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Nella società contemporanea il mito rivive nelle produzioni dell’industria
culturale legate al fantastico che mettono in atto una continua
rigenerazione del mito. A tal proposito occorre sottolineare l’importante
ruolo che cinema e fumetto svolgono nel creare e alimentare
l’immaginario collettivo prelevando i miti dal passato delle civiltà,
rielaborandone le loro valenze simboliche, allo scopo di riproporli ad un
pubblico che richiede ad essi di interpretare la realtà. Quindi il rilancio del
mito passa attraverso i media i cui prodotti, che hanno origine dalle
pulsioni degli spettatori, dei lettori che necessitano di rappresentazioni
simboliche del mondo e del corpo, propongono una chiave di lettura
dell’esistenza individuale e sociale. Possiamo sostenere che l’uomo non
ha abbandonato i suoi dei e i suoi eroi: gli adolescenti di oggi definiscono
il campione sportivo, il cantante o l’attore di successo mitico o divino. A
seconda della generazione attori, cantanti, calciatori… sono stati definiti
dai mass media dei miti e hanno fatto sognare milioni di adolescenti e
adulti. I loro comportamenti sono stati studiati, esaminati, ripetuti e sul
loro esempio si sono cimentati all’emulazione milioni di giovani in cerca
di un futuro. Essi sono e sono stati nell’immaginario collettivo importanti
quanto gli antichi eroi, hanno creato dei modelli di comportamento, dei
nuovi stili di vita. Gli uomini hanno bisogno di rifarsi a degli exempla nei
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loro comportamenti quotidiani, dunque hanno bisogno di eroi,
superuomini, celebrità…
Il termine “eroe”, che nei primi decenni del secolo scorso era letto in
modo abbastanza univoco, è andato progressivamente incontro a svariate
interpretazioni. Accanto agli eroi classici, sono diffuse anche altre e
diverse idee di eroismo. Quelli greci erano grandi uomini divinizzati,
scendevano dall’Olimpo, incarnando le aspirazioni più alte. Si
distinguevano per eccezionalità, titanismo, grandiosità delle azioni e
nobiltà d'animo. Quindi i Greci Antichi fondarono l'archetipo di eroe:
uomini coraggiosi, forti e che affrontavano pericoli, erano gli eroi di
quella società. A partire dal VII al V sec. A.C., il termine eroe designava
un individuo mortale, autore in vita di grandi opere e onorato dopo la
morte con un culto divino. Questo si distingueva per qualità superiori a
quelle umane, che potevano manifestarsi sia nella corporatura, sia in
straordinarie attitudini, sia in eccezionali capacità fisiche.
E oggi? Sopravvive ancora il mito dell’eroe classico, magari “aggiustato”
secondo i dettami del progresso e i mutamenti della storia e della cultura?
Oppure gli eroi dei nostri giorni sono del tutto diversi, più vicini alla
complessità e alle sfaccettature della società postmoderna? Dunque "Chi è
l'eroe?".
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L'utilizzo della forma interrogativa pone l'accento su una dimensione
indefinita e soggettiva, che va al di là di ogni stereotipo di eroe o di gesta
grandiose.
Molto spesso essere un eroe può venire comunemente inteso come uno
"status" che si raggiunge compiendo determinate azioni, quasi esistesse una
formula il cui risultato è l'attributo eroico, mentre l'eroe mai cantato può
essere un qualsiasi individuo che nella propria quotidianità riesce ad essere
speciale per qualcuno, senza aver fatto niente di troppo "rumoroso": è
l'uomo della porta accanto che non agisce solo in funzione di un fine
specifico da perseguire, ma che nel suo fare si fa portatore di valori che si
riflettono sulla collettività. Quindi il nostro è un mondo pieno di eroi, basti
guardare a ciò che succede nel cinema, nella televisione, nei cosiddetti
“multimedia” e nell’impero dei giochi. Le loro imprese riflettono il bisogno
di identificazione dello spettatore comune in nuovi modelli. I mezzi di
comunicazione di massa presentano le imprese più estreme e le azioni più
eccezionali. Tali eroi moderni vivono in un mondo in cui nessuno di noi
partecipa realmente, in tal modo essi appaiono “astratti”, artificiali, virtuali.
