2
Nonostante i videogiochi siano ormai una realtà con cui ci confrontiamo
quotidianamente, c’è ancora poco materiale sull’argomento. Questo poco è,
però, anche quel tanto che basta, per capire che queste macchinette non
sono poi tanto…infernali!
Il testo è suddiviso in 5 parti, denominate livelli, in omaggio a Matteo
Bittanti e al suo testo – Per una cultura dei videogame – che egli, per
l’appunto, suddivide in level (quelli dei videogiochi), piuttosto che in
capitoli. La soluzione mi sembrava carina e adatta "al mio caso" e, l’ho
presa in prestito.
La prima parte - l’intro - affronta l’evoluzione sociologica dei periodi
storici, evoluzione che va di pari passo con quella delle tecnologie di
comunicazione. In particolare, l’attenzione si ferma sull’ultimo periodo,
quello della postmodernità, intesa alla maniera di Jameson, e sull’homo game,
postulato da Pecchinenda nel suo testo Videogiochi e cultura della
simulazione, la cui nascita sarebbe legata, appunto, a quella di questo
nuovo genere di intrattenimento.
La seconda parte – il livello uno – tratta del gioco, secondo le teorie
psicoanalitiche di Piaget e di Freud e quelle dei due grandi studiosi che,
per primi, trattarono il gioco in modo scientifico: Huizinga e Callois.
Viene poi trattato il videogioco, la sua evoluzione, i suoi generi, gli
hardware su cui gira, le sue caratteristiche e i suoi punti in comune col
gioco classico inteso alla maniera di Callois.
Nel livello due, si confrontano vecchi e nuovi media: libri, tv, cinema e
computer. In particolare, avendo come punto di riferimento il testo di
Manovich Il linguaggio dei new media, si sottolinea quanto il computer
ci sia ben più familiare di quanto sembri, proprio in virtù del fatto di
essere legato al tradizionale libro nonché alla magia del cinema.
3
Nel terzo livello, entriamo nel vivo della questione, affiancando il cinema
al videogioco.
Si parte da una breve digressione sulla sociologia del cinema, seguendo il
testo di Brancato Per una sociologia del cinema, per arrivare al cinema
postmoderno e alla sua crisi, citando la tesi di Canova, esposta nel suo
testo L’ alieno e il pipistrello.
Si passa, poi, a parlare dell’evoluzione del linguaggio cinematografico,
parallela a quella del linguaggio videoludico e, di come il cinema sia
divenuto D-cinema
Si mettono, inoltre, a confronto pellicole tratte da
videogiochi e, viceversa, videogiochi ispirati a film di successo; si analizza
la trasposizione del linguaggio cinematografico nel mondo dei videogiochi
ad opera di zelanti game designer, alla ricerca del perfetto cine-realismo
nel mondo a due bit.
Nell’ultima parte, si parla di suspense, tenendo come testo-guida quello di
Perez, intitolato, appunto, La Suspense Cinematografica, nonché il
parere dello stesso Hitchcok, attraverso le pagine del libro-intervista
realizzato da Truffault e, il libro di Pillitteri e Provenzano sulla psicoanalisi
e il suo legame alla filmografia hitchcockiana, Fra suspense e
psicoanalisi. Il cinema di Alfred Hitchcok.
Trasponiamo, poi, tutti gli elementi e i principi della suspense
cinematografica nel mondo virtuale dei videogiochi, per vedere quanto ci
sia in comune tra i due audiovisivi, in tema di suspense.
Infine, vediamo l’applicazione pratica della suspense videoludica ad uno
dei survival horror che ha fatto storia e dettato legge nel suo campo:
Resident Evil.
4
Concludo la premessa al mio lavoro con le parole di Alberto Abruzzese
1
“Dico subito quello che penso: i videogiochi sono la nostra più avanzata frontiera e forse il
nostro più affascinante futuro. La qual cosa significa che questo futuro noi già lo abitiamo, ci
siamo dentro, ma dobbiamo ancora rendercene conto, esserne i protagonisti, i soggetti.
