5
Mashreq e del Maghreb che hanno conquistato la voce letteraria
soltanto negli ultimi decenni.
7
Il principale punto di forza della scrittura femminile sta nel fare uscire
le donne dal contesto privato nel quale sarebbero altrimenti segregate,
e metterle in relazione con la sfera pubblica, affinché possano agire
concretamente in essa e affermare i loro ideali.
8
D’altronde, “le idee
delle donne si esprimono attraverso l’arte”.
9
Eppure, anche
l’etimologia sembra penalizzare il ruolo delle scrittrici. Assia Djebar
osserva, infatti, che nel termine “Écrivain/ uomo-scrittore” nessuno
7
Nel mondo arabo, le voci femminili hanno conquistato la scena letteraria soltanto
agli inizi del XIX secolo, nell’ambito del movimento di rinascita culturale noto
come nadah. In questo periodo si è riconosciuta l’importanza dell’accesso delle
donne all’istruzione. Il sostegno all’emancipazione femminile si deve ad intellettuali
del calibro di al-ahÓāwī (1801-1873) e di Qāsim Amīn (1865-1908), ma anche le
donne stesse, a loro volta, hanno acquisito la consapevolezza di avere un ruolo
cruciale nel processo di miglioramento della società. Si sono impegnate nel processo
di emancipazione culturale le femministe egiziane Hudà al-Ša‘rāwī (1879-1947) e
Malak pifnī NāÑif (1886-1918), più conosciuta con lo pseudonimo di BāiÓat al-
Bādiyah (Colei che ricerca nel deserto), impegnate, in particolar modo, sul fronte
della lotta alla poligamia. Molte altre sono state le intellettuali che, tra i secoli XIX e
XX, si sono cimentate nella lotta femminista; tra queste meritano di essere
menzionate la libanese Zaynab Fawwāz (1846-1914) e la palestinese Mayy Ziyādah
(1886-1941) impegnate nella letteratura e nel giornalismo di stampo femminista. Per
ulteriori approfondimenti si veda I. Camera d’Afflitto, Letteratura araba
contemporanea, Roma, Carocci, 1998.
8
Cfr. E. Pellegrini, Donne allo specchio: l’auto/biografia imperfetta, in
«Tuttestorie», aprile-giugno 1999, p. 26.
9
E. Showalter, La critica femminista nel deserto, in M. T. Chialant e E. Rao (a cura
di), Letteratura e femminismi, Napoli, Liguori, 2000, p. 58. Elaine Showalter riporta
in questo saggio la posizione di varie studiose femministe. La frase sopra citata
sintetizza la posizione di Edwin Ardener circa la necessità di adottare l’artificio
artistico da parte del gruppo “silenzioso” delle donne per esprimere le proprie idee, a
dispetto del gruppo “dominante” maschile, che non ha bisogno della mediazione
artistico-letteraria, potendo manifestare liberamente i propri principi.
6
ironizza sul “gioco di parole écrit [scritto] (al neutro) vain [vano]”;
10
mentre “Écrivaine”, al femminile, trasmette immediatamente il
concetto di “vaine, e dunque vanità, leggerezza, ostentazione. […]
Scritto di donna/ scrittura vana”.
11
Tuttavia, è fuori dubbio che la
difficoltà di istituzionalizzare il rapporto tra donna e scrittura è
strettamente connessa con il difficile rapporto tra donne e cultura;
problematica, a sua volta, legata al paradigma universale dei Gender
Studies, volti al conseguimento, da parte delle donne, degli stessi
diritti di cui godono gli uomini: il capitale, il potere e il sapere.
12
La questione femminile, in effetti, può essere sviluppata in molteplici
direzioni.
13
Ci sono autori che si soffermano sul rapporto che
intercorre tra le donne e la dimensione storica e sociale, esaminando in
particolare le difficoltà incontrate dal “sesso debole”
14
nel mondo
10
A. Djebar, Ces voix qui m’assiègent, trad. it. a cura di R. Salvadori, Queste voci
che mi assediano. Scrivere nella lingua dell’Altro, Milano, Il Saggiatore, 2004, p.
