patrimoniale. Le figure dalle quali il
nostro legislatore trae prezioso spunto sono il trust, la whole business
securitization, il project financing, la captive company: tutti istituti che
presentano caratteri di analogia, ma dai quali sempre si discostano, per
taluni elementi, i patrimoni destinati. Il legislatore infatti ha voluto evitare
una mera duplicazione di strumenti già esistenti, per introdurre una effettiva
alternativa che appaghi esigenze insoddisfatte.
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CAPITOLO PRIMO
QUADRO DI RIFERIMENTO DELL’ISTITUTO
DEI PATRIMONI DESTINATI
1. I principi ispiratori della riforma del diritto
societario
La globalizzazione ha impresso un forte dinamismo ai sistemi economici,
sia a livello nazionale che internazionale, grazie alla riduzione delle barriere
doganali, alla libera circolazione di persone, beni e servizi, alla
liberalizzazione dei mercati finanziari, alla delocalizzazione dei processi
produttivi : questi elementi, che ispirano e sostengono la globalizzazione,
hanno posto le economie nazionali di fronte a un’esasperazione della
concorrenza, divenuta sempre più pressante.
In questo ambito va collocata la riforma del diritto societario, entrata in
vigore nel gennaio 2004 dopo un anno di vacatio legis, concessa alle
imprese per l’adeguamento degli statuti alla normativa: la riforma è ispirata
dal tentativo di introdurre nell’ordinamento giuridico italiano considerevoli
benefici per le nostre imprese e renderle organizzazioni più valide e
competitive nel mercato globale. L’influenza quantitativa e qualitativa del
settore finanziario ha subito una crescita esponenziale, tanto da poter
affermare che l’attività delle imprese dipende sempre più dalla capacità di
reperire capitali: in particolare il nostro sistema di finanziamento si è
mostrato decisamente carente rispetto ai sistemi di finanziamento dei paesi
dominanti, in cui le imprese hanno la possibilità di emettere un complesso
assai differenziato di strumenti finanziari per così dire misti, con aspetti e
attributi intermedi tra azioni e obbligazioni, rendendo dunque necessaria
un’opera di risanamento di tale settore. Basti pensare che nella disciplina
dettata dal codice civile del ’42, il finanziamento delle società di capitali si
imperniava sul reperimento di mezzi provenienti innanzitutto dai diretti
partecipanti all'esercizio dell'impresa, cioè i soci e, in seconda battuta, dal
sistema bancario: si trascurava l’eventualità che la società fosse in grado di
reperire ulteriori risorse anche da coloro che, pur rimanendo estranei
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all'attività d'impresa, fossero comunque pronti a finanziarla, considerandola
una valida forma di investimento alternativa per i propri risparmi. Quella
concezione limitata del sistema di finanziamento si è mostrata palesemente
inefficace rispetto alle esigenze delle imprese e si è reso indispensabile il
potenziamento dei canali di raccolta del capitale, attuato attraverso la
riforma
1
.
Le stringenti necessità di armonizzazione della legislazione vigente alle
rinnovate esigenze imprenditoriali hanno dunque portato al doveroso
cambiamento e ammodernamento del diritto societario, processo già iniziato
con l'approvazione del D.lgs. 24 febbraio 1998, n. 58 (T.U.F.) che ha
trasformato e attualizzato la disciplina delle società emittenti titoli sui
mercati regolamentati.
Le linee guida della riforma, partendo dalle già citate esigenze di
competitività e trasparenza delle nostre imprese, sono volte a incoraggiare la
creazione di nuove imprese societarie: si è difatti proceduto a una
semplificazione della disciplina concernente la costituzione delle stesse,
ottimizzando la loro posizione nel mercato in un’ottica di maggiore
concorrenzialità; si è cercato di conformare la normativa societaria alle
mutate esigenze delle imprese, tenendo conto delle notevoli innovazioni
economiche verificatesi dal 1942 a oggi; si è provveduto ad amplificare gli
ambiti dell'autonomia privata, accentuando la funzione degli statuti e
ampliandone l'ambito di operatività: ne è scaturita un'autonomia statutaria
più vasta, che permette di modellare l'organizzazione della vita societaria
sulle specifiche esigenze imprenditoriali; si sono introdotti nuovi strumenti
di garanzia a tutela degli interessi dei soci, dei creditori, degli investitori, dei
risparmiatori e dei terzi: in breve di tutti gli stakeholder.
Il legislatore ha voluto attenuare l’estensione dell’autonomia statutaria
attraverso un proporzionale incremento dei vincoli di trasparenza a cui viene
sottoposta l’azione degli amministratori: i maggiori spazi di libertà sono
volti a promuovere l’elasticità della gestione e la stabilità delle decisioni,
per rendere l’impresa più efficiente e migliorare la qualità del mercato
2
.
1
Niccolò A. Bruno, Finanziamenti societari e leva fiscale per la capitalizzazione delle
imprese, in Dossier: Diritto e società 20/2005, SOLE 24 ORE
2
Silvia Angeloni, I patrimoni destinati ad uno specifico affare, Giappichelli, Torino, 2005
9
Considerando gli specifici campi di intervento, gli obiettivi della riforma si
fanno più definiti e concreti, tanto da permettere una riorganizzazione
compiuta della disciplina tramite un apparato normativo più organico.
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2. Riflessioni sull’introduzione dell’istituto dei
patrimoni destinati
Con il D.Lgs. n. 6/2003 il legislatore delegato ha introdotto l’istituto dei
patrimoni destinati a uno specifico affare: l’art. 2447-bis lett. a) del c.c.
riformato, prevede che le società per azioni possano costituire uno o più
patrimoni ciascuno dei quali destinato in via esclusiva a uno specifico
affare.
Se non ci si ferma a una analisi superficiale e immediata delle caratteristiche
dell’istituto e dei benefici che se ne possono trarre, sarà più facile
comprendere la portata delle novità introdotte: tramite i patrimoni destinati è
possibile realizzare svariati e considerevoli fini grazie a un’azione del
legislatore volta a regolarne il funzionamento, ma la cui sostanza è stabilita
autonomamente dai privati.
Si può affermare che l’istituto comporti vantaggi per la società, a cui
consente di ottenere migliori condizioni di finanziamento grazie a un rischio
di credito maggiormente identificabile (tramite il piano economico-
finanziario previsto dal codice civile stesso) e soprattutto autonomo rispetto
all’andamento generale della società; per gli azionisti nel loro complesso,
che per il reperimento di nuovi capitali non devono subire una
trasformazione della compagine societaria; per i finanziatori che godono
della disponibilità di flussi di denaro destinati unicamente a loro; per gli
investitori che vedono ampliata la gamma di strumenti finanziari a loro
disposizione.
I soli soggetti che in qualche modo risultano danneggiati da questa nuova
disciplina sono i creditori generici della società, che vedono limitata la
propria garanzia patrimoniale, ai quali è però data la possibilità di opporsi
seppur entro un breve termine.