3
momenti di responsabilità oggettiva l’omicidio
preterintenzionale, ed una colposa che ha come evento
naturalistico la morte di una persona umana.
In tutte tali ipotesi, l’interesse protetto dal legislatore,
anche indipendentemente dalla diversa volontà del suo titolare,
è da individuarsi nella preservazione della vita umana, intesa
come “bene” collocato all’apice della scala di tutela dal
legislatore ed in suscettibile di atti di disposizione del suo
titolare.
L’interesse di cui trattasi, riceve indiretta protezione da
numerose altre disposizioni collocate in altri “titoli” della parte
speciale del codice, nella legge penale militare o nella
legislazione penale speciale.
In tali casi, l’oggetto giuridico dei vari illeciti delineati
dal legislatore ha sicuramente anche, come momento fondante,
la vita del soggetto ”passivo”, ma è con certezza caratterizzato
da ulteriori interessi che addirittura trascendono la singola
persona umana in sé e per sé considerata, basta ricordare le
varie figure di “attentato”considerate nell’ambito dei delitti
4
contro la personalità dello Stato, quelle considerate di
“violenza” nell’ambito del diritto penale militare, o talune
ipotesi considerate nell’ambito dei delitti contro il patrimonio,
per aversi omicidio, è necessario che la persona su cui cade
l’azione, sia viva, se fosse già morta si avrebbe un caso
d’inesistenza dell’oggetto dell’azione, contemplato nel 2°comma
dell’art.49 del codice.
Ma quali requisiti deve possedere l’essere vivente perché
l’aggressione al bene della vita risulti penalmente rilevante?
In passato, il codice penale toscano del 1853, in tema
d’infanticidio, distingueva tra neonato “vivo” e “vitale” (che
non ha possibilità di sopravvivenza) ed applicava una pena
minore se la prole cui era stata cagionata la morte non era
vitale
2
.
Dopo accesi dibattiti
3
, la commissione del Senato nella
relazione sul progetto Zanardelli del 1887, affermò che perché
2
Su questo problema cfr. Fiore Infanticidio enc.diritto penale. Tarquinio
C., Infanticidio, in condizioni di abbandono morale e di isolamento e
probation minorile, nel foro it. 1998.
3
Pessina,Elementi di diritto penale, II, Napoli 2001.
5
vi sia l’omicidio di un infante, occorre che esso sia nato vivo non
considerando tale l’infante fornito di vita effimera.
La vita finisce con la morte
4
, fino a quando l’individuo
non esula l’ultimo respiro la vita è tutelata, risponde di omicidio
anche colui che uccide un condannato alla pena capitale, pochi
istanti prima che avvenga l’esecuzione.
4
Antolisei,<Manuale di diritto penale,ult.ed.
6
1. 2. I soggetti attivi e passivi dell’omicidio.
Un punto sul quale soffermarsi, riguarda l’individuazione
dei soggetti “attivi” e “passivi”del reato, ovvero dei destinatari
dei vari precetti penalmente sanzionati e dei titolari delle
correlative situazioni di interesse incentrate sulla vita umana.
Nessun problema sorge per l’individuazione del soggetto
attivo, la prima ipotesi d’omicidio scaturisce dal dettato
dell’art.575 c.p., il quale punisce (con la reclusione non inferiore
ad anni ventuno) chiunque cagiona la morte di un uomo.
In ogni reato esiste un soggetto attivo, il reato esige
sempre un autore che viene designato con la parola “reo”
5
,
l’espressione reo non significa condannato o imputato, ma
indica il rapporto che intercede fra il reato e il suo autore,
ovvero l’autore di un fatto previsto dalla legge come reato.
Una larga corrente dottrinaria afferma che non tutti gli
uomini possono essere soggetti attivi del reato, a tal proposito è
5
G. Del Vecchio, il soggetto attivo e passivo del reato, Milano 2000.
7
stata elaborata la nozione di “capacità penale”
6
la quale
rappresenterebbe il complesso delle condizioni per cui un uomo
può considerarsi soggetto di diritto penale, ovvero sia in grado
di porre in essere un fatto rilevante per il diritto.
