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Inoltre, l’entità con cui un evento sismico può danneggiare un sito qualunque
dipende da tre fattori:
ξ processi alla sorgente sismica;
ξ propagazione delle onde dalla sorgente al sito;
ξ proprietà geotecniche dei terreni interessati dallo scuotimento.
A parità delle prime due cause di danneggiamento, gli effetti di sito sono
determinati soprattutto dal contrasto di impedenza (prodotto densità-velocità), nel
passaggio dell’onda sismica all’interfaccia roccia – terreno; infatti, i principali
fattori fisici responsabili di questo fenomeno sono:
ξ dipendenza dell’ampiezza del moto del suolo dall’angolo di incidenza del
fronte d’onda;
ξ riflessioni multiple delle onde intrappolate negli strati superficiali;
ξ diffrazione delle onde che percorrono gli strati superficiali.
Inoltre, come verificato anche per alcuni terremoti italiani, la risposta sismica
locale varia anche in base a caratteri geometrici e meccanici del sottosuolo
(Improta, 1998), quali:
ξ irregolarità morfologiche superficiali e profonde;
ξ eterogeneità verticali, orizzontali e laterali;
ξ comportamento non-lineare e dissipativo dei terreni.
Alla luce di quanto esposto, la risposta sismica locale è uno strumento di
indagine estremamente importante anche ai fini della nuova classificazione
sismica (2003); così si stabiliscono le basi per un’adeguata progettazione
antisismica o ricostruzione, in chiave delle vere accelerazioni del suolo e tenendo
conto dei possibili fenomeni di amplificazione ed attenuazione che possono
verificarsi in un determinato sito.
In assenza di terremoti, l’uso dei microtremori (Kanai, 1957), cioè quelle
oscillazioni continue di suolo di piccola ampiezza (1 – 10 µm) originate dalla
sovrapposizione di effetti generati da sorgenti naturali e disturbi artificiali, e
costituite da onde superficiali di tipo Rayleigh e da una certa percentuale di tipo
Love (Bard, 1999), è indubbiamente il più immediato e dal buon rapporto costo-
benefici tra i metodi utilizzati per la valutazione delle amplificazioni di sito.
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Inoltre, i risultati ottenuti in molti studi sono paragonabili a quelli ottenuti in
studi effettuati con l’analisi di registrazioni sismiche prodotte da terremoti.
Anche se i fattori di amplificazione di sito valutati in base a metodi differenti
possono essere, in alcuni casi, non completamente concordi con quanto ricavato
con questo metodo dei microtremori (Lachet et al., 1996; Satoh et al., 2001),
molti autori concordano che questi possono rivelare la frequenza fondamentale di
risonanza dei sedimenti degli strati superficiali (Lermo e Chavez-Garcia, 1994;
Field et al., 1995; Konno e Ohmachi, 1998).
Uno dei limiti possibili all'utilizzazione dei microtremori è la dipendenza dalle
sorgenti locali, le quali possono rendere di difficile interpretazione le variazioni
da sito a sito (Udwadia e Trifunac, 1973; Aki, 1988). Però, Field e Jacob (1993)
hanno ottenuto risultati assai promettenti modellando le sorgenti di rumore
mediante una distribuzione casuale (nel tempo e nello spazio) dei punti; inoltre,
numerose analisi sono state applicate ai microtremori per capire il ruolo delle
sorgenti locali nelle forme spettrali e per derivare la struttura della velocità al di
sotto della superficie (Maresca et al., 1999).
Un metodo per calcolare la funzione di trasferimento del sito da misure di rumore
sismico è stato proposto da Nakamura (1989), e poi applicato con molto successo
da altri autori ai microtremori (Field et al., 1995; Drawinski et al., 1996, ecc.) o a
registrazioni di terremoti (Lermo e Chavez-Garcia, 1993; Lachet et al., 1996,
ecc.).
Le assunzioni principali di tale metodologia HVSR, cioè Horizontal to Vertical
Spectral Ratio, sono:
ξ i microtremori sono composti da diversi tipi di onde, ma essenzialmente
da onde Rayleigh che si propagano in strati superficiali di terreno
sovrapposti ad un substrato rigido in roccia;
ξ le sorgenti del microtremore sono locali; quindi si trascura qualsiasi
contributo dovuto a sorgenti profonde;
ξ le sorgenti superficiali non influiscono sulle caratteristiche del moto alla
sommità del bedrock;
ξ la componente verticale del moto non risente degli effetti di
amplificazione da parte dello strato superficiale.
