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6
Potrà sembrare forse eccessivo indagare l’evoluzione del pensiero
politico in un territorio così limitato, eppure sarà possibile farlo
specie ripercorrendo il momento storico che dall’Impresa di Fiume
portò all’emanazione della Carta del Carnaro.
3
Inoltre, per una più completa indagine, inquadreremo
territorialmente e storicamente il Carnaro, con note di politica
internazionale.
Si è scelto di dare un relativo spazio alla complessa personalità di
D’Annunzio, restando se possibile più in ambiti filosofici che
letterari.
E’ stato poi necessario evidenziare l’elemento squisitamente
patriottico dell’artista, e legare il suo essere poeta – soldato
all’influsso delle culture classiche e al significato profondo
dell’etimo greco ποίησις
Una parabola, quella dannunziana, che culminerà nella definizione
e creazione dello Stato Estetico, autentica novità nata appunto dallo
studio di modelli greci.
Come delle omeomerie, i semi del nuovo pensiero politico dispersi
con il Natale di Sangue del dicembre 1920 dalle truppe del generale
Caviglia, sono giunti fino a noi con intatta attualità.
Il risultato dell’incontro tra il mondo della poesia e quello delle
istituzioni giuridico-politiche chiuderà questo nostro studio.
E’ importante notare l’attualità che oggi il discorso sulle genti
italiane in Istria Carnaro e Dalmazia presenta.
Non sempre in questo scritto si potrà distinguere un’Istria, un
Carnaro e una Dalmazia, giacché la storia di quelle regioni sarà
spesso comune. Specie nel periodo successivo alla conclusione del
3
Oltre al già noto parere critico di Montanelli cui si accenna più oltre, si esprime
negativamente sulla presa di Fiume e sul Comandante anche un redattore della più
nota rivista storica in Rete, Cronologia:
Paolo Deotto L’Impresa di Fiume: Così D’Annunzio giocò alla guerra in:
www.cronologia.it/storia/biografie/dannunz3.htm
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7
Secondo Conflitto Mondiale sarà preferibile inquadrare quelle tre
regioni come Territorio dell’Adriatico Orientale; luoghi diversi, ma
legati da una forte maggioranza di autoctoni italiani.
Persone che nel corso soprattutto del XX secolo, come in seguito
meglio vedremo, dovranno rinunciare alla loro italianità, e, al legame
con quelle terre, sotto l’azione della slavizzazione.
Dopo la vastissima opera di espansione romana, che ancora oggi
lascia traccia di sé in Istria e Dalmazia, e l’epoca medievale, sarà con
il dominio della Serenissima che molti luoghi della nostra area di
riferimento conosceranno lo splendore architettonico e un grande
allargamento del commercio. Seguirà il periodo asburgico, coinciso
con la decadenza di Venezia, intervallato da un breve momento
napoleonico.
Successivamente alla dissoluzione dell’Impero d’Austria-
Ungheria, e alla relativa alternanza tra le componenti austriaca,
ungherese e croata, con una netta prevalenza dell‘influenza magiara,
potremmo parlare di un periodo di influenza italiana iniziato nel
1919 con l’Impresa di Fiume, cui seguì l’annessione del 1924, e
conclusosi ai primi anni Quaranta.
In questi cenni storici teniamo conto che il riferimento potrà qui
più facilmente adattarsi al territorio in linea generale, perché
l’esempio del Territorio Libero di Fiume contrasterà con ogni
uniformità di trattazione, non potendo mai qui davvero parlare, se
non per brevi periodi, di dominio straniero, avendo avuto
l’esperienza di Fiume sempre i caratteri d’autonomia politica e
autogoverno.
Dopo l’espansione fascista e una certa stabilità nella regione,
L’Adriatisches Kunstenland e l’occupazione nazista getteranno le
basi per la progressiva perdita di contatto con il territorio per l’Italia;
l’azione, anche se su opposti schieramenti, degli ustascia di Ante
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Pavelič e dei partigiani di Josip Broz precederà la perdita completa
per l’Italia dei territori, seguita alla fine dell’ultima Guerra.
Inizierà l’epoca della slavizzazione titina, degli esodi e della
difficile ridiscussione italo-jugoslava dei confini giuliani con la
Questione triestina. Poi un assordante silenzio politico.