Dobbiamo farne lo strumento dei nostri tanti conflitti, quelli individuali e quelli collettivi.
Ma noi chi? E per ottenere cosa? L’elettrificazione dei giochi manuali cominciò con il
flipper, già ricco di circuiti reattivi tra immagini luminose, sollecitazioni acustiche e impulsi
fisici. Sono passati molti anni e il flipper delle origini si è fuso in sofisticatissimi ordigni
informatici. Sono la nostra lampada di Aladino. I videogiochi sono di tutti e per tutti
(seppure con prezzi e accessi diversi): quelli che li inventano, programmano e vendono
(facendoci una sacco di soldi); quelli che li giocano (evidentemente provando piacere nel
farli propri, ma altrettanto probabilmente vivendoli in tanti modi diversi e diversamente
interpretandole il senso e l’utilità), quelli che vorrebbero usarli e tuttavia non sanno come e
perché; quelli, infine, che li rifiutano come fossero il male o quantomeno una colposa
distrazione dal mondo. Dunque possono servire a tutti. E dunque non è in loro ma in noi la
differenza che può renderli strumenti di conflitto tra soggetti animati da diverse concezioni
del mondo, diversi interessi, diversi bisogni, diversi obiettivi. Sei tu che ora mi stai leggendo
e che ogni giorno consapevolmente o inconsapevolmente, scegli da che parte stare, quale
vita vivere, cosa ricordare e cosa dimenticare, chi avere per nemico e chi per amico. Scegli
cosa agire o meglio scegli e sei scelto dai rapporti di potere in gioco.Puoi assumere i
videogiochi in perfetta linea con il quadro di saperi e di credenze che dividono lo spazio del
tempo di lavoro da quello del tempo libero, lo spazio della politica da quello della vita
quotidiana, lo spazio delle istituzioni culturali da quello del mercato, e la razionalità sociale
dai linguaggi emotivi del corpo. Oppure puoi assumere i videogiochi per spezzare tutti
questi confini e ridefinire così il senso e la direzione delle tue relazioni con l’altro e con le
cose; il valore dei tuoi conflitti, della tua differenza, del tuo modo di abitare il mondo, cioè di
costruirlo.”
Buona lettura!
1
A. ABRUZZESE, Prefazione a C. ASCIONE, Videogames. Elogio del tempo sprecato, Minimum Fax, 1999
5
A mio nonno, che ne andrebbe fiero.
E agli audaci.
6
INTRO
Chi vive in rete sa bene che sullo schermo fluorescente
del pc prende corpo un pensiero interiore, immediato,
interattivo. E’ una sorta di moralizzazione scritta che ci
restituisce alla condizione tribale, ai racconti della sera
intorno al fuoco.
Sergio Brancato
.
Dall’homo sapiens all’homo game
E’ stato il grande studioso, Marshall McLuhan, ad aver introdotto il concetto di
determinismo tecnologico, la tesi secondo cui le grandi innovazioni tecnologiche,
verificatesi nel corso della storia dell’umanità, - in particolare quelle riguardanti
l’universo della comunicazione - avrebbero avuto un ruolo primario e determinante
nell’influenzare la vita degli uomini. Tre sarebbero le innovazioni fondamentali:
Invenzione dell’alfabeto
Introduzione della stampa
Invenzione del telegrafo
Le quali, ci permettono di delineare quattro grandi epoche diverse:
Tribalismo prealfabetico
Periodo della scrittura
Età della stampa (1500-1900)
Era dei media elettronici (1900)
Cui, noi aggiungiamo l’ultima grande rivoluzione mediatica, quella Videoludica, di cui i
videogame sarebbero stati i cavalli di Troia.
7
Ogni epoca, secondo Mac Luhan, è dominata da una tecnologia diversa, la quale, una
volta accettata, si integra perfettamente nell’ambiente, andando a formare una nuova
estensione esosomatica dell’uomo.L’avvicendarsi di ogni nuova tecnologia ha, di volta
in volta, determinato l’emergere di determinate caratteristiche sociologiche, nella
società in cui è andata ad integrarsi.
