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circolari alle due estremità: una delle due superfici piane del cilindro terrestre
ospita naturalmente il tracciato geografico dell’oikouméne. “Una
rappresentazione che permette di contemplare le strutture di un oggetto e
attraverso ciò di comprenderlo è dunque teorica, e questa è senza dubbio
uno dei tratti tipici del pensiero greco: forgiare tali rappresentazioni a tali
fini”.3 Ma la carta di Anassimandro non è in nessun caso uno strumento
operativo destinato ai naviganti o ai navigatori. Non serve al commerciante,
al militare o al politico. Dopo Anassimandro ed Erodoto, nell’arco di
qualche decennio le carte si sarebbero moltiplicate. Ma se la carta di
Anassimandro era un oggetto teorico e non una costruzione effettuata a
partire da dati empirici quindi inutilizzabile, anche le carte successive non
erano precise e complete; spesso erano il risultato di descrizioni fatte da
mercanti che tendevano spesso ad esagerare sulle distanze e sui popoli di cui
venivano a contatto. La carta greca era un oggetto che si rifaceva insieme al
sapere e all’immaginario. Luogo dove si incrociavano discorsi differenti:
3
M. COVEING, La costruction du type mathematique de l’idealitè dans la pensée greque, 3 voll., Theses 1988,
citato da J. CHRISTIAN, Inscrivere la terra abitata su una tavoletta. Riflessioni sulla funzione delle carte geografiche
nell’antica Grecia, in M. DETIENNE, Sapere e scrittura in Grecia, Roma-Bari 1989, 151-187.
3
mitico, ideologico, teorico, critico, perfino etico.4 Ma nel quarto secolo a.C.
il rapporto dell’uomo con l’ambiente è materia privilegiata degli scienziati che
sono anche medici come Eudosso di Cnido che a Cizico fondò una scuola
matematica dopo aver vissuto tra Atene e l’Egitto, Eudosso si dedicò
all’astronomia nella tradizione pitagorica e platonica. Il sistema delle sfere
celesti da lui costruito fu ripreso da Aristotele; ed i suoi tentativi di definire la
latitudine dei luoghi tramite le stelle fisse e di misurare la circonferenza del
globo terrestre, ne fanno un precursore degli astronomi di età ellenistica, in
particolare di Eratostene e di Ipparco. Ma Eudosso scrisse anche un’opera
di geografia terrestre che ci interessa più da vicino: si tratta di una
descrizione della terra, citata da Plutarco e da Diogene Laerzio, il quale è la
fonte principale della vita di questo scienziato, utilizzato da Strabone e da
Stefano di Bisanzio. In questi miseri frammenti, di uno scritto che doveva
essere molto vasto, troviamo una continuità critica rispetto ad Erodoto e
Ctesia, in particolare per le regioni Orientali e l’Egitto, e di nuovo
un’anticipazione della geografia eratostenica, lì dove egli cerca di sistemare
4
J. CHRISTIAN, Carte Greche, in F. PRONTERA, Geografia e geografi del mondo antico , Roma-Bari 1990, 47-67
4
la Grecia in un disegno geometrico. Negli antichi compendi di geografia,
quello introduttivo dell’opera di Strabone e quello di Agatemero, Eudosso è
posto fra coloro che hanno accettato il disegno dell’ecumene “oblunga”
proposto da Democrito e che, progressivamente ne cambiano la
proporzione fra larghezza e lunghezza, aumentando la seconda.5 Ma
soffermiamoci su Aristotele; secondo una tradizione leggendaria, il grande
maestro di Alessandro Magno, per vedere la sua concezione geografica e
quanto abbia influito sul suo probabile allievo durante la spedizione. Nel V
secolo a.C. si aveva la concezione della connessione tra uomo e ambiente,
cioè il clima diverso incideva sulle attitudini degli abitanti e questo lo
troviamo anche presso Aristotele vissuto tra il 384 e il 322 a.C. Delle opere
di Aristotele ci soffermiamo sul Meteorologica, il cui contenuto si può
trovare anche in altri scritti, come la Fisica o Del Cielo, oppure nei
riferimenti geografici inseriti casualmente nelle opere politiche e filosofiche.
