4
Vogliamo quindi tentare di fornire con questo elaborato un contributo che, partendo
dalla comprensione dei cambiamenti che in questo nuovo secolo hanno riguardato
il mondo del lavoro, ci aiuti a comprendere come ciò abbia interessato
il problema della rappresentanza sindacale; questo aspetto viene affrontato
partendo dalle esperienze del recente passato, e delle relative teorizzazioni, per
poi approfondirne le dinamiche all’interno di una realtà particolarmente
rappresentativa, un call-center.
Quale primo passo tenteremo doverosamente di inquadrare la situazione reale del
mondo del lavoro e dell’economia del nostro Paese, partendo dalle più recenti serie
statistiche al riguardo elaborate da diverse fonti, anche per sfuggire ai tanti luoghi
comuni che su queste tematiche ci investono pressoché quotidianamente, e riportare
ogni successiva analisi al giusto contesto.
Passeremo poi ad un rapido excursus delle più recenti novità normative che hanno
interessato il nostro mondo del lavoro, con particolare riguardo alla legge 30/2003
5
,
ma non trascurando quanto altro sia intervenuto in precedenza, soprattutto per
quanto abbia influenzato, o possa influenzare nel prossimo futuro, la composizione
del mondo del lavoro e la sua rappresentanza
6
.
Proseguendo poi ad una più approfondita analisi dei cambiamenti, pensiamo sia
importante non trascurare il punto di partenza: il percorso verso il cambiamento in
questo campo certo non è stato agevole; si partiva da una situazione del mercato
del lavoro in cui l’unico rapporto “legale” era quello a tempo pieno ed
indeterminato, e solo in deroga ad esso, e per ben definiti motivi, erano “tollerati” il
rapporto a tempo determinato
7
e/o a tempo parziale, ed era necessario superare
resistenze anche “ideologiche” di non trascurabili settori del mondo politico e
sindacale.
5) Legge delega 30/2003 sulla riforma del mercato del lavoro
6) Accordo interconfederale Confindustria / Cgil – Cisl – Uil del 12/12/1993 titolato: Costituzione delle rappresentanze
zincali unitarie nei luoghi di lavoro (vale per le aziende sopra i 15 dipendenti e per le organizzazioni sindacali firmatarie del
protocollo 23/72003)
7) Sulla materia vi sono stati più interventi: Legge 230/1962 – Legge 79/1983 – Legge 196/97 – D. Lgs. 368/2001.
5
Il risultato finale di questo percorso, almeno dal punto di vista cronologico, e cioè
appunto la Legge delega 30/2003 ed il conseguente testo applicativo, il D. Lgs.
276/2003, hanno introdotto svariate forme di rapporto di lavoro, scardinando il
“monopolio” del rapporto subordinato a tempo pieno ed indeterminato,
intervenendo sui meccanismi stessi del mercato del lavoro, aprendo la sua gestione
anche a soggetti privati affiancati al tradizionale collocamento pubblico, e
modificando alla radice la stessa gestione della forza lavoro nell’impresa attraverso
la revisione degli istituti dell’appalto, del distacco e del trasferimento di ramo
d’azienda. E ai soggetti coinvolti da questi cambiamenti cosa è successo?
Certo anche il mondo delle imprese, e la sua rappresentanza, è ancora alla ricerca di
una sua dimensione rispetto a ciò, il tutto reso ancor più accidentato dai fenomeni
legati alla globalizzazione dei mercati, ed il loro destino non può certo slegarsi da
quello degli altri soggetti del mondo del lavoro, di cui più ci interessa capire i
mutamenti. Al centro naturalmente il lavoratore, le novità che lo hanno investito
costringendolo ad un radicale cambio di mentalità, peraltro agevolato dai
cambiamenti culturali, sociali, di istruzione, di potenzialità professionali e di
aspettative di realizzazione individuale che ne hanno preceduto e ne stanno
accompagnando la vita lavorativa. Un lavoratore quindi in apparenza più forte,
certamente più consapevole nei suoi rapporti con il mercato del lavoro, ma sempre
meno identificabile, omologabile, che è sempre più difficile rappresentare, ma che
appare fragile, forse più che in passato, se l’analisi viene effettuata attraverso
alcune parole “magiche” dei nostri tempi: precariato, professionalità, pensioni ad
esempio. Ma questo lavoratore può far fronte a tali e tante nuove situazioni da solo,
da soggetto isolato, e puntare alla contrattualistica individuale, oppure, forse più
oggi che nel recente passato, ha necessità di essere indirizzato nelle scelte e
rappresentato?
E il nostro sistema economico può prescindere dalle organizzazioni che
rappresentano i lavoratori, può pensare che ci si stia indirizzando verso un mercato
talmente libero ed un sistema sociale talmente “giusto” da rendere non più
necessaria una rappresentanza organizzata di chi nel mercato opera da protagonista?
