3
ha bandito per sempre il corpo femminile ed ipersessualizzato della
strega Sycorax. In Pericles, invece, si riscontra un’insolita
abbondanza di donne. La maternità è rappresentata dal personaggio di
Thaisa, moglie di Pericles e madre di Marina. È, però, significativo
che Thaisa, una volta partorita la bambina, sarà creduta morta e potrà
riabbracciare la figlia solo alla fine del dramma. Stesso destino spetta
a Hermione, madre assente del Winter’s Tale: il suo corpo sparirà
dalla scena appena dopo il parto per poi essere ritrovato alla fine, ma
solo sotto forma di statua.
La rappresentazione della maternità si dimostra essere un
problema importante per Shakespeare. Le cause che possono averlo
spinto ad escludere le madri dalle famiglie che metteva in scena sono
molteplici. La studiosa Mary Beth Rose elenca quelle che sono state
più volte indicate dalla critica: il motivo teatrale, quello legale e quello
demografico
2
.
In primo luogo bisogna considerare che, nel teatro
rinascimentale inglese, i ruoli femminili erano impersonati da giovani
uomini: le donne non potranno intraprendere la carriera di attrice fino
al 1660, quando terminò anche in Inghilterra, sulla scorta delle
2
M. B. Rose, “Where Are the Mothers in Shakespeare? Options for Gender Representation in
English Renaissance”, Shakespeare Quarterly, 42, 3 (Autumn 1991), pp. 291-314.
4
rappresentazioni francesi, il divieto assoluto per le donne di salire sul
palcoscenico
3
. Forse, quindi, Shakespeare si era reso conto che un
uomo non può impersonare una madre. Resterebbe da spiegare, però,
per quale motivo esistono nelle sue opere molte figure femminili:
figlie, mogli e streghe, comunque interpretate da attori maschili.
La seconda motivazione addotta da alcuni critici è quella
secondo cui, da un punto di vista legale, la donna sposata non aveva
una propria identità: dopo il matrimonio, infatti, non le veniva
riconosciuto alcun ruolo sociale e diventava proprietà del marito.
Coloro che sostengono questa tesi affermano che il padre in scena
assume la funzione genitoriale sia maschile che femminile
4
. Anche se,
da un punto di vista storico, questa giustificazione è corretta, tuttavia
non sembra sufficiente a spiegare la così tanto ripetuta esclusione di
madri dalla scena. Inoltre resta oscuro il perché della frequente
presenza di figlie: anche la donna non sposata, infatti, non aveva alcun
ruolo sociale ed era prerogativa del padre.
3
Cfr. E. Howe, The First English Actresses: Women and Drama, 1660-1700, Cambridge,
Cambridge University Press, 1992, pp 19-20. Si presume che il primo giorno in cui una donna
partecipò come attrice ad una rappresentazione teatrale sia stato l’8 dicembre 1660, quando la
King’s Company di Thomas Killigrew mise in scena l’Othello con la partecipazione di un’attrice
nel ruolo di Desdemona.
4
Cfr. M. B. Rose, op. cit., pp. 293-4.
5
Infine resta da illustrare la motivazione demografica, secondo la
quale la costante assenza di madri sarebbe il riflesso della realtà
inglese del tempo: molte erano le one-parent families a causa della
bassa età media. Nella maggior parte dei casi il genitore che viveva
più a lungo era il padre: le donne spesso morivano di parto oppure
dopo le molteplici gravidanze portate a termine senza assistenza
medica. Questa motivazione si basa sulla diffusione della realtà della
dead mother; altri studi, però, dimostrano che, nelle famiglie del
tempo, i genitori ricoprivano entrambi un ruolo fondamentale per
l’educazione dei figli.
Spiegare il fenomeno da questi tre punti di vista, in conclusione,
non sembra sufficiente a capire perché “the best mother is an absent
or a dead mother
5
”.
