2
assunto dalle nuove sperimentazioni tecnologiche e la tendenza ad
affidarsi alle stesse, con l’unico monito di non perdere di vista la
poesia dei contenuti.
Nel primo capitolo, ci proponiamo di verificare e di disporre in senso
diacronico la critica posteriore al neorealismo e di rintracciare i semi
del fenomeno germogliati durante e dopo la caduta del regime, tra
rivoluzione e tradizione. Evidenzieremo, inoltre, come il neorealismo
italiano ha determinato, rispetto al realismo passato, una rottura con le
coordinate spaziali, stabilendo punti di riferimento motori confusi e
costruendo degli “astratti visivi in spazi lunari indefiniti”.
Questo tipo di analisi sul cinema italiano è di notevole importanza, in
quanto porta a nuove vie interpretative sulle possibili influenze del e
sul neorealismo, fino ad arrivare alla sua crisi, che secondo Lizzani è
riscontrabile proprio sul territorio del linguaggio perché è lì che
consuma la sua eclissi.
Tutto il secondo capitolo sarà, invece, interamente dedicato a
Rossellini e all’analisi del film Roma città aperta perché simbolo di
quella rivoluzione del linguaggio che è stato appunto il neorealismo.
Cercheremo di approfondire, pertanto, tutti quegli aspetti tecnici e
3
linguistici (senza tralasciare però quelli puramente narrativi ), al fine
di avere un confronto più agevole con la matrice letteraria e storica e
rendere più esaustivo l’impiego del mezzo cinematografico in
Rossellini. La complessità nel trattare questo grande capolavoro del
’46 è piuttosto evidente, almeno quanto poter definire una personalità
così particolare come quella del suo autore , senza cadere nella mera
celebrazione.
Con il terzo capitolo entriamo, invece, nel reale aspetto dinamico
della nostra ricerca, imperniata sui nuovi sistemi interpretativi del
fenomeno neorealistico . Lo studio e l’attenta analisi del film
“Celluloide” di C. Lizzani, amico e collaboratore di Rossellini, hanno
permesso di cogliere nuovi ed esclusivi punti di osservazione ,
soprattutto per le nuove generazioni, storicamente estranee al periodo
ma non per questo disinteressate al fenomeno. Con Celluloide Lizzani
riesce, grazie anche all’efficace supporto di filmati d’epoca, a
rievocare, in modo quasi del tutto fedele, quell’atmosfera di rigore
morale e ristrettezze economiche in cui venne girato “Roma città
aperta”, facendo risaltare con la dovuta enfasi il conflitto tra le
personalità di Rossellini e quelle dello sceneggiatore Amidei.
4
La regia di Lizzani ci mostra il confine sempre più sottile tra
cinema, arte e vita, laddove a volte la casualità e il genio
contribuiscono allo stesso modo alla nascita di un capolavoro. Si deve
sottolineare, inoltre, di Celluloide un paradosso affascinante: può il
cinema confrontarsi con i propri miti ricostruendoli con nuove
immagini? Questo tema, insieme a tanti altri che si incontrano
all’interno di questo lavoro, daranno modo di analizzare più da vicino
alcuni argomenti, forse rimasti ancora inesplorati dal pianeta cinema.
Trattando l’argomento cinematografico in termini di “continuo
divenire” interpretativo, non potevamo trascurare nella seconda parte -
coincidente con il quarto capitolo - l’aspetto forse più scontato
dell’evoluzione del linguaggio cinematografico, ovvero la nuova
tecnologia digitale, recentemente emersa invadendo il campo dell’arte.
Si cercherà di stabilire quanto questa evoluzione sia legata all’avvento
della tecnologia che , nonostante contribuisca al perfezionamento
delle forme ed alla qualità delle immagini, sarà comunque soggetta
all’idea ed al genio dell’autore, come del resto dimostra l’opera di
Rossellini.
