2
È impossibile che esista un’interpretazione fedele di qualcosa, poiché
il concetto stesso di interpretazione presuppone un qualcosa di unico e
di irripetibile e ogni adattamento rappresenta un’interpretazione.
Come afferma Robert Stam,
the trope of adaptation as a ‘reading’ of the source novel – a reading
that is inevitably partial, personal and conjectural – suggests that just
as any text can generate an infinity of readings, so any novel can
generate any number of adaptation.
2
Limitare l’analisi e lo studio delle trasposizioni cinematografiche e
il giudizio che ne consegue al solo parametro della fedeltà
all’originale è quantomeno riduttivo. Parlando di adattamento Brian
McFarlane considera che
there are many kinds or relations which may exist between film and
literature, and fidelity is only one – and rarely the most exciting.
3
Il testo d’origine va quindi considerato come una risorsa di
materiale potenzialmente riadattabile in infinite varianti.
Parlare di adattamento non è certo facile, anzitutto perché non
esistono dei canoni riconosciuti e condivisi su tale tecnica, che
rappresenta, appunto, una tecnica, un processo e non una disciplina o
un genere artistico. C’è stato chi ha voluto distinguere gli adattamenti
in più categorie, come ad esempio Dwight V. Swain, per il quale
esistono questi tre tipi di adattamento:
1. quello che segue il più da vicino possibile l’articolazione
narrativa dell’opera di partenza;
2. quello che si struttura in relazione alle scene chiave del libro;
2
Robert Stam, Beyond Fidelity: the Dialogics of Adaptation, in James Naremore, Film
Adaptation, Rutgers University Press, New Brunswick, New Jersey, 2000, p. 62.
3
Brian McFarlane, Novel into Film. An Introduction to the Theory of Adaptation, Clarendon Press,
Oxford, 1996, p. 11.
3
3. quello che elabora una sceneggiatura sostanzialmente originale
a partire da alcuni elementi del testo ispiratore.
4
Si capisce che questa tripartizione è valida solo in sede teorica: nei
fatti ogni singolo adattamento può collocarsi nello spazio intermedio
tra due di queste opzioni.
Lo studio dell’adattamento è utile per varie ragioni: anzitutto, ci
permette di comprendere meglio il funzionamento dell’arte del
raccontare e, nel contempo, ci permette di capire come del racconto
possano farsi carico diversi mezzi espressivi, ognuno con le sue
specificità. Specificità appunto, perché letteratura e cinema utilizzano
ognuno i propri mezzi per raccontare: le parole scritte la prima, le
immagini, i segni grafici, le parole pronunciate, le musiche e i rumori
il secondo. Analizzare le loro relazioni significa, quindi, tenere conto
di ciò che hanno in comune, come lo spazio, il tempo, il personaggio,
l’istanza narrante, la focalizzazione, il punto di vista, e di ciò che
hanno di diverso: i mezzi dell’espressione.
Affrontare uno studio sull’adattamento significa, dunque, da un lato
considerare lo stretto legame tra letteratura e cinema e, dall’altro,
individuare le strategie e le procedure specifiche che designano
l’adattamento in quanto tale e che, secondo Sara Cortellazzo e Dario
Tomasi
5
, si possono rinvenire lungo tre direttrici: che cosa nel corso
dell’adattamento il film aggiunge, sottrae e varia del testo di partenza.
In questa prospettiva il testo di partenza è visto non come una sorta
di autorità che va riprodotta il più fedelmente possibile per la riuscita
dell’adattamento, ma come un insieme di dati e di informazioni, un
universo diegetico fatto di personaggi, azioni, sentimenti e tematiche
che la realizzazione filmica può più o meno utilizzare a partire da
4
Dwight V. Swain, Film Scriptwriting. A Pratical Manual, Focal Press, London-Boston 1984, p.
187.
5
Cfr. Sara Cortellazzo e Dario Tomasi, Letteratura e cinema, Editori Laterza, Bari 1998.
4
quelli che sono i suoi vincoli di linguaggio e dalle scelte estetiche
espressive e semantiche dell’autore del film.
In tal modo l’adattamento va pensato come un nuovo testo che può
scegliere il partito della fedeltà, ma che, comunque, reinventa il testo
adattato privilegiandone alcuni aspetti anziché altri, riuscendo a
proporre, a volte, anche una lettura nuova del testo di partenza.