Secondo tale teoria la capacità penale non sussiste in due
categorie d’individui, in quelli che sono esenti da pena per cause
politiche, in altre parole nelle persone che godono d’immunità e
prerogative (il Capo dello Stato, il Sommo Pontefice, gli Agenti
diplomatici, ecc.) e coloro che non sono punibili per difetto
d’imputabilità (immaturi, infermi di mente, ecc.).
Queste due categorie di persone sarebbero al di fuori
dell’ordinamento giuridico penale, per quanto concerne le
persone che fruiscono dell’immunità penale, l’esenzione da
pena non significa che esse non siano soggette alle leggi, al
6
Moro, la capacità giuridica penale, Padova 2001; Pisapia, contributo alla
determinazione del concetto di capacità nel dir. Pen., Padova 1999; M.
Gallo, capacità penale, in nuovissimo digesto italiano, v II, 2001, 880 ss;
Pagliaro, Immunità (diritto penale) , in enc. del diritto, v. XX, Milano
1999, p. 213;De Felice, Riflessioni in tema di capacità giuridica penale,
Napoli 2000. Contro la categoria, tra gli altri, Bettiol – Pettoello
Mantovani, Dir. Pen., p. 455, per i quali <capacità è sinonimo di
imputabilità>; Nuvolose, sistema, p. 241; Fiandaca e Musco, Dir. Pen. P.
67, nota 14; Padovani, Dir. Pen. P. 113
8
contrario per la loro elevata posizione sono tenuti ad osservarle
più degli altri, parlare in questi casi di incapacità, non ha senso
in quanto se si considera la loro posizione reale, si scorge che in
esse sussiste non una diminuzione ma un accrescimento dello
stato giuridico, caso mai in questi casi si dovrebbe parlare di
“ipercapacità” e non d’incapacità penale.
Riguardo agli infermi di mente, immaturi, ecc. essi non
sono punti estranei all’ordinamento giuridico-penale, giacchè se
non sono soggetti a pena sono passibili di misure di sicurezza, le
quali costituiscono parte integrante dell’ordinamento
medesimo, possiamo affermare che tali soggetti sono in grado di
compiere fatti rilevanti per il diritto e quindi non possono
considerarsi incapaci nell’unico senso attribuibile a tale
espressione.
Soggetto passivo del delitto di omicidio è la persona
umana vivente, ovvero qualsiasi entità appartenente al genere
umano indipendentemente dal sesso e dall’età, purchè viva
9
ovvero capace di vita autonoma
7
, le precedenti discussioni avute
a riguardo, se ai fini della configurabilità dell’omicidio, il
soggetto passivo oltre che vivo doveva essere anche vitale sono
state superate dal codice vigente che, equiparando all’omicidio
il feticidio (uccisione del feto durante il parto) e l’uccisione del
neonato dimostra di voler attribuire protezione alla vita umana,
non facendo distinzione tra la vita dell’uomo e quella del
morente o dell’uomo affetto da malattia che necessariamente
dovrà condurlo alla morte.
7
Patalano, Delitti contro la vita, cit.,7 s.<Capacità di vita autonoma>, in
questa accezione, non significa quindi vitalità, ma più semplicemente
idoneità del nuovo essere a sopravvivere – quale che ne sia il tempo
previsto –e, ove del caso,con aiuti previsti dall’arte medica in sostituzione
e/o in aggiunta all’attività materna, una volta staccatosi dal corpo della
madre o pronto ad essere estratto dalla struttura tecnica sostitutiva
(incubatrice ecc.).
10
1. 3. La struttura del delitto di Omicidio.
L’omicidio, qual è disciplinato nel titolo I del codice
penale, è un delitto a forma libera o, come si dice a fattispecie
casualmente orientata, perché il legislatore non descrive la
condotta penalmente rilevante, ma pone l’accento unicamente
sul risultato vietato, tipicizzando il comportamento dell’agente
in funzione della sua efficacia causale nei confronti dell’evento
“morte”.