59.
11
A. Djebar, op. cit., pp. 59-60.
12
Cfr. A. Dialmy, Feminisme, islamisme, sufisme, op. cit., pp. 22-23.
13
Sulla condizione della donna araba contemporanea si veda la raccolta Portraits de
femmes di Mohamed Alahyane, Nadia Arrif, Aïcha Belarbi, Mokhtar el Harras,
Touria Hadraoui, Ahmed Khamlichi, Fatema Mernissi, Adberrazak Moulay Rchid,
Mohamed Salahdine e Fatima-Zohra Zryouil, (Casablanca, Le Fennec, 1987). Un
classico del genere è, inoltre, il libro di Fatema Mernissi Le Maroc raconté par ses
femmes (Rabat, SMER, 1984) in cui l’autrice raccoglie una serie di interviste
rilasciate da alcune donne marocchine circa la loro esperienza di vita. Fatema
Mernissi, in base alle dichiarazioni ottenute, conclude che la questione della donna
nel contesto islamico è una creazione culturale che deforma la realtà e la mette al
servizio degli interessi politici degli uomini.
14
A rigor di logica va ricordato che l’espressione “sesso debole” deve essere
interpretata con cautela. Vi è, infatti, chi, come Gandhi, considera le donne come
“sesso forte”, dal momento che esse, dotate di una forza di coscienza superiore, sono
spesso in grado si sopportare meglio le sofferenze, talvolta silenziosamente, e sono
capaci, anche più degli uomini, di partecipare efficacemente alla resistenza passiva.
Cfr. Kitu H. Katrak, La decolonizzazione della cultura: verso una teoria a favore
della scrittura femminile postcoloniale, in M. T. Chialant e E. Rao (a cura di),
Letteratura e femminismi, op. cit., pp. 377-378.
7
dell’educazione e del lavoro.
15
C’è chi indaga il rapporto tra donna e
politica, soffermandosi sui limiti degli statuti giuridici che spesso non
risolvono concretamente la questione della poligamia e della
schiavitù.
16
Vi è chi, infine, come Fatema Mernissi, trovandosi
contemporaneamente nel ruolo di attrice e di spettatrice delle
problematiche femminili, esamina, nella sua ampia produzione
letteraria, tutte queste diverse sfaccettature del problema, in relazione
a una società in continuo mutamento, quale è quella marocchina, in
cui la donna non ha ancora ottenuto la tutela completa dei suoi diritti.
La mia indagine mira a mettere in evidenza il contesto che ha
condizionato la formazione culturale e ideologica di Fatema Mernissi
e ad approfondire i caratteri propri dell’opera dell’autrice, “soggetto
ibrido” che ha risentito fortemente della contaminazione interculturale
avvenuta nel Marocco postcoloniale. Come osserva Marcella Romeo,
“la scrittura, laddove circostanze ineluttabili quali il tempo della
storia, i luoghi, le origini ibridizzano l’identità al punto di negarla,
diventa strumento di articolazione del sé, luogo in cui fissare le
esperienze acquisite e osservare i processi che nella loro molteplicità
15
Sulle difficoltà incontrate dalla donna per accedere all’educazione e al mondo del
lavoro si veda F. Mernissi, Chahrazad n’est pas marocaine, Casablanca, Le Fennec,
1988, trad. it. a cura di S. Scagliotti, Chahrazad non è marocchina, Torino, Sonda,
1993. Questa questione è stata, inoltre, analizzata da: Fatima Alaoui, che si è
dedicata allo studio del ruolo economico della donna nel contesto rurale; Malika
Belghiti che ha analizzato gli indicatori socio-economici della partecipazione delle
donne allo sviluppo del mondo arabo, soffermandosi sul caso del Marocco; Kathlan
Howard-Merrim che ha analizzato la partecipazione della donna allo sviluppo
politico del Marocco (Cfr. J. F. Clément, Préface, in A. Dialmy, Feminisme,
islamisme, sufisme, op. cit., pp. 1-9).