Gli eroi protagonisti delle imprese possono essere infiniti, oggi stabilire chi
effettivamente identifica la figura dell’eroe è difficile. In tempi più recenti
sono stati considerati mitici eroi: Che Guevara, un moderno cavaliere che
ha combattuto ed è morto per ideali di vita e di giustizia, Maradona, artista
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identificatore e capopopolo, i protagonisti di fumetti, di film violenti, a
volte il serial killer…
Il presente lavoro nasce dall’idea di voler dare una chiara rappresentazione
del significato che il termine “eroe” può assumere nell’immaginario
collettivo. In una prima parte sono state analizzate le origini, le
caratteristiche e le funzioni che il mito ha assunto nel corso dei secoli,
prestando particolare attenzione al mito degli eroi. Successivamente viene
affrontata la “resurrezione” degli eroi ossia il ritorno agli eroi classici,
conosciuti tra i banchi di scuola, rielaborati e riproposti nelle sale
cinematografiche. A tal proposito è stata analizzata la figura dell’eroe nei
film: Il Gladiatore, Troy, Alexander. Nell’ultima parte del lavoro,
l’attenzione è stata rivolta ad alcune indagini aventi l’obiettivo di
individuare le caratteristiche che gli eroi devono possedere per essere
considerati tali. Lo studio di tali indagini ha costituito un punto di partenza
per la costruzione di un questionario somministrato ad adolescenti, tra i 16 e
i 18 anni, residenti nei comuni vesuviani, allo scopo di rilevare la figura
dell’eroe nell’immaginario giovanile napoletano. Esistono infinite varietà
che la figura di eroe può incarnare: eroi individuali, collettivi, disillusi,
riottosi, scanzonatori ed ironici, resta il fatto che l’uomo ha bisogno di
identificarsi e di viaggiare, di vivere avventure e di nutrire il proprio
bisogno di utopia.
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CAPITOLO 1
IL MITO E IL CULTO DEGLI EROI
1.1 Il mito: struttura e funzioni
La parola mito, dal greco mythos, equivale a favola, e significa narrazione
favolosa delle qualità e delle gesta di esseri ideati come divini, o più che
umani: di dei o di eroi. La mitologia dunque è la scienza delle antiche
favole proprie di un’etnia o di una nazione (mitologia Indoeuropea,
mitologia greca, ecc.); le raccoglie, le collega, cerca di interpretarle e di
capire, nello studio delle loro origini, dei loro significati e dei loro
sviluppi, l'animo di coloro che le immaginarono. Praticamente tutti i
popoli hanno racconti su esseri non umani (sovrumani o extraumani)
dotati di poteri superiori o comunque diversi da quelli degli uomini. Può
trattarsi di esseri sovrumani, come gli dei, capaci di agire nell'attualità, nel
presente, e in grado di condizionare la vita degli uomini e il corso della
natura, oppure di esseri, la cui azione è avvenuta in un passato remoto e
lontanissimo, che hanno contribuito con le loro gesta a formare il mondo.
Il mito è un complesso fenomeno culturale, che può essere esaminato da
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prospettive differenti; generalmente è costituito dall'insieme di narrazioni
orali o letterarie e da rappresentazioni figurative o drammatiche,
incentrate sulle vicende di alcuni personaggi e situate al di fuori del tempo
storico. Il corpo del mito è formato dall'intersecarsi e dal comporsi di tali
vicende, che sono generalmente diverse in ogni narrazione o
rappresentazione. Il mito non interpreta la realtà né la descrive ma,
piuttosto, la rappresenta e, attraverso le caratteristiche tipiche o
simboliche delle figure che in esso agiscono e degli elementi narrativi che
lo compongono, la rende riconoscibile alla comunità che condivide il
racconto. In tal modo il corpo mitologico non solo diventa patrimonio
comune del gruppo, cui richiama immediatamente il complesso dei codici
sociali cui fa riferimento, ma arriva spesso a comprendere la
rappresentazione degli elementi fondamentali della cultura cui appartiene,
e contribuisce a sua volta a conservarli vivi nelle coscienze e attivi
nell’ulteriore sviluppo della cultura stessa. In alcuni casi la mitologia di
una cultura è stata anche interpretata come un aspetto della religione, e
talvolta a essa sovrapposta. Il mito pervade molti aspetti della cultura e
della vita sociale e le sue funzioni non sono percettibili nel tempo e nel
luogo in cui sono attive, ma possono essere individuate e decodificate solo
dall'esterno. Per tale motivo l'analisi del mito è stata spesso usata come
strumento per gettare luce su molti aspetti della vita dell'individuo e della
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società, offrendo modelli di comportamento, per attribuire alla realtà un
senso, giustificarla, dare un significato al mondo.