Al Trattato di Osimo del 1975 e alla morte di Tito seguirà la crisi
della Repubblica Federativa di Jugoslavia. Sarà quello il periodo in
cui la presenza italiana scenderà ai minimi storici.
Gli anni Novanta con le guerre balcaniche daranno luogo alla
radicalizzazione di ogni nazionalismo. Nasceranno Slovenia e
Croazia, ma dopo gli iniziali entusiasmi, gli Italiani della regione
adriatica, si ritroveranno in una situazione economicamente e
politicamente difficile.
Arriveremo poi ai giorni nostri, per parlare dunque dei nostri
connazionali, in sospeso tra la speranza di nuove condizioni di
autonomia e la continua delusione per la scomparsa anche dei diritti
quesiti. Negli anni la speranza, la prostrazione, la rinascita, il
silenzio si alterneranno nella vicenda umana e politica degli Italiani
d’Adriatico, gli “Italiani di nessuno”.
Riteniamo in ogni caso riduttivo ancorare ad un solo periodo
storico una riflessione politica sul territorio quarnerino. La nostra
indagine si appunta oggi sul biennio 1919-1920, ma ci piacerebbe in
futuro spostare il piano d’analisi anche verso epoche diverse.
4
In ogni caso l’Adriatico nordorientale è uno dei nuclei della storia
d’Europa e lo specchio della politica estera italiana.
E’ però anche il riflesso tragico di cosa possano provocare
nazionalismi e totalitarismi.
Analizzando gli aspetti delle dittature fascista, nazista e
comunista–titoista possiamo riflettere sul martirio del Carnaro e
4
A proposito degli anni di Fiume, consigliamo la visione del sito Cronologia:
Anno 1919 in:www.cronologia.it/storia/a1919.htm
Anno 1920 in:www.cronologia.it/storia/a1920.htm
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9
della Dalmazia e sulla morte delle ideologie di massa, prive di valori
autenticamente democratici, chiuse alla convivenza interetnica.
L’armonizzazione delle diversità nel rispetto di tutti,
indistintamente, i cittadini, costituisce la vera novità della Carta della
Reggenza del Carnaro.
Così, pur partendo da una nostra personale ideologia di area
laburista, abbiamo cercato di guardare agli errori della Sinistra come
a quelli della Destra, perché questa tesi fosse libera da
condizionamenti di sorta.
Alla fine di questo viaggio, si arriva però al disincanto e ad un
senso di vuoto, nella certezza che qualsiasi credo politico o religioso,
se spinto all’estremo, può essere in grado di produrre morte e
distruzione.
Gli eventi che dall’11 settembre di questo difficile 2001 hanno
precipitato gli Stati Uniti e il Mondo in una crisi di impossibile
decifrazione, ci spingono a riaffermare chiaramente la natura di
questa analisi filosofica e politica.
Vorremmo lasciare, a chi inizia la lettura di questo lavoro, un
messaggio di pace e di apertura verso l’altro. Senza la ricerca della
pace, nessun credo degli uomini può avere senso. L’idea che un
giorno il genere umano possa capire, incontrarsi e intraprendere un
cammino comune è oggi la nostra lontana, fragile speranza.
Essa giace sotto le macerie di New York, Pittsburgh, Washington,
tra dolore, polvere, rabbia, nell’attesa che qualcuno la scorga.
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Capitolo Uno
LO SCENARIO STORICO. PECULIARITA’ DEL
TERRITORIO.
Paragrafo 1
L’Adriatico e la sua gente.
Un Corridoio tra il Mediterraneo e il Continente Europeo.
La triplicità Mediterraneo – Mitteleuropa – Adriatico: un terzo
polo culturale europeo.
La parabola della vita dello scrittore Fulvio Tomizza,
5
nato nel
1935 a Materada di Umago, spentosi recentemente negli stessi
luoghi oggi croati e un tempo istriani, nel pieno della guerra del
Kossovo, è la metafora della condizione adriatica.
Una umanità che esplode in una serie di contraddizioni, e di
affascinanti diversità, che porta dentro di sé la rabbia, l’orgoglio, le
ferite di un’appartenenza. Gente di frontiera, divisa da barriere
religiose, culturali, politiche, che si amalgamano nella appartenenza
adriatica.