5
Nel quinto capitolo, Almodòvar va a concludere il discorso
sull’evoluzione del linguaggio audiovisivo e sulle sue diverse
possibilità espressive, offerte sia dalla tradizione che dalla tecnologia;
egli è uno sperimentatore a tutti gli effetti, nei suoi films , infatti,
soprattutto in Donne sull’orlo di una crisi di nervi, è chiara
un’interazione sempre più incisiva tra cinema e televisione, insieme
all’immediatezza dei suoi messaggi, folgoranti come degli spot
pubblicitari.
Questi artisti, autori, registi devono molto alla scuola del
neorealismo ed alla personalità di Rossellini, non solo per i capolavori
che ha lasciato ma soprattutto per ciò che avrebbe potuto
rappresentare ancora oggi. Un uomo che non teme il futuro, perché ne
sente la nostalgia.
6
I.
Neorealismo : “il senso della storia”
Vengono conservati i dagherrotipi di tutte le cose…
le tracce di tutto ciò che di vivo è esistito,
disseminate nelle diverse zone dello spazio infinito.
Ernest Renan
I.1. Tra rivoluzione e tradizione
In un recentissimo convegno sul cinema di Zavattini e quindi sul
neorealismo, ci è sembrato illuminante l’intervento di Lizzani che da
storico e critico del neorealismo, ha ammesso oggi, di aver commesso
dei gravi errori di valutazione in merito a quel contesto storico che
ha preceduto questo evento. Giudizi affrettati e di parte hanno
compromesso il senso della storia, il senso del neorealismo stesso, che
immediatamente si è voluto vedere come un qualcosa di “miracoloso”
nato dal nulla o dal genio di pochi ; ed esaltato, quindi, solo in virtù di
una necessità di opporsi fortemente al regime fascista. Questo
intervento di Lizzani ha dato modo di affrontare e di rileggere il
neorealismo, ancora oggi, attraverso una ricerca metastorica e quindi
7
non meramente cronologica. Ci proponiamo, allora, di verificare e di
disporre in senso diacronico la critica posteriore al neorealismo che
dal ’74 in poi, con la Mostra pesarese ha voluto “promuovere un
generale ripensamento dell’esperienza neorealistica”e di rintracciare,
già durante il fascismo, dei semi di neorealismo germogliati dopo la
caduta del regime, tra rivoluzione e tradizione. Tutto ciò è necessario
poiché il neorealismo è stato per troppo tempo sottovalutato e
intrappolato in definizioni che come vedremo non gli apparterranno
del tutto, proprio perché considerato solo in opposizione al cinema
che l’ha preceduto. Lo scopo sarà, quindi, quello di verificare non solo
l’evoluzione del neorealismo nell’ambito del linguaggio
cinematografico ma anche l’evoluzione che ha avuto la critica in
questi ultimi anni. Partendo proprio da una dichiarazione di Lizzani
del 1953, si può già intuire il cambiamento, sotto sua stessa
ammissione, di chi era troppo coinvolto personalmente, per poter
fornire giudizi obiettivi sul cinema prodotto durante il fascismo:
“ Non un fotogramma, oggi, può essere rimpianto o ricordato dei cento e cento
film prodotti dal ’38 al ’43 sulla falsariga del camerinismo, della pochade, della
commedia ungherese. […] Sembra impossibile pensare che negli anni in cui il
mondo veniva attraversato da tante sciagure, potessero nascere e moltiplicarsi
8
quei film assenti e vuoti, quei film così privi di ogni pur minimo aggancio con la
realtà di una nazione, […] ombre prive di anima si agitavano sui nostri schermi
parlando un linguaggio che oggi sarebbe addirittura incomprensibile ”.
1
Secondo Lizzani le esperienze della guerra, la miseria, la
partecipazione popolare alla resistenza, le difficoltà quotidiane,
non dovevano passare inosservate; per ciò era necessario un recupero
memoriale di quegli anni, così da costituire l’essenza stessa dei
film neorealisti, lontano dunque dai sentimenti e dalle posizioni della
cultura precedente. Intorno al 1930 infatti, la produzione artistica
appariva distante dalla realtà dei singoli individui e dalla collettività,
come se il fascismo fosse stato solo un momento o un episodio della
storia da tenere a distanza, da dimenticare.
