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Capitolo I:
“Formati di comunicazione: tra intesa e conflitto”
1. La comunicazione
Lo studio della comunicazione, che è stata oggetto di indagine di studiosi sin dai
tempi più antichi, ha ricevuto un’accelerazione soprattutto nella seconda metà del
Novecento, quando lo sviluppo delle tecnologie e il loro impatto psico-sociale ha
richiamato l’attenzione sul nesso tra ciò che gli uomini sono, ciò che pensano/dicono
di essere e le pratiche comunicative in cui sono impegnati fin dalla nascita.
Come sostiene Anolli (2202), l’espansione di questo interesse costituisce l’esito
della rivoluzione del paradigma scientifico avvenuto nel Novecento, in cui si è
assistito al passaggio dal macroconcetto di energia al macroconcetto di
informazione. Il concetto di “energia” ha consentito la rivoluzione industriale
dell’Ottocento grazie al motore a scoppio (dal battello a vapore al treno,
all’automobile) e sul piano scientifico ha avviato lo sviluppo di discipline come la
termodinamica, la chimica, la psicoanalisi. Nel Novecento si è passati al concetto di
“informazione” che introduce una nuova prospettiva di indagine conducendo, a
livello tecnologico, al computer e ai new media e consentendo la comparsa, sul
piano scientifico, di nuove discipline come l’informatica, la cibernetica, la
psicologia della comunicazione.
Parallelamente si è assistito a un interessante cambiamento di interessi scientifici, in
quanto si è partiti in passato con lo studio del linguaggio verbale e si è giunti oggi
allo studio della comunicazione. Tale cambiamento implica una profonda
modificazione dell’oggetto di studio, poiché la comunicazione comprende il
linguaggio ma non si riduce ad esso. Essa va ben al di là di un sistema di
segnalazione, in quanto non esiste il linguaggio allo stato puro, ma esso è sempre
inserito in una rete di relazioni che articola l’interazione comunicativa in un
processo senza fine.
<<Il soggetto umano è un essere comunicante, così come è un essere pensante,
emotivo e sociale. La comunicazione non va pertanto considerata semplicemente
come un mezzo o uno strumento, bensì come una dimensione psicologica costruttiva
del soggetto. Egli non sceglie se essere comunicante o meno, ma può scegliere se e
in che modo comunicare>> (Anolli e Ciceri, 1995 pag. 3).
6Da questa affermazione si possono evincere alcune caratteristiche basilari riguardo
la comunicazione, ovvero:
- la comunicazione è un’attività eminentemente sociale. Per definizione, infatti, si
ha comunicazione soltanto all’interno di gruppi (o comunità), in quanto il gruppo
rappresenta una condizione necessaria, una premessa indispensabile per
l’elaborazione e per la conversazione di qualsiasi sistema di comunicazione. A sua
volta, quest’ultimo alimenta, influenza e modifica in modo profondo e sistemico la
vita stessa del gruppo.
Socialità e comunicazione costituiscono due dimensioni fra loro distinte ma
intrinsecamente interdipendenti. La natura relazionale della comunicazione
sottintende la condivisione di significati e dei sistemi di segnalazione da parte dei
protagonisti, nonché l’accordo sulle regole sottese a ogni scambio comunicativo;
- la comunicazione è un’attività eminentemente cognitiva. Essa è in stretta
connessione con il pensiero e con i processi mentali superiori, in quanto manifesta in
maniera pubblica le proprie idee, credenze, conoscenze, emozioni, ecc. , a qualcuno
diverso da sé. Pensiero e comunicazione si articolano in maniera reciproca dal
momento che comunicare significa anche rendere esplicito il proprio pensiero e la
propria intenzione. Non si può comunicare qualcosa se non si ha l’intenzione di
farlo;
- la comunicazione è strettamente connessa con l’azione. Comunicare implica
sempre che un soggetto comunicante faccia qualcosa nei riguardi di qualcun altro.
Ogni scambio comunicativo ha degli effetti sulla sequenza di scambi fra i
partecipanti, all’interno di un processo di influenza reciproca. Nessun atto
comunicativo è mai neutro e indifferente.
La radice del termine “comunicazione” risale al verbo greco “koinè”, che significa
“partecipare” , e al verbo latino “comunico”, ovvero “mettere in comune”.
