L’apostasia islamica nel periodo classico e contemporaneo
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Da una parte i liberali cercano di modernizzare l’Islam dall’altra i
conservatori gridano per il ritorno alla fonte originaria dei testi
islamici e per la visione di un modello politico inteso come piena
realizzazione della Sharia (la legge sacra dell’Islam) nello stato.
I riformatori tentano di far convivere l’Islam con i tempi moderni
cercando di reinterpretare i principi islamici e in particolare la Sharia
in modo tale da adattarne i contenuti alle linee più moderne,
considerando però immutabili i principi di base.
I fondamentalisti, invece, considerano la Sharia come sacra in
quanto fonte inspirata ed immutabile, valida in ogni tempo e in ogni
luogo, ed attaccano la posizione liberale.
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Negli ultimi tempi i fondamentalisti hanno guadagnato terreno e
forza sulle posizioni intermedie ed il dialogo, nato inizialmente
nell’ambito letterario e in quello dei mezzi di comunicazione, è ben
presto degenerato in manifestazioni violente, persecuzioni e
terrorismo.
L’origine più antica della parola apostata in arabo è murtadd; chi
diventa apostata è chiamato “artadd ‘an dinihi” (colui che gira la
schiena alla religione). Due parole sono usate per l’apostasia nella
legge musulmana: “irtidad” e “ridda”. Il primo termine sottintende il
passaggio dall’Islam ad un’altra religione, ad esempio il
Cristianesimo, mentre il secondo il passaggio dall’Islam alla
miscredenza (kufr). Al di là dei termini tecnici appena enunciati, è
necessario considerare il fatto che la fattispecie in questione è sempre
stata oscura, non definita e quindi aperta a molteplici interpretazioni.
Infatti, il reato di irtidad si è sempre affiancato ai concetti di
miscredenza, bestemmia ed eresia, il tutto identificato con il termine
kufr, anche se la bestemmia e l’eresia sono tecnicamente sotto
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M.Najjar Fauzi, “Islamic Fundamentalism and the Intellectuals: The Case of
Nasr Hamid Abu Zayd”, British Journal of Middle Eastern Studies, Vol. XXVII,
Num. 2, November 2000, pp.177-200.
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categorie di questa; entrambe, infatti, sono “distinte fattispecie
penali” dette in arabo kafir
3
.
Alcune autorità elencano all’incirca trecento atti diversi che
potrebbero fare di una persona un murtadd, lasciando però la
possibilità di classificare con tale termine anche soggetti che siano
semplicemente oppositori politici o comunque personaggi scomodi
che vadano eliminati, giustiziandoli nel processo noto come takfir.
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Alla luce di questo possiamo ribadire che il concetto di ridda è
molto vago; esso può esprimersi in vari modi: come negazione
dell’esistenza di Dio o associando a Lui altre divinità, come
negazione della condizione di Muhammad quale definitivo
messaggero di Dio, come negazione del valore vincolante della sunna
(detti o comportamenti del profeta oralmente tramandati), come
rifiuto della preghiera cinque volte al giorno o della pratica del
ramadam (pellegrinaggio); può anche esprimersi con una diversa
valutazione della “sharia”, aggiungendo ad essa altre norme e
schernendo un qualsiasi aspetto dell’Islam con atti o espressioni più o
meno intenzionali. Il termine apostata è stato usato persino per
indicare la rivolta delle tribù beduine dopo la morte di Muhammad.
Secondo la cultura islamica gli apostati, abbandonando l’Islam,
perdono il proprio diritto alla dignità e al rispetto; le loro famiglie
esercitano pressione su di loro con minacce e violenze per spingerli a
ritornare all’Islam; a volte i parenti medesimi preferiscono non
riconoscerli come figli della Comunità (Umma) e spingerli a lasciare
il paese sotto minacce di morte. Si registrano casi di giustizia
sommaria in cui i colpevoli vengono assassinati dai membri della
famiglia o dagli stessi amici in molti paesi tra cui l’Egitto e il
3
Tamimi Azzam, “Human Rights, Islamic and Secular Perspectives”, in The
Quest for Sanity, The Muslim Council of Britain, 2002, pp.229-235
4
Esposito L. Jhon, “The Oxford Encyclopedia of the Modern Islamic
World”, New York: The Oxford University Press, 1995 pp. 439-443.
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Pakistan, senza che questi subiscano conseguenze legali da parte
delle autorità.
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Quanto ai fondamentalisti, essi rifiutano ogni dialogo con i non-
musulmani arrivando al punto di condannare, per delitto di apostasia,
coloro che lavorano a favore del dialogo interreligioso; così, per
esempio, ogni rapporto con gli ebrei è considerato una prova di
tradimento della Umma.
Detto questo si può affermare che la problematica della
conversione dall’Islam si inserisce all’interno della tematica più
ampia riguardante la libertà religiosa.
