4
Un dato su tutti però ha fatto da denominatore comune per l’industria
cinematografica, cioè gli altissimi fattori di rischio ad essa collegati.
Il mercato cinematografico richiede un consistente livello d’investimenti a cui spesso
non corrispondono adeguati riscontri in termini di guadagni.
Una delle caratteristiche endemiche del prodotto filmico infatti, è l’impossibilità di
prevederne gli esiti commerciali al botteghino.
Nel corso degli anni, quindi, a grandi successi inanellati dalle più disparate case di
produzione (piccole, medie e grandi), si sono alternati spaventosi declini o fallimenti
che non hanno risparmiato neanche i grandi colossi.
La lista è molto lunga: ad esempio la MGM e la United Artists in America, o il
gruppo Cecchi Gori in Italia (recentemente tornato in attività), ma si potrebbe
continuare.
Le ricette approntate dalle maggiori aziende del settore per sopperire
all’imprevedibilità del mercato cinematografico, sono state quelle ideate dalle grandi
major americane, che si ricollegano al concetto di “Studio’s System”.
Esso si è focalizzato su due aspetti:
- tendenza all’integrazione verticale da parte delle aziende maggiori,
dalla fase più “a monte” a quella più “a valle” della filiera produttiva;
- tendenza alla concentrazione, cioè all’acquisizione o al controllo del
più alto numero di imprese, operanti nel mercato, da parte di quelle
maggiori ed integrate.
Una condotta di questo tipo potrebbe portare, e in effetti lo ha fatto, a degli
sconfinamenti nell’area del mancato rispetto della concorrenza; non bisogna però
considerare solo i possibili effetti negativi di questo fenomeno.
5
L’integrazione verticale non è di per sé negativa, essa infatti non soltanto permette
alle aziende coinvolte di ridurre i costi e di controllare in maniera migliore l’intero
processo produttivo, posizionandosi sui vari segmenti della filiera, ma anche di
apportare dei possibili benefici al consumatore.
In America, ad esempio, i benefici ottenuti dalle società integrate verticalmente nel
ciclo produttivo cinematografico hanno permesso loro, grazie alla riduzione dei costi
e dei rischi e all’aumento dei profitti, di investire ingenti quantità di denaro tanto nel
miglioramento del prodotto, quanto nella ricerca tecnologica ad esso collegata
(sonoro, colore, cinemascope, effetti speciali, digitale…).
L’integrazione verticale, però, se condotta agli estremi può portare anche a forti
contrazioni della concorrenza; sempre in America emblematico è il famoso caso
Paramount (richiamato nel capitolo seguente), dove l’eccessiva concentrazione delle
sale cinematografiche nelle mani delle società produttrici e distributrici, aveva
portato l’Autorità antitrust statunitense ad emettere delle sanzioni molto forti.
Il fenomeno dell’integrazione verticale nel cinema è relativamente recente in Europa,
le sue dimensioni poi non hanno mai raggiunto i livelli americani.
Anche in Europa però si sono registrate pronunce delle Autorità antitrust per
correggere condotte distorsive della concorrenza (famoso è il caso Gaumont-Pathé
richiamato nel capitolo seguente).
L’Italia dal canto suo non si è discostata troppo dai suoi omologhi europei.
Pure nel nostro paese il fenomeno dell’integrazione verticale nel settore
cinematografico è piuttosto recente; i primi casi degni di nota risalgono alla fine
degli anni ’80, inizio anni ’90.
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Gli anni ’90 segnano la nascita anche in Italia dell’ “Autorità Garante della
Concorrenza e del Mercato”
1
, con la legge n.287 del 1990.
Sin dalla sua nascita il comparto cinematografico viene sottoposto al possibile
controllo dell’AGCM.
Per vedere compiutamente il primo atto in materia cinematografica, da parte
dell’Autorità, sono necessari quattro anni; infatti nel 1994 pubblica la prima
“Indagine conoscitiva sul settore del cinema” (trattata specificamente nel capitolo 3).