Se, come crediamo, non si ritiene realistico lo scenario sopra esposto, ci rendiamo
conto quanto sia necessario approfondire l’analisi sull’aspetto della rappresentanza,
6
che a nostro parere al contrario diventa cruciale per gli sviluppi futuri del mondo
del lavoro, e per gli indirizzi economici e sociali che il nostro Paese potrà
percorrere. Anche su questo aspetto si ritiene necessario un primo approccio
storico-sociologico, per comprendere il percorso del soggetto “sindacato” nella
nostra Società, e coglierne gli aspetti che rendono il sindacato italiano una realtà
peculiare rispetto al resto del panorama sindacale europeo.
Ci caleremo poi nella realtà, per passare, diciamo così, dalle parole ai fatti, con
l’analisi di un settore specifico, che per molti aspetti è sempre stato considerato
particolarmente significativo per tutto quanto fin qui abbiamo detto, quindi da
considerarsi quale laboratorio ideale rispetto al nostro lavoro: ci riferiamo al mondo
dei call-center. Anche se non mancano studi, alcuni dei quali abbastanza recenti, su
questo settore, pure ci pare mantenga esso, come detto, le sue caratteristiche di
realtà peculiare dei cambiamenti cui abbiamo accennato.
E’ una realtà nata, per lo più, proprio dalla frammentazione di altre organizzazioni
(si pensi all’esternalizzazione, utilizzando lo strumento dell’outsourcing, di parti
importanti delle sue attività da parte di Telecom Italia verso Atesia), e nella quale
hanno trovato piena applicazione le più innovative (senza giudizi di valore)
tipologie di rapporto di lavoro.
Qui troviamo i nuovi lavori ed i suoi protagonisti, i “nuovi lavoratori”, qui troviamo
gli sforzi più intensi del sindacato per rappresentarli, anche, come vedremo,
abbattendo alcuni degli “steccati ideologici” di cui si trattava all’inizio.
Il nostro studio sui call-center sarà frutto di un’attività empirica; partendo dai dati
disponibili sul settore e dalla sua storia, interrogheremo sui cambiamenti cui è
incorso dei protagonisti: funzionari sindacali, rappresentanze sindacali interne,
lavoratori.
Le conclusioni non potranno che nascere da quanto queste analisi ci avranno dato,
nel tentativo di fornire un contributo positivo ad un dibattito che oggi vive forse
uno dei suoi momenti cruciali, anche se di una cosa possiamo già essere certi, e
cioè che saranno conclusioni “aperte”, su una realtà che ci imporrà nel futuro
continui sforzi di approfondimento e di analisi nel tentativo di governare una delle
materie che più impattano con la vita di tutti.
7
Il lavoro che cambia
1. La situazione economica e occupazionale: dati statistici
Il periodo che stiamo vivendo registra dal punto di vista economico, e più a livello
interno che internazionale, una perdurante stagnazione, con tassi di crescita del
Prodotto Interno Lordo molto vicini allo zero; il raffronto proposto nella tabella
sottostante evidenzia gli indicatori più significativi per chi governa l’economia
europea, incrociando i dati di tendenza di deficit e debito pubblico, inflazione e
tasso di disoccupazione, e rende esplicita la particolare situazione di difficoltà del
nostro Paese.
Ciò mette in discussione uno dei pilastri forse più solidi (e consolidatisi nel tempo)
del nostro immaginario collettivo, che vede l’economia quale volano della crescita
sociale, che, soprattutto dal secondo dopoguerra si è incarnato nella legittima
aspettativa delle nuove generazioni di aver davanti a sè un futuro (fatto di
possibilità economiche, di lavoro, in quantità e qualità, di tutele sociali, di coperture
sanitarie e previdenziali) migliore di quello vissuto dalla generazione precedente.
8
Bene, oggi, per la prima volta, come detto, dal secondo dopoguerra, questa
“granitica” certezza è messa in discussione, come dimostra la tabella che segue.
In conseguenza della situazione economica, anche i nostri livelli occupazionali
sono pesantemente penalizzati, ma ciò non appare poi tanto chiaramente dalle
statistiche ufficiali.
I dati occupazionali forniti dall’Istat e dal Ministero del Welfare infatti riportano
una leggera ma costante crescita dell’occupazione (o meglio una diminuzione della
percentuale dei disoccupati, e sappiamo che le due cose non sono proprio
identiche). Come ben ci insegnano gli economisti infatti tale dato deve tenere conto
anche delle persone che, per oggettive difficoltà personali, o legate all’economia
locale o di altro genere, hanno deciso di abbandonare la ricerca ufficiale di un
lavoro, ma che, se un lavoro gli venisse offerto probabilmente lo accetterebbero, e
sono numeri (o percentuali), non trascurabili e che modificherebbero non di poco le
statistiche di cui parlavamo all’inizio.
