Introduzione
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necessarie perché avvengano i cambiamenti biochimici e fisici
caratteristici del formaggio. Il formaggio affinato alle muffe è
un formaggio stagionato dove la maturazione è provocata
essenzialmente dalla proliferazione delle muffe caratteristiche,
nella massa e/o sulla superficie del formaggio. Il formaggio non
stagionato è quello che è pronto al consumo poco tempo dopo
la sua fabbricazione” (Ottogalli , 2001).
La qualità del formaggio dipenderà sia dalla
tecnica di caseificazione che dalla qualità del latte (chimica e
microbiologica).
1.2 IL “CANESTRATO PUGLIESE”
L’Italia è un paese in cui la valorizzazione del latte è
prevalentemente legata alla produzione e affermazione dei
formaggi data la sua straordinaria vocazione casearia; ed infatti
è fra i paesi che contano il maggior numero di prodotti caseari
tipici: alcuni di altissima risonanza estera ed interna, altri
limitati alle regioni di produzioni e alle zone circostanti, ma non
per questo meno importanti sotto l’aspetto culturale e della
ricaduta economico-sociale .
Attualmente in Italia si contano più di 400 tipologie di
formaggi ciascuna delle quali è espressione di tradizione ed
originalità, molto spesso assai antiche, presenti in ciascuna delle
regioni italiane.
Introduzione
9
Il Canestrato Pugliese, insieme ad altri formaggi fa parte
della tradizione casearia regionale del nostro paese. E’ infatti
stato riconosciuto D.O.C. con D.P.R. del 10 settembre 1985, e
D.O.P. con il reg. (CEE) n. 1107/96 del 1996.
E’ anche noto come “Pecorino dauno”, è un formaggio
tipico della tradizione pugliese, a pasta dura semicotta, la cui
produzione annua supera i 1500 quintali (Ottogalli, 2001).
Viene prodotto in una limitata zona della Puglia da latte ovino,
ottenuto da pecore di razza gentile di Puglia, le cui origini
genealogiche provengono dalle pecore di razza merinos
allevate nella parte Nord-Occidentale delle Murge. Il suo nome
deriva dai canestri di giunco pugliese, entro cui lo si fa
tradizionalmente stagionare. Tale giunco, a differenza di quello
cresciuto al nord, ha un sapore più dolce che non modifica
quello del formaggio.
Il Canestrato Pugliese si produce tradizionalmente nel
periodo stagionale che va da dicembre a maggio, periodo legato
alla transumanza dei greggi dagli Abruzzi al Tavoliere delle
Puglie. Le sue caratteristiche organolettiche sono strettamente
correlate al tipo di alimentazione del bestiame, la cui dieta è
costituita prevalentemente dalle essenze vegetali tipiche degli
altopiani delle Murgie, ove non viene impiegato alcun tipo di
fitofarmaci né di input chimici.
Il latte di pecora, destinato alla caseificazione del
Canestrato pugliese, presenta una composizione variabile,
secondo la razza e le condizioni ambientali quali clima,
stagionalità, fase fisiologica e alimentazione dell’animale.
Introduzione
10
Caratteristica costante di questo latte è l’alto contenuto di
solidi totali (dovuto all’elevato tenore di grasso e di proteine).
Questo spiega l’elevata resa e l’equilibrato rapporto
grasso/proteine nel formaggio. Tuttavia, contrariamente a
quanto si potrebbe pensare, il formaggio di pecora può risultare
relativamente magro. Ciò per il fatto che i globuli di grasso in
questo latte sono di dimensioni inferiori rispetto a quelli del
latte vaccino e, pertanto tendono a sfuggire maggiormente nel
siero nella fase di rottura della cagliata, che in questi formaggi è
spinta fino alle dimensioni di “grani di riso”.
Il latte di pecora è ricco di acidi grassi volatili ed è in
grado di coagulare anche dopo un trattamento termico ad
elevata temperatura; il tempo di coagulazione è relativamente
breve, rispetto al latte delle altre specie e la consistenza della
cagliata è doppia di quella vaccina (Ottogalli, 1991).