Come affermano Sara Cortellazzo e Dario Tomasi, l’analisi
comparata di un testo scritto e di un testo audiovisivo deve tenere
conto di diversi livelli:
1. le strutture profonde del racconto: quell’insieme di codici, di
procedure e di operazioni che costituiscono la narratività, cioè
la capacità di raccontare di un’opera d’arte indipendentemente
dal medium in cui essa si realizza, ma la cui presenza è
fondamentale per riconoscere quell’opera d’arte come un
racconto. Ogni racconto infatti si caratterizza per un insieme di
stasi e transizioni, di eventi che vengono continuamente
modificati finché non si giunge a una conclusione con la
risoluzione di un conflitto;
2. l’universo diegetico: tutte le componenti che abitano il mondo
narrato nella storia, il modo in cui l’adattamento viene
realizzato, sottraendo, aggiungendo e trasformando il testo di
partenza per ciò che concerne i personaggi, gli ambienti, i
dialoghi, gli eventi ecc;
3. le articolazioni narrative: il modo in cui si racconta una storia,
piuttosto che la storia in sé. Un racconto e un film possono, ad
esempio, avere in comune la stessa storia, ma non
necessariamente lo stesso intreccio, vale a dire lo sviluppo
temporale della storia.
5
Ogni adattamento è caratterizzato da alcune modifiche che
cominciano già in fase di sceneggiatura, quando chi scrive è costretto
a ‘tagliare’ alcune parti di un romanzo per rispettare quella che viene
considerata una durata filmica accettabile. Un caso diverso è quando
lo sceneggiatore si trova di fronte ad un racconto e può cercare di
rappresentare tutte le componenti della storia. Il principio della
sottrazione spinge lo spettatore a considerare cosa manca nel film ed
era invece presente nell’opera letteraria.
Il processo dell’adattamento è caratterizzato, oltre che dal principio
della sottrazione, da quello dell’addizione, ciò che si trova nel film e
non nel romanzo. La natura audiovisiva del mezzo filmico costringe
sempre l’autore ad aggiungere qualcosa: si pensi all’abbigliamento dei
personaggi, dettaglio che nel film non si può in nessun modo
omettere, ma che in diversi romanzi non è specificato. Il cinema è
costretto a presentare allo spettatore un personaggio in carne ed ossa,
mentre in un romanzo le parole lasciano molto spazio alla fantasia del
lettore. Come afferma Robert Stam,
The words of a novel, […] have a virtual symbolic meaning; we as a
readers, or as a directors, have to fill in their indeterminacies. A
novelist portrayal of a character as ‘beautiful’ induces us to imagine
the person’s features in our minds. Flaubert never even tells us the
exact colour of Emma Bovary’s eyes, but we colour them nonetheless.
A film by contrast must choose a specific performer. Instead of a
virtual verbally constructed Madame Bovary open to our immaginative
reconstruction, we are faced with a specific actress.
6
Un’altra caratteristica importante da tenere presente in un
adattamento è il periodo storico e, naturalmente, la rappresentazione
di esso nel romanzo.
6
Robert Stam, op. cit., p. 55.
6
Il regista può scegliere di rispettare il periodo storico in cui il romanzo
è ambientato, o può scegliere di rivisitare lo stesso romanzo in chiave
moderna, oppure può scegliere di asportare un personaggio da un
determinato periodo storico e collocarlo nella contemporaneità.
Sulla strada che divide il procedimento della sottrazione da quello
dell’addizione troviamo altri due principi che, sempre seguendo le
indicazioni di Sara Cortellazzo e Dario Tomasi, si possono definire di
condensazione e di espansione. Per condensazione si intendono quegli
elementi del romanzo presenti nel film, ma in forma ridotta e
condensata: nel film adattato, ad esempio, è possibile trovare una
scena appena accennata che nel romanzo è descritta minuziosamente
per diverse pagine. O viceversa, nel caso dell’espansione, il regista
decide di dedicare ad una scena appena accennata nel romanzo un
tempo in proporzione relativamente lungo.