1.2 La storia delle origini
Le origini dei miti, per quanto profondamente studiate da storici e da
filosofi, rimangono incerte: il primo che cercò di darne una spiegazione fu il
filosofo greco Evemero (del IV sec. a.C.), il quale considerava i miti come
racconti immaginosi di avvenimenti storici, e gli dei e gli eroi come re e
guerrieri che avevano lasciato tracce d'ammirazione, di gratitudine o di
terrore nella memoria degli uomini. Con l’avvento del Cristianesimo, gli
antichi dei furono considerati in senso evemeristico o come demoni
inferiori.
Tra il XVII e XVIII secolo acquistò un certo credito la teoria secondo la
quale i miti non sarebbero altro che deformazioni di una tradizione divina,
conservata intatta soltanto dagli Ebrei. Nello stesso periodo il Vico
considera il mito come espressione tipica dell'uomo primitivo il quale,
come il fanciullo, non era capace di formulare concetti astratti e riusciva
invece a esprimersi attraverso le immagini poetiche. Secondo il Vico,
dunque, il mito sarebbe stato un linguaggio figurato in cui i valori astratti
della ragione venivano tradotti in immagini dall'animo perturbato e
commosso dell'uomo appena giunto alla coscienza di sè e del mondo.
L'illuminismo e il movimento romantico stimolarono l'interesse per il mito
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mediante l'attività teoretica e la ricerca accademica. Gli illuministi,
cercando una spiegazione razionale per ogni manifestazione umana,
comprese quelle apparentemente irrazionali, formularono teorie della storia
secondo le quali i miti erano il prodotto dell'ignoranza e dell'irrazionalità
delle epoche primitive: si pensava, ad esempio, che i miti fossero un
risultato della divinizzazione delle virtù eroiche di un essere umano. Gli
intellettuali romantici considerarono il mito come una forma
irriducibilmente pura dell'espressione umana: per loro il mito, inteso come
modo primitivo di pensare e di sentire, possedeva una dignità pari o
superiore a quella della comprensione razionale della realtà. Tali
speculazioni comportarono nello studio della mitologia l'applicazione dei
principi di discipline sistematiche come l'antropologia sociale e culturale, la
sociologia, la psicologia e la storia delle religioni, che gettarono le
fondamenta di una più ampia comprensione dei rapporti tra i fenomeni della
cultura e della storia. La mitologia attrasse da allora l'interesse di specialisti
di molte discipline: i miti furono analizzati con l'ausilio di strumenti
mutuati dalla storiografia, dall'archeologia e dall'antropologia, e viceversa
dallo studio dei miti emersero modelli interpretativi che poterono essere
analogamente applicati in altri campi di ricerca.
Poiché la narrazione mitica è una forma di comunicazione, molti tentativi di
comprensione si sono concentrati sulla sua struttura linguistica, o meglio
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sulla struttura dei suoi codici, ipotizzando che il funzionamento e il
significato del mito debbano cercarsi per analogia nella storia e nella
struttura del linguaggio stesso. Il principale propugnatore del mito come
modello dello sviluppo storico del linguaggio fu l'orientalista tedesco
Friedrich Max Müller: egli sosteneva che nei Veda, antichi testi indiani, le
figure degli dei e le loro azioni non rappresentavano persone o fatti reali,
ma erano piuttosto il frutto di un tentativo di dare espressione a fenomeni
naturali come il fulmine o il mare mediante immagini icastiche e sensuali.