Sotto l’aspetto sensoriale, i formaggi di pecora di media
stagionatura presentano una struttura consistente, il sapore è
generalmente sapido, piccante o addirittura pungente e
contraddistinto dal caratteristico gusto “pecorino”. Ciò è dovuto
a diversi fattori:
¾ composizione iniziale del latte;
¾ salatura generalmente generosa;
¾ impiego di cagli ovini, liquidi o in pasta, ricchi di enzimi
lipolitici (Ottogalli , 2001).
Introduzione
11
1.2.1 Tecnica di caseificazione
Il Canestrato pugliese un formaggio a pasta dura semi-
cotta prodotto esclusivamente con latte intero di pecora
proveniente da una o due mungiture giornaliere.
Lo schema tecnologico tradizionale per la produzione di
questo formaggio prevede: la mungitura eseguita
meccanicamente o in alcuni casi ancora a mano, da personale
preposto a tale mansione, viene poi eseguita una filtrazione
grossolana per eliminare eventuali impurezze, quali fili di
paglia, peli ecc.. L’eventuale utilizzo di latte proveniente da
differenti mungiture, rende necessaria la sua refrigerazione sino
al momento dell’utilizzo: di norma entro 36h. Tutto il latte sarà
poi trasferito in caldaia dove verrà riscaldato, e costantemente
agitato, fino a raggiungere una temperatura di circa 38-40°C.
Raggiunta questa temperatura verrà aggiunto del caglio di
origine animale (vitello). Dopo circa 15-35 minuti si ha la
formazione del coagulo e la sua rottura manuale: si parla di
spinatura. La temperatura viene ulteriormente aumentata,
generalmente a 42-43°C (semicottura). Una volta eseguita
l’eliminazione del siero, i grani del coagulo vengono
compattati, si procede quindi all’estrazione della cagliata, che
viene trasferita in appositi stampi (canestri) dal diametro
variabile. La rottura del coagulo e la pressione che verrà operata
sulle forme servono entrambe a favorire l’eliminazione del
siero. Dopo una permanenza variabile negli stampi, 2-5 giorni,
si provvede alla salatura della superficie del formaggio
Introduzione
12
mediante immersione in salamoia o aspersione di NaCl
direttamente sulla forma. Le forme verranno lasciate a maturare
per un periodo variabile dai 2 ai 6 mesi, in luoghi asciutti e
ventilati che garantiscano una temperatura di circa 6-10°C.
1.3 FERMENTI AUTOCTONI E QUALITA’
L’eterogeneità genetica dei microrganismi, che
partecipano al processo di caseificazione come conseguenza
naturale di adattamento ad habitat differenziati costituisce una
risorsa utile per il settore caseario in quanto può incidere
sensibilmente sull’acquisizione di alcuni caratteri di qualità dei
prodotti.
Nel settore caseario industriale si utilizzano specie
microbiche ben codificate, rispondenti a schemi definiti di
identificazione operata con sistemi diversi (genetici, fisiologici,
biochimici, ecc..), funzionali secondo quanto richiesto dalle
differenti tecnologie (formaggi a pasta dura, formaggi a pasta
molle, formaggi freschi, ecc..).
Ma all’interno di ciascuna delle differenti categorie di
formaggi, ne esistono tipi diversi (ottenuti anche con latte di
specie differenti) o che provengono da differenti aree in grado
di condizionare, a loro volta, anche l’allevamento di diverse
specie e razze di animali, ugualmente particolari. In risposta a
tutta questa diversità, non è corretto da un punto di vista
tecnologico utilizzare colture di microrganismi provenienti da
situazioni non correlate alla materia prima che si deve
trasformare, all’ambiente in cui si deve operare ed al prodotto
Introduzione
13
che si vuole ottenere; questo è quanto accade, invece, senza
tenere conto di “quel plus” che lo studio e la selezione dei
microrganismi da introdurre in lavorazione può dare, perchè la
biodiversità dei microrganismi corrisponde ad una differente “
specializzazione” dei microrganismi in relazione ad attività
biochimiche rilevanti per il processo di caseificazione. Ad
esempio differenze di acidificazione si rilevano quando i
microrganismi starter impiegati allo scopo provengono da latte
di specie diversa rispetto a quella del latte da caseificare
(Salvadori, 1995).Un altro parametro importante è la
temperatura.