Il termine “comunicare” può essere inteso in diversi modi. I suoi significati più
importanti sono presentati dal seguente elenco, il cui ordine stabilisce la direzione di
un progressivo arricchimento concettuale. Infatti comunicare può significare:
1. stabilire un contatto;
2. trasmettere informazione;
3. condividere un legame;
4. coordinare risorse;
5. interpretare il mondo;
6. collaborare per uno scopo;
77. competere per una posta in gioco;
8. negoziare punti di vista.
Roman Jakobson ha elaborato lo “schema esafunzionale” del linguaggio, detto anche
modello monologico della comunicazione, definendo in generale la comunicazione
come:
<<l'insieme dei fenomeni che presiedono alla trasmissione di segnali, intesi come
stimoli non casuali>> (Jakobson, 1958).
Questa teoria cerca di spiegare l’idea, largamente diffusa nel senso comune, secondo
cui quando le persone comunicano, si trasmettono informazioni. Comunicare è
essenzialmente trasferire notizie, sottende un passaggio, uno scambio, un mettere in
comune un qualcosa, una trasmissione da qualcuno a qualcun altro. In questo
modello è prevalente il ruolo dell’emittente, il processo è tendenzialmente
unidirezionale e, soprattutto, ogni aspetto che entra in gioco nell’atto comunicativo
sembra assumere una posizione autonoma.
Da questo modello ha avuto origine il modello dialogico, la cui idea centrale è che
comunicare non sia solo trasmettere informazioni, ma anche accordarsi su una
prospettiva. Per i modi concreti in cui si realizza nella vita quotidiana, la
comunicazione è una “co-costruzione di senso”. Più esattamente Barnett Pearce
(1989) definisce la comunicazione come una “gestione coordinata di significati”, in
cui i partecipanti impegnano risorse cognitive e sistemi segnici in una serie di
attività congiunte tese a plasmare un mondo di riferimento condiviso dalle persone
che interagiscono.
Il modello più idoneo ad esaltare la natura attiva delle persone considera il
comunicare come un’impegnarsi in un continuo “contratto”: negoziare significa,
adattare punti di vista, stabilire clausole, patteggiare diritti e doveri, collaborare e
insieme competere per guadagnare la “posta in gioco”, cioè far valere la propria
interpretazione delle cose (Mininni, 2000).
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1.1 La comunicazione verbale, non verbale e paraverbale
La comunicazione è indispensabile per la vita dell’uomo, per i suoi rapporti con gli
altri esseri umani: tutta la nostra vita ruota intorno ad essa. In una sola parola, la
comunicazione si può definire come relazione, ovvero l’entrare in rapporto con una
o più persone.
Ci relazioniamo attraverso una serie di canali che permettono di classificare la
comunicazione in verbale, non verbale e paraverbale (Anolli, 2002 ).
La comunicazione verbale può essere orale o scritta. Il linguaggio verbale
rappresenta la tecnica primaria e insostituibile con cui si costruiscono idee e
sentimenti. Quando parliamo e comprendiamo enunciati, la mente elabora
rapidamente le informazioni e mette a punto un piano di adattamento a ciò che va
accadendo, che viene continuamente rivisto e aggiornato.
Ogni comunicazione è costituita da tre elementi principali, sempre e comunque
compresenti:
- elementi di contenuto: ciò che trasmettiamo, cioè il messaggio;
- elementi espressivi: come esprimiamo il messaggio: questi elementi sono legati
al linguaggio non verbale, quindi alla gestualità, alla postura, al tono di voce;
- elementi emotivi: emozioni e sentimenti legati al messaggio.
La comunicazione orale ha anche dei limiti: le persone devono essere compresenti, il
segnale sonoro svanisce immediatamente, se qualche norma (grammaticale o
pragmatica) viene violata lo si può subito rilevare.