Essa consisteva in un’analisi molto particolareggiata dell’intera filiera produttiva
cinematografica, ed era sollecitata da alcune segnalazioni da parte di operatori
minori che lamentavano condotte contrarie alle logiche del libero mercato e della
concorrenza.
L’indagine conoscitiva del ’94 ha ispirato questa tesi, che in quel provvedimento ha
trovato lo spunto per cercare di descrivere i cambiamenti e l’evoluzione della
situazione concorrenziale, negli ultimi dieci anni, all’interno del mercato
cinematografico italiano.
Lo scopo della tesi non è stato soltanto quello di analizzare il mercato del cinema,
cercando di aggiornare a distanza di dieci anni l’indagine conoscitiva svolta
dall’Autorità antitrust, essa infatti ha provato ad aggiungere alcuni elementi di
analisi, utili per avere un approccio consapevole ad un mercato complesso come
quello cinematografico.
Il lavoro si è svolto così in quattro capitoli:
- uno riguardante la storia dell’industria cinematografica mondiale e di
quella italiana, aggiungendo a quest’ultima anche l’analisi dei
1
N.B. Da ora in poi l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato sarà indicata con la sigla
AGCM
7
maggiori provvedimenti legislativi succedutisi nel corso degli anni e di
stretto interesse anche per l’Autorità antitrust;
- uno sull’evoluzione e la conformazione del mercato cinematografico,
indicando anche gli assetti macroeconomici attuali;
- uno inerente l’attività dell’Autorità antitrust italiana nel corso degli
ultimi anni;
- infine, uno contenente le considerazioni conclusive sulla concorrenza
nel mercato del cinema, sull’attività dell’Autorità Garante, ma anche
sugli interventi del legislatore e più specificamente sullo stretto
rapporto tra lo Stato italiano ed il cinema.
Per quel che riguarda più nel dettaglio l’operato dell’Autorità antitrust, trattato nel
capitolo 3, verrà prima indicata in generale ogni singola fattispecie di sua
competenza, poi verranno esaminati i singoli provvedimenti emanati in questi anni e,
per finire, i futuri sviluppi del suo operato.
Così facendo saranno analizzati:
- i provvedimenti presi dall’Autorità in materia di intese restrittive della
concorrenza;
- quelli riguardanti le operazioni di concentrazione;
- gli eventuali casi di abuso di posizione dominante denunciati;
- i nuovi compiti dell’Autorità in materia di pubblicità ingannevole e
comparativa nei film, alla luce anche della nuova riforma del cinema
(il d.lgs. n.28 del 2004) che ha reso pienamente legittimo il “product
placement” nei film;
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- l’atteggiamento tenuto dall’Autorità nei confronti del problema degli
“aiuti di Stato” al cinema.
Naturalmente verrà analizzata nel dettaglio anche l’indagine conoscitiva del 1994
che, come primo provvedimento di analisi globale del mercato del cinema, ha
rappresentato il punto di partenza per molti dei provvedimenti emessi da parte
dell’Autorità antitrust.
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CAPITOLO I
LA STORIA DELL’ INDUSTRIA CINEMATOGRAFICA
ITALIANA
1 - Storia dell’ industria cinematografica mondiale
2
Stabilire l’inizio di qualcosa che nel tempo ha coinvolto e coinvolge tante persone e
tanti mezzi, non è sicuramente cosa facile. Se poi quel qualcosa prende il nome di
“Cinema”, la questione risulta ancor più complessa.
Sull’origine del cinema i pareri sono molto contrastanti.
Alcuni, soprattutto sul versante americano, attribuiscono a Thomas A.Edison il
merito di aver dato inizio a questo coinvolgente fenomeno con la costruzione del
cinetoscopio (una sorta di cannocchiale in cui solamente un individuo poteva vedere
venti secondi d’ immagini in movimento, dette peep show), datata 15 aprile 1894.
Altri, soprattutto in Europa, contestano vivacemente questa ricostruzione ritenendola
incompleta ed offrendo una panoramica molto più dettagliata del fenomeno. Più
specificamente, cercano di fornire una duplice visione della questione: una
tecnologica ed una socioculturale, di costume (con le prime implicazioni anche
economiche).