16
Si veda la raccolta Femme et Pouvoirs, un’opera collettiva diretta da Fatema
Mernissi (AA. VV., Femmes et pouvoir, Le Fennec, Casablanca 1990) in cui
troviamo contributi di Aïcha Belarbi, Rahma Bourquia, Zohra Mezgueldi, Mohamed
Alahyane, Fatima Oulad, Hammouchou e Fatima Zohra Zryouil.
8
si svolgono all’unisono”.
17
Non è un caso, quindi, che Fatema
Mernissi sia riuscita a imporsi sulla scena internazionale grazie alla
sua attività di scrittrice, sia in qualità di saggista che nelle vesti di
romanziera. È in quest’ultimo ambito che ho scelto di innestare la mia
tesi che contiene, nella seconda parte, una riflessione su La terrazza
proibita,
18
il romanzo autobiografico dell’autrice. L’opera in
questione suscita un interrogativo: si tratta di un romanzo
autobiografico volto al recupero della memoria di una vita trascorsa o,
piuttosto, di uno science novel che si propone di diffondere un
messaggio di tipo sociale? “Per una donna scrivere la vita di una
donna può significare tante cose insieme: […] significa incidere
l’esperienza di un soggetto femminile nella letteratura per capire ed
elaborare in modo radicale il rapporto della donna con la realtà sociale
in un determinato periodo storico; significa imparare a vedersi come
collettività e nello stesso tempo significa verificare quel residuo
irriducibile di unicità che appartiene a ogni microstoria individuale”.
19
Potrebbe, dunque, essere una di queste, o tutte queste motivazioni
insieme ad aver indotto la scrittrice marocchina alla stesura di
un’opera tanto immediata e, al contempo, tanto complessa.
Questo studio, incentrato sull’analisi stilistica del testo, sulla
disamina dei personaggi, dei luoghi e del tempo in cui essi si
muovono e operano, si propone come obiettivo quello di fornire
17
M. Romeo, Scrittura del sè e critica postcoloniale, in D. Corona (a cura di),
Autobiografie e contesti culturali: Ibridazioni, generi e alterità, Palermo, Facoltà di
Lettere e Filosofia, Studi e ricerche 31, 1999, p. 92.
18
F. Mernissi, Dreams of trespass: tales of a harem girlhood, Cambridge, Perseus
Books, 1994, trad. it. a cura di R.R. D’Acquarica, La terrazza proibita, Firenze,
Giunti, 1996.
19
E. Pellegrini, Donne allo specchio: l’auto/biografia imperfetta, in «Tuttestorie»,
aprile-giugno 1999, p. 27.
9
l’esempio di un’autrice che ha fatto della sua scrittura uno strumento
di dialogo tra culture e tempi diversi. Dialogo avvertito come
necessario in una fase, qual è quella attuale, in cui c’è bisogno di
arginare le vicende belliche internazionali, che vedono coinvolti
popoli appartenenti a posizioni religiose, ideologiche e politiche
opposte. Fatema Mernissi, con la sua attività di sociologa e letterata,
ha mostrato che è possibile avviare il dialogo a livello nazionale e
internazionali tra soggetti diversi; ha mostrato, inoltre, che non si può
cedere ai limiti dell’incomunicabilità, poiché è nella diversità che
risiede la ricchezza. Confrontarsi con una cultura lontana, nello spazio
o nel tempo, è un modo per conoscere meglio sé stessi e, al contempo,
per trovare nuove risorse.
PRIMA PARTE:
L’AUTRICE
11
I
FATEMA MERNISSI: UNA SCRITTRICE
MAROCCHINA CONTEMPORANEA.