Quando fondamentali fasi tecnologiche vengono
applicate nella trasformazione del latte, come quella di cottura
della cagliata, è importante, se non indispensabile, utilizzare
starter selezionati in condizioni termiche dinamiche, che
ripetono i reali gradienti applicati nella tecnologia di
caseificazione.
Allo stato attuale non si ritiene logico ritornare all’uso
delle colture naturali, ma l’isolamento da esse dei biotipi
caratteristici e il loro reinserimento come colture starter
selezionate (di origine autoctona) può dare risultati positivi non
solo nella fase di acidificazione, ma anche nelle successive fasi
di completamento, di rifinitura, di “arrotondamento”. Queste
fasi possono essere controllate e poste in relazione al tipo di
prodotto, in funzione di parametri legati ai microrganismi quali
l’attività proteolitica e lipolitica (in senso qualitativo e
quantitativo), l’autolisi cellulare, la produzione di batteriocine e
di parametri legati alla tecnologia quali la temperatura e le altre
Introduzione
14
condizioni proprie della fase di produzione e di maturazione. (
Rossi, 1998).
1.4 SELEZIONE DI COLTURE STARTER AUTOCTONE
Nell’industria alimentare moderna l’impiego di colture di
microrganismi è una pratica oramai irrinunciabile non soltanto
per la produzione diformaggi, ma anche di insaccati, vegetali
fermentati, pane, vino e birra.
Queste colture, denominate colture starter, sono costituite
da microrganismi isolati dalla materia prima o dall’alimento
nelle fasi di trasformazione o di maturazione. Tali
microrganismi selezionati in laboratorio in funzione di
specifiche proprietà fisiologiche e tecnologiche e aggiunti come
colture starter alla materia prima (latte, mosto, carne ecc..) sono
in grado di avviare e pilotare il processo di trasformazione
prendendo rapidamente il sopravvento su microrganismi
indesiderati che potrebbero influenzare negativamente la qualità
igenico-sanitaria ed organolettica del prodotto finito.
La qualità di un alimento fermentato e la complessità
delle sue caratteristiche sensoriali (aroma, sapore, aspetto), pur
essendo strettamente correlate alla qualità della materia prima e
alla tecnologia di trasformazione, possono essere notevolmente
influenzate dall’attività metabolica dei microrganismi starter
responsabili del processo di fermentazione. Infatti, la microflora
del latte crudo, quella dell’innesto e quella che si trasferisce
dagli ambienti di produzione e di stagionatura sono tra i
Introduzione
15
principali “motori” del processo di caseificazione e dello
sviluppo delle caratteristiche organolettiche del formaggio.
D’altro canto, anche la tecnologia di produzione ha una
influenza fondamentale sugli eventi biologici di natura
microbica caratteristici dell’ecosistema produttivo che
costituisce una nicchia biologica di grande complessità.
Inoltre è opinione diffusa che nelle zone a più antica
tradizione casearia, si sia determinata, nel corso degli anni, una
selezione naturale dei microrganismi, per cui ad una particolare
area geografica e/o precisa tecnologia di produzione,
corrisponde una microflora spontanea in grado di contribuire
alle caratteristiche di tipicità del prodotto.