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ξ i rapporti tra le componenti orizzontali R
H
(f) e verticali R
V
(f) in
superficie e alla base dello strato sedimentario dipendono solo
dall’ampiezza del moto dovuto alle sorgenti superficiali e alle sorgenti alla
base, ed il rapporto spettrale tra queste due componenti R
H
(f) e R
V
(f)
darà:
Nakamura (1989) ha, però, trovato sperimentalmente che alla base dello
strato superficiale, per tutte le frequenze, l’ampiezza della componente
orizzontale è all’incirca la stessa di quella verticale, cioè pari ad 1, perciò
si determina che la stima del fattore di amplificazione di sito R (f) è data
dal rapporto spettrale:
Questa tecnica è estremamente vantaggiosa, poiché consente la valutazione della
risposta di sito senza uno spettro di riferimento, come invece, avviene per
un’altra tecnica (SSR: Standard Spectral Ratios), in cui si utilizza un rapporto su
spettri calcolati, su di una finestra temporale comune, tra il sito di riferimento su
basamento roccioso ed i siti su terreni sedimentari.
Le prove sperimentali dimostrano che, nel caso di una struttura geologica
semplice, questo metodo dà buoni risultati nella valutazione della frequenza di
risonanza dei sedimenti terrigeni, così come nel livello locale di amplificazione
del sito (Lermo e Chavez-Garcia, 1994; Konno e Ohmachi, 1998). Tuttavia,
alcuni autori convengono che, in generale, la frequenza di risonanza ottenuta dai
rapporti di H/V è statisticamente simile a quella ottenuta dal rapporto spettrale
con il metodo SSR, anche se il livello di amplificazione può essere differente
(Bonilla et al., 1997; Castro et al., 2000).
Per questo tipo di lavoro è stata prescelta la città di Bojano (CB), poichè in
quest’area sussistono una serie di condizioni che la rendono di particolare
interesse:
ξ presenta un’attività tettonica rilevante, visto che è molto prossima alla
zona sismogenetica dell’area matesina, ed è dunque, una città ad elevata
pericolosità sismica (vedi fig. 1.2); ciò è dimostrato sia dai dati di
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sismicità storica e strumentale (vedi tab. 1.1 e tab. 1.2), descritti nel
dettaglio nel paragrafo successivo, che da diverse analisi statistiche
effettuate nell’area Sannio-Matese. In particolare, in Basili et al. (1988) è
stato calcolato per quest’area un tempo di ritorno medio per terremoti di
intensità maggiore o uguale al IX grado della scala Mercalli pari a 20 ± 12
anni; mentre in Mayer-Rosa et al. (1993) viene applicato il metodo di
Cornell (1968) ai dati di sismicità storica, e ne risulta che un evento
dell’VIII grado della scala Mercalli nella zona di Bojano è atteso
all’incirca ogni 50-100 anni, invece, un evento del X grado è atteso ogni
500-1000 anni (vedi fig. 1.1).
Figura 1.1: Probabilità di ricorrenza annuale a Boiano
per intensità della scala Mercalli comprese tra il VI ed
il X grado, calcolate utilizzando il metodo di Cornell
(da Mayer-Rosa et al., 1993).
ξ è una zona ad elevata vulnerabilità, difatti negli ultimi anni, specialmente
la piana di Bojano è stata interessata da un elevato sviluppo urbano ed
industriale.
ξ i depositi sedimentari fluvio-lacustri, sui quali sorge l’abitato di questa
città, potrebbero presentare problemi rilevanti per le strutture presenti,
visto che in occasione del “Terremoto di S.Anna” del 1805 si sono
riscontrati a Bojano fenomeni di liquefazione con formazione di
“vulcanelli di sabbia” (Galli e Meloni, 1993); inoltre, questo tipo di
depositi potrebbe essere soggetto a notevoli amplificazioni di sito, visto
che sono stati riscontrati, in corrispondenza degli eventi del 1456, del
1688 e del 1805, massimi risentimenti nell’area di studio dell’ordine del X
grado MCS (vedi tab. 1.2), che hanno avuto effetti catastrofici.