La prima epoca, cui Mac Luhan fa riferimento, è quella, prealfabetica, del tribalismo.
L’uomo tribale vive in uno spazio acustico, comunica con i suoi simili attraverso la
parola e, condivide con essi lo stesso livello di sapere. E’ un uomo completamente
immerso nel mondo che lo circonda; un uomo, che ha un utilizzo a 360° dei suoi
cinque sensi; un uomo, che affida la sua memoria a uomini preposti a conservarla e, a
tramandarla.
Il tempo, nella società tribale, è tutto orientato al passato, ossia, al tempo mitico degli
dei. Centrale, a tal proposito, è il ruolo del rito, che serve proprio a ri-attualizzare il
tempo delle origini, degli dei e degli eroi: vale a dire, la storia fondante.
Egli è anche un uomo sociale; la sua, in altre parole, è sostanzialmente un’identità
collettiva poiché, la narrazione degli atti eroici dei propri avi serve a fissare con forza,
non l’identità del singolo bensì, quella del gruppo.
Le cose cambiano radicalmente con l’avvento della scrittura, prima, e della stampa, in
seguito.
L’era moderna è l’era dell’avvento della scienza e delle macchine, del progresso politico
verso la Democrazia, dell’avanzare economico del capitalismo e dell’Imperialismo.
Nella modernità, si affaccia sulla storia dell’umanità un uomo nuovo, l’uomo
tipografico di Gutenberg.
Un uomo che, sostituisce l’occhio all’orecchio e che, proprio in virtù di questo, si
separa da ciò che lo circonda, si isola dagli altri, si distacca dal mondo circostante e da
ogni tipo di legame con la tradizione. Secondo quanto riportano Cavicchia Scalamonti
e Pecchinenda, nella loro Introduzione, l’udito collocherebbe l’uomo al centro della
realtà e della simultaneità, mentre la vista lo collocherebbe di fronte alle cose e nella
successione.
L’uomo tipografico è un uomo riflessivo, che costruisce da sé la sua identità; anzi, è
proprio in questo momento che nasce “l’individuo”. La lettura favorisce la riflessione,
8
la critica, l’esame razionale di ciò che è scritto e l’atteggiamento scettico; l’uomo si
chiude in sé perché la lettura è un atto solitario.
Le parole non sono più volanti ma, si fissano su carta; possono essere manipolate,
studiate e analizzate. Nascono i concetti di “opera” e, contemporaneamente, di
“copia”, sinora sconosciuti poiché, in primo luogo, non era possibile trovare una fonte
originale (e quindi un’opera prima) di ciò che si narrava solo oralmente e, in secondo
luogo, perché nella trasmissione orale, ogni storia cambiava, di volta in volta, a seconda
di chi la raccontasse, rendendo impossibile l’esistenza di racconti, perfettamente, eguali!
C’è anche un’evoluzione che, riguarda la memoria. Una volta scomparsi gli uomini-
memoria, cui l’uomo tribale affidava la sua storia mitica, nell’epoca moderna la storia è
affidata ai libri, ai documenti scritti. L’uomo non ricorda più; affida i ricordi del suo
passato ai testi scritti.
Il sapere non è più distribuito in modo democratico e, solo chi è alfabetizzato può
accedere alla cultura scritta. Anche la temporalità subisce un cambio di rotta: alla
circolarità dell’epoca premoderna, si sostituisce la linearità e la sequenzialità della
temporalità moderna. Il tempo è un vettore orientato verso il futuro; la vita del singolo,
come quella del gruppo, è fortemente progettata e, di conseguenza, anche l’identità è
ben costruita e stratificata.
Dopo aver toccato, nell’800, il suo picco massimo, l’individualizzazione subisce una
forte battuta d’arresto di fronte all’avvento dei media elettronici. L’oculocentrismo
moderno trova nuova linfa nella gran quantità di immagini elettroniche che, ci
bombardano durante tutto il giorno e, contemporaneamente, assistiamo ad una vera e
propria ri-oralizzazione della cultura, detta anche oralità secondaria (Ong, 1982).