Per questo è importante, nella messa a punto di colture di
prodotti tipici, isolare microrganismi da questi stessi prodotti o
dalle loro materie prime , in modo da :
¾ salvaguardare un patrimonio di microrganismi che
rischia di essere sostituito da un esiguo numero di
colture microbiche commerciali,
¾ ottimizzare le produzioni sia in termini di
condizioni igenico-sanitarie sia di tecnica di
caseificazione, realizzando una standardizzazione
della qualità dei prodotti, senza modificare le
caratteristiche organolettiche.
La maturazione-stagionatura del formaggio è un
processo biochimico di natura essenzialmente enzimatica.
Introduzione
16
1.4.1 Tipi di starter
Schematicamente, le colture starter si possono
suddividere in due principali gruppi : mesofile, con un optimum
di temperatura attorno ai 30°C e termofile, che sviluppano
ottimamente tra i 37 e 45°C. Nelle moderne aziende casearie gli
starter generalmente sono colture mono o multi ceppo, sia in
associazione che in miscela usate in rotazione. Una delle
caratteristiche principali degli starter termofili per i formaggi
italiani , che li rendono unici rispetto ad altre tipologie di
innesto, è l’associazione sinergica tra i cocchi ed i bacilli
termofili. Un’altra importante caratteristica dei batteri lattici
termofili, è il loro utilizzo anche in tecnologie anche molto
diverse tra loro grazie alle loro peculiari proprietà metaboliche
che conferiscono ai prodotti caratteri del tutto particolari.
Le colture starter sono classificate in starter naturali e
starter selezionati. Le colture naturali, conosciute anche come
“artigianali” o “starter tradizionali” sono tipicamente quelle del
siero e lattoinnesti naturali. La loro composizione microbica è
variabile: l’eterogeneità della flora batterica permette a questi
innesti di influire positivamente sulle caratteristiche
organolettiche dei prodotti e li rende meno sensibili ad attacco
fagico rispetto alle colture selezionate, preparate con un limitato
numero di colture pure. Tuttavia la composizione degli starter
naturali è difficile da standardizzare ed è soggetta a fluttuazioni
di attività imprevedibili.
Nella formulazione degli starter si opera uno screening, a
carico dei batteri lattici, per la produzione di acidità, per
Introduzione
17
l’attività proteolitica, per la stabilità alla conservazione, per il
rendimento in caseificazione e per la resistenza fagica.
In Italia sono ancora diffusi gli starter naturali sia in siero
che in latte e, soprattutto questi ultimi, sono spesso soggetti a
problemi di inquinamento o di sbilanciamento microbico. La
moderna tecnologia è comunque sempre più orientata verso
l’uso di colture selezionate. Queste contengono uno o più ceppi
di Streptococcus termophilus e lattobacilli (Lactobacillus
delbruechii subsp. bulgaricus, L. helveticus), forniti
generalmente da laboratori specializzati, anche se sarebbe più
auspicabile fossero isolati e purificati in loco e di patrimonio di
ciascun produttore.
Lattoinnesto naturale- E’ una coltura di batteri lattici
costituita da molte specie con caratteristiche variabili nei
diversi periodi dell’anno a causa delle modificazioni biologiche
del latte e delle condizioni ambientali.
Li si ritrovano spontaneamente nel latte di buona qualità
microbiologica, esente da antibiotici o da altre sostanze ad
azione antibatterica, nel quale si fanno sviluppare ad adatta
temperatura; tale coltura viene poi aggiunta al latte per la
lavorazione. L’obiettivo è riprodurre gli stessi fermenti lattici
che normalmente sono presenti nel latte.
Pur nel rispetto di questi fondamentali requisiti , il latte
per il lattoinnesto può rilevarsi non idoneo se non presenta un
adeguato patrimonio microbico, cioè una presenza di microflore
spontanee utili. E’ importante ricordare inoltre che solo la
conoscenza approfondita delle diverse caratteristiche
Introduzione
18
biochimiche dei ceppi da abbinare in associazione potrà
conciliare in modo ottimale la standardizzazione e la tipicità
del prodotto.
I diversi metodi di preparazione del lattoinnesto naturale
fanno tutti riferimento a due criteri chiave: termoresistenza e
termofilia di alcune specie microbiche.