Vediamo quindi qualche dato.
9
10
Proseguendo poi a “scavare” nei dati, emerge per esempio che nel 2003 circa i 2/3
degli ingressi nel mondo del lavoro sono avvenuti con formule contrattuali
flessibili, e che a ciò si accompagna una ripresa della mobilità territoriale interna:
La mobilità territoriale ha interessato ancora una volta, come troppo spesso è
accaduto in passato nella storia del nostro Paese, giovani e meno giovani dalle
regioni meridionali a quelle del centro-nord, ma non si tratta più di ex braccianti,
come negli anni ’50 o ’60, ma di diplomati o, più spesso, laureati; si ripropone così,
anche se in termini assolutamente nuovi rispetto al passato, il problema del
persistente sottosviluppo delle regioni del nostro sud:
11
Fonte: elaborazione propria su dati Censis – ricerca sulle forze di lavoro in Italia 2004
Fonte: indagine Istat trimestrale sulle forze di lavoro 2/2005
In questi anni poi si è modificato il nostro ruolo nell’economia mondiale, con una
costante riduzione dell’indice di export italiano rispetto al commercio mondiale.
All’interno invece si è accentuata di molto la polverizzazione del nostro sistema
produttivo, segno evidente di una sua destrutturazione che ha raggiunto livelli
molto preoccupanti; è vero infatti che nel nostro Paese si è sempre sostenuto, a
ragione, che “piccolo è bello” anche in economia, proprio per sottolineare il ruolo
positivo che ha sempre rivestito un tessuto imprenditoriale di questo tipo, ma fino al
recente passato esso esisteva soprattutto in appoggio ed a complemento (il
cosiddetto “indotto”) di una struttura industriale di medie e grandi dimensioni
12
importante in tutti i settori, ma oggi esse si sono di molto ridotte, fino a scomparire
in alcune realtà locali. Quindi il “piccolo” è restato solo e probabilmente lo sforzo
che gli viene richiesto per tenere a galla l’economia di vaste aree del Paese è troppo
intenso perché esso possa apparire anche “bello”:
13
Partendo da alcuni dati, e quindi da situazioni concrete, ci siamo quindi fatti
un’idea, seppure sommaria, di quale sia la situazione economica e produttiva reale
del nostro Paese.
Passiamo quindi ad analizzare, sempre per sommi capi, lo strumento legislativo
principale prodotto in questi anni dal nostro Parlamento avente ad oggetto il mondo
del lavoro.
14
2. Le nuove forme del lavoro:
la Legge delega 30/2003 e il D. Lgs. 276/2003
Introduzione
Dopo anni di sostanziale immobilismo in materia di legislazione del lavoro, pur con
eccezioni settoriali, è solo sul finire degli anni ’90 che si registra una accelerazione
al riguardo, che si concretizza dapprima con il cosiddetto “pacchetto Treu” nei
governi di centro-sinistra, con il quale è stato introdotto tra l’altro il lavoro
interinale (1997), per poi passare alla legge sul lavoro a termine (2001) ed al libro
bianco ispirato dal Prof. Biagi già al primo insediamento del governo di centro-
destra (2001), al quale governo bastano poi soltanto due anni per farne approdare in
Parlamento e trasformare in legge dapprima le linee guida, con la legge delega
30/2003, cui è seguito il Decreto Legislativo 276/2003, attuativo appunto della
legge delega citata.
Oggi lo scenario appare quindi significativamente mutato, denso di pregnanti
novità, molte delle quali ben lontane dall’essere pienamente applicate, altre, pur se
citate nella legge delega, ancora da definirsi, quali la riforma degli ammortizzatori
sociali
(è molto interessante al riguardo analizzare approfonditamente il libro
bianco del Prof. Biagi del 2001)
e le normative destinate a far decollare a pieno la
previdenza integrativa individuale, ma soprattutto con moltissimi aspetti che nel
futuro faranno dottrina e giurisprudenza, sia a causa della vastità del dettato
normativo (il D. Lgs. 276 / 2003 consta di ben 86 articoli), che dei contenuti, in
molti ambiti in sospetto di eccesso di delega, in altri di abuso di competenza a
sfavore degli organismi locali, in altri ancora di svilimento del ruolo delle parti
sociali, vere parti in causa per molte delle materie affrontate.
Possiamo quindi azzardare un primo giudizio sulla legge: si è operato a senso
unico, nel tentativo di dare il più possibile “mano libera” per gestire i “nuovi
collaboratori” in azienda senza alcun bilanciamento, nulla è stato fatto per
tamponare gli effetti di precarizzazione, del lavoro e della vita, che queste novità
hanno sviluppato, nemmeno si è iniziata una discussione sulla riforma,
imprescindibile, degli ammortizzatori sociali, che sono stati costruiti a suo tempo