Ad essi si possono aggiungere altre due strategie di manipolazione
dell’adattamento: la variazione e lo spostamento. La prima si intende
quando un certo elemento del romanzo è presente nel film ma con
caratteristiche diverse (è il caso, ad esempio, del nome di un
personaggio che può essere differente nelle due opere); la seconda è
riscontrabile quando un certo evento è presente sia nel film che nel
libro, ma in momenti diversi dell’intreccio.
7
Kubrick e la letteratura
Con i parametri esposti sopra si può affermare che in Eyes Wide
Shut nulla del racconto di Schnitzler viene eliminato, grazie anche alla
brevità della novella, mentre qualcosa viene aggiunto, come il
personaggio di Ziegler e la caratterizzazione dei personaggi, i quali
non vengono descritti fisicamente.
Seguendo il principio della condensazione, Kubrick accenna appena
il motivo del duello, abbrevia la lunga descrizione del sogno di
Albertine ed elude i risvolti kafkiani ed inquietanti del viaggio in
carrozza che porta Fridolin dalla villa dell’orgia alla campagna di
Vienna. Il tempo della storia, secondo il principio dell’espansione,
viene dilatato e gli eventi narrati nel film durano un giorno in più
rispetto a quelli di Traumnovelle.
Diverse sono invece le variazioni apportate dal regista americano,
come, ad esempio, il nome di tutti i personaggi, il periodo storico
(dalla fine del XIX secolo all’inizio del XXI), il periodo dell’anno (dal
carnevale al Natale) e l’ambientazione (da Vienna a New York).
L’unico spostamento riscontrato in Eyes Wide Shut è l’incontro del
protagonista con il suo ex-compagno di università che viene anticipato
alla festa che apre il film.
Il rapporto tra cinema e letteratura riveste per Kubrick un ruolo
privilegiato: tutti i suoi film, infatti, sono tratti da opere letterarie. A
partire da The Killing, tratto dal romanzo Clean Break di Lionel
White, passando per Paths of Glory dal romanzo omonimo di
Humphrey Cobb, Spartacus da Howard Fast, Lolita dal romanzo
omonimo di Nabokov, Dr. Strangelove: or, How I Learned to Stop
Worrying and Love the Bomb tratto dal romanzo Red Alert di Peter
George, 2001: A Space Odyssey da un’idea contenuta nel racconto
8
The Sentinel di A. C. Clarke, A Clockwork Orange dal romanzo
omonimo di Anthony Burgess, Barry Lyndon da Thackeray, The
Shining da Stephen King, Full Metal Jacket dal romanzo Nato per
uccidere di Gustav Hasford, si arriva al suo ultimo film: Eyes Wide
Shut, tratto dal racconto di Schnitzler.
Tutti questi film non possono essere considerati come dei semplici
adattamenti cinematografici (un lavoro, cioè, che mediante una serie
di trasformazioni usa il romanzo come un punto di partenza per
arrivare ad una storia diversa) ma neppure come trascrizioni
cinematografiche che, rispettose della lettera del testo, si limitano a
una semplice e più neutra possibile ‘messa in immagini’. Il modello
che Kubrick propone è, invece, un terzo, più naturale e nello stesso
tempo più raro, quello della lettura
7
.
La lettura che viene messa in atto da Kubrick è tanto rigorosa da un
lato quanto poco lo è dall’altro, dato che non disdegna un’attività di
integrazione, di completamento, e anche di selezione sul testo, con
esclusione di certe cose ed interpolazione di altre. Il suo è un lavoro di
tipo archeologico che, partendo da quello che è un residuo (il romanzo
originario), cerca di ricomporre, secondo il suo personale punto di
vista, l’universo fantastico di cui questo testo letterario era solo un
supporto. I suoi film, che non dimenticano mai il testo di partenza, si
propongono, quindi, come ‘una’ lettura dei romanzi stessi.
Il lavoro del regista non si è svolto quasi mai sul piano del racconto,
a volte ci sono stati dei cambiamenti, sempre in levare, più raramente
in aggiungere. Kubrick ha rivisitato e completamente trasformato il
significato profondo delle opere che ha trattato non riscrivendo i
personaggi né cambiando il senso del narrato, ma, attraverso lo stile,
lavorando tramite le immagini. Questo è il cinema, il cinema d’autore,
7
Cfr. Sandro Bernardi, Kubrick e il cinema come arte del visibile,Il Castoro, Milano 2000.