Quando comincia l’egemonia della vista? È un percorso lungo, che passa attraverso tante tappe.
La vittoria dell’iconofilia sull’iconoclastia nella storia della chiesa, l’invenzione della prospettiva
come tecnica della rappresentazione nella pittura rinascimentale. Prima ancora le grandi battaglie
degli anatomisti del Quattrocento, a partire da Leonardo che, per esempio, capiscono che
studiare il corpo significa sezionare i cadaveri. Aprirli e andare a vedere come il corpo è fatto
dentro, con la vista. Percorso di egemonia della vista, che, attraverso varie tappe, raggiunge il
proprio punto apicale, il proprio culmine, tra fine Ottocento e inizi Novecento con l'invenzione
del cinema. Con l’invenzione del cinema e, badate bene, negli stessi anni a poche settimane di
distanza dall’invenzione del cinema, per esempio, vengono inventati i raggi x, che sono un’altra
straordinaria tecnologia per vedere di più, per rompere il tabù dell’opacità del corpo e andare
9
oltre i tessuti, vedere dentro come siamo fatti. Allora in quel periodo, fine Ottocento inizi
Novecento, è l’esplosione dell'era della visione. Si vede come non si era mai visto prima. Si vede
come nessuna generazione, vissuta in precedenza su questo pianeta, aveva visto. È la vertigine e
l’ebbrezza del vedere.
2
Se la stampa aveva frammentato e separato gli uomini, la nuova cultura elettronica li
riunisce in un villaggio globale. Lo spazio elettronico è uno spazio aperto, totale. Alla
generazione del libro subentra la generazione della musica.
Anche il cinema, anzi, soprattutto esso, partecipa al recupero di una comunicatività più
vera, più immediata. Questo medium rappresenta un po’, secondo Mac Luhan, un
ponte tra vecchio e nuovo, un ibrido, che attinge qua e là da nuovi e vecchi media. In
particolare, il cinema sarebbe legato alla stampa, perché come essa, richiede una certa
alfabetizzazione del proprio pubblico. Come si legge un libro parola per parola, così si
comprende un film scena per scena, anzi, spesso, quest’ultimo presenta un’andamento
ben più complesso e poco lineare (prendiamo la frammentazione temporale provocata
dal montaggio!). Di certo, la codifica di un testo scritto è diversa da quella di un testo
filmico ma, è la lettura che ci ha preparato alla visione bidimensionale dello schermo,
che ha allenato il nostro occhio alla messa a fuoco, che ci ha educato alla lettura delle
immagini e che ci ha insegnato ad usare l’occhio come un organo di tatto! Mac Luhan
non vede, perciò, nel passaggio stampa/elettronica un processo darwiniano, bensì una
contiguità di linguaggio, pur facendo le dovute distinzioni: anzitutto, il cinema coglie,
con uno sguardo fulmineo e gestaltico, un paesaggio che, uno scrittore descriverebbe,
invece, in almeno due o più pagine; inoltre, se la letteratura ha a che fare con le nostre
strutture cognitive, il cinema stimola, piuttosto, le nostre strutture affettive.
Il messaggio orale è, naturalmente, meno controllabile di quello scritto, per cui
diminuisce l’attività critica nei confronti di esso e, soprattutto, i messaggi sono tanti e
altamente variabili nel tempo, il che comporta incapacità di controllare l’informazione,
nei confronti della quale si diviene passivi.
Joel Candau parla di iconorrea, ossia di vera e propria inflazione dei messaggi visivi.
Tutto ciò ha dirette conseguenze sull’identità, sulla memoria e sulla temporalità, poiché
la formazione dell’identità dipende proprio dalla capacità di interiorizzare oggetti, stabili
2
http://www.emsf.rai.it/grillo/trasmissioni.asp?d=805
10
nel tempo; i modelli proposti dalla società contemporanea sono, al contrario, del tutto
influenzabili dalle mode e, per cui, poco stabili. Ne viene fuori un io fragile, debole,
volubile, meno centrato e più permeabile alle invasioni esterne.