Si tratta della prima trattazione specifica dei problemi connessi con i
Meteora , e ad essa si riferiranno tutti gli studi successivi. La sopravvivenza
5
F. CORDANO, La geografia degli antichi, Roma-Bari 1992.
5
del disegno circolare è testimoniata anche da Aristotele, che lo contesta
duramente:
fanno ridere coloro che oggi disegnano le carte della terra perché
disegnano l’ecumene con un cerchio, mentre ciò è impossibile sia
rispetto alle apparenze che al ragionamento (Meteo. 362 b)
Egli stesso, d’altronde, aveva tracciato una diversa forma della terra abitata
che assomigliava ad un tronco di cono, compreso fra il cerchio polare artico
e il tropico del cancro, o meglio della superficie di esso, anche se Aristotele
si serve di figure solide, innestate entro la sfera terrestre.6 La parte più
interessante di questa trattazione è la proiezione teorica, nell’emisfero
meridionale di una eguale fascia di terra abitabile. Il concetto di abitabilità
non è certo nuovo, ma è perfezionato grazie alla regola delle ombre per
evitare il troppo caldo e il troppo freddo, e ottenere un clima di abitabilità
tale che si potesse vivere nelle regioni dell’emisfero settentrionale, nelle quali
6
ARISTOTELE, Del Cielo II, 13, 294 a.
6
l’ombra sia proiettata verso nord in qualunque giorno dell’anno. Aristotele è
tanto sicuro della teoria generale, quanto incerto sugli estremi confini della
terra abitata:
quanto alle zone al di là dell’India e fuori dalle Colonne, a causa
del mare, non sembra possibile che formino con continuità tutta
una ecumene (Meteo. 326 b, 28).
E che egli avesse nozioni poco precise circa la stessa Europa, è dimostrato,
per esempio, dal far nascere l’Istro (Danubio) dai Pirenei. 7 Riguardo ai mari
minori, egli sembra invece convinto che il Mar Rosso comunichi
molto poco con il mare che è fuori dalle Colonne d’Ercole e che il
Caspio sia un lago, cioè un mare chiuso (Meteo. 353 b, 35 sgg. e
cfr. 351 d).
7
ARISTOTELE, Meteorologica 350 b.
7
Queste erano le sue risposte a quesiti antichissimi; ma Aristotele non vuole
certo fare della geografia descrittiva, al contrario egli cerca di sistematizzare
la geografia fisica tramite i quattro elementi, che sono il caldo e il freddo, il
secco e l’umido. Tramite l’azione del sole, che è motore universale, questi
elementi si combinano diversamente in fuoco, aria, acqua e terra. Quindi
l’analisi di Aristotele si sofferma sulle acque che sono rimaste a dividere la
terra, i mari, che non hanno sorgenti e sui fiumi che vengono dalle montagne
perché su di esse si condensa l’acqua e poi sulle aree che determinano le
variazioni climatiche, ed anche le maree quindi sulla rosa dei venti. Alla fine
di questa catena di cause ed effetti si trova l’anello preannunciato, che mette
in connessione l’ambiente con il comportamento umano, sulla base del quale
Aristotele trovava popoli forti gli Europei e deboli gli Asiatici. Molti dei temi
trattati nei Meteorologica trovano un supporto nella Fisica e nel Del Cielo,
in particolare nella prima, che tratta della natura da tutti i possibili punti di