Dal punto di vista tecnico è innegabile che Edison sia forse il più importante dei
precursori dell’ odierno cinematografo, non sicuramente l’artefice però. Stabilire gli
2
Le considerazioni di carattere storico sulla nascita e lo sviluppo dell’industria cinematografica, sono
il frutto di notizie contenute in varie fonti: P. BACHLIN, Il cinema come industria. Storia economica
del film, a cura di Libero Solaroli, Feltrinelli, Milano, 1958; M. VERDONE, Storia del cinema
italiano, Newton Compton, Roma, 1995; E. BORSBOOM, 100 years of cinema exhibition in Europe,
Pubblicaz. Media Salles, 1995; M. CALZINI, 100 anni di cinema in Italia, Pubblicaz. Media Salles,
Milano, 1995.
10
snodi evolutivi del cinematografo è molto difficile. I più estremisti arrivano a
considerare addirittura il fenomeno delle millenarie “ombre cinesi” come il primo,
seppur rudimentale, esempio di rappresentazione cinematografica (in esse infatti si
usavano schermi, luci, effetti rumoristici ed anche elementi linguistici tipici del
cinema, come i primi piani, i campi lunghi…).
Tutti i più importanti scienziati si erano interessati, o confrontati, col fenomeno della
fotografia, in una corsa incessante verso la sua evoluzione (ancora oggi, prodiga di
innovazioni). Così dopo la fotografia fissa, il nuovo obiettivo non poteva che essere
la realizzazione della fotografia in movimento, o animata. Gli sforzi più importanti in
tal senso, si concentrano all’interno del XIX secolo e, più specificatamente, nella sua
seconda metà.
Nel 1877 Emile Reynaud inventa il prassinoscopio, che trasmetteva immagini
colorate, poi perfezionato e presentato al pubblico nel 1892.
Nel 1877 Thomas Edison ottiene il brevetto per il fonografo, da cui prende spunto
per il concepimento del suo cinetoscopio, presentato pubblicamente il 15 aprile 1894.
Nel 1892 fa la sua comparsa per la prima volta nella storia il termine cinematografo,
utilizzato per dar nome al nuovo mezzo brevettato dal francese Léon Bouly. La
fotografia animata non è più una chimera, ma una realtà. La corsa alla creazione di
nuovi ritrovati tecnologici è incessante ed appassionante e si combatte sul filo.
Anche l’Italia si distingue particolarmente. Il merito è di quello che sarà un vero
pioniere del cinema italiano, Filoteo Alberini, futuro fondatore della Cines e uno dei
primi ad intuire le potenzialità anche commerciali del cinema. Nel 1894 Alberini
inventa il kinetografo: apparecchio “per riprendere, proiettare e stampare film”. Il
tempo passa ed Alberini non riesce ad ottenere in tempi brevi il brevetto, a causa
11
della già allora lenta macchina burocratica italiana. Ottiene il brevetto solo il 2
dicembre 1895. Troppo tardi per presentarla pubblicamente e dar vita allo spettacolo
cinematografico. Viene anticipato infatti dai famosi fratelli Louis ed Auguste
Lumière che, dopo aver ottenuto il brevetto per il “loro” cinematografo il 15 febbraio
1895, effettuano la prima proiezione di film per un pubblico pagante il 28 dicembre
1895 a Parigi.
Il dato che accomuna la stragrande maggioranza di questi scienziati è sicuramente la
scarsa consapevolezza. Essi non colgono fino in fondo le potenzialità e le
implicazioni, soprattutto economiche, di questi nuovi mezzi. Edison cercando quella
che chiamava “fotografia vivente”, non cercava altro scopo che illustrare otticamente
il suo fonografo.