La soluzione al problema della maternità in Shakespeare va
forse cercata proprio nell’opera in cui è resa palese la costruzione
culturale del problema stesso:
Be bloody, bold and resolute; laugh to scorn
The power of men; for none of woman born
Shall harm Macbeth
6
.
5
M. B. Rose, op. cit., p. 301: “la miglior madre è una madre assente o morta” (trad. mia).
6
W. Shakespeare, Macbeth, ed. by G. K. Hunter, London, Penguin, 1967, IV, i, vv. 78-80. Trad. it.
Macbeth, a cura di N. D’Agostino, Milano, Garzanti, 2002. “Devi essere crudele, audace, fermo./
Beffati del potere umano. Nessun nato da donna/ potrà nuocere a Macbeth.”
6
“Nessun nato da donna potrà nuocere a Macbeth”. Il “non nato
da donna”, verrà chiarito alla fine del dramma, è colui che, essendo
stato strappato anticipatamente dal grembo materno, non deve la
propria nascita al corpo della genitrice: il bambino nato da parto
cesareo dopo la morte della madre non potrà ereditarne l’assoluta
potenza creatrice e distruttiva insieme. Questo discorso va inserito
nell’ambito della ricostruzione culturale della maternità sviluppatasi
durante il Rinascimento inglese: attraverso il recupero di miti pagani e
cristiani (Atena che nasce dalla testa di Zeus o Eva che nasce dalla
costola di Adamo) gli autori di questo periodo tendevano a non
riconoscere che è la donna a ricoprire un ruolo predominante per la
nascita dei figli. A questo proposito è significativa la frase di John
Knox: “Man is not of the woman, but the woman of the man”
7
. In
questo contesto, il bambino nato dalla morte della madre assume una
valenza positiva proprio perché la sua creazione appartiene solo
all’uomo. Nel Macbeth il “non nato da donna” è Macduff:
Tell thee Macduff was from his mother’s womb
Untimely ripped
8
.
7
Cit in M. B. Rose, op. cit., p. 299. “L’uomo non è della donna, ma la donna è dell’uomo” (trad.
mia).
8
Ib., V, vii, vv. 54-5. “Macduff venne strappato prematuro dal grembo di sua madre”.
7
Anche altre opere sono caratterizzate dalla presenza di
personaggi “non nati da donna”. Nel Pericles, Thaisa muore dando
alla luce Marina: al suo corpo, gettato in mare, Cerimone, signore di
Efeso, ridarà la vita con arti magiche. Ciò che conta, però, è che sia
Pericles, sia Marina crederanno Thaisa morta per tutta la durata del
dramma. In ogni modo la figlia è nata da parto cesareo, dopo la
scomparsa della madre.
Thaisa was my mother, who did end
The minute I began
9
.
Così anche Perdita, nel Winter’s Tale, la quale sarà allontanata
dalla madre ed abbandonata in una terra lontana, dove un pastore
vedovo l’alleverà come una figlia. Nel Romance Cymbeline il
protagonista omonimo, re di Britannia, ha tre figli: i primi due maschi,
che lui crede morti, sono in realtà stati rapiti da un nobile esiliato cui è
morta la moglie, che i due ragazzi hanno conosciuto come loro madre.
La terza figlia è la principessa Imogen, che vive con il padre e la
regina che lui ha sposato dopo la morte della vera madre. Anche
Posthumus, futuro marito di Imogen, è un “non nato da donna”.
9
W. Shakespeare, Pericles, ed. by S. Gossett, London, Arden, 2004, V, i, vv. 200-1. Trad. it.
Pericle, principe di Tiro, a cura di N. D’Agostino e A. Serpieri, Milano, Garzanti, 2000, V, i, vv.
210-11. “Thaisa era mia madre, che finì/ nell’istante in cui io cominciai”.
