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1.1 Il legno
Il legno, come ogni altra biomassa, si riproduce costantemente grazie all’azione
coordinata di energia solare, anidride carbonica, acqua e sali minerali in essa
disciolti. La natura, però, oltre a produrre il legno, provvede anche a decomporlo.
I processi biologici naturali, se indisturbati, si svolgono sempre in cicli chiusi, la
quantità di biossido di carbonio (CO
2
) liberata dalla combustione del legno è
esattamente quella che l’albero ha assimilato durante la sua crescita: la stessa
quantità ritorna all’ambiente se questo marcisce inutilizzato nel bosco.
Fig.1.1 Ciclo biologico chiuso
1.1.1 La combustione del legno
Rispetto agli altri combustibili solidi (carbone fossile o carbonella) il legno si
differenzia perché, a temperatura relativamente bassa, libera quantità ingenti di
sostanze volatili, anch’esse combustibili, in ragione dell’85% della massa anidra.
Disponendo di un tronco di legno assolutamente secco di 100 kg si può
immaginare che a temperature di 100/350°C esso si comporti come una bombola
a gas, liberando 85 kg di sostanze volatili combustibili. A differenza di una
bombola, però, anche il “contenitore” residuo, nella quota di 14 kg, è
combustibile, mentre la rimanente parte, 1 kg, è costituita da cenere. In termini di
calore prodotto le sostanze volatili concorrono nella quota del 67%, mentre il
carbone fisso contribuisce nella quota del 33