Ancor più sorprendente è l’ approccio dei Lumière, molto scettici sulle possibilità del
nuovo cinematografo, anche dopo il loro primo spettacolo pubblico che fu un
indiscutibile successo. Per capirlo basta cogliere cosa rispose il padre dei Lumière
(Antoine) a coloro che si riveleranno autentici mattatori del cinema francese ed
europeo, cioè Georges Méliès e Charles Pathé, considerato il primo vero produttore
cinematografico. Alle lusinghe ed alle lodi di coloro che vedevano in
quell’apparecchio l’inizio di una nuova era per lo spettacolo e volevano comprarlo, il
vecchio Antoine Lumière rispose: “Per voi, d’altronde, sarebbe una rovina. Essa può
essere sfruttata per qualche tempo come una curiosità scientifica, ma oltre questo,
non ha alcun avvenire commerciale”
3
.
Sembra comunque che la famiglia Lumière cambiasse idea molto in fretta. Dopo il
successo della prima proiezione nel Salon du Grand Café, del Boulevard des
3
V. JAHIER, 42 ans de cinéma, in Le ròle intellectuel du Cinéma, Parigi, 1937 (confermato da G.
Méliès).
12
Capucines, si affrettarono a noleggiare una seconda sala. Le richieste che
pervenivano ai due fratelli erano praticamente inesauribili, così cominciarono a
sfruttare il proprio cinematografo noleggiandolo, con filmati e proiezionisti inclusi,
per una cifra pari al 40-50% degli incassi.
Il successo dello spettacolo cinematografico non accusava cedimenti, anzi era pronto
a varcare i confini della Francia. Tra il 20 febbraio 1896 ed i mesi immediatamente
seguenti, non c’era nazione europea che non avesse ospitato uno degli spettacoli dei
Lumière, ovunque cresceva la voglia di seguire le loro orme. I primi spettacoli
cinematografici si tenevano in luoghi di ogni tipo, attrezzati per l’occasione con la
dotazione tecnica necessaria e sufficiente per la proiezione. I primi film venivano
proiettati in teatri, caffè-chantants, saloni per banchetti, o anche all’aria aperta;
ancora non c’erano edifici, o sale destinate alla proiezione esclusiva e sistematica di
pellicole.
Bisogna attendere i primi anni del XX secolo, per vedere la nascita di un cospicuo
numero di cinematografi permanenti. Nell’architettura di quelle prime costruzioni, si
capisce la concezione del cinema maturata nel vecchio continente, rispetto agli Stati
Uniti (dove il cinema si era parallelamente sviluppato, anche se con modalità
diverse). Mentre in America nascevano i “Movie Palaces”, imponenti costruzioni
antesignane degli odierni “Multiplex”, in Europa venivano riconvertiti in cinema gli
antichi palazzi aristocratici dei centri urbani.
Il nuovo secolo però, portava con sé un’altra importante novità, oltre alla nascita dei
cinematografi permanenti. L’aumento costante della domanda, apriva nuove e
sterminate strade per lo sfruttamento commerciale dei film. Gli esercenti intuirono
che non aveva più senso acquistare le pellicole per utilizzarle fino al loro
13
deperimento; questo modo di concepire l’esercizio era infatti antieconomico e
controproducente. Così i gestori compresero che serviva un’ altra strategia
commerciale per alimentare l’ offerta e, allo stesso tempo, non riempire gli archivi di
pellicole vecchie ed ormai troppo usurate. Perché comprare le pellicole, quando si
poteva più facilmente noleggiarle? Nasce così, quello che sarà il settore nevralgico e
fondamentale della futura filiera produttiva cinematografica, “la distribuzione”.
Il numero di pellicole disponibili crebbe a dismisura, le sale si moltiplicarono in tutta
Europa. Nacquero, soprattutto nel nord Europa, le prime catene di cinema; mentre si
assisteva ai primi casi d’ integrazione verticale . I primi si registrarono con i francesi
Pathé e Gaumont che producevano, distribuivano e proiettavano (anche) nelle
proprie sale i film da loro finanziati.
In America invece, il fenomeno dell’integrazione verticale era ben più di un evento
occasionale, era una realtà ben consolidata nell’attività delle famose major. La prima
fu la Paramount fondata nel 1917 da Adolphe Zukor e Jessie Lasky; ad essa
seguirono: la Warner Bros (dei fratelli Warner), la M.G.M.(di Markus Loew), la 20
th
Century Fox(di William Fox) e la RKO. Insieme formavano il cosiddetto cartello
delle Big five, imprese molto simili tra loro i cui fondatori erano gestori e proprietari
di un gran numero di sale, divenuti poi distributori e produttori.