I. 1 LA VITA.
Fatema Mernissi,
1
scrittrice di fama internazionale, è una delle più
autorevoli intellettuali del mondo arabo. Sociologa, femminista e
studiosa, ha pubblicato numerosi libri e articoli, nella maggior parte
dei quali ha preso in esame il ruolo della donna, soprattutto nel
contesto islamico, conquistandosi il titolo di “Simone de Beauvoir
marocchina”
2
. Nata a Fès, nel 1940, da una famiglia borghese, ha
trascorso gli anni della sua infanzia in un harem,
3
sottomessa
all’autorità patriarcale e ai dettami politici e sociali che imponeva una
nazione, come il Marocco, culturalmente e storicamente ibrida, dove i
sostrati berbero ed arabo si sono fusi, soprattutto nel secolo scorso,
1
Il nome arabo dell’autrice è ﱢﺴِﻴﻧْﺮَﻤﻟا ﺔَﻤِﻃﺎﻓﻲ . La sua traslitterazione in caratteri
europei viene fatta in vari modi. Qui si è preferito trascrivere Fatema Mernissi.
2
Cfr. G. Gerosa, L’harem di Fatima, in «L’indipendente», 61 (131), anno I (VI)
nuova serie, 8 giugno 1996, p. 12.
3
L’harem era abitato dalla famiglia dell’autrice, da quella dello zio e da altri parenti,
così da costituire una sorta di famiglia allargata. Il nucleo familiare “ristretto” della
famiglia della scrittrice era invece costituito da cinque componenti: il padre, la
madre, l’autrice stessa, una sorella e un fratello. Cfr. C.M. Tresso, La terrazza
proibita. Le storie dell’harem di Fatima Mernissi, in «Linea d’ombra», 116, anno
XIV, giugno 1996, p. 72.
12
alle imposizioni politiche e culturali delle nazioni europee.
4
Il forte
radicamento nel contesto sociale tradizionale in cui l’autrice ha
vissuto, e vive tutt’oggi,
5
non le ha impedito di invadere gli spazi
topici e mentali della modernità. L’epoca in cui è nata Fatema
Mernissi è stata, infatti, caratterizzata da una serie di fermenti politici
e sociali che hanno interessato molti Paesi arabi. Sin dalla fine del
XIX secolo le capitali ottomane di Istanbul, del Cairo e di Damasco
avevano sentito il bisogno di “rinnovamento” (iÑlā).
6
La presenza del
colonialismo europeo alimentava la volontà d’indipendenza politica
delle élites locali e il desiderio di libertà sociale da parte degli strati
oppressi della società, primo fra tutti quello femminile.
7
La scrittrice,
4
Durante il XIX secolo il Marocco ha subito l’invasione spagnola, inglese e
francese e, agli inizi del XX secolo, anche la Germania ha controllato il Paese.
Tuttavia, negli stessi anni, in Marocco si sono formati diversi partiti nazionalisti; in
particolare va ricordato il “Partito nazionale” istituito nel 1937 da ’Allāl al-Fāsī.
(Cfr. B. Scarcia Amoretti, Il mondo musulmano. Quindici secoli di storia, Roma,
Carocci, 1998, p. 195). La liberazione dall’oppressione coloniale e, di conseguenza,
l’indipendenza sono state raggiunte, in seguito a numerose rivolte, soltanto nel 1956.
Il comando politico del Paese è allora passato nelle mani di re Muammad V. Sui
tumulti per la conquista dell’indipendenza cfr. Z. Daoud, Féminisme et Politique au
Maghreb (1930-1992), Casablanca, Eddif, 1993, in particolare pp. 237-254 in cui
Zakya Daoud ricorda tutte le eroine che hanno lottato per la conquista
dell’indipendenza del Marocco.
5
Cfr. F. Zouari, La femme aux cinq olives, in «Jeune Afrique», 1891, 2-8 aprile
1997, pp. 42-43.
6
Focolai di rivolta divamparono, agli inizi del XX secolo, anche nella Turchia di
Atatürk e nei Paesi di governo islamico del Mediterraneo. Cfr. C.M. Tresso, op. cit.,
p. 73.