“Al di là del caso Rossellini, che è per altro certamente uno degli esempi più
probanti della necessità di un esame diacronico del cinema postbellico italiano
nelle sue inevitabili connessioni con il prima preneorealistico e il dopo
postneorealistico , molti aspetti del neorealismo sono destinati a restare oscuri, o
peggio ad essere distorti o male intesi, in assenza di un percorso critico che
prenda avvio dal cinema degli anni’30 e in presenza, invece, della immagine
mitica consegnataci su quel periodo dalla storiografia neorealista”.
2
Ecco allora la formula proposta da V. Spinazzola, che torna a
parlare e trattare il neorealismo da un altro punto di vista e con
strumenti d’indagine più aggiornati, attraverso atti e convegni svoltisi
___________________________________
1
C. Lizzani, Il cinema italiano, Firenze, Parenti, 1953, p.9
2
V. Spinazzola, Cinema e Pubblico, Milano , Bompiani, 1974 ,p.15
9
a Pesaro nel 1974 (un anno prima della commemorazione del
trentennale di Roma città aperta).
“Anno 1945 : Liberazione, e fine della guerra. Il cinema italiano entra in una
fase di rinascita, che ha come protagonista indiscusso il neorealismo. […]
Considerata nel suo complesso, la produzione dell’immediato dopoguerra appare
caratterizzata da due filoni antitetici: ricorrendo a una formula, potremmo dire che
si fanno o film sul popolo o film per il popolo”.
3
La politica neorealista, infatti, è sempre stata caratterizzata dalla
volontà di istaurare un dialogo nuovo con gli spettatori e per questo
cercava una sorta di “spettacolarità popolare, che però non desse
“spettacolo”.
“Da un lato, i neorealisti cercano di fare presa sulle platee portando in scena i
drammi collettivi che avevano coinvolto e coinvolgevano tutti i cittadini, la gente
comune, […] dall’altro i registi più addestrati nell’imbonimento del pubblico si
preoccupano di assecondare la tendenza a distrarsi dalla realtà presente,
ricorrendo ai moduli meglio collaudati allo spettacolo di consumo”.
4
In entrambi i casi, le difficoltà per la realizzazione di un film nel
dopoguerra, e la scarsità dei mezzi finanziari erano le stesse. Da
questo nasce quindi, l’uso degli esterni e le riprese all’aperto che
sembrano essere delle scelte obbligate (anche se in Roma città
aperta, come in altri film neorealisti, si è fatto spesso uso di interni
______________________________________
3
Ibid.pp.7-8
4
Ibid.
10
ricostruiti in teatri di posa) . Si era presentata, poi, la necessità di
fronteggiare la concorrenza della cinematografia hollywoodiana, che
dopo gli anni del fascismo, tornò ad invadere i nostri schermi.
Nasceva, da qui, un duplice bisogno, quello di garantire al cinema :
“un carattere di specificità nazionale e avviare con le platee un
dialogo che non li tagliasse fuori”.
Nonostante si fossero definiti già alcuni dei presupposti teorici,
il neorealismo è sempre stato sin dalla sua nascita un tema di
inesauribile discussione, tanto da essere definito proprio da Lizzani
“un oggetto misterioso”. Lo scopo di questi studi sul neorealismo
oggi, non è, come si è potuto capire, di “abbattere vecchi monumenti
per erigerne dei nuovi, di riesumare cadaveri per esporli in teche
sacrali alla contemplazione di nuovi sacerdoti”, ma semmai quello di
non dare niente per scontato e di fornire il maggior materiale
possibile; riconfermando o ribaltando giudizi sugli autori, sui film,
su quel cinema degli anni ’30, di cui tanto si è voluto parlare.
Affermare questo, significa rivoluzionare completamente giudizi
espressi fino a ieri, da chi come Lizzani, il neorealismo l’ ha vissuto
davvero.
11
E Micciché, in merito a questo tipo di critica, sosteneva che:
“Quei giudizi, anche quando diversi e diversamente argomentati, sono stati
trasformati, o comunque intesi, come un unico giudizio perentoriamente e
inappellabilmente liquidatorio e sono serviti a una delle più singolari, e
quantitativamente cospicue, operazioni di occultamento e rimozione che la pratica
storiografica del cinema possa ricordare”.