La questione più importante che immediatamente salta agli occhi
in questa vicenda è la seguente: cosa s’intende per libertà di
religione?
Mentre il mondo occidentale, generalmente laico, prevede la
possibilità di abbracciare un credo, poterlo abbandonare e poi
riprenderlo di nuovo, il mondo islamico accetta la conversione al
proprio credo ma non il suo abbandono. Inoltre sulla questione della
libertà religiosa è importante il giudizio che ne danno i musulmani
stessi. Per alcuni l’incontro tra varie religioni si può realizzare
soltanto tra i fedeli che adorano un unico creatore, per altri la libertà
religiosa è un diritto fondamentale solo all’interno dell’Islam e
riguarda solo la pratica dei culti.
I pensatori in questione insistono sull’urgenza del dialogo
interreligioso. A loro giudizio, tuttavia, tale dialogo non dev’essere
un fronte comune del monoteismo contro l’ateismo in quanto: “Dio
stesso non ha imposto alle sue creature una sola e unica via, ma le ha
poste di fronte alla dura prova della scelta, che non sempre può
rivelarsi la migliore”.
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5
Sookhdeo Patrick, “A People Betrayed: The Impact of Islamization on the
Christian Community in Pakistan”, Fearn, Ross-shire, pp.278-281.
6
M. Talbi Mohammed: “je suis un don de miséricorde”, in
“Coscienza e libertà”, N 40, 1990, p. 92
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Dopo questa panoramica sui punti di vista delle varie fazioni, può
essere illuminante la dottrina enunciata dallo sceicco Muhammad
Hamidullah, originario dell’India, docente all’università d’Istanbul e
vissuto in Francia dove ha animato un gruppo d’Amitié islamo-
Chrétienne, che afferma: “Basandosi sulla lettera del Profeta a
Eraclio in cui lo invita ad abbracciare l’Islam, o almeno a non violare
la libertà dei suoi sudditi che lo volessero fare, si può affermare che
quando non vi sia né tolleranza religiosa, né libertà di coscienza in
un paese non musulmano e quando tutti i tentativi per migliorare
questa situazione siano falliti, è permessa nell’Islam l’instaurazione
di questa libertà con la forza delle armi.”
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Dunque la libertà religiosa e la relativa libertà di coscienza, per le
quali si può lottare anche con le armi, è semplicemente libertà di
poter cambiare liberamente il proprio credo verso l’Islam.
Quanto invece alla possibilità, per i musulmani, di lasciare la fede,
sia nei paesi musulmani che in quelli non musulmani, non è
assolutamente ammesso. Si può notare che il nodo del problema
risiede nel fatto che le fonti islamiche che trattano del tema sono
molto contraddittorie tra loro e non delineano in maniera chiara i
contorni di questo istituto.
Una tradizione (hadit) molto conosciuta nel Medioevo, che
esamineremo successivamente nel capitolo delle fonti, affermava che
è vietato versare il sangue di un musulmano (cioè ucciderlo) tranne
che in tre casi: se si tratta del sangue di un musulmano che ha ucciso
un musulmano, di quello dell’adultero e di quello di un musulmano
apostata. Questa tradizione era certamente molto accreditata nel
Medioevo quantunque sembri sia tutt’altro che sconosciuta anche
attualmente. Infatti una notazione, in proposito, dell’islamologo
libanese Adel Theodor Khoury S.J recita: “la Tradizione prevede la
pena di morte per il peccato di apostasia ma, nella legislazione
attuale della gran parte degli Stati a maggioranza islamica, questa
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M. Hamidullah, “Le Prophète de l’Islam”, vol. II, “L’incontro con
l’imperatore Eraclio”, pp.587-588.
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pena non è stata confermata; tuttavia ancora oggi, in molte società
musulmane, l’apostata deve scontare la prigione, l’esilio o può essere
ucciso dai suoi stessi familiari”.
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A conferma di ciò, nel 1994, non nel Medioevo quindi, Sami Awar
Aldeeb Abu-Sahlieh
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affermò: “Esistono (...) musulmani che si
convertono al cristianesimo (...)”; questi convertiti, secondo i
musulmani, sono passibili della pena capitale.
Inoltre, dopo aver segnalato l’esistenza di formali garanzie della
libertà religiosa consacrate nelle Costituzioni dei paesi arabi dal 1923
al 1973, il docente notò come nei codici penali non sia compresa
nessuna disposizione relativa al delitto d’apostasia, fatta eccezione
per il codice penale della Repubblica del Sudan del 1991, che,
all’articolo 126, comma 2, prevede che: “chi commette il delitto
d’apostasia è invitato a pentirsi in un tempo determinato dal
tribunale. Se persiste nell’apostasia e non si è convertito di recente
all’Islam, sarà punito con la morte”; e per il codice penale della
Repubblica Islamica di Mauritania del 1984 che prevede la stessa
pena per lo stesso crimine all’articolo 306, pena estesa nel medesimo
articolo a “ogni musulmano maggiorenne che rifiuta di pregare pur
riconoscendo l’obbligo della preghiera”; dal canto suo il codice
penale del Regno del Marocco, all’articolo 220, comma 2, punisce,
con una pena detentiva e con un’ammenda, chi induce all’apostasia e
tace riguardo alla sorte riservata all’apostata.