6
La vita dello scrittore di Materada, costretto già da bambino a fare i
conti con l’imposizione di una nuova nazionalità, si fuse con i
travagli della gente comune, allorché come tanti nel 1955 abbandonò
le terre d’Istria per Trieste, dove poi visse. Fu frequentatore degli
ambienti teatrali di Lubiana e Belgrado, ma anche le incursioni nella
casa di famiglia da lui ricomprata furono frequenti perché come
Geno Pampaloni ebbe a dire:
5
Cfr. l’articolo di Felice Piemontese, Fulvio Tomizza, scrittore di”frontiera”,
pubblicato da Il Mattino di Napoli nel 1999
6
Consigliamo la visione del filmato o la lettura dell’abstract : Cineteca Istituto
Luce Genti Giulie, durata 11’, B/N, sonoro. Produzione Opus Film del 1949 in:
www.luce.it
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11
”Egli è scrittore istriano, non triestino”.
Mai scordò la sua Istria. Da “Materada” del 1960 a “Nel chiaro
della notte”, scritto poche settimane prima che una grave malattia lo
stroncasse nel 1999, passando per la conquista di un Premio Strega e
di un Viareggio, con la tipica cocciuta coerenza e la riservatezza
civilissima tipica della sua gente, egli seppe raccontare in varie
forme la sua stessa vita, i luoghi, le persone.
Con i romanzi e con i racconti per bambini ci fece vivere le
tragedie di cui era stato testimone, senza mai cadere nella mera
invettiva politica o nel confronto personale. Preferì considerare
anche i drammi umani, spesso confluiti nei suoi personaggi, come
drammi storici, giacché spesso sottolineò l’incomprensibilità della
Storia per gli uomini.
Nel libro d’esordio, ”Materada” appunto, l’autobiografismo
diviene lirismo. La nuova situazione politica rappresenta uno
sradicamento che non può essere vissuto, senza morirne. Eppure da
quella sconfitta umana non nasce vendetta, ma poesia, che dalla
mente dell’autore si riverbera sui suoi personaggi.
Tomizza rivendicò con orgoglio il suo essere scrittore di frontiera:
”Lo sono sempre stato, non solo per motivi culturali e geografici,
ma anche estetici e psicologici. La mia frontiera è infatti più aspra e
ingrata rispetto a quella dei miei conterranei; vengo da un mondo
più scabro, più interno dell’Istria, soggetto a incontri e scontri, fin
dalla dominazione veneta e austriaca.”
Dopo “La ragazza di Retrovia” del 1963, “La Quinta stagione”,
1965, “Il bosco di acacie” del 1966, seguirono altre prove fino al
notissimo “La miglior vita”, che gli valse lo”Strega” nel 1977. Nelle
parole di Pampaloni i tre livelli di lettura del libro sono la metafora
del popolo adriatico: un romanzo comunitario, un racconto lirico-
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naturalistico, una saga popolare di piccola patria. Per Pampaloni
questi livelli, pur non sempre armonicamente resi,
”trovano giustificazione e armonia in questa intuizione: la misura
essenziale dei fatti della vita è la vita stessa”.
Una testimonianza di vita e di letteratura, che più tardi evolse verso
i modelli puramente mitteleuropei propri di Trieste e che non sempre
fu felice come nel periodo istriano.
Ma oltre al discorso etnologico e al coacervo di culture e razze che
si affaccia sull’Adriatico e che ci ha permesso di individuare una
gens Adriatica, è ora utile vedere cosa intendiamo definendo quel
mare come un “corridoio” tra diverse culture.
La triplicità che ora descriveremo, parte dall’esistenza di una
Mitteleuropa con una sua autonomia culturale e strutturale, concetto
storicamente accettato da tutti. Più avanti si accennerà al valore di un
Mediterraneo inteso come polo culturale, e al suo popolo.
Infine, ne scriviamo ora, la “scoperta” dell’Adriatico.
7
Un corridoio, dunque, un collegamento, o per usare un anglismo
attualissimo, un link di passaggio tra il mondo monolitico e razionale
della Mitteleuropa e l’apertura, le dispersioni eccessive, lo
stordimento del Mediterraneo.
Un ruolo che nelle intenzioni potrebbe portare a un’opera di
equilibrio e armonizzazione delle culture, delle etnie e delle diverse
espressioni di culto. Basti pensare a una città come Sarajevo, che
prima che di essere stravolta dalla Guerra di Bosnia, era un
7
A tale proposito, va segnalato il progetto di un Osservatorio dell’ Adriatico ad
opera del Prof. Giulio Maria Chiodi. Egli da tempo ha attirato l’interesse della
comunità scientifica sulla necessità di una convergenza che ponga in essere un
Osservatorio di studi. Esso potrebbe rappresentare l’istituzione giusta per ridare
voce alla differenza dell’Adriatico, enorme giacimento di culture e arti in parte
tuttora da esplorare, e meglio individuare i canali per un riacquisto sostanziale
delle condizioni di pace.