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Figura 1.2: Mappa delle massime intensità macrosismiche osservate nei comuni
italiani, ed il particolare nella regione Molise (da Molin et al., 1996).
L’acquisizione dei dati è consistita in 19 misure di rumore sismico della durata di
circa 20 minuti, effettuate dal 01/04/2005 al 02/04/2005.
La fase operativa purtroppo nella sua fase iniziale (mese di febbraio) ha avuto
degli intoppi, e non solo di natura climatica (abbondanti nevicate!); infatti a
causa del non ottimale utilizzo dello strumento, che permetteva alla
strumentazione sismografica di lavorare in discontinuo, anziché in continuo per
una durata di circa 20 minuti, è stato necessario ripetere le operazioni di misura
dei microtremori.
I siti sono stati scelti su litologie diverse con l’obiettivo di definire
approssimativamente una corrispondenza con le frequenze di picco f
0
; infatti,
come suggerito anche da Aki (1993), può essere ampiamente osservato che
ciascun tipo di terreno risponde differentemente quando è soggetto a movimenti
di suolo generati da sismi.
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Considerando che la presente tesi non prevedeva la realizzazione di un
rilevamento geologico-strutturale, per stabilire una possibile corrispondenza
litologia-frequenza, è stata utilizzata una carta geologica del comune di Bojano
(Casciello et al., 2002) presentata al convegno “G.I.S. day 2002”.
La strumentazione utilizzata per l’acquisizione dei dati, gentilmente fornita
dall’Osservatorio Vesuviano – INGV di Napoli, consiste in una stazione
sismografica portatile del tipo Lennartz MARSlite/MO, in un geofono
elettromagnetico a tre componenti del tipo Lennartz LE-3Dlite, ed in un’antenna
ricevente il segnale radio DCF-77, trasmesso sulla frequenza di 77.5 KHz da
Meinflingen in Germania.
Quindi, finalizzati all’obiettivo di eseguire una stima preliminare della frequenza
di risonanza del sito di misura, sono stati calcolati i rapporti spettrali H/V dei
microtremori, secondo il metodo di Nakamura, mediante il programma JSesame,
prodotto nell’ambito di un progetto di ricerca finanziato dall’Unione Europea.
Questo programma è un’applicazione Java strutturata in quattro moduli
principali, i quali provvedono ad organizzare i dati dei segnali in entrata, operare
la selezione, manuale o automatica, delle finestre temporali ed i successivi
procedimenti di calcolo, e visualizzare nell’interfaccia grafica del programma i
risultati delle elaborazioni.
1.1 Sismicità storica
In Tab.1.1 sono riportati gli eventi sismici storici di interesse per la regione
molisana, in base ai diversi cataloghi storici pubblicati (Postpischl, 1985; CNR-
PFG, 1990; NT, 1993; CFTI, 1995; NT4.1, 1996; CPTI99, 1999; CPTI04, 2004;
CSI, 2005).
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Anno Mese Giorno Zona epicentrale MCS Ms
346 Sannio ?
848 06 Campania-Molise X
990 10 25 Conza della Campania IX-X
1120 Larino IX 5.5
1231 06 01 Montecassino VIII-IX 5.9
1293 09 Bojano VIII 5.9
1349 09 09 S. Elia X 6.7
1456 12 5-30 Beneventano, Molise, Maiella X-XI 6.7
1688 06 05 Matese XI 7.3
1702 03 14 Baronia X 6.4
1706 11 03 Maiella IX-X 6.4
1712 05 08 Campobasso VI-VII 4.7
1732 11 29 Ariano Irpino X 6.4
1805 07 26 Frosolone XI 6.7
1825 10 27 Monteroduni VI 4.4
1831 11 23 Bojano VI 4.4
1873 12 13 Venafro VII 5.0
1875 12 06 S. Marco in L. VIII 5.2
1885 12 26 Campobasso VII-VIII 5.0
1913 10 04 Vinchiaturo VIII 5.2
1914 12 19 S. Agapito VII 5.0
1915 01 13 Avezzano XI 7.0
1930 07 23 Irpinia X 6.7
1962 08 21 Irpinia-Sannio IX 6.2
1980 11 23 Irpinia-Lucania IX-X 6.9
1984 05 07 Alfedena VII 4.9
1997 03 19 Sassinoro VI-VII 4.6
2002 10-11 31-1 S. Giuliano di Puglia VIII-IX 5.4
Tabella 1.1: Eventi sismici storici di interesse per la regione molisana (MCS = Intensità
MCS all’epicentro; Ms = Magnitudo dalle onde superficiali, calcolata in base a relazioni
intensità-magnitudo), in grassetto sono stati evidenziati i terremoti più catastrofici.