vista, dall’origine dei mondi, sulla quale Aristotele contesta Democrito, al
rapporto fra spazio e materia, che si identificano, come già in Platone (Timeo
51a-52d); ma si trovano notazioni anche più banali, come fra le piogge e la
8
temperatura nelle diverse stagioni. Nel Del Cielo Aristotele svolge ogni
argomento esponendo prima le teorie dei vecchi filosofi (scuola ionica,
Pitagorici, Democrito, Empedocle e via dicendo) e poi conclude con il suo
punto di vista, che spesso è in contrasto con i precedenti. I temi trattati
riguardano l’antica astronomia, che ovviamente ha dei punti di contatto con
la geografia antica per tutto ciò che riguarda la terra, la sua posizione al
centro dell’universo (386a e 293 a-b), la sua sfericità (297 a), provata anche
da quanto si constata durante le eclissi di luna (297 b). La piccolezza della
sfera terrestre, ricavata da rapido mutamento della visione degli astri da un
punto all’altro della sua superficie porta Aristotele a concludere che la
regione delle colonne d’Ercole e l’India devono essere ben vicine, come del
resto dimostra la presenza degli elefanti in entrambe.8 Quindi tutto veniva
spiegato razionalmente il più possibile, anche di fronte a dati empirici ormai
non si ricorreva a spiegazioni mitiche ma razionali; ma all’indomani della
spedizione di Alessandro Magno le concezioni geografiche erano lacunose e
approssimative. L’Africa veniva ridotta essenzialmente alla Libia, e nessuno
8
F. CORDANO, La geografia degli antichi, Roma-Bari 1992.
9
sospettava la sua effettiva estensione verso sud; l’Oceano del Nord
corrispondeva ad una idea molto generica e confusa, nata da notizie
nebulose sul Mare del Nord e sul Mar Baltico: era perciò abbastanza naturale
che il Caspio venisse considerato come un’appendice meridionale
dell’Oceano del Nord, anche se Aristotele era convinto , come abbiamo
visto, che si trattasse di un mare interno.9
La scoperta dell’Oriente proprio attraverso la spedizione condotta da
Alessandro Magno e in concomitanza con essa, ha naturalmente impresso
all’etnografia un nuovo impulso. L’etnografia ellenistica viene spesso
presentata innanzi tutto come continuazione della historìe ionica. In effetti il
periplo di Scilace di Carianda o di Eutimene di Marsiglia può essere
senz’altro paragonato al libro di Nearco. Qui, come là, si tratta prima di
tutto, semplicemente di raccogliere informazioni più dettagliate possibili su
popoli e paesi appena esplorati, in vista di imprese successive. In ambedue i
casi si manifesta chiaramente, rispetto all’età classica, un interesse più
profondo per il mondo lontano. Solo nel V secolo a.C. si sviluppa
9
A. CAMERA e R. FABIETTI, Oriente e Grecia, Bologna 1983.
10
un’etnografia scientifica nella quale, accanto ad una considerazione
concettuale-teorica dell’individualità dei popoli, si trova l’eziologia delle
reciproche relazioni fra ambiente naturale e gruppi etnici. Alla progressiva
razionalizzazione, a partire dalla fine del V secolo, di tutte le forme di attività
creative dello spirito umano, si aggiunge un forte bisogno di comprensione
teorico-eziologico delle informazioni acquisite, e ciò non solo nei filosofi e
scienziati di professione, ma anche nel semplice pubblico dei lettori. Alla
vigilia della spedizione di Alessandro Magno, sull’India si sapeva meno che
all’inizio del V secolo. Ma dopo la spedizione di Alessandro, si sviluppò
l’interesse per paesi lontani e non ci si accontentò più di semplici
informazioni, ma si desiderava in ogni singolo caso, l’elaborazione di un
rapporto causale che potesse aggiungere in modo razionale la nuova notizia
a quanto già noto. Così gli ufficiali, i diplomatici o i viaggiatori della prima
età ellenistica, anche se non hanno alcuno specifico interesse scientifico,
sono già forniti di una quantità di conoscenze teoriche elementari che offrono
gli angoli visuali alla loro osservazione. Il pubblico chiede un inquadramento
antropologico, geofisico, morale o storico delle nuove informazioni. Quanto
11
detto fin qui può essere ben esaminato in quegli autori che nella generazione
di Alessandro, hanno redatto una Descrizione dell’India (Nearco,
Onesicrito, Clitarco, Aristobulo), per quanto diverso può essere il loro
valore.10 Il desiderio di conoscenza di Alessandro, pur mirato alla conquista
territoriale nella prima parte della sua spedizione è ben organizzato con
specialisti di tutti i generi, dai bematistài, che percorrono a piedi le distanze
che devono misurare, ai metallurgi, botanici, zoologi e uomini di ogni tipo di
cultura, che siano in grado di apprezzare e quindi di riferire ogni cosa vista.
Con queste attrezzature, la spedizione di Alessandro Magno sfatò molti
luoghi comuni sull’Oriente, radicati nella cultura greca. L’errore più grande,
almeno dal punto di vista strettamente geografico, consisteva nel ritenere la
Libia e l’India collegate al di sotto del mar Rosso e, quindi, nel vedere il
fiume Indo come il corso superiore del Nilo; collegamento che aiutava gli
antichi a spiegare la somiglianza della fauna e anche delle condizioni
climatiche fra questi due fiumi, come più in generale fra l’Indo e l’Egitto.