8
Prospero, il padre dispotico della Tempesta ha una figlia, ma non una
moglie, e ha fatto in modo che Miranda crescesse in un luogo
interamente dominato e popolato da uomini. Allo stesso modo, nel
King Lear si potrebbe fare un’analisi di questo tipo: Regan e Goneril,
le figlie cattive di Lear, hanno sicuramente conosciuto la madre,
mentre Cordelia, la più piccola, potrebbe essere stata strappata dal
grembo materno, come Marina, o comunque non ha avuto modo di
vivere a lungo con la genitrice.
Nelle opere shakespeariane, inoltre, i figli nati naturalmente e
cresciuti con le loro madri sembrano assumere caratteristiche
negative: un esempio tra tutti è quello di Cloten, figlio della regina
moglie di Cymbeline, personaggio notevolmente volgare e falso.
Si potrebbe concludere, dati questi esempi, che la figura
materna in Shakespeare abbia un’influenza sgradevole sulla
personalità della figlia. La bambina nata dalla morte della madre non
ne assume le caratteristiche di ipersessualizzazione. Anzi, quasi non
diventa donna
10
: Cordelia, Marina e Desdemona, ad esempio,
mostrano una forte risolutezza e capacità di maneggiare il linguaggio,
10
Cfr. N. Chodorow, “Family Structure and Feminine Personality”, in Woman Culture and
Society, ed. by M. Zimbalist Rosaldo and L. Lamphere, Standford, Standford University, 1974, pp.
43-65.
9
strumento privilegiato per l’esercizio del potere maschile. Marina e
Cordelia assumono, inoltre, un valore redentore per i padri stessi:
usando le parole di Maria Del Sapio Garbero si potrebbe dire che “la
salvifica verginità della figlia, nasce lì dove finisce il corpo fecondo
della madre.”
11
Un’ultima considerazione va fatta, poi, sulle madri ritrovate alla
fine del Pericles e del Winter’s Tale: Thaisa ed Hermione vengono
rinvenute quando i segni della maternità sono ormai spariti dai loro
corpi. In realtà, Marina e Perdita incontrano, alla fine della loro storia,
una dantesca Vergine Madre
12
. La separazione della figlia dalla
madre, rappresentata in innumerevoli storie mitologiche, rende
tangibile la necessità dell’uomo di dividere il potere creatore e
distruttivo della donna in due esseri distinti, quasi a volerne diminuire
la forza.
La sistematica esclusione del ruolo materno dalla scena
shakespeariana risulta ancor più significativa quando si analizza il
rapporto padre-figlia, notevolmente influenzato dall’assenza della
genitrice.
11
M. Del Sapio Garbero, Il bene ritrovato. Le figlie di Shakespeare dal King Lear ai Romances,
Roma, Bulzoni, 2005, p. 130.
12
Cfr. C. L. Barber, “The Family in Shakespeare’s Development: Tragedy and Sacredness”, in op.
cit., pp. 188-202.
10
Scopo del presente lavoro sarà proprio quello di analizzare alcune
opere di Shakespeare per evidenziare l’importanza della dinamica
padre-figlia, alla luce del costante esilio del materno.
11
Capitolo Primo
Othello: “a divided duty”
My noble father,
I do perceive here a divided duty.
To you I am bound for life and education:
My life and education both do learn me
How to respect you; you are the lord of duty,
I am hitherto your daughter. But here’s my husband:
And so much duty as my mother showed
To you, preferring you before her father,
So much I challenge that I may profess
Due to the Moor my lord
13
.
Con queste parole Desdemona esordisce nel dramma, per
difendere la sua decisione di sposare il Moro Othello: il discorso della
protagonista assume un valore politico notevole perché è pronunciato
nella camera del consiglio di Venezia, dove, davanti al Doge ed ai
senatori, la donna è chiamata a scagionare Othello dall’accusa di
averla irretita con arti magiche.