9
perlomeno: una scena qualsiasi presa da un racconto, attraverso le
immagini, sprigiona una quantità di segni, di rimandi, in altre parole
acquista una profondità tale da essere sradicata dal suo originale. Così
Eyes Wide Shut va interpretato, approfondito, letto: non soffermandosi
alla traccia narrativa, ma scavando nel linguaggio puro delle
immagini. Solo procedendo in questa maniera si può estrarre dal
cinema di Kubrick un pensiero, una riflessione critica, cibo per la
mente.
8
Schnitzler e i suoi adattamenti
La posizione di Schnitzler nei confronti del cinema colpisce per la
lungimirante apertura e l’ampio credito che egli era disposto a
concedere ai film, anche quando fossero ispirati ad una fonte
letteraria, per elaborare con i propri mezzi specifici una diversa opera.
Da quanto ci è dato ricavare dagli interventi dello scrittore nel corso
della realizzazione di film tratti dai suoi lavori – cui spesso prestò la
propria collaborazione in sede di sceneggiatura – questo punto di vista
non nasceva da una sorta di tollerante indulgenza verso la nuova
forma espressiva, ma da una singolare intuizione delle possibilità
artistiche del mezzo cinematografico al punto che lo scrittore arrivò ad
auspicare un modello di film che fosse tutto risolto nel suo linguaggio
specifico, senza l’ausilio di alcuna didascalia, al fine di una completa,
definitiva emancipazione del cinema da ogni residuo letterario.
9
Quando lo scrittore viennese era ancora in vita uscirono diversi film
tratti dalle sue opere, come The Affairs of Anatol di Cecil B. De Mille
nel 1921, che dell’opera di Schnitzler ha, però, solo il titolo, e anche
8
Cfr. Francesco Patrizi, Eyes Wide Shut, in “Il Cinematografo: www.cinematografo.it.
9
Cfr. Vito Attolini, Arthur Schnitzler nel cinema di Max Ophüls, in Arthur Schnitzler e il suo
tempo, a cura di Giuseppe Farese, S.I. Shakespeare & Company, Milano 1983, pp. 156
10
questo deformato. Lo stesso De Mille, nella sua autobiografia,
accenna appena a questo lavoro, del quale dice che si tratta di un film
che “più che basato è stato suggerito dalla commedia di Schnitzler”
10
,
una precisazione doverosa se si pensa al profondo rimaneggiamento
cui fu sottoposto il testo teatrale. Questo adattamento è comunque
importante perché dimostra l’attenzione che ormai produttori e registi,
anche d’oltre oceano, rivolgevano alla sua opera. Nel 1931 viene
girato in America Daybreak, del regista Jacques Feyder, tratto da
Spiel in Morgengrauen a cui rimane sostanzialmente fedele. Ai due
film hollywoodiani tratti da opere dello scrittore viennese non ha fatto
seguito alcun analogo esperimento.
Nel 1927 esce Liebelei di Jakob e Luise Fleck, tratto dall’omonima
pièce e, nel 1928, Freiwild di Holger Madsen dal dramma Res nullius.
Madsen aveva già diretto, nel 1914, una versione di Liebelei, per la
quale Schnitzler aveva manifestato un parziale, ma significativo,
consenso. Nel 1929 uscì Fräulein Else di Paul Czinner e nel 1931
Daybreak di Jacques Feyder, dal romanzo Spiel im Morgengrauen.
Il contributo di Schnitzler a queste opere non si limitò soltanto ad
indicazioni o suggerimenti forniti nel corso della realizzazione dei
vari film, ma, secondo quanto riferito nel lavoro di Walter Fritz
11
, alla
vera e propria stesura delle sceneggiature dei film che furono girati in
Europa fino al 1931.
Fra le opere di Schnitzler che incontrarono più costante fortuna sullo
schermo in versioni diverse, seppure di valore differente, Liebelei e
Reigen sono quelle che vantano il maggior numero di realizzazioni,
quattro ciascuna.
10
Cecil B. De Mille, Autobiography, New Jersey, 1959, p. 231.