5
Risulta da un’analisi più approfondita ad opera di Lino Micciché nel
1975, una continuità che non era stata ancora riconosciuta, fra il
cinema del ’29 /’43 e quello del ‘45/ ’5…! Egli ha sottolineato
l’impossibilità di potersi documentare o giudicare obiettivamente se
non ci si poneva prima il problema dell’ effettiva continuità / rottura
tra il cinema degli anni ’30 e il neorealismo. La domanda è appunto,
chi o cosa ha permesso questo occultamento?
“se agli autori di quell’occultamento, se a quel soggetto impersonale dovessimo
dare un nome, lo indicheremmo nell’ Ideologia, che guidò tante sorti personali e
tanti eventi pubblici di allora e dominò anche, inevitabilmente nella cosiddetta
battaglia per il neorealismo.[…]Tra i risultati dell’Ideologia ci fu la
sottovalutazione del testo in nome del contesto. Se il contesto della società
italiana negli anni ’30 era fascista, ogni testo che vi apparteneva non poteva
che essere un lapillo microfascista . E così la tesi – non un film, non un
fotogramma – derivava dal postulato-ideologico- come semplice corollario che
non aveva neppure bisogno di prove. Infatti il determinismo contesto-testo […] ha
portato i più sbrigativi a ignorare del tutto il testo, con un singolare atteggiamento
di formalismo rovesciato, che a torto si volle allora definire -contenutismo- ”.
6
Molti critici e saggisti sono stati messi sotto accusa proprio per i loro
preconcetti e una mancanza di obiettività. Bisognava prendere le distanze
_____________________________________
5
L. Miccichè, Il cadavere nell’armadio,Venezia, Marsilio, 1975 pp.10-12
6
Ibid.pp. 17-18
12
dall’oggetto, in questo caso distanza dal neorealismo, per individuarlo
appunto nella sua totalità e non più come una cosa legata al suo
contesto.
Ma pur riconoscendo nell’Ideologia, la responsabile di
questo “occultamento”, bisogna capire prima contro cosa si stava
lottando : se il nemico ha così tanta paura del passato, per
rimuoverlo,“ lo fa in realtà incosciamente o meno, perché ha paura del
presente ” .
“Troppi impacci, troppi legami costringevano il nostro cinematografo
verso generi e verso interessi di scarso contenuto e valore intrinseco. […] Chi
si impegnava a ricercare una linea omogenea e tentava di classificare codeste
opere, si trovava quasi sempre l’orizzonte coperto da un numero notevole di film
che gli impedivano di veder chiaro, di giudicare in maniera esatta.”
7
Miccichè, opera una netta distinzione tra tutti i film prodotti
durante il fascismo, facendo risaltare appunto quelli di maggiore
spessore e quelli che poi sono stati considerati, addirittura,
qualitativamente superiori a quelli prodotti in seguito, sia per la novità
dei contenuti sia per l’originalità della forma .
“ il cinema dei cosiddetti -calligrafici-, così vituperato dai critici di -Cinema-
(vecchia serie), è, nel suo insieme, l’unico (prima di Ossessione) ad avere un
livello, formalmente e culturalmente europeo(non provinciale, cioè) e, accanto ad
alcuni titoli di Blasetti e Camerini (ma non soltanto), quello qualitativamente più
alto del cinema sonoro preneorealistico. E’ anzi proprio quella dei calligrafici, la
prima (cronologicamente), la più cospicua (quantitativamente) e la più solida
(culturalmente) proposta di un cinema -afascista-, se non proprio antifascista,
_____________________________________
7
M. Mida e L. Quaglietti ,Dai telefoni bianchi al neorealismo, Roma-bari, Laterza,1980 ,p.7
13
realizzatasi nel ventennio fascista. L’avercelo occultato per anni, […] è una delle
responsabilità più gravi dell’ ideologismo postbellico, gravida di conseguenze e
non solo sul piano storiografico”.