CAPITOLO I _________________________________________________ Premessa
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Le intensità sono state valutate nella scala MCS sulla base dei danni riportati
nella documentazione storica e sono sempre riferite alla zona epicentrale. La
magnitudo Ms, invece, è relativa alle onde superficiali, ed è stata calcolata
mediante apposite formule di correlazione intensità-magnitudo, tranne per gli
ultimi quattro eventi per i quali il dato è strumentale.
Come si può vedere, in un arco di tempo poco superiore al migliaio di anni
almeno una decina di eventi di intensità epicentrale pari o superiore al X grado
MCS e magnitudo Ms equivalente superiore a 6 hanno interessato l’Appennino
centro-meridionale.
Dalla Tab.1.2 risulta che i massimi risentimenti nell’area in studio sono stati
dell’ordine del X grado MCS e si sono avuti in corrispondenza degli eventi del
1456, del 1688 e del 1805: questi tre eventi assumono una importanza
fondamentale anche in chiave sismotettonica in quanto sono stati almeno in parte
spiegati con la riattivazione della struttura sismogenetica matesina (Galadini e
Galli, 2001; Galadini et al., 2004).
Tabella 1.2: Massimi risentimenti nell’area di Bojano per diversi sismi, in grassetto
sono stati evidenziati i terremoti più catastrofici.
Anno Zona epicentrale Ms Intensità (MCS)
1293 Bojano 5.9 VIII
1349 S. Elia 6.7 IX
1456 Beneventano, Molise, Maiella 6.7 X
1688 Matese 7.3 IX-X
1702 Baronia 6.4 VIII
1732 Ariano Irpino 6.4 VII-VIII
1805 Frosolone 6.7 X
1825 Monteroduni 4.4 VI
1913 Vinchiaturo 5.2 VI-VII
1915 Avezzano 7.0 V-VI
1930 Irpinia 6.7 V-VI
1980 Irpinia-Lucania 6.9 V-VI
1984 Alfedena 4.9 V-VI
2002 S. Giuliano di Puglia 4.5 V-VI
CAPITOLO I _________________________________________________ Premessa
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ξ Il terremoto del 1456: il terremoto del dicembre del 1456 rappresenta, per
l’estensione dell’area disastrata e per il numero delle vittime, il più grave
tra gli eventi storici che abbia colpito l’Appennino meridionale. Le fonti
storiche più attendibili parlano di due scosse violente avvenute
rispettivamente il 5 ed il 30 dicembre (Figliuolo, 1988). Date le
dimensioni eccezionali dell’area macrosismica questo terremoto è stato
interpretato come un evento multiplo, nel senso che rappresenta il risultato
dell’attivazione pressoché simultanea di più strutture (Meletti et al, 1988).
Tale modalità di rilascio dell’energia sismica è stato evidenziato anche per
terremoti più recenti: Irpinia (Bernard e Zollo, 1989) e Umbria-Marche
(Capuano et al., 2000). Per quanto riguarda gli effetti sul terreno nell’area
in esame, fonti storiche (Manetti, 1604) riportano che le acque
sommersero alcuni centri abitati, tra cui Bojano. D’altra parte gli studi
sull’evento del 1456 hanno avuto in genere obiettivi differenti e una
ricostruzione completa ed esauriente degli effetti sul terreno è ancora
oggetto di ulteriori approfondimenti.
Figura 1.3: Campo macrosismico del terremoto del 1456 (da sito web dell’INGV).
CAPITOLO I _________________________________________________ Premessa
11
ξ Il terremoto del Sannio del 1688: la scossa di maggiore intensità si ebbe il
5 giugno 1688 e fu seguita da almeno una quarantina di repliche fino alla
metà di luglio.