8
Khoury S.J Adel Theodor, “I fondamenti dell’Islam”, trad. italiana di C.
W. Troll S.J. e Michela Galati, Editrice Missionaria Italiana, Bologna 1999,
p.181.
9
Cristiano di origine palestinese, laureato in giurisprudenza a Friburgo, in
Svizzera, e in Scienze Politiche a Ginevra, in passato ricercatore in Diritto
Arabo e Musulmano e tuttora collaboratore scientifico dell’Institut Suisse de
Droit Comparé di Losanna nonché docente di Diritto Musulmano all’Institut de
Droit Canonique nell’Université de Sciences Humaines di Strasburgo, in
Francia.
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Un aspetto importante da considerare, giustamente sottolineato
dallo studioso palestinese, è il fatto che qualunque sia la
formulazione adottata dalle Costituzioni arabe, la libertà religiosa
garantita da queste Costituzioni può essere compresa solo nei limiti
islamici. Per esempio nella carta fondamentale della Repubblica
Araba d’Egitto, della Repubblica Araba Siriana, dello Stato del
Kuwait, dello Stato del Bahrain, dello Stato del Qatar, della
Repubblica dello Yemen e del Regno Hashemita di Giordania si
afferma che “ (...) il diritto musulmano è una fonte principale di
legislazione, o, la fonte principale di legislazione”.
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Questa attenta
considerazione spiega come il concetto di religione e Stato nell’Islam
combacino perfettamente e inoltre dimostra ancora una volta che la
considerazione del concetto di libera religione che hanno in Islam, sia
nettamente diversa da quella che “abbiamo noi occidentali, religiosi o
meno.”
Nel corso della storia poi, il concetto di apostasia, dopo la morte di
Maometto, si è rapidamente allargato per comprendere sia quanti
abbandonino l’Islam sia quanti ne abbiano una concezione diversa o
si pongano come oppositori politici. Così la pena di morte per
apostasia è divenuta applicabile anche a persone che, in buona fede,
si credono buoni musulmani; questa conseguenza vale anche per i
codici penali che non abbiano una disposizione riguardante
l’apostasia. Il discorso porta inevitabilmente a concludere che
l’assenza di una disposizione penale non significa assolutamente che
il musulmano possa lasciare liberamente la sua religione. Infatti, le
lacune del diritto scritto vanno colmate con il diritto musulmano,
secondo le disposizioni legislative dei vari paesi. A sostegno di ciò,
Sami Awar Aldeeb Abu-Sahlieh cita appunto un caso sudanese di
condanna a morte, verificatosi nel 1985, malgrado l’assenza di
disposizioni relative a questo delitto nell’allora vigente codice penale
del 1983; si tratta dell’impiccagione dell’architetto in pensione
10
S. A. Aldeeb Abu-Sahlieh “le délit d’apostasie aujourd’hui et ses
conséquences en droit arabe et musulman” p.98
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Mahmûd Muhammad Tâhâ, fondatore e animatore in Sudan del
circolo dei Fratelli Repubblicani, la cui testa era già stata chiesta
dall’università egiziana di Al-Azhar nel 1976 e poi dalla Lega del
Mondo Musulmano, con sede in Arabia Saudita; le due istituzioni,
dopo l’esecuzione, si sono felicitate con il presidente allora in carica,
generale Ga‘far Mohammed an-Numeirî. Sami Awar segnala inoltre
che: ”in paesi come l’Egitto non si procede all’esecuzione
dell’apostata ma viene comunque messo agli arresti.” Infine descrive
sinteticamente, escludendo il caso estremo già segnalato, le
conseguenze dell’apostasia relativamente al matrimonio, ai rapporti
fra genitori e figli e alle successioni ritenendo la situazione
dell’apostata caratterizzata da “una libertà a senso unico: libertà
d’entrare, divieto d’uscire”.
Afferma inoltre che: “ogni individuo ha il diritto di adire i tribunali
statali per chiedere il giudizio sull’apostata ma se lo Stato o questi
tribunali si rifiutino di mettere a morte quanti siano accusati di
apostasia, ogni musulmano si crede in diritto di assassinarli, e certi
legislatori permettono allora anche al singolo di uccidere il
colpevole”.
La considerazione conclusiva che si può trarre dall’intero discorso
è che il soggetto apostata, a prescindere dalle conseguenze legali più
o meno severe a cui è assoggettato per il suo comportamento, rimane
un soggetto tagliato fuori dalla comunità e considerato un traditore
sotto tutti i punti di vista alla pari di un individuo di seconda
categoria.