7
Ibid. C’è da dire che i nazionalisti, negli anni quaranta e cinquanta, sostenevano la
liberazione delle donne e l’emancipazione femminile, al fine di ricevere sostegno
nella lotta contro il colonialismo. Dal canto loro, i colonizzatori hanno spesso
sfruttato a loro vantaggio alcune tradizioni oppressive, come la segregazione
femminile e l’imposizione del velo: esasperando questi aspetti del conservatorismo,
hanno fomentato rivolte e, talvolta, hanno giustificato la loro presenza bellica come
“paladini” di un riformismo finalizzato al superamento dei limiti imposti al Marocco
dalla tradizione. Cfr. R. Montero, Fàtima Mernissi. La hija del harén, in «El Pais»,
1024, 12 maggio 1996, p. 52.
13
per ricordare la difficile condizione delle donne vissute nei primi anni
del Novecento, riporta le parole di sua nonna Yasmina, vissuta nella
fase storica nella quale in Marocco le donne vivevano ridotte in
schiavitù.
«Io, tua nonna […] Sono stata portata via a otto anni dal mio douar
nel Medio Atlante, proprio vicino alla Zawiyya Shirkawiyya. Non lontano da
Beja’d. Due uomini senza cuore mi hanno rapita qualche giorno più tardi e
mi hanno venduta, in una grande città di cui ignoravo il nome. È così che mi
sono ritrovata a casa di tuo nonno, in questa prigione dai pavimenti di
marmo e i decori di piastrelle blu».
8
Oggi il Marocco degli uomini che riducono le donne in schiavitù è
scomparso. Lo Stato marocchino, negli ultimi decenni, è stato
interessato da un decorso sociale complicato e discontinuo che ha
stravolto il Paese. Sono state combattute battaglie politiche per
ottenere la liberazione del Paese dal dominio coloniale europeo, e lotte
sociali, allo scopo di modificare lo statuto personale, per una migliore
tutela dei diritti dei cittadini marocchini, sia uomini che donne.
9
Se è
8
F. Mernissi, “Introduzione”, in E. Bartuli (a cura di ), Sole nero. Anni di piombo in
Marocco, Messina, Mesogea, 2004, p. 24.
9
Già il 1947 aveva rappresentato un anno importante per dare una svolta allo statuto
femminile marocchino: è stato infatti l’anno in cui Lalla Aïcha, la figlia di re
Muammad V, ha proferito un discorso in pubblico senza velo (Cfr. G. El Khayat,
Le monde Arabe au féminin, Paris, L’Harmattan, 1998, pp. 155-156. Si vedano
anche le pagine 19-55 e le pagine 123-151 per un’analisi relativa alla condizione
della donna araba prima e dopo il periodo coloniale). I primi decreti per
l’elaborazione di un nuovo codice legislativo sono stati adottati nel 1957 e hanno
costituito la base per l’elaborazione della Mudawwana. Si tratta di un Codice dello
statuto personale che, mantenendo fede al diritto tradizionale di scuola malikita,
interpreta i dettami coranici in una serie organica di leggi volte alla tutela dei diritti
dei cittadini marocchini. Sulla Mudawwana si veda R. Aluffi Beck-Peccoz (a cura
di), Le leggi del diritto di famiglia negli stati arabi del Nord-Africa, Torino,
Edizioni della Fondazione Giovanni Agnelli, 1997, pp. 21-24 e pp. 133-180. Sulle
14
vero che le leggi relative al diritto di famiglia sono state adottate
tempestivamente all’indomani dell’indipendenza, è anche vero che
esse hanno presentato da subito numerose lacune, specie in materia di
tutela dei diritti delle donne.
10
È stato allora necessario, nel corso degli
anni, proporre una serie di emendamenti, spesso volti a conformare i
principi dello statuto marocchino con quelli previsti dagli accordi
internazionali,
11
che sono stati accolti soltanto nel 1993. Durante
questo lungo arco di tempo le donne marocchine hanno combattuto,
costituendo unioni e comitati, per vedere riconosciuti i loro diritti.