Figura rilevante in questo settore di studi fu quella dell'antropologo francese
Claude Lévi-Strauss, secondo cui il mito rappresentava un caso particolare
di uso semantico, un terzo livello oltre la superficie narrativa e la struttura
sottostante, nel quale egli rinveniva raggruppamenti di relazioni che, pur
espresse nel contenuto narrativo e drammatico, obbedivano all'ordine
sistematico della struttura linguistica. Secondo Lévi-Strauss in ogni idioma
e cultura operava la medesima forma logica, nelle opere scientifiche così
come nei miti tribali.
Gli psicologi, attraverso il mito, delinearono la struttura, l'ordine e le
dinamiche sia della vita psichica dei singoli sia dell'inconscio collettivo
della società. Sigmund Freud utilizzò i temi delle antiche strutture
mitologiche per esemplificare i conflitti e le dinamiche dell'inconscio,
elaborando la nozione di complesso di Edipo. Carl Gustav Jung, nelle sue
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interpretazioni psicologiche del vasto insieme di miti raccolti nelle culture
di tutto il mondo, trovò sostegno alla teoria dell'esistenza di un inconscio
collettivo condiviso da tutti i popoli e sviluppò una teoria degli archetipi.
Secondo tale teoria certi bisogni psicologici e certi istinti si manifestano in
fantasie oniriche che si rivelano all'uomo attraverso simboli ricorrenti.
Queste forme ed immagini appaiono in pratica in ogni civiltà passata e
presenti come parte costituente dei miti. Nel momento in cui questi
elementi nascono dall'inconscio attraverso i sogni, appaiono i vari archetipi
che caratterizzano i personaggi dei racconti: principesse, cavalieri, draghi,
maghi… Oppure appaiono simbologie ricorrenti, sequenze d'eventi, tipi
d'ambientazione o oggetti talismanici. Le gesta, le relazioni, le avventure
cui partecipano gli eroi, i posti visitati, dai castelli incantati alle più buie
caverne, appaiono in ogni mito conservando le proprie principali
caratteristiche. Sia Jung sia Freud concepivano i sogni come espressioni
della struttura e della dinamica della vita dell'inconscio. Rilevavano infatti
come il sogno, in molte sue caratteristiche, somigli al racconto mitico
proprio di culture nelle quali quest'ultimo esprime ancora la totalità della
vita. Sull’importanza del simbolo si è a lungo soffermato lo storico Mircea
Eliade, secondo il quale “le immagini, i simboli, i miti, non sono creazioni
irresponsabili della psiche; essi rispondono ad una necessità ed adempiono
ad una funzione importante: mettere a nudo le modalità più segrete
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dell’essere. Ne consegue che il loro studio ci permette di conoscere meglio
l’uomo”.
Un’analisi completa dei miti venne effettuato dallo studioso americano
Joseph Campbell che unì concetti di matrice junghiana a teorie della
diffusione storica e all'analisi linguistica formulando, dal punto di vista
delle dinamiche rintracciabili nelle forme mitiche di espressione, una teoria
generale su origini, sviluppo e unitarietà di tutte le culture umane.
Egli sosteneva:“…i miti sono fioriti tra gli uomini in tutti i tempi e in tutte le
regioni della terra; le religioni, le filosofie, le arti e gli stessi sogni
scaturiscono dalla fonte magica del mito… La mitologia e il rito hanno
sempre avuto la fondamentale funzione di fornire i simboli che aiutano il
progresso dello spirito umano, da contrapporre a quelle altre immagini
costanti che tendono ad arrestarlo”.
Le ricerche di Campbell risultano fondamentali per l’analisi delle mitologie
antiche in quanto abbondano di spunti teorici illuminanti ma sottolinea G.
Frezza “il retroterra sul quale Campbell svolge la sua ampia indagine
risulta parziale, se comparato con le novità emerse dalle produzioni
postletterarie del mito”. Per lo studio dei miti occorre quindi superare lo
scenario tradizionale di produzioni e di esistenze del mito, perché soltanto
ciò consente di tener presente le novità introdotte da mezzi di
comunicazione come il cinema.