10
A. DIHLE, Etnografia Ellenistica, in F. PRONTERA, Geografia e geografi del mondo antico, Roma 1990.
12
Strabone ci fornisce anche una sorta di graduatoria riassuntiva delle
grandezze attribuite all’India
Ctesia dice che l’India non è inferiore al resto dell’Asia;
Onesicrito che essa è un terzo dell’ecumene; Nearco che la strada
che attraversa la sua pianura è lunga quattro mes i; Megastene e
Deimaco sono più moderati. (Geografia XV,I,12)
La ritrovata conoscenza del golfo Persico si deve alla spedizione di Nearco,
forse originario di Creta, il navarco della flotta che Alessandro manda
appositamente dalla foce dell’Indo a quella dell’Eufrate, nel settembre del
325 a.C.,
perché esplorassero, durante la navigazione, le coste (...) e i porti
e le piccole isole, e perché navigassero dentro i golfi
perlustrandoli e vedessero quali città fossero sul mare, quale terra
fosse fertile e quale deserta (Arriano, Indikà XVIII-XLV)
13
L’impresa di Nearco sarebbe stata completata da una circumnavigazione
della penisola arabica, progettata da Alessandro e resa impossibile dalla
morte dello stesso re, perché lo scopo di distinguere l’India dall’Africa
sarebbe stato perfezionato solo con la navigazione che dall’Oceano entra nel
mar Rosso. Fra le notazioni geografiche che diventano più frequenti dopo la
spedizione di Alessandro in India c’è il confronto tra l’Indo e il Nilo, con le
piene di uguale natura e la fauna simile, senz’altro i coccodrilli e, secondo
Onesicrito, anche gli ippopotami (Arriano, Indikà VI, 5-8); e quello fra le
caratteristiche somatiche degli egiziani ed etiopi: ai secondi si ricorre per il
colore scuro della pelle, ma non per il naso camuso ed i capelli ricci (VI, 9).
Alessandro vuole dimostrare ai suoi soldati e anche a se stesso che il mare
Ircano, o Caspio, comunica con l’Oceano (Arriano, Anabasi di Alessandro
cfr. VII, 16) cioè con il mare Persico; non solo, preannuncia loro il progetto
di circumnavigazione della Libia, dal golfo Persico fino alle Colonne
d’Ercole (V,26). L’unico di questi progetti ad essere stato attuato fu quello
della navigazione dal mare Indiano al golfo Persico; gli altri progetti asiatici
14
furono eseguiti per il noto rifiuto dei soldati di proseguire oltre il fiume Ifasi;
quello libico, al di là della retorica, per la prematura morte di Alessandro. La
navigazione di Alessandro Magno mise fine alla convinzione che le sorgenti
del Nilo potessero trovarsi in India (VI, 1); ma a questo proposito Arriano
rinvia al già progettato scritto sull’India (VI, 28, 5), come del resto per quel
paese in generale, del quale indica qui i confini che sono il Mare Grande, il
Caucaso e l’Indo (V, 6, 3). Gli altri grandi temi geografici trattati da Arriano
nello scritto su Alessandro sono quelli sulla regione Ircania (III, 23) che
confina appunto con il mare omonimo, detto anche Caspio; e quello del
massiccio del Caucaso (III, 28), con la sua estensione fino al Tauro, la
vegetazione spontanea del selfio ed i ricchi pascoli. 11 La spedizione di
Alessandro Magno in India darà un nuovo impulso alla geografia e in epoca
ellenistico - romana, l’indagine geografica si suddividerà in due filoni, quello
storico - letterario e quello fisico - matematico, e , malgrado la progressiva
conquista di quel mondo che si andava sempre più conoscendo, la ricerca
11
F. CORDANO, La geografia degli antichi, Roma - Bari 1992.
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rimane nelle mani e nelle menti dei Greci, e quindi viene soprattutto espresso
in lingua greca.
Alessandro Magno quindi aumenta le conoscenze e gli orizzonti geografici e
mentali, obbligando il greco a farsi un’idea dell’entroterra barbarico. Questo
fatto provoca un eco enorme tra i contemporanei e straordinariamente il
rapporto è descritto secoli dopo da Arriano che sembra concentrarsi non
solo sulle imprese strategiche, ma sul salto di mentalità a cui sottopone i
commilitoni. Nei capitoli successivi vogliamo analizzare l’eco di tale
contrasto che continua fino ad Arriano e cercheremo di spiegare come mai
gli interessa recuperare la drammaticità di tale scontro.