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13
laboratorio interetnico straordinario, dove cristiani e musulmani
convivevano pacificamente.
E’ a esempi come questo che il futuro del Continente e dei tre
nuclei che l’attraversano deve guardare. Un incontro, non uno
scontro di differenze, nel quale la cultura di estrazione cristiana
dovrà camminare con la realtà islamica, e progettare una casa
comune. I settarismi oggi dividono, ma non mancano già iniziative
rilevanti come la costruzione di mediateche, canali televisivi
tematici, l’avvio di corsi accademici, e la nascita di edifici di culto
come moschee e chiese di culti diversi da quello di Roma.
E’ certo purtroppo che i tragici attentati negli Stati Uniti hanno
creato un clima di pericolosa contrapposizione tra il Mondo cristiano
e quello islamico.
E ancora, potremmo immaginare che la linea protestante, di cui la
Germania e i Paesi a essa vicini sono espressione, si incontri con il
mondo islamico attraverso la mediazione ortodossa.
Ma anche le economie vanno incontro a una confluenza: il
commercio su ferro e gli interporti dovranno fare i conti con la forte
tradizione del commercio marino propria dell’area mediterranea.
Nuove linee di trasporto stanno già nascendo per unire già con
rotte turistiche e commerciali la Scandinavia al Nord Africa,
passando per l’area balcanica.
Responsabilizzando le popolazioni e i loro governanti tutta questa
interazione culturale e commerciale potrebbe garantire un periodo di
armonia a un territorio che ancora in questi mesi vede la regione del
Tetovo tragicamente contesa tra macedoni e albanesi all’insegna di
una strategia che vuole la distruzione degli avversari, della loro
memoria, della loro arte, con un’inutile strage di innocenti, e la
distruzione di edifici antichissimi.
Noi tutti abbiamo il dovere di intervenire, piuttosto che
militarmente, con un forte impegno civile e culturale. Solo così
- 14 -
14
quella che oggi sembra una completa utopia potrà avere una sua
realizzazione: dopo il Mediterraneo e la Mitteleuropa, nascerà
l’Adriatico come terzo polo culturale continentale.
8
8
Cfr. per un approfondimento su questi temi, con un ripensamento dell’idea di
Europa ,Giulio Maria Chiodi – “L’Europa come civiltà pluralistica”,
in: “Europa e bene comune Oltre moderno e postmoderno”, a cura di Danilo
Castellano, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli 1997
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Paragrafo 2
Tipicità e storica problematicità di Fiume. Fiume centro di
conflitto. Cenni sulla storia della città di Fiume e del Carnaro.
2a Dalle origini al XVIII secolo. A.
9
Scaturisce proprio dalla decisione di includere nella nostra sintesi
anche la storia antica di Fiume, la necessità di suddividere in quattro
epoche distinte il ruolo di questo insediamento.
Una città che dall’antichità a oggi ha visto un continuo alternarsi di
vicende.
Fiume sin dagli albori del suo sviluppo urbano ha avuto
importanza per l’intera Europa, e in particolare per l’area adriatico -
balcanica. La regione dove oggi la città sorge ha avuto i primi
insediamenti umani durante l’Età del bronzo.
Testimonianze ancora visibili in tutto il Carnaro e nell’Istria di
quei tempi remotissimi sono i cosiddetti castellieri, un tipo di
abitazione costruita su alture, recintata da grosse mura di pietra a
secco, spesso concentriche.
Castua, Grobnico, Castelmuschio e forse Tersatto, furono un
tempo nuclei abitativi di castellieri.