Abbiamo parlato di ri-oralizzazione e di ri-tribalizzazione della cultura ma, in realtà, la
nuova cultura orale non possiede affatto le caratteristiche delle antiche culture orali;
soprattutto, essa non possiede il culto della memoria e del passato mitico, anzi, si fonda
proprio sul rifiuto del passato e sulla svalorizzazione della memoria.
Del resto, se l’iconorrea, di cui parla Candau, promuove confusione e indistinzione
degli avvenimenti, che finiscono per divenire l’uno simile all’altro, cosa ci permette di
distinguerli e, di conseguenza, di ricordarli? In poche parole, siamo dei lotofagi
Viviamo nell’impero del nano secondo, nella celebrazione dell’istante, nello stordimento dei clips
televisivi, nell’ideologia dell’urgenza frenetica, nel cambiamento per il cambiamento
. (…)
Ne è testimonianza la catastrofe dell’idea di progresso, che esigeva che il presente fosse presentato
esclusivamente alla luce di un futuro concepito come “miglioramento” o “ottimizzazione”: queste belle
promesse, sempre tradite, non fanno più sognare. Gli uomini, incapaci di credere nell’avvenire e spesso
privati del ricordo del passato, vogliono ormai vivere nel presente, accettare “il gioco del mondo, o il
mondo come gioco”. (…)
3
Si è perso il senso della continuità storica, passato e futuro non contano più; non ci interessa più il
legame coi nostri antenati, né facciamo progetti per il futuro. Contiamo solo noi, qui e ora. Siamo dei
nomadi: a differenza dei pellegrini moderni, noi non ci preoccupiamo della destinazione del nostro
viaggio, a stento, pensiamo dove faremo la prossima sosta
.
(…)
4
Baudrillard e Maffesoli offrono due letture opposte della postmodernità: Baudrillard dà
una lettura più fredda e nichilista, Maffesoli ne dà una visione più calda, quasi
orgiastica.
Baudrillard afferma che, dopo la produzione e il consumo, la terza fase del
capitalismo è la virtualizzazione. Scopo della realtà virtuale non è il controllo della
realtà ma, la sua sostituzione. La macchina si sostituisce al corpo, compiendo un delitto
perfetto. Il fine ultimo di tale sistema è la fine: la fine della storia, la fine del valore, la fine
dei conflitti e del Male (interpretato come un banale errore di programmazione nella
3
http://www.diorama.it/n247-baudrillard.html
4
M. MAFFESOLI, Del nomadismo.Per una sociologia dell’erranza. Franco Angeli, 2000.
11
realtà virtuale!), la fine della verità, la fine della morte e della riproduzione biologica di
fronte all’avvento della clonazione e la fine della realtà.
Maffesoli parla, invece, di un ritorno all’affettività, al relazionale, al gruppo, al tempo
degli Antichi. Egli sostiene che, la società non possa intendersi, solo, come un
assemblaggio di individui, isolati l’uno dall’altro, poiché l’uomo è, per sua natura, un
essere sociale, relazionale. Le nuove tribù postmoderne, aggiunge Maffesoli, ruotano
attorno all’estetica: cura del corpo, sport, moda, divertimento, viaggi.
Bauman
definisce la società post-moderna come la “società dell’incertezza”: una
società, in cui la paura più grande è l’inadeguatezza, il timore di non essere accettati,
l’insicurezza di non aver legittimazione. La modernità, sostiene Bauman, era nata sulle
rovine dell’Ancien Regime ed aveva cercato di riportare ordine, chiarezza, certezze; era
stata un’epoca positivista, che credeva nella ragione e nella scienza, che si fondava sulla
fabbrica e sull’esercito, sulla civiltà e sulla produzione. L’epoca delle nazioni, delle
identità nazionali, della tecnologia applicata. Tuttavia, la modernità stessa ha generato il
suo paradosso più grande: il postmoderno. Il postmoderno è il risultato dell’eccessivo
ordine e dell’eccessiva regolamentazione, voluta dall’epoca moderna, della crisi dei suoi
valori e delle sue istituzioni. Nel postmoderno, lo Stato non è più garante della
responsabilità sociale: a ciascuno tocca salvaguardare sé stesso e, i rapporti con gli altri
si fondano ormai sul solo, puro piacere estetico. Valutiamo e scegliamo le persone,
come faremmo con dei prodotti in un supermercato, consumiamo i nostri rapporti
velocemente, rifuggiamo da rapporti solidi e duraturi, come rifuggiamo da un’identità
fissa. Siamo i fautori dell’identità “riciclata”, un'identità costruita e ricostruita
continuamente, un’identità frammentata.