Dopo pastorizzazione a 63-65°C per 10-15 minuti, il
latte viene rapidamente raffreddato a 40-45°C e lasciato ad
incubare fino a raggiungere l’acidità desiderata, che risulta
diversa a seconda della lavorazione. Str. thermophilus, se
presente nel latte di partenza sopravvive al trattamento termico
e prende poi il sopravvento. In tali innesti sono sempre presenti
microflore cosiddette accessorie, generalmente termofile ma
anche mesofile, quali Lactococcus lactis o Lactobacillus casei,
che concorrono positivamente nelle caratteristiche finali del
formaggio. D’altro lato, la presenza di microflore non
selezionate può aumentare il rischio di ottenere prodotti di
qualità inferiore. Pertanto l’uso di innesti naturali presenta
indubbi vantaggi ma anche alcuni limiti, che portano a far
preferire i fermenti selezionati nella pratica casearia.
Innesti selezionati –Il latte destinato alla preparazione
della coltura deve naturalmente essere di eccellente qualità
chimica e microbiologica, esente da antibiotici, scremato. Viene
quindi “ultra-pastorizzato” (105°C per 30 minuti) e inoculato
con culture madri pure isolate da matrice lattiero-casearia.
La preparazione di un lattoinnesto selezionato
presuppone l’acquisto della coltura adatta, che può essere
liquida, liofilizzata o surgelata. Qualora siano colture in
Introduzione
19
associazione, le madri dei diversi ceppi si dovrebbero preparare
separatamente e la loro unione andrebbe effettuata solo negli
ultimi trapianti.
La messa a punto delle colture selezionate è una tappa
importante per “ricostituire” quella complessa associazione
batterica che è alla base della tipicità dei vari formaggi italiani
cercando nel contempo di limitare gli scarti dovuti ai difetti.
Tale operazione d’altro lato, è un processo molto più complesso
di quanto possa sembrare. Ciascuna combinazione deve infatti
soddisfare simultaneamente diversi criteri di valutazione delle
caratteristiche tecnologiche dei ceppi delle varie specie che le
compongono. Inoltre, per ogni formaggio e tipo di
caseificazione, la scelta dovrebbe convergere su fermenti che
abbiano le caratteristiche fisiologiche richieste dal processo e
che possano, nel contempo, facilmente adattarsi e inserirsi nel
microsistema ecologico nel quale sono destinati ad operare.
Le matrici di provenienza dei ceppi sono infatti le
microflore tecnologicamente selezionate negli innesti e nel
formaggio allo stato fresco o anche nei prodotti finiti, dopo
opportuno isolamento, purificazione e caratterizzazione. A tale
proposito l’introduzione di un nuovo ceppo, specialmente se
non sia stato isolato dalla microflora del caseificio stesso,
richiede prudenza e sorveglianza per valutare l’adattabilità alla
tecnologia senza inconvenienti. Infine le procedure di
preparazione devono garantire che nell’innesto i singoli ceppi
siano presenti in quantità e in proporzioni pressoché costanti e si
trovino sempre nelle stesse condizioni di vitalità (Giraffa,
1993).
Introduzione
20
1.4.2 Attività dello starter
Negli starter le attività metaboliche considerate
commercialmente sono diverse. Tra queste possiamo
annoverare, in particolare, la produzione di aciditàe la
produzione di amminoacidi. Di queste caratteristiche è riportata
una trattazione nel capitolo 1.8.
Tutte queste funzioni sono fondamentali per la buona
riuscita dei prodotti e per contrastare, nel contempo, la crescita
di microflore anticasearie o patogene
A seconda dei casi, le cellule contribuiscono alla
maturazione dei formaggi, liberando sistemi enzimatici
proteolitici che, insieme all’azione del caglio, ne determinano
da un lato la modificazione delle proprietà reologiche, e
dall’altra una serie di tappe biochimiche necessarie nella
formazione dei componenti dell’aroma.