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1. 3 Il mito nell’era moderna e postmoderna
Il mito è sopravvissuto nelle diverse epoche storiche mantenendo costanti le
sue funzioni di socializzazione e di rappresentazione simbolica. La società
moderna dunque non vive al di fuori del mito e dell’immaginario. In essa i
miti partecipano della razionalità economica della società industriale in
quanto sono il motore del consumo moderno e sono all’origine di un
numero incalcolabile di industrie. Ciò implica che lo sviluppo del pensiero
scientifico, razionale e i vantaggi del progresso non hanno portato né la
scomparsa né la squalificazione del pensiero simbolico che continua ad
occupare ambiti di esperienza e di attività centrali per gli uomini. Tra il
XIX e XX sec. il mito presenta delle innovazioni dovute all’introduzione di
media quali fumetti, cinema, televisione… che prelevano i miti dal passato
e li ripropongono ad un pubblico che necessita di tali forme espressive per
interpretare la realtà. Non è più possibile analizzare il mito senza tener
presente l’analisi della teoria dei mass media in quanto questi ultimi
concorrono secondo Alberto Abruzzese alla creazione dei cosiddetti miti
moderni. Ursula K. Le Guin opera invece una svalutazione del mito nei
fumetti e nel cinema, di cui ne riconosce la vitalità, considera i miti antichi
gerarchicamente superiori a quelli moderni, definiti submiti perché non
hanno una risonanza morale e religiosa. Ella però non tiene conto del fatto
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che tali miti possiedono altre proprietà in comune con le mitologie antiche
quali l’analisi e la comprensione del mondo e della vita sociale.
La modernità ha insegnato agli uomini l’importanza dell’autonomia, il
valore del darsi da sé la norma delle proprie azioni. Sfuggita agli dei,
l’impresa, narrata nei miti, é divenuta l’azione umana inaspettata e senza
precedenti, il gesto inedito e fenomenale. Anche oggi dalle grandi azioni
nascono "miti", una mitologia secolarizzata e del tutto umana. Il primo
uomo a poggiare il piede sulla Luna, l’atleta che corre più veloce di ogni
altro essere umano, il chirurgo, che per primo trapianta un cuore. A queste
imprese tocca la sorte che un tempo toccava alle azioni eroiche, quella di
essere narrate come gesta che fondano la cultura e i valori di una comunità.
E per quanto umane, forse proprio perché umane, queste imprese si
mostrano come esempi, come modelli per l’azione. Se il mito antico però
era un evento che poteva solo essere narrato, il mito moderno é un’impresa
che chiede di essere eguagliata o, ancora meglio, superata. Il mito, quindi,
ancora oggi persiste come una forma di pensiero, come una visione del
mondo. Tuttavia occorre sottolineare che l’impresa moderna appartiene a
un mondo più secolarizzato di quello arcaico, essa ha perduto cioè numerosi
sistemi di valore che invece facevano parte dell’era in cui il mito
alimentava la storia. Differenza sostanziale inoltre é data dal fatto che, nelle
civiltà più antiche, si tramandava il mito per via orale, attraverso la
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semplice e straordinaria memoria dei "cantori". Ciò determina la differenza
anche rispetto alle imprese eroiche, ai miti e ai racconti, tramandati e
trasmessi dalla scrittura ad altri mezzi di comunicazione, causando una
sovrapposizione di linguaggi che ha l’effetto di frantumare e moltiplicare il
mito, così da renderlo meno "sacrale" e meno distante. Indubbiamente i
nuovi mezzi cambiano l’aura di sacralità, ma non la eliminano.
Secondo Massimo Fusillo l’era tecnologica produce ancora dei miti, anche
se questi assumono una natura più ibrida, più frammentaria e, per certi
versi, più contraddittoria. Non sono i miti in cui si riconosce una intera
comunità, ma piuttosto dei frammenti di discorso mitico. La produzione di
miti, nell’epoca contemporanea, é legata a fattori estremamente complessi
che sfuggono alla nozione di tempo, derivando piuttosto da agenti
tecnologici e culturali propri della nuova industria e della nuova civiltà.
I mass media, per definizione, hanno bisogno di tempi rapidi e di produrre,
ma anche di uccidere, i miti, in altri termini di produrli, digerirli e farli
scomparire in continuazione. Questo naturalmente comporta il tradimento
di "attese" attorno al personaggio nutrite dal pubblico, l’abiura dei "valori"
in cui il pubblico si é riconosciuto per il tramite del mito.