Il flaneur, il vagabondo, il turista e il giocatore sono le metafore utilizzate da Bauman,
per descrivere la strategia di vita postmoderna.
Il flaneur è il “pittore della vita moderna” di Baudelaire, colui che vive la vita “ come se”, costruisce a
piacimento delle storie con i frammenti sfuggenti della vita degli altri. Il flaneur è il consumatore di
oggi, colui che si aggira nel regno sicuro ed illusorio degli shopping malls, caratterizzati dalla
episodicità e apparenza degli incontri, dall’illusione di essere registi, pur essendo oggetto di regia. I
flaneurs sono gli abitanti delle città pure e senza macchia, sorvegliate dalle videocamere, i consumatori
della TV assolutamente non impegnativa. Nella loro vita la dipendenza si stempera nella libertà e la
libertà va in cerca della dipendenza.
12
Il vagabondo, figura non tollerata dalla modernità, perché senza padroni e senza controllo, è un
estraneo ovunque vada. Il suo cammino è erratico a differenza di quello del pellegrino. Mentre in
passato il vagabondo vagava attraverso luoghi ordinati, oggi sono pochi i luoghi ordinati e sistemati
per sempre, ora il vagabondo non è tale per la sua riluttanza o difficoltà a sistemarsi, ma per la scarsità
di luoghi organizzati, perché il mondo si sta “riconfezionando” a misura di vagabondo.
Il turista è come il vagabondo in movimento, ma differisce la direzione dello stimolo al movimento. Il
vagabondo è per lo più cacciato via. Il turista è invece attratto da esperienze di novità e di differenza.
Cerca un mondo strutturato su criteri estetici, un mondo dove anche l’avventura sia dosata,
addomesticata e sicura. Il turista ha una casa ovunque vada. Il vagabondo è un senza tetto. La casa del
turista è percepita in modo ambivalente come rifugio o prigione, a seconda del momento. Si sente
stretto a casa, ma ne sente la nostalgia in viaggio.
Il giocatore vive in un mondo soffice ed elusivo; ogni partita è una “provincia di significato” per sé.
Non deve lasciare conseguenze durevoli, eppure il gioco deve essere senza pietà. Simile alla guerra…la
guerra come gioco assolve gli individui dalla mancanza di scrupoli. Ironicamente, “il segno della
maturità postmoderna è la volontà di abbracciare il gioco a cuore aperto come fanno i bambini!”.
5
Fredric Jameson ha dedicato un saggio al postmodernismo, cui possiamo rifarci per
un’analisi delle caratteristiche di questa ultima fase mediatica.
Il postmoderno, nella sua visione, nasce a partire dalla negazione di quei valori, su cui
finora si era fondato il moderno, nonostante sia, intrinsecamente, legato ad esso (come,
del resto, già lascia intuire il nome). La modernità entra in crisi a partire dagli orrori
della seconda guerra mondiale, dalle bombe atomiche, dall’olocausto e dall’uso delle
prime armi chimiche. Tutto questo orrore genera sfiducia nel sapere scientifico e
razionale che, fino allora, si era fatto promotore di progresso e che, ora mostrava,
invece, il suo volto più barbaro.
Post-moderno equivale, cioè, a post-apocalypse. Secondo Jameson, il postmoderno
nasce dal crollo della distinzione fra cultura elitaria e cultura di massa: tutto si
omogeneizza e, si perviene ad un populismo estetico
6
in cui, non esistono più gerarchie,
divisioni o gusti dominanti.