Forse solo una cosa accomunava veramente Europa e Stati Uniti in quel periodo: il
grande sviluppo del cinema preoccupò ampi settori della società e dello Stato, per
motivi soprattutto legati alla religione, al costume ed alla politica. Si svilupparono un
po’ ovunque, proprio per tale motivo, codici di censura (come il famoso “codice
Hays” americano).
14
Un passo importante fu quindi, anche la discesa in campo degli Stati nazionali. In un
periodo denso di guerre e tentativi espansionistici, i governi non esitarono ad
alimentare la propria propaganda con quello che era il mezzo del momento. Il cinema
era allora paragonabile infatti, a quello che è oggi la televisione (con le dovute
proporzioni). In concomitanza col primo conflitto mondiale, arrivarono alcuni
segnali di crisi nella produzione cinematografica privata europea. La situazione non
migliorò con i veti incrociati che i vari Stati ponevano sulla circolazione di pellicole,
se provenienti da nazioni schierate su fronti politici opposti. La Prima Guerra
Mondiale completa il quadro negativo della situazione.
Un po’ dappertutto il cinema si nazionalizzò per esigenze belliche, mentre si
crearono le condizioni per una prima penetrazione dei prodotti americani nei mercati
europei. La domanda di cinema infatti rimaneva alta e, spesso, gli esercenti non
riuscivano a soddisfarla. Le pellicole americane rappresentarono l’occasione per
supplire a questa situazione. Da quel momento (perlomeno nelle nazioni alleate degli
Stati Uniti durante la guerra) si assistette ad un aumento costante dei film importati
dagli Usa.
Dopo la Grande Guerra, il cinema si riorganizzò un po’ dappertutto. Nacquero le
prime associazioni professionali, con lo scopo preciso di tutelare gli interessi dei vari
soggetti operanti nei singoli comparti della filiera produttiva. Ben presto diventano i
principali interlocutori, a volte autentiche ramificazioni nel settore, dei Governi.
Se dal punto di vista produttivo, il settore cinematografico europeo aveva perso un
po’ del suo dinamismo, altrettanto non si poteva dire per ciò che riguardava i nuovi
ritrovati della tecnica.
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Due erano gli obiettivi che si erano prefisse tanto l’industria europea, quanto quella
americana: il sonoro ed il film a colori. I tentativi più o meno riusciti furono
innumerevoli. Uno dei più originali, nella corsa al sonoro, fu quello dell’italiano
Leopoldo Fregoli precursore del doppiaggio e di grande ispirazione per molti
operatori.
A spuntarla sul sonoro fu l’America nel 1927, con il film “Il cantante di jazz” di Alan
Grosland.
Il sonoro ebbe sull’industria cinematografica (soprattutto europea) l’effetto di un
vero e proprio terremoto. Gli esercenti non sempre riuscirono a sopportare i costi
necessari per riconvertire le sale alle nuove tecnologie emerse. Molte case di
produzione si trovarono con film muti che nessuno voleva più vedere. Il risultato fu
una nuova configurazione del panorama del settore.
Chi si era adeguato al nuovo poté sopravvivere, o addirittura espandersi; chi non si
adeguò invece scomparve. Nacquero nuove catene cinematografiche che
beneficiarono del fermento suscitato dalla nuova invenzione. La domanda continuava
a crescere, come continuavano a crescere gli sforzi per riuscire a dare il “colore” alla
pellicola.
Anche stavolta la sfida Usa-Europa era incalzante. La giocavano la Technicolor da
una parte e l’ Agfa Color dall’altra; poi subentrò anche un terzo soggetto: la Kodak.