Il campo macrosismico (Serva, 1981) localizza l’epicentro nella zona tra
Cerreto Sannita e Civitella Licinio. Anche in questo caso, la struttura
sismogenetica coinvolta sembrerebbe dunque essere quella matesina.
Tra gli effetti sul terreno, si ricordano fratture lunghe due miglia (S.
Giorgio La Molara, “Si è aperta una voragine di 3 palmi larga, due miglia
circa di lunghezza che avendosi voluto misurare il fondo non si trova”),
variazioni di portata delle sorgenti, variazioni chimico-fisiche delle acque,
fenomeni franosi e episodi di liquefazione (Galli e Meloni, 1993; Esposito
et al., 1987).
Figura 1.4: Campo macrosismico del terremoto del 1688 (da sito web dell’INGV).
CAPITOLO I _________________________________________________ Premessa
12
ξ Il terremoto molisano del 1805: la scossa principale avvenne poco dopo le
21 del 26 luglio (per questo è anche noto come “terremoto di S.Anna”), e
fu preceduta da alcune scosse nel giorno precedente e da numerose
repliche fino alla metà del 1806.
L’analisi e la classificazione degli effetti macrosismici del terremoto sulla
base della scala MCS (Esposito et al., 1987) ha consentito di individuare
l’epicentro macrosismico nell’area di Frosolone con un’intensità massima
XI (“Non altro si osservava che un informe e confuso ammucchiamento di
rottami di fabbriche, travi, embrici, tavole, mobili, domestici e altro (Pepe,
1806).
Gli effetti che sono riscontrati nella città di Bojano sono deducibili da
letteratura:
1. Voragini sul versante matesino che borda la piana di Bojano: Baratta
(1901) descrive un paio di voragini che si formarono nel massiccio del
Matese, circa a metà del versante di Bojano il giorno successivo all’evento
sismico del 26 luglio; questi sono stati interpretati come sprofondamenti
carsici ma potrebbero essere invece anche connessi direttamente alla
riattivazione in superficie della faglia del Matese.
2. Liquefazioni a Cantalupo e a Bojano: diversi Autori riportano un episodio
di liquefazione con formazione di “vulcanelli di sabbia” che dovrebbe
aver interessato la porzione superficiale dei depositi di riempimento
fluvio-lacustre della piana non lontano dall’abitato di Cantalupo (Galli e
Meloni, 1993). Più difficili da localizzare gli episodi di liquefazione
segnalati molto genericamente a Bojano.
3. Nuove sorgenti a Bojano: già nel giorno precedente alcune sorgenti
intorno a Bojano apparvero torbide e più calde del solito. Tre giorni dopo
il terremoto, sorsero tre grandi torrenti d’acqua che inondarono in breve
tutta la campagna circostante; essi furono attivi per 20 giorni per poi
ridursi a piccoli rivi. Una nuova sorgente si aprì “nel mezzo della città di
Bojano la quale siegue a versarne anche oggidì” (Pepe, 1806) ed “In
Bojano surser dal sen della sua terra le stesse acque che son sgorgate ora
(Poli, 1806)”.
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Figura 1.5: Campo macrosismico del terremoto del 1805 (da sito web dell’INGV).
1.2 Sismicità strumentale
L’area del Sannio-Matese rappresenta uno dei segmenti sismicamente più attivi
dell’Appennino meridionale (Cubellis et al., 1995).
La sismicità recente in quest’area risulta caratterizzata prevalentemente da
sequenze sismiche a sciame.
Le sequenze sismiche registrate dalla rete dell’Istituto Nazionale di Geofisica
maggiormente significative per l’area in studio sono state le seguenti:
ξ Maggio 1984, caratterizzata da due eventi principali di magnitudo Ml=5.4 e
Ml=5.2, seguite da numerose repliche (Console et al., 1989), ed epicentro nei
pressi di Alfedena.
ξ Dicembre 1985, caratterizzata da magnitudo massime Ml=3.2 ed epicentro
nel Matese.
ξ Gennaio 1986, un centinaio di eventi con magnitudo compresa tra 2.0 e 4.0 ed
epicentro a NE di Isernia (Alessio et al., 1987).