5
D. CAROSIO, La società dell’incertezza e voglia di Comunità,
[fonte http://www.socialpress.it/article.php3?id_article=282]
6
F. JAMESON, Il postmoderno o la logica culturale del tardo capitalismo, Garzanti, Milano, 1989
13
Quali sono le caratteristiche sociologiche di questa epoca, rispetto alle precedenti
esaminate ?
• Anzitutto una forte contraddittorietà: il postmoderno è luogo di antitesi,
ossimori e forti contraddizioni. E poi, un’assoluta superficialità, mancanza di
profondità e piattezza.
• L’identità nella postmodernità è sempre più labile. L’uomo postmoderno è
frammentato e, soprattutto, schizofrenico, fluido, multiplo, in linea con la fluidità, la
molteplicità e la frammentazione, tipiche dell’epoca postmoderna. Jameson sostiene
infatti che, all’angoscia moderna si sostituisca la schizofrenia postmoderna.
Dall’altro lato, c’è chi, come Gergen, parla invece di un sé saturato, prodotto della
nuova cultura globale, mondiale e multietnica la quale, ci mette in contatto con tutto e
con niente, facendoci conoscere tante altre culture che, inglobiamo nel nostro sé,
perdendo di vista la nostra identità. Gergen - come del resto lo stesso Jameson - non
ne parla in termini apocalittici; ritiene, anzi, che questa molteplicità possa essere
proficua, in vista della costruzione dell’identità.
C’è, anche, chi parla di protean self, un sé multiplo che reagisce alla fluidità del mondo
esterno, adeguandovisi.
Al di là delle diverse definizioni, quello cui assistiamo, è una moltiplicazione delle
identità che chiunque, al giorno d’oggi, può sperimentare, semplicemente accendendo il
computer ed entrando nel mondo di Internet, luogo ambiguo, di crisi e di
potenziamento dell’identità.
Ciascuno di noi può accedere alla life on the computer screen, di cui parla la Turkle, e
raccontarsi come vuole, riscrivendo, di volta in volta, la propria biografia e
impersonando ruoli diversi. In rete, un uomo può fingersi una donna e, un timido può
far lo spavaldo. Nel videogioco, invece, il videogiocatore nega la propria personalità,
per assumerne un'altra presupposta dallo stesso videogame. Secondo Fraschini :
(...) nel videogame l’utente ha sempre a che fare col simulacro di se stesso; a volte, questo simulacro
tende ad identificarsi il più possibile con il giocatore, altre volte possiede delle caratteristiche proprie
che lo differenziano in modo sostanziale dall’utente
14
• L’uomo postmoderno si trova nuovamente solo, dinanzi al monitor, come lo
era stato, dinanzi alla pagina del libro. Solo ma, allo stesso tempo, in compagnia di
milioni di altri utenti, collegati in rete, dalle più remote parti del villaggio globale di
macluhaniana memoria.
Pensiamo, per un attimo, alle chat. Se la lettura ci faceva riflettere e ragionare su un
discorso che, in quanto scritto, era atemporale e facilmente gestibile; se la
conversazione verbale era meno controllabile, perché il messaggio orale è più sfuggente
(ancor più quando è emesso da un media elettronico, quale tv o radio); che dire del
linguaggio delle community virtuali? Esso è un ibrido tra scritto e orale, prima di tutto,
perché viene scritto, letto e ottiene risposta in tempo reale e, anche perché attinge
molto, sia dal gergo verbale che dalla vasta gamma delle nostre espressioni facciali,
facendo uso di simboli iconici, quali ad esempio gli smile.