Ognuna di tali aziende ottenne risultati soddisfacenti con il monopack (prima metà
degli anni ’30), con cui vennero proiettati i primi film a colori. Fu poi la Kodak a
perfezionare definitivamente il monopack. L’uso del colore ebbe comunque effetti
meno sconvolgenti del sonoro, perché più graduale.
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L’avvento dei totalitarismi intanto, accentuò ed esasperò il fenomeno della
nazionalizzazione del cinema in tutta Europa. Ormai la politica coglieva a piene mani
le occasioni di propaganda fornite da un mezzo così diffuso. I singoli Stati erano
diventati i primi e spesso anche unici, produttori di film.
Tutto questo a volte portò ad effetti a dir poco aberranti, come ad esempio nel caso
delle leggi razziali, promosse anche grazie al cinema (fulgido esempio in tal senso fu
Goebbels, ministro della propaganda nazista). Tra l’altro tali leggi e le conseguenti
persecuzioni, portarono migliaia di autori e tecnici cinematografici ebrei ad emigrare
in America, con un evidente danno anche per il settore. La Seconda Guerra Mondiale
segnò il gradino più basso e più triste dell’industria cinematografica europea (in
America la condizione del mercato e del paese era diametralmente opposta).
La fine delle ostilità segnò l’inizio di una “nuova era”. Le persone si riversarono nei
cinema e l’affluenza fece segnare ovunque nuovi record. Le industrie
cinematografiche europee cominciavano la risalita; inoltre stavolta gli Stati nazionali
cambiarono atteggiamento. Non scendevano più direttamente in campo,
nazionalizzando il settore, preferivano invece affiancare i vari operatori privati. In
quel momento l’obiettivo era finanziare la ricostruzione degli studi cinematografici e
la produzione cinematografica nazionale. Si cercò di proteggere l’industria europea
dalla penetrazione dei prodotti hollywoodiani, possibilmente valorizzando anche l’
aspetto culturale ed autoriale del cinema. Riprendeva piede così, la concorrenza
internazionale, ma il vecchio continente perse anche una grande occasione.
L’Europa infatti, non riuscì a sfruttare a proprio favore un evento propizio come il
declino delle major americane.
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A cavallo tra il 1948 ed il 1951, le grandi aziende americane furono fortemente
ridimensionate dalle sanzioni emesse dall’Autorità antitrust statunitense nei
confronti delle maggiori aziende attive nel settore cinematografico.
La questione, conosciuta ai più come “caso Paramount”
4
, ha rappresentato una
svolta epocale nel panorama del cinema mondiale.
L’accusa nei confronti delle major si concentrava principalmente sull’aspetto
riguardante l’esercizio cinematografico. Le Big five erano imprese fortemente
integrate verticalmente che, oltre a produrre e distribuire i propri film, detenevano un
numero altissimo di sale sparse nel paese.
Le cifre della lunghissima istruttoria dimostrano che le cinque aziende controllavano
il 70% dei cinema di prima visione nelle città con più di 100.000 abitanti; circa il
92% di tali centri era caratterizzato dal monopolio del locale mercato delle sale da
parte di una delle major. Non solo, perché esse controllavano anche una quota di
circa il 73%, dell’intero fatturato della distribuzione cinematografica.
L’Autorità antitrust statunitense contestò alle cinque imprese la creazione di un
cartello sul prezzo del biglietto d’entrata nei cinema, ritenuto dannoso per i
consumatori. Vennero poi contestati tutta una serie di accordi riguardanti il rapporto
distributori-esercenti, sempre riferito alle major: esclusive territoriali ad alcuni
esercenti, relazioni preferenziali, esclusive delle anteprime, ma anche il fenomeno
del block booking (il vincolo imposto dai distributori agli esercenti, di acquistare
gruppi di film, anche non particolarmente ambiti, pena la non concessione dei titoli
migliori). Anche essi vennero considerati in parte lesivi della concorrenza.
4
United States vs Paramount Pictures, Inc.(1946,1947,1948,1949,1950,1951); United States vs.
Griffith Amusement Co.(1946); United States vs. Griffith(1948); United States vs. Schine Chain
Theaters, Inc.(1945); Schine Chain Theaters vs. United States (1948)