13
Othello, ed. by E. A. J. Honingmann, London, Arden, 2003, I, iii, vv. 180-89. “Nobile padre, / il
mio dovere è qui diviso in due: / a voi mi legano nascita ed educazione, / e nascita ed educazione
mi insegnano / a rispettarvi. Voi siete il mio signore, / essendo io finora vostra figlia. / Ma qui c’è
mio marito; e la stessa / obbedienza che vi mostrò mia madre, / anteponendovi al padre suo, / io
devo dichiarare di dovere / al Moro mio signore.” (Trad. it., Otello, a cura di N. D’Agostino e S.
Perosa, Milano, Garzanti, 2004).
12
Il Rinascimento inglese è un periodo di profonda revisione del
significato e della funzione della famiglia. Alla tradizionale
concezione del matrimonio come rapporto di sottomissione della
moglie al marito si andava affiancando, sulla scia della riforma
protestante, una nuova costruzione culturale che sottolineava
l’importanza dell’amore coniugale. Lo stesso termine “love” giunse a
designare un vasto raggio di significati: dal semplice senso di “essere
obbligato a qualcuno”, a quello più ristretto di “affetto verso
l’autorità”, fino al più intimo significato di “legame affettuoso” tra
partners. Durante l’epoca di Shakespeare, quindi, vennero a convivere
due punti di vista contrastanti riguardo all’unione coniugale: il primo,
derivato dalla vecchia tradizione cattolica e sostenuto dal testo biblico,
affermava la necessità della sottomissione femminile al potere
maschile; alla moglie, variamente rappresentata come inferiore al
marito, era richiesta la più totale ubbidienza anche nei casi di
maltrattamenti o infedeltà. Il secondo punto di vista, rivoluzionario
per l’epoca, conferiva un valore fondamentale all’amore come unica
base per la stabilità del matrimonio.
Il discorso di Desdemona al padre sembra sintetizzare le due
teorie: da un lato, come voleva la tradizione, professa un divided duty,
13
un amore ed un’obbedienza divisi tra il padre ed il marito; dall’altro,
però, la protagonista afferma di aver scelto consapevolmente il proprio
compagno, per giunta attribuendogli lo stesso appellativo con cui, solo
pochi versi prima, aveva designato il padre (“you are the lord of duty”,
per il padre; “the Moor my lord”, per il marito). Lo scontro tra
Brabantio e Desdemona si delinea su diversi livelli: il primo e più
importante riguarda il matrimonio segreto tra la figlia ed il Moro.
Brabantio è il portavoce, nell’opera, della vecchia concezione del
matrimonio, visto per lo più come scambio tra due households: il
padre della sposa concedeva la propria figlia e parte dei propri averi
(dote) in cambio di una solida sicurezza economica per la figlia stessa.
Da questo punto di vista la prole era considerata un bene materiale
della famiglia, attraverso la cessione della quale il padre otteneva in
cambio un vantaggio economico. Il matrimonio segreto, quindi, non
può che risultare come un furto per Brabantio, il quale si sente
derubato del più grande patrimonio che possedeva, la sua unica figlia.
Oltre al dolore per la fuga di Desdemona, il senatore si sente
intimorito e minacciato anche perché non vuole concedere in dote i
propri possedimenti al Moro. In tutta l’opera ci sono continui richiami
14
al paradigma del furto, associato a quello del denaro. È Iago che, fin
dai primi versi, valuta tutto, perfino se stesso, in termini economici:
By the faith of man
I know my price.
14
Per svegliare Brabantio e comunicargli la notizia del
matrimonio, Iago usa ancora l’immagine del furto:
Awake, what ho, Brabantio! thieves, thieves, thieves!
Look to your house, your daughter and your bags!
Thieves, thieves!
15
La metafora del furto ritornerà costantemente per tutta l’opera.