12
È
stata l’istruzione, comunque, sin dagli anni ’40, l’arma principale per
la conquista di una condizione sociale migliore, soprattutto per le
donne. Anche la famiglia dell’autrice ha colto questo anelito di
riforme democratiche e costituzionali apportate in Marocco nell’ultimo decennio si
veda O. Bendourou, Transition démocratique et réformes politiques et
constitutionnelles au Maroc, in «Annuaire de l’Afrique du Nord», t. XXXIX, 2000-
2001, pp. 233-253.
10
A tal proposito merita di essere citato un passo tratto da un’intervista rilasciata da
Fatema Mernissi a “Il Mattino”: «“C’è una palese contraddizione tra il discorso
giuridico e la realtà. Prendiamo il mio caso. Sono funzionario dello Stato
marocchino perché insegno all’Università Muhammad V di Rabat, ma sul piano
giuridico sono una minorenne perché c’è la legge della famiglia. Quando ho chiesto
il passaporto mi hanno detto di andare a cercare una autorizzazione scritta a mio
padre o a mio marito. E quando ho risposto che mio padre è morto, che non ho
marito e che sono professore all’Università mi hanno risposto che occorreva un
documento firmato da un uomo per avere il passaporto. Cosa significa? Significa
che c’è una contraddizione nel seno dello Stato”». G. De Martino, Dalle odalische ci
guardi Allah, in «Il Mattino», 166, anno XCIX, 19 giugno 1990, p. 14.
11
Sono state organizzate molte conferenze internazionali per la tutela del diritto di
uguaglianza tra uomini e donne. Va menzionata, ad esempio, la conferenza tenuta in
Danimarca nel 1980 al termine della quale è stata adottata la Convenzione di
Copenaghen per l’eliminazione delle discriminazioni nei riguardi delle donne. Sulle
convenzioni internazionali per la tutela dei diritti delle donne, e la loro ratifica in
Marocco si veda AA.VV., Droits des femmes au Maghreb, Casablanca, A.D.F.M.,
1992, pp. 9-22 e pp. 49-84.
12
Sui movimenti femministi marocchini volti al riconoscimento dei diritti politici a
favore delle donne si veda Z. Daoud, Féminisme et Politique au Maghreb (1930-
1992), Casablanca, Eddif, 1993, pp. 246-345.
15
rinnovamento. La madre di Fatema Mernissi, che aveva sempre
vissuto in un harem, senza educazione scolastica, ha combattuto
affinché le figlie studiassero, poiché l’istruzione avrebbe garantito
loro una vita migliore.
13
Anche il padre dell’autrice, in qualità di
nazionalista, ha condiviso questa idea, permettendo alla figlia di
acquisire una buona formazione culturale.
14
In un’intervista l’autrice
ricorda:
«Ero sfuggita al destino della non scrittura grazie alla decisione dei
miei genitori, […] che capirono che la conquista della indipendenza, del
progresso, della modernità, dipendevano dalla scolarizzazione».
15
In un’altra intervista rilasciata all’International Herald Tribune
aggiunge:
«“I am so lucky,” said Mernissi […]. “If I had been born two years
earlier, I would have had no education.”»
16
Dopo aver compiuto gli studi di primo e di secondo grado, all’età di
diciannove anni la scrittrice si è trasferita a Rabat dove ha conseguito
la laurea in Scienze Politiche presso l’Università Muammad V. È
13
Cfr. M. Kurlansky, Looking out: an Arab feminist’s vision, in «International
Herald Tribune», 9 giugno 1994, p. 20.
14
La scuola nazionalista che ha frequentato la scrittrice era la prima del Paese aperta
anche alle ragazze. Era stata voluta dalle autorità religiose nazionaliste che, negli
anni quaranta e cinquanta, sostenevano la lotta per la liberazione delle donne
convinti che, debellando l’analfabetismo femminile, avrebbero ricevuto un sostegno
maggiore nella lotta contro il colonialismo. Cfr. R. Montero, Fàtima Mernissi. La
hija del harén, in «El Pais», 1024, 12 maggio 1996, p. 52.
15
T. Maraini, La battaglia e il velo nelle vie pubbliche, in «Il Manifesto», 133, anno
XXVI, 4 giugno 1996, p. 26.