Un' analisi più dettagliata della comunicazione verbale, cioè di quella
comunicazione che fa della parola il suo canale preferenziale, permette di
individuare alcune pratiche comunicative, ovvero:
a) la retorica: è l’arte del parlare bene, ossia la teoria della tecnica oratoria. Il suo
scopo è di sfruttare al massimo le potenzialità della parola, attraverso il ricorso
ad opportuni accorgimenti ed artifici espressivi, mimici, stilistici, topici e
dialettici, al fine di indurre a persuasione l’ascoltatore;
b) la dialettica: il filosofo greco Platone considera la dialettica come un particolare
tipo di processo logico. E' un modo di argomentare che è stato anche definito "il
metodo del caso contrario". Il metodo funziona nel seguente modo: qualcuno
propone una tesi, il passo successivo consiste nel trovare un caso contrario
9(antitesi), la riconciliazione di tesi e antitesi produce una sintesi, che diviene essa
stessa una tesi ad un livello più avanzato.
Si attribuirà perciò al termine “dialettica” il significato di "arte del ragionare"
attraverso il dialogo e attraverso la confutazione. Ogni affermazione deve essere
resa valida attraverso la sua confutazione, verificando i suoi opposti e le sue
contraddizioni. Il fine della dialettica è pertanto quello di persuadere ad una tesi
attraverso l'interpretazione;
c) la persuasione è definita come un processo, o il risultato di un processo, teso ad
indurre un potenziale interlocutore a riconoscere la verità di una determinata idea
o la convenienza di un certo comportamento (Vertecchi, 1999).
Non comunichiamo sempre solo e soltanto con le parole, ma spesso ci relazioniamo
agli altri con il supporto decisivo dei codici non verbali e paralinguistici.
La comunicazione non verbale comprende tutti gli aspetti che non sono parole,
quali:
a) la gestualità: tutti noi, quando comunichiamo accompagniamo le parole con
alcuni gesti, più o meno accentuati. Con questi movimenti cerchiamo di
enfatizzare dei passaggi logici, delle parole (ad esempio quella che riteniamo la
parola chiave del messaggio);
b) la postura: con questo termine si intende la posizione del corpo nello spazio e si
vanno a ricercare le posizioni più tipiche che si assumono durante una
conversazione. Queste ci possono fornire moltissime informazioni sulla persona
che abbiamo di fronte, in primis il suo stato d’animo attuale. Ad esempio una
persona che si rapporta con noi tenendo le braccia conserte ci vuole comunicare,
in modo inconscio, forse una chiusura nei nostri confronti, non vuole aprirsi a
noi
c) il tono della voce: è l’aspetto della comunicazione non verbale che
maggiormente colpisce. Dal tono della voce ci rendiamo conto se il nostro
interlocutore è in preda all’ansia, è emozionato, è alterato;
d) i movimenti dei muscoli facciali: le espressioni del viso, lo sguardo, i
movimenti oculari accompagnano sempre una discussione, uno scambio verbale,
e spesso ci aiutiamo a comprendere meglio il messaggio che il nostro
interlocutore vuole trasmetterci.
Attraverso la comunicazione non verbale esprimiamo emozioni, sentimenti, stati
d’animo spesso contrastanti con il messaggio che stiamo trasmettendo. Quello che
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non diciamo con le parole, che cerchiamo di “nascondere” con la comunicazione
verbale, emerge dai nostri movimenti, dai nostri sguardi, dalla nostra postura, in
quanto mentre stiamo parlando cerchiamo di “bluffare” con le parole ma raramente
riusciamo a controllare il nostro corpo.
La comunicazione paraverbale riguarda l’utilizzo della voce, i contorni
intonazionali, il ritmo e l’emissioni dei suoni. Alcuni significati sono decisi dai
codici che governano il comportamento paralinguistico, termine coniato da Trager
(1954) per indicare le caratteristiche foniche e prosodiche del linguaggio, cioè la
qualità della voce (il tono, la risonanza, ecc.) e le vocalizzazioni. Sono anche detti
“tratti sovrasegmentali”, perché manifestano come i segmenti del sistema linguistico
vengono pronunciati; tra essi possiamo individuare:
a) il timbro: si riferisce all’insieme della caratteristiche individuali della voce
gutturale, nasale, soffocata; è il colore della voce, dipende dalla parte o parti del
corpo che fanno da cassa armonica, cioè amplificano e migliorano il suono. Il
timbro della voce può influire molto su noi stessi e sugli altri;
b) il tono: è principalmente un indicatore dell’intenzione e del senso che si dà alla
comunicazione e può esprimere entusiasmo, disappunto, interesse, noia,
coinvolgimento, apatia, apprezzamento o disgusto;
c) il volume: riguarda l’intensità sonora, il modo di calibrare la voce in base alla
distanza dell’interlocutore, e in base all’importanza dell’argomento trattato;
d) il tempo: cioè le pause, la lentezza o velocità assolute possono servire come
fattori che sottolineano, accentuano o sfumano il significato delle parole.