11
Walter Fritz, Arthur Schnitzler und der Film, in “Journal of the international Arthur Schnitzler
Research Association”, vol. 5, n° 4, winter 1966.
11
Liebelei fu la prima pièce ad essere trasposta al cinema col già
accennato film di Holger Madsen. La seconda versione di Liebelei fu
girata, tredici anni dopo, in Germania. Max Ophüls ne gira una
versione nel 1933, con Magda Schneider e Wolfgang Liebeneiner
come protagonisti. Il lavoro di adattamento di Ophüls si distingue sul
piano strutturale dal testo letterario per una dilatazione dell’azione
drammatica molto più accentuata di quanto comporti solitamente la
traduzione filmica di un’opera teatrale. La linearità della struttura del
dramma, fondata sui rituali tre atti, ciascuno dei quali presenta uno
sviluppo perfettamente concluso e la cui successione converge verso
la tragica conclusione, si frantuma nel film in una serie di episodi
collaterali che, facendo le linee essenziali dell’opera, si caratterizzano
per una maggiore attenzione per l’ambiente, che il testo teatrale
suggerisce con pochi tratti discreti: ne risulta perciò quella particolare
accentuazione di atmosfere in cui si esprime l’inconfondibile tocco
del regista. Dopo l’edizione di Max Ophüls il dramma venne ripreso
nel 1958 in Francia per la regia di Pierre Gaspard-Huit, in un film
intitolato Christine. Quest’ultimo è un’opera di prevalenti intenti
commerciali, denunciati peraltro dalla presenza come interpreti
principali di due attori come Alain Delon e Romy Schneider, figlia
della precedente interprete cinematografica della protagonista, non
ancora al culmine del loro successo, ma sicuramente avviati su tale
strada. Il film di Gaspard-Huit, pur fedele nelle linee generali al testo
teatrale, se ne serviva come pretesto per una lettura in chiave
sentimentale della vicenda di Fritz e Christine, accentuandone i toni
melodrammatici e patetici.
Anche Reigen, come già accennato, è stato portato sullo schermo
varie volte. Se si esclude la versione ophülsiana, la scelta di questo
testo per le altre tre realizzazioni filmiche ha avuto propositi più che
12
altro commerciali, visto il gran numero di personaggi della pièce e la
possibilità di raggruppare in uno stesso film diversi attori di prestigio.
È ciò che accade particolarmente con La Ronde, diretta in Francia nel
1964 da Roger Vadim, e non si discostano molto da questo modello
gli altri due film, di produzione tedesca e austriaca, tratti da Reigen,
realizzato il primo da Otto Weidenmann (Das grosse Liebesspiel,
1963), il secondo da Otto Schenk (Reigen, 1973). In entrambi questi
ultimi figuravano attori di grande spicco del cinema europeo. La
Ronde di Max Ophüls, del 1950, ad eccezione del narratore del
prologo, segue molto fedelmente le varie situazioni della commedia,
perfino nei vuoti d’azione designati mediante puntini di sospensione,
che il film risolve con eleganti ellissi o discrete metafore: il pendolo
oscillante durante l’episodio della signora e del marito, la “ritirata”
suonata dal trombettiere in quello del soldato e della prostituta.
Altri testi schnitzleriani sono stati frequentati dai registi: il solo
Fräulein Else conta quattro versioni, di cui due per la TV, anche se
distanti nel tempo e nei risultati. La prima Fräulein Else fu girata alle
soglie del sonoro in Germania da Paul Czinner nel 1928 ed aveva
come interprete Elizabeth Bergner, per la cui lettura Schnitzler ridusse
il testo, effettuando dei tagli forse troppo radicali per il timore di
lungaggini che avrebbero potuto infastidire il pubblico. Dalla stessa
opera sono stati tratti, nel 1970, il film per la TV omonimo della
regista belga Yvonne Lex e, nel 1979, una versione, sempre per la TV,
di Enzo Muzi (La signorina Else). L’interessante film di Muzi è, fra le
traduzioni schnitzleriane, una fra le più attente all’originale letterario.
Insieme con Il ritorno di Casanova di Pasquale Festa Campanile,
girato l’anno prima, è l’unica opera filmica prodotta in Italia che si sia
ispirata ad un testo di Schnitzler.