8
Ripercorrere la realtà del cinema italiano sotto il fascismo significa,
allora :
“Verificare, basandosi su una rilettura non ideologistica e non aprioristica dei
film, quale fu in realtà l’immaginario cinematografico del film italiano sotto il
fascismo e quale fu l’immaginario cinematografico del film italiano postbellico; e
fino a che punto il primo riflesse l’ideologia del fascismo e fino a che punto il
secondo riflesse l’ideologia dell’antifascismo. E’ in questo senso che il ruolo
della trilogia Quattro passi tra le nuvole, Ossessione, I bambini ci
guardano è essenziale […] i tre film hanno in comune non già elementi di
preludio al neorealismo, bensì elementi di rottura col cinema italiano sonoro
dell’epoca, rispetto al quale interrompono la linea di continuità che lo aveva
caratterizzato dal ’29/30 in poi.”
9
Si può parlare quindi di una funzione duplice di questi film, che
si caratterizzano sia per la rottura col cinema precedente sia
per un’apertura verso il cinema del dopo fascismo. Questo tipo di
analisi sul cinema italiano è interessante proprio perché porta a nuove
vie interpretative sulle possibili influenze del e sul neorealismo, anche
se non si riuscirà mai ad arrivare a dei giudizi definitivi o esaustivi.
“ Non pochi critici hanno creduto opportuno radicalizzare, e quindi semplificare, i
termini parlando o solo di rottura o solo di continuità. Per gli uni, il cinema
italiano del dopoguerra si qualifica per la sua diversità da quello del
quindicennio precedente, per gli altri si può senz’altro scoprire uno stretto
legame, che permane sotto le apparenze. Questa riduzione di una situazione
variegata agli opposti versanti della continuità senza rottura o della novità senza
_____________________________________
8
L. Miccichè, Il neorealismo cinematografico italiano, Venezia, 1975, pp.17-18
9
14
precedenti aiuta poco a capire il fenomeno, che si qualifica proprio per la sua
complessità, e magari contraddittorietà”.
10
Non si può quindi separare nettamente il vecchio dal nuovo. Ogni
giudizio deve comunque far fronte alle diverse posizioni piuttosto
che alla concezione generale; il neorealismo si è sviluppato con
caratteristiche e varianti del tutto inaspettate, ma sarebbe riduttivo
considerarlo ancora oggi, come un corpo unico, un’unica scuola che
si distingue solo in base alla diversità dei suoi autori più interessanti.
“Nel complesso degli autori più importanti, ci troviamo di fronte ad una scuola
eterogenea e fortemente legata al contesto storico, con i tratti forti della
ricerca e della sperimentazione, ma pure caratterizzata da significativi recuperi in
ambiti convenzionali, del cinema prebellico in generale e più specificamente dei
filoni nazionali. Il neorealismo cinematografico italiano appare dunque come una
combinazione felice di elementi diversi e contradditori, fra tradizione e
rivoluzione.”
11
Le radici di questo movimento innovatore continueranno a rimanere
confuse per la loro eterogeneità, ma una cosa è certa, una delle novità
del neorealismo è stata quella di “aver rimescolato le carte, che già
erano lì sul tavolo”,
12
è un rinnovamento che nasce dall’opposizione
verso coordinate spaziali del già preesistente realismo, è
testimonianza della interdipendenza sempre più evidente del cinema
_________________________________________
10
G. Moneti, Neorealismo tra rivoluzione e tradizione, Siena, Nuova Immagine editrice , 1999 , p.11
11
Di Giammatteo,F., (a cura di),Dizionario universale del cinema,Roma, Editori Riuniti,1990, p. 161
12
C. Lizzani, il discorso delle immagini, ed. Marsilio, Venezia, 1995, p. 96
15
sulla realtà. Si è cercato allora di rinnovare l’interesse per questo
periodo storico del cinema neorealista da troppo tempo mitizzato e per
questo, forse, messo da parte, tenendo comunque presente che “nel
caso del cinema italiano, parlare di ieri significa anche cercare di
capire meglio l’oggi” .