Ragazzi che passano ore e ore sprecando il loro tempo davanti al computer, compensando forse in
questo modo forme di alienazione o impotenza, nella esaltazione di meccanismi ripetitivi che
mortificano la creatività, oppure esprimendo un vero e proprio ‘ depauperamento dei contenuti
referenziali ’ del linguaggio facendo largo uso di frasi preconfezionate, acronimi, abbreviazioni,
neologismi, “ faccine ”, “ al servizio di una trivialità e di una vuotaggine esasperanti ”
7
• Quali sensi entrano in gioco nella postmodernità? Alla vista e all’udito, si
affianca il tatto. La vista e l’udito sono stimolati dall’aspetto grafico e sonoro dei
videogiochi ma, rientrano ancora a far parte dell’aspetto passivo del videogiocare,
quello di stampo spettatoriale; il tatto, invece, è legato al lato più squisitamente attivo
del videoludere: alla manipolazione, al controllo del nostro alter ego digitale.
Diventiamo attori, o meglio, registi del gioco. Sulla base delle possibilità, previste dal
game designer in fase di progettazione, facciamo compiere al nostro simulacro una
serie di azioni, gli impartiamo dei compiti, attraverso un’attrezzatura “viva” qual è il
joypad, il mouse e la tastiera sino ad arrivare a quel display definitivo, concepito da Ivan
Sutherland negli anni Sessanta. Si tratta di un casco che, una volta indossato, riempie il
campo visivo dell’utente, e di un sensore di controllo, che serve a monitorarne i
movimenti. Grazie ad esso, gli oggetti diventano, per davvero, manipolabili e tangibili.
7
L. GIULIANO, I padroni della menzogna, Meltemi, Gli Argonauti, 1997
15
• Il postmoderno cancella la storia.
8
Si registra uno schiacciamento sempre maggiore
sul presente e, allo stesso tempo, una forte voglia di conservare o, meglio, di ripescare
dal serbatoio del passato. Nascono supporti di memoria di capacità sempre più alta e, i
videogame fanno uso di slotcard per salvare la partita, fin dove la si è giocata. A ciò, va
unita una forte voglia di sopravvivenza, di immortalità. Se nell’epoca tribale si ri-
attualizzava il tempo mitico degli dei, nell’epoca digitale si presentifica un mondo altro,
rassicurante perché ciclico, ripetitivo; un mondo in cui, quando le cose si complicano,
l’uomo può sempre smettere di giocare
9
; dove la scritta game over è solo una
sospensione del gioco, che possiamo riprendere dal punto in cui l’avevamo lasciato,
ogni volta che vogliamo.
• Altra questione fondamentale è quella della memoria, legata strettamente alla
questione temporale e, oggi più attuale che mai (pensiamo a come il cinema stia
sfruttando, da un po’, il filone temporale con salti nel tempo, problemi di memoria,
dimenticanza, cancellazione di fatti dolorosi con film come Donnie Darko, The
Machinist, Se mi lasci ti cancello, The Butterfly Effect). Nel suo libro Il
linguaggio dei nuovi media (cui faremo spesso riferimento), Manovich afferma che,
dopo il romanzo ed il cinema, la nuova forma di espressione culturale sarebbe il
database. Il database è una raccolta organizzata di dati, un archivio digitale in cui,
poter immagazzinare e conservare tutto ciò che vogliamo e, a cui poter accedere in
modo più facile e immediato.
• Altra categoria in via di ristrutturazione è quella dello spazio. Lo spazio subisce,
infatti, gli stessi processi di ibridazione e frammentazione delle altre categorie
sociologiche. Virilio e Benjamin ritengono che, le attuali tecnologie annullino lo spazio
tra soggetto e oggetto, tra spettacolo e spettatore e, per questo motivo,
distruggerebbero “l’aura dell’oggetto”
10
. La piccola ottica (pittura, film) viene sostituita
8
F. JAMESON, Il postmoderno o la logica culturale del tardo capitalismo, Garzanti, Milano, 1989
9
Ricordiamo il personaggio di Nirvana, film di Gabriele Salvatores, Che diceva al suo creatore : “ Sai qual è
l’unica cosa che non riesco a fare io qui dentro? (…) è smettere di giocare! (…) Tu invece puoi farlo, e allora
smetti di giocare! Se riesci a farlo allora vuol dire che sei ancora vivo! ”. Citaz in Pecchinenda, Videogiochi e
cultura della comunicazione.
10
La presenza unica di un’opera d’arte (Benjamin).