Lo stesso Brabantio accuserà Othello di latrocinio fin dal loro primo
incontro nella scena seconda del primo atto. In una lunga tirata contro
il Moro, Brabantio non lo chiamerà mai per nome, quasi a volerne
negare l’identità: il primo appellativo con cui il padre si rivolge al
marito della figlia è foul thief (v. 62), seguito da un’espressione molto
più spregevole to the sooty bosom / of such a thing as thou (vv. 70-1),
“sul nero petto di un coso come te”. Questi epiteti sembrano esprimere
il desiderio di Brabantio di rubare l’identità a chi lo ha privato del
bene più prezioso. A questa idea del matrimonio come baratto,
Desdemona oppone un punto di vista più innovatore che individua
nell’amore la vera natura del proprio sentimento per Othello:
14
I, i, vv. 9-10: “In fede conosco il mio valore”.
15
I, i, vv. 78-80. “Sveglia! Ehilà, Brabanzio! Al ladro, al ladro!/ Attento alla casa, alla figlia, ai
tesori!/ Al ladro, al ladro!” (corsivi miei).
15
Duke: What would you, Desdemona?
Desd.: That I did love the Moore to live with him
My downright violence and scorn of fortunes
May trumpet to the world
16
.
Desdemona amerà Othello per tutta la durata del dramma, al
punto di mentire per la sua salvezza: prima di morire, soffocata dalle
mani del Moro, risponderà alla domanda di Emilia “O, who has done
this deed?” con l’unica menzogna da lei pronunciata nell’opera
“Nobody, I myself, farewell.”
17
Un secondo terreno di scontro tra padre e figlia è delimitato, in
quest’opera, dai diversi pesi che i personaggi danno alla potenza della
parola. Othello è un dramma costruito solo con le parole; la sua trama
tragica si sviluppa in una fabula estremamente scarna. Al di là delle
menzogne di Iago, dalla cui fervida immaginazione dipende
l’intreccio, in realtà nella storia non succede nulla. Tutti i personaggi
sembrano accorgersi, a diversi livelli, dell’importanza e del valore dei
discorsi. Tutti tranne Brabantio, il quale afferma:
These sentences to sugar or to gall,
Being strong on both sides, are equivocal.
But words are words: I never yet did hear
That the bruised heart was pierced through the ear
18
.
16
I, iii, vv. 248-51. “Il Doge: Che cosa desiderate? Parlate/ Desd.: La mia aperta ribellione e lo
spregio dei beni terreni proclamano al mondo che amavo il Moro per vivere con lui ”.
17
V, ii, vv. 121-2: “Emilia: Ah, chi ha commesso questo delitto? / Desd.: Nessuno: io stessa.
Addio”.
18
I, iii, vv. 217-20. “Queste sentenze, siano esse dolci o amare, / essendo a doppio taglio, posson
equivocare. / Ma le parole volano, e non ho mai sentito / che dall’orecchio si curi il cuor ferito”.
16
Egli non solo non riconosce la potenza delle parole, ma non
ammette che esse bastino a curare il cuore: dalle sole parole non
possono nascere i sentimenti. Desdemona, invece, si innamora di
Othello proprio grazie al racconto che lui le fa delle avventure che ha
vissuto: l’amore tra i due nasce con le parole e di esse si nutre. Anche
quando il Moro scivolerà progressivamente nella rete di falsità
costruita da Iago, il segno lampante del suo cambiamento sarà la sua
assimilazione ai modi di dire ed al tono volgare di Iago. Quando
ancora Desdemona non si è accorta dell’alterazione nell’animo del
compagno, i due personaggi dialogano facendo riferimento a due
diversi livelli comunicativi. Ne è un esempio la scena quarta del terzo
atto: le battute sono tutte basate su un più o meno ampio scollamento
tra significante e significato, che produce le prime incomprensioni tra
i due. Inoltre, quando il raggiro di Iago avrà fatto il suo pieno corso
nella mente del Moro, lo scollamento tra significante e significato si
assocerà ad un nuovo tipo di rottura: quella tra essere ed apparire.
Emblematiche sono, a questo proposito, le parole di Desdemona “I
understand a fury in your words, but not the words”
19
. Questi versi
assimilano il problema linguistico a quello identitario: Desdemona,
19
IV, ii, vv. 32-3. “Ne colgo la furia ma non il senso”.