Il riferimento al rapporto causale, non è però sufficiente
a dare una concreta tipicizzazione alla condotta incriminata a
titolo di omicidio, perché ogni atto della vita umana rinvia ad
un precedente con il quale è intimamente collegato, sicchè
muovendo a ritroso, si rischierebbe di allargare
indefinitivamente la fattispecie
8
, per poter individuare la
condotta tipica del delitto di omicidio è necessario isolare dal
complesso degli atti posti in essere dall’agente, quello essenziale,
8
Gallo, M., Dolo (dir. Pen.), in Enc. dir., XIII Milano,1999, 750 ss;
11
ossia quello che più degli altri esprime la signoria potenziale o
virtuale dell’agente sul fatto, se tale atto è voluto, l’intero
processo causale diviene proprio dell’autore e legittima le
ulteriori indagini per imputare a titolo di dolo, il fatto al
colpevole.
Costituiscono l’elemento oggettivo del reato, tre elementi,
la condotta, (intesa quale azione o omissione), senza questa il
reato non è concepibile, tuttavia la condotta umana da sola non
basta a costituire il primo elemento essenziale del reato, occorre
anche un risultato effetto della condotta, in altri termini occorre
una modificazione del mondo esteriore voluto dall’agente, (es.,
la morte di un uomo nel reato di omicidio) tale risultato si dice
“evento”.
Perché si possa configurare un reato occorre che vi sia un
legame tra la condotta e l’evento, senza tale legame
l’avvenimento esterno non potrebbe considerarsi effetto della
condotta.
La condotta è quindi non un qualsiasi comportamento
umano, ma solo quel comportamento che si manifesta
12
esteriormente
9
, essa può consistere in un fare e in un non fare,
ovvero in un’azione o omissione, in passato parte della dottrina
affermava che per l’esistenza di un reato non è indispensabile il
comportamento, teoria bocciata dalla grande maggioranza della
dottrina, affermando che un comportamento dell’uomo è
sempre indispensabile per potersi parlare di violazione della
norma e quindi di reato.
L’azione consiste in un movimento del corpo del soggetto
percepibile dall’esterno, essa si presenta il più delle volte sotto
forma di un procedimento complesso, vale a dire come una serie
o molteplicità di movimenti del corpo, ognuno di tali movimenti
si definisce “atto”, l’insieme degli atti si definisce azione,
occorre quindi stabilire quando ci troviamo di fronte ad una
singola azione o molteplicità d’azioni, per stabilire se ci
troviamo di fronte ad uno o più reati.
9
M. Gallo, appunti, vol. II ,parte I, p. 59 s; Magliaro, Fatto, condotta
illecita e responsabilità obiettiva nella teoria del reato, Riv. It. 1999, 634;
Marini, Condotta, in Digesto pen., v. III, 2000, p. 13; Morselli, Condotta
ed evento nella teoria del reato in Riv. It. 2000.
13
L’azione è un comportamento dell’uomo rivolto verso
uno scopo, la direzione verso un fine consapevole è quella che
imprime all’azione il suo carattere unitario, colui che colpisce
più volte una persona con un pugnale al fine di ucciderla, non
compie tante azioni quante sono le ferite inferte, ma compie una
sola azione, l’unicità da sola non basta ad imprimere all’azione
un carattere unitario, è necessario qualcosa in più, e
precisamente la c.d. contestualità, i vari atti devono susseguirsi
immediatamente, senza notevole interruzione, se invece, tra gli
uni e gli altri trascorre un rilevante lasso di tempo, non si ha
una sola azione, ma una molteplicità di azioni, ne consegue che
per l’unicità dell’azione occorre che gli atti, oltre ad essere
guidati da un solo scopo, si svolgono in un unico contesto.