La comunicazione paraverbale, insieme a quella non verbale, è parte integrante del
nostro modo di relazionarci con gli altri, la utilizziamo quotidianamente, spesso a
livello inconscio, senza rendercene conto. Il comportamento paralinguistico fornisce
utilissime informazioni sul profilo fisico, psicologico e sociale del parlante. Da come
parla un individuo (magari senza che lo si veda, come accade al telefono), si può
stabilire se è maschio o femmina, se è giovane o anziano, se è felice o annoiato, se è
sicuro di sé o incerto sul da farsi.
Senza una di queste componenti la nostra comunicazione risulterebbe poco
comprensibile, non pienamente recepibile dal destinatario. Tuttavia lo sviluppo
tecnologico consente alle persone di comunicare attraverso canali sofisticati come il
telefono, la radio, il cellulare, il computer, il fax, un’ e-mail che mancano di molte
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risorse tipiche dei linguaggi non verbali. In questi casi per comunicare efficacemente
sono richieste agli interlocutori una serie di abilità tipiche della comunicazione
verbale e paraverbale che consentano il raggiungimento dei propri obiettivi.
Prendendo in considerazione il lavoro di Call Center, è fondamentale che l’operatore
attraverso la comunicazione telefonica instauri con il cliente un clima di fiducia
reciproca: solo attraverso l’abile uso di una serie di strategie comunicative,
l’operatore può ottenere come risultato la soddisfazione e fidelizzazione del cliente,
necessari per il successo della propria azienda.
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1.2 Analisi delle componenti della comunicazione interpersonale
Al fine di definire gli elementi di una qualsiasi comunicazione interpersonale ci si
avvale delle teorie dello studioso di linguistica Roman Jakobson che in “Linguistica
e poetica” (1958), analizza la comunicazione di tipo prevalentemente verbale.
Jakobson evidenzia, nel cosiddetto modello esafunzionale del linguaggio, o modello
monologico, quelli che sono i componenti fondamentali della comunicazione
interpersonale, quegli elementi cioè senza i quali non sarebbe possibile nessuno
scambio comunicativo. I tre elementi di base sono:
1) MITTENTE (o emittente): è il "codificatore" dell’atto comunicativo;
2) MESSAGGIO : ovvero il contenuto della trasmissione;
3) DESTINATARIO (o ricevente): è il "decodificatore".
Questi tre elementi, sono assolutamente necessari perché avvenga uno scambio
comunicativo. Il mittente è definito come colui che invia una comunicazione, cioè il
soggetto principale dello scambio comunicativo; il messaggio è l'unità comunicativa
trasmessa; il destinatario è colui verso il quale il messaggio è diretto.
Per poter trasmettere il messaggio, è necessario che si verifichino determinate
condizioni. Cioè occorre in primo luogo che sia identificato un CONTESTO rispetto
al quale esso si riferisce, ovvero al situazione ambientale o cornice dell’evento. Il
messaggio deve poi essere trasmesso secondo un CODICE, ovvero un linguaggio
condiviso, un insieme di norme, riconoscibile sia dal mittente che dal destinatario
della comunicazione, che regola la costruzione e l’interpretazione dei messaggi.
Infine si deve stabilire un contatto tra i due o più soggetti della comunicazione che
consenta di instaurare e mantenere la trasmissione, trasmissione che avviene
attraverso e per mezzo di un CANALE trasmissivo, che è il veicolo della
comunicazione (es. la voce, la vista,..).
Individuate le condizioni necessarie perché avvenga una comunicazione tra soggetti
umani, deriva la necessità, da parte degli stessi, di assumere determinate funzioni
presupposte dalle condizioni stesse. E cioè: l'emittente che deve inviare un
messaggio al ricevente, presupposto che tale messaggio debba essere espresso
secondo un codice condiviso, sceglie il codice e codifica il messaggio secondo il
codice prescelto, e quindi svolge la funzione di codificatore; il ricevente al fine di