Di ogni ceppo è valutata la compatibilità intesa coma
capacità di non inibirsi reciprocamente per svariate cause, siano
esse fenomeni di competizione per il substrato o sintesi di
metaboliti ad azione antimicrobica.
Analogo discorso vale per miscele di ceppi in coltura
appartenenti alla medesima specie. Esistono notevoli differenze
,sotto il profilo fisiologico e metabolico, tra ceppi anche
tassonomicamente assegnati alla stessa specie o genere
I batteri lattici coltivati in associazione possono però
anche stimolarsi a vicenda, attraverso scambio di metaboliti
come amminoacidi o acido formico. Questo acquista particolare
Introduzione
21
interesse in quei formaggi nei quali le diverse associazioni tra
specie termofile usate nello starter hanno un peso determinante
sull’evoluzione del prodotto nel corso della fase di
stagionatura del formaggio.
Lo studio dei singoli ceppi è però solo la prima tappa : la
costituzione di opportune associazioni prevede che venga in
qualche modo controllato il “comportamento” di ogni singolo
componente la miscela, al fine di poter meglio comprendere il
ruolo della dinamica microbica che caratterizza la tecnologia.
Così, per esempio, nel caso delle colture mesofile sono stati
frequentemente isolati ceppi proteinasi deficienti (prt
-
) i quali
differiscono dai proteinasi positivi (prt
+
) per l’assenza di sistemi
enzimatici efficienti a livello di parete cellulare, ma sono di
norma del tutto simili in termini di velocità di acidificazione
(Cogan T.M., 1990) I (prt
+
), specialmente quelli di proteinasi
particolarmente attive, sono stati , a ragione ritenuti i
responsabili della formazione di peptidi amari nel corso della
maturazione dei formaggi in cui venivano utilizzati starter
mesofili. D’altra parte è stato dimostrato che la contemporanea
presenza di ceppi proteinasi negativi, ma provvisti di peptidasi
di parete poteva sopperire a tale difetto (Alais ,1984). Pertanto
potrebbe essere utili abbinare ceppi debolmente proteolitici a
ceppi non proteolitici, i quali per altro necessitano dell’attività
proteolitica dei primi per utilizzare fonti azotate facilmente
assimilabili e crescere a livelli soddisfacenti nel latte, al fine di
ottenere una graduale proteolisi e una migliore qualità
organolettica, senza rischi di amaro. Orientativamente si
possono ipotizzare le seguenti fasi:
Introduzione
22
¾ si isolano e caratterizzano i singoli ceppi
direttamente dall’ambiente di lavoro in cui si opera;
¾ si valutano le più importanti proprietà metaboliche
dei ceppi nel loro complesso;
¾ si considera il tipo di tecnologia e le caratteristiche
finali del prodotto che si vuole ottenere;
¾ si pianifica una scelta di ceppi da abbinare in
modo da garantire una reciproca compatibilità.
1.4.3 Controllo dell’attività dello starter
L’abilità di una coltura starter di effettuare le sue
funzioni nel corso della caseificazione è importante per ridurre
i tempi di lavorazione e per la qualità del formaggio. Uno
starter non dovrebbe essere nè troppo rapido né troppo lento ed
il livello di produzione di acido dovrebbe essere prevedibile
durante il corso della lavorazione (Giraffa, 1993) Il contributo
dello starter è essenziale nel processo di acidificazione che si
verifica in tutte le fasi precedenti la maturazione. Un
abbassamento del pH troppo rapido o spinto potrebbe provocare
una chiusura eccessiva della pasta o una pasta molto secca.
I ceppi singoli o la miscela di ceppi, devono infine
essere testati per la loro resistenza ai trattamenti di
conservazione (essiccamento, liofilizzazione, congelamento) e
la loro capacità, in fase di caseificazione, a riprendere vitalità
dal punto di vista biochimico ed a dare le caratteristiche volute
al prodotto finito.