10
La condotta può consistere anche in un’omissione, un
autorevole corrente dottrinaria ravvisa il momento esterno
dell’omissione nell’azione positiva che il soggetto compie,
10
M.Gallo Appunti , vol. II, parte I, p. 84; Id., L’elemento oggettivo del
reato, cit., p. 58 ss assume che non soltanto gli atti debbono essere
contestuali, ma anche offendere un’unica volta il medesimo interesse
penalmente rilevante.
14
mentre si astiene dal fare quella che da lui si attendeva
11
,
l’omittente non rimane inerte, se non compie l’azione che da lui
si aspettava, ne compie un’altra, la diversa azione è priva di
ogni rilevanza giuridica, essa non deve essere neppure
accertata.
Altro elemento che caratterizza il reato, è l’evento
12
, esso
è sinonimo di effetto, di risultato, l’evento non indica
propriamente ogni fatto, ma l’avvenimento che si presenta
congiunto ad un altro fatto mediante un nesso causale, evento è
soltanto l’effetto della condotta che il diritto prende in
considerazione, in quanto connette al suo verificarsi
conseguenze di carattere penale.
Tale effetto può essere fisico, come la distruzione di un
oggetto nel delitto di danneggiamento (art.635 c.p.); può essere
fisiologico, come la morte di un uomo nell’omicidio (art.575),
11
Fiandaca, Omissione, in Digesto pen., VIII, ult. Ediz., 546 ss; Maglio-
Giannelli, Aspetti teorico-pratici della omissione nel diritto penale, Salerno
1999.
12
Antolisei, L’azione e l’evento ecc., p. 73 ss; Caraccioli, Evento, in Encicl.
Giur. Treccani, v.XIII, 1999; Mazzacuva, Evento, in Digesto pen. V. IV,
1999, 445;Morselli, Condotta ed evento, ecc., cit.
15
l’evento, non è un elemento essenziale del reato
13
, infatti,
esistono figure criminose dove l’evento non costituisce
l’elemento essenziale, ma per la configurazione del reato è
sufficiente che sia stato posto in essere un determinato
comportamento (art.385-evasione).
Non si esige che l’evento sia la conseguenza immediata,
diretta dell’azione od omissione, il tempo che intercorre tra la
condotta e l’evento non ha rilevanza per il diritto, inoltre il
reato può scaturire da un solo evento o una pluralità d’eventi,
ciò accade nei reati composti, i quali risultano dalla
combinazione di due o più reati.
In definitiva perché possa delinearsi un’ipotesi di reato
occorre un “rapporto di causalità”, infatti, la morte di una
persona acquista rilevanza per la configurabilità dell’omicidio
soltanto quando essa è la conseguenza della condotta
dell’agente, ossia quando tra l’azione o l’omissione del colpevole
13
Morselli, Disvalore dell’evento e disvalore della condotta nella teoria del
reato, in Riv. It.1999.
16
e la morte della persona, esiste un rapporto di causa ad effetto
in base ai principi enunciati dagli art.40 e 41 c.p.
L’art.40 statuisce che, nessuno può essere punito per un
fatto preveduto dalla legge come reato se l’evento dannoso o
pericoloso, da cui dipende l’esistenza del reato, non è
conseguenza della sua azione od omissione, tale articolo
stabilisce che la condotta deve essere una delle condizioni del
risultato, ma non contiene nè un concreto elemento di
fattispecie, né uno schema o modello di fatti giuridici
14
.
L’art. 41 disciplina invece il concorso di cause, stabilendo
nel primo comma che, il concorso di cause preesistenti,
simultanee o sopravvenute, anche se indipendenti dall’azione od
omissione del colpevole, non esclude il rapporto di causalità tra
l’azione o l’omissione e l’evento, nel secondo comma stabilisce
che, le cause sopravvenute escludono il rapporto di causalità,
quando sono state da sole sufficienti a determinare l’evento.
14
Siniscalco, M.,Rapporto di Causalità, in Enc. dir., VI, Milano, 1999, 642.