16
M. Kurlansky, Looking out: an Arab feminist’s vision, in «International Herald
Tribune», 9 giugno 1994, p. 20.
16
stato in Francia che ha acquisito una cultura di tipo occidentale
studiando Scienze Politiche alla Sorbona di Parigi. Erano quelli gli
anni in cui il sindacato studentesco marocchino, UNEM, lavorava per
consentire agli studenti di arricchire la loro formazione accademica in
Occidente.
17
Completati gli studi in Francia, si è trasferita negli Stati
Uniti dove ha conseguito, nei primi anni ’70, il dottorato in Sociologia
presso la Brandeis University.
18
Durante il periodo di permanenza
negli USA, la scrittrice ha preso contatto con il movimento
femminista americano.
19
Non è stato facile per lei, nata e cresciuta
entro i ferrati confini materiali e ideali di un harem, trovare la piena
accoglienza da parte di una società in cui il femminismo era già
radicato da anni.
20
Le critiche non tardarono ad arrivare. Le
femministe statunitensi stentavano a comprendere l’atteggiamento
provocatorio
21
che traspariva dal modo di vestire e di pensare
17
La prima studentessa marocchina che ha completato la sua formazione all’estero è
partita nel 1956 per gli Stati Uniti dove ha conseguito la laurea in sociologia.
Mentre, il numero di studenti marocchini che completava la formazione scolastica a
Parigi è aumentato sensibilmente tra il 1959 (9 studenti) e il 1963 (83 studenti su
770). Cfr. Z. Daoud, Féminisme et Politique au Maghreb (1930-1992), Casablanca,
Eddif, 1993, p. 267.
18
Cfr. M. Badran e M. Cooke (a cura di), Opening the gates. A century of Arab
Feminist Writing, London, Virago Press, 1990.
19
Cfr. M. Kurlansky, Looking out: an Arab feminist’s vision, in «International
Herald Tribune», 9 giugno 1994, p. 20.
20
Per il pensiero femminista in Occidente cfr. M. T. Chialant e E. Rao (a cura di),
Letteratura e femminismi, Napoli, Liguori, 2000, e, G. El Khayat, Le monde Arabe
au féminin, Paris, L’Harmattan, 1998, pp. 265-269.
21
L’atteggiamento delle femministe del “primo mondo” nei confronti di quelle del
“terzo mondo” è problematico fino ai giorni nostri. Per la costruzione del monolite
donna del terzo mondo da parte delle femministe occidentali si vedano: E. Rao, Nota
introduttiva, in M. T. Chialant e E. Rao (a cura di), Letteratura e femminismi, op.
cit., pp. 353-354; C. Talpade Mohanty, Sotto gli occhi dell’Occidente: saperi
femministi e discorsi coloniali, in M. T. Chialant e E. Rao (a cura di), op. cit., pp.
358-366.
17
dell’autrice marocchina.
22
Tuttavia, nonostante le difficoltà iniziali,
questo viaggio le ha permesso di constatare l’importanza del
confronto e del dialogo tra persone appartenenti a culture diverse.
23
Completata la formazione accademica, Fatema Mernissi è tornata al
suo Paese di origine, dove ha intrapreso l’attività di sociologa e dove,
tra l’altro, ha insegnato presso l’Università Muammad V.
Attualmente è anche ricercatrice all’Istituto Universitario di Ricerca
Scientifica (IURS) della stessa Università. Ha coordinato
l’Associazione delle donne tunisine per la ricerca sullo sviluppo, e ha
ideato Khalifa (Bollettino d’informazione e di collegamento sulla
creazione femminile araba). La sua attività di sociologa, così come
quella di letterata, non è circoscritta entro l’ambito marocchino; al
contrario, ha ricoperto cariche importanti a livello internazionale
essendo stata membro del Consiglio dell’Università dell’ONU e
consulente dell’UNESCO, ruoli che le hanno permesso di operare
concretamente per creare una coesione sinergica tra culture diverse.