Nel 1000 a. C. Liburni, Giapidi ed Istri, popolazioni di ceppo
illirico, scacciarono gli aborigeni. I primi si stanziarono tra le coste
fino all’Arsa e nelle isole del Carnaro, mentre i secondi occuparono
9
Per questo primo periodo storico abbiamo scelto di avvalerci di queste fonti:
Aldo Perotti Fiume - Lineamento Storico, Comitato Giuliano di Novara, Novara
1946
Sergio Romano Disegno della Storia d’ Europa dal 1789 al 1989. Trionfo, morte
e resurrezione degli Stati nazionali, TEA Storica, Tascabili degli Editori Associati,
Longanesi, Milano 1991
Aldo Depoli Nihil de nobis sine nobis – Fiume soggetto e non oggetto nel suo
contributo all’Unità d’Italia, a cura dell’Associazione Libero Comune di Fiume in
esilio, Padova 1977
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l’interno tra Carso e Isonzo; gli Istri infine tennero quella terra che
da loro prese il nome.
Giapidi e Istri tra il V e il IV secolo a. C., subirono l’influenza
celtica, giacché i Celti erano approdati tra le valli danubiane e della
Sava. Restarono del tutto indipendenti sia etnicamente che
politicamente solo i Liburni, popolo di navigatori famoso per gli atti
di pirateria in Adriatico.
Nel I secolo a. C. i Romani seppero finalmente domarli, ergendo
un vallo che da Aidussina lungo il Carso fino a Fiume, li avrebbe
dovuti difendere dai Giapidi. L’Istria pure fu sotto il controllo
romano.
Fu così creata la colonia militare di Tarsatica, da una parola
celtica, forse su un preesistente nucleo liburnico e sopra i relativi
castellieri.
Nel Duomo di Fiume sono visibili due lapidi che attestano la svolta
augustea. La città divenne così una municipalità e non più una
semplice colonia militare. Questo ci pare utile evidenziarlo sin d’ora,
giacché le molte rivendicazioni di storica italianità di Fiume spesso
citano questo antico legame tra Roma e l’Istria.
Sull’Arsa fu così fissato il confine della X Regione d’Italia, che
comprendeva la quasi totalità dell’Istria e la Venezia. Nella
provincia dell’Illirico confluirono invece Tarsatica e il resto del
territorio istriano. Anche se non si esclude uno spostamento orientale
dei confini già in epoca augustea, è storicamente attestato che la
Liburnia fosse regione italiana.
Morto Teodosio il Grande, la Liburnia passò alla diocesi d’Italia
dell’Impero d’Occidente. Entrò poi nel regno dei Goti, passando al
dominio di Bisanzio dopo che i Goti furono sconfitti dai bizantini.
Nel 600 avvenne qualcosa che avrebbe lasciato traccia in tutta la
storia moderna dell’Adriatico: la grande ondata migratoria croata.
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I Croati occuparono il litorale orientale dalle rive della Cettina fino
a quelle dell’Arsa. Isole e città di mare restarono però a Bisanzio.
In esse l’elemento italiano, economicamente e culturalmente più
forte, resistette alla penetrazione slava. Qualche influenza la si ebbe,
comunque.
Pur essendo quindi numericamente inferiore, il ceppo italiano
restò autonomo, in più diffondendo l’uso della lingua volgare.
L’elemento italico esprimeva essenzialmente un ceto di
commercianti e navigatori. Di conseguenza le campagne videro
pochissima penetrazione italica, e una forte avanzata slava.
Dopo che Carlo Magno ebbe battuto i Bizantini, venne creata la
Marchia Austriae Italiae o Marca Orientale d’Italia. Istria e Liburnia
divennero territorio dei Franchi, ma con la consapevolezza della
preesistente pertinenza geografica italiana.
La leggendaria tempra fiumana trae spunto da questi anni, in cui
molte battaglie per domare gli autoctoni furono combattute e spesso
perse dai Franchi. Tanto che per vendicare l’uccisione del Duca del
Friuli Enrico di Strasburgo, in assedio alla città, Carlo Magno, come
la tradizione ci attesta, fece radere al suolo Tarsatica nell’800.
Scomparve Tarsatica, dunque, rinascendo come S. Vito al Fiume o
anche come Terra di Fiume di S. Vito. Di quegli anni poco si
conosce, salvo che nel 1028 il vescovo di Pola aggiunse alle diocesi
di Castua, Apriano e Moschiena, quella di Fiume.
Nel 1139 il Vescovo di Pola trasmise in feudo il possesso di Fiume
ai Conti di Duino, che già dal Patriarca di Aquileia avevano ricevuto
il possesso dell’omonimo castello. Questa circostanza fa capire quali
furono le circostanze che permisero l’emancipazione di Fiume dal
controllo di Venezia che pure egemonizzava le altre città istriane.