Animata dalla convinzione che le donne hanno mille ragioni per
esprimersi in modi diversi (dipingendo tappeti, ricamando tessuti o
scrivendo libri), ha organizzato alcuni laboratori di scrittura per
consentire loro di confrontarsi e di raccontarsi in un libro a più voci.
24
Le perplessità iniziali sono state superate grazie a un viaggio a Tunisi
nel maggio del 1991.
22
Cfr. M. Kurlansky, op. cit., p. 20.
23
L’iniziativa della Carovana Civica, di cui si parlerà tra breve, nasce per soddisfare
questo bisogno di confrontarsi con l’altro.
24
Cfr. F. Mernissi, Preface, in AA.VV., Comment les Femmes Vivent, Tunis, Cérès,
1992, p. 15.
18
«En Mai 1991, dans l’avion qui m’emmenait à Tunis pour animer
l’atelier, j’étais soudain prise de panique: comment un Atelier d’écriture va
démarrer avec succès après trois jours de travail, alors qu’au Maroc il a fallu
depuis 1984, des centaines de réunions et des dizaines de grands barrages et
des vingtaines de petits accrochages?»
25
Il successo riportato a Tunisi l’ha spinta a organizzare altre iniziative.
Bisogna accennare, ad esempio, a una mostra intitolata Vanishing
Orient, che ha messo in relazione letterati e artisti provenienti da varie
parti del mondo.
26
Il motto che ha inaugurato l’inizio degli incontri è
stato panān Bridge, il ponte della tenerezza.
27
Il progetto di creare un
altro ponte, quello tra cittadini appartenenti a strati sociali diversi, si è
concretizzato, invece, nell’attività della Caravane Civique,
28
un
25
F. Mernissi, op. cit., p. 16.
26
Si tratta di una serie di incontri durante i quali artisti marocchini e tedeschi si
riuniscono, ormai annualmente, per realizzare uno scambio di creatività
interculturale. Questa mostra itinerante è stata inaugurata nel 1996 col sottotitolo
scherzoso “Papa’s harem is shifting to Mama’s Civil Society”: le conferenze e i testi
sono stati curati da Fatema Mernissi, mentre la parte grafica è stata illustrata dalle
foto di Ruth Ward (un’artista americana che collabora con l’autrice dagli anni ’80
per la realizzazione di diversi audiovisivi e che ha curato le immagini del libro
Dreams of Trespass). Cfr. F. Mernissi, Les Sindbads Marocaines. Voyage dans le
Maroc Civique, Rabat, Edition Marsam, 2004, trad. it. a cura di E. Bartuli, Karavan.
Dal deserto al web, Firenze, Giunti, 2004, pp. 214-215; cfr. T. Maraini, La battaglia
e il velo nelle vie pubbliche, in «Il Manifesto», 133, anno XXVI, 4 giugno 1996, p.
26. Inoltre cfr. www.mernissi.net/gallery.index.html, 22/08/2003.
27
È stata la giornalista tedesca Greta Tullman, direttrice della rivista Ab.40, a
lanciare lo panān Bridge. نﺎﻨَﺣ è la parola araba che esprime il concetto di
tenerezza, affetto, simpatia, tenerezza sconfinata. Al-anān oltre ad essere diventata
la regola di base degli incontri che la giornalista tedesca e la sua rivista organizzano
ogni anno, è un concetto che è stato sviluppato da Fatema Mernissi anche nel suo
romanzo La terrazza proibita (Firenze, Giunti, 1996, p. 140). Cfr. F. Mernissi,
Karavan. Dal deserto al web, op. cit., pp. 214-216; inoltre cfr.
www.ab40.de/seiten/03_4_3d.html, 30/12/04.
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Per la realizzazione della Carovana Civica ha avuto un ruolo fondamentale Jamila
Hassoune, una libraia di Marrakech che sognava di creare una biblioteca “volante”
per portare i libri nelle zone rurali del Marocco. Questa idea scaturiva dalla
convinzione che le popolazioni rurali costituivano una classe di potenziali lettori