Il traffico navale pertanto crebbe, alimentato dagli intensi scambi
con le Marche. A oriente della città, sul corso del fiume Eneo, si
formò la contea croata del Vinodol, comprendente Tersatto.
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Il Vinodol era un fiume piccolo ma importante, visto che
simbolicamente rappresentava il confine tra il mondo occidentale e
quello orientale, tra il Sacro Romano Impero e il Regno di Croazia.
Attraverso l’incrociarsi di più riferimenti tra il XIII e il XIV secolo
possiamo osservare altre cose. Nel 1315 Ugone IV fondò la Chiesa
degli Agostiniani, sotto il casato dei Duinati che tanta prosperità
diede alla città.
Sappiamo poi che nel 1291, per ostilità al Patriarca di Aquileia con
il quale era in guerra, il Senato di Venezia vietò l’esportazione di
merci a Fiume, dichiarata nemica.
Tra il 1337 e il 1365 Fiume fu tenuta in pegno dai Conti
Frangipani di Veglia. Nel 1369 i Veneziani, in lotta coi Duinati, la
incendiarono e conquistarono. Morto l’ultimo erede dei Duinati nel
1399, Fiume fu trasmessa per eredità ai Conti di Walsee, che nel
1465 la trasmisero ancora alla Casa d’Austria, Imperatore Federico
III d’Asburgo.
Fu proprio rientrando nel dominio ereditario asburghese che la
città poté presto organizzarsi come Libero Comune, con a capo della
municipalità un Capitano, in rappresentanza del signore del luogo e
dunque dell’Imperatore, assistito da due giudici rettori e dai Consigli
maggiore e minore.
La città si emancipò in questo modo dal Vescovado di Pola. Venne
poi la guerra tra Massimiliano I d’Asburgo e Venezia, cui Fiume si
arrese nel maggio 1508, subendo la sorte di Trieste, Gorizia e
dell’Istria.
Anche Tersatto divenne veneziana. I Bani croati non gradirono
quello che consideravano un grave arbitrio. Va però detto che si
riferivano alla sola Tersatto, essendo pacifica la diversa situazione di
Fiume.
Si andava ormai formando sempre più compiutamente una
autonoma immagine politica della città, se i fiumani chiesero,
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ottenendolo, il rispetto di statuti e privilegi pregressi. Infatti sullo
stendardo comunale è scritto:
“Numine sub nostro tute requiescite gentes arbitrii vestri quidquid
haberis erit. ”
Già nel 1449 il listino dei prezzi del pesce era redatto in italiano.
Dal 1559 anziché in latino, il magistrato civico scriveva i suoi atti in
italiano. E il Vicario era sempre stato scelto tra gli italiani, tratto da
Trieste o dallo Stato Pontificio al fine di amministrare.
Per quanto riguarda la cosa pubblica invece solo dal 1800 in poi gli
atti municipali vennero redatti in italiano e non più in latino.
Nel 1509 il bano di Segna, Andrea Bot, riprese Fiume. Il 2 ottobre
di quello stesso anno, Angelo Trevisan guidò la vendetta veneziana
verso la città che aveva osato distruggere lo stendardo di San Marco,
esponendosi alla collera cieca dei veneziani. Fino al 1514 la
situazione restò invariata, soffrendo Fiume più di una volta il
perdurare delle ostilità fra Venezia e gli Asburgo.
Massimiliano I insignì così la Città di San Vito del titolo di
Fedelissima per aver mostrato lealtà alla Casa d’Asburgo.
E’ importante ricordare che nel 1526 Fiume codificò i suoi Statuti
grazie all’opera del giurista ferrarese Goffredo Gonfalonieri, già
vicario civile di Trieste, prima di divenirlo in Istria, su incarico di
Ferdinando I d’Asburgo.
Con patente imperiale gli Statuti vennero sanzionati il 29 luglio
1530. Da allora in poi, niente fu uguale a come era prima.
Giuseppe I e Carlo VI approvarono e aggiunsero la facoltà del
libero uso a un corpus che era ormai formato e vitalissimo. E già
questi provvedimenti da soli offrono un quadro chiaro della
benevolenza asburgica nei confronti della città.
Va detto che la lotta tra Venezia e i pirati croati, quei temibili
Uscocchi che avrebbero ispirato secoli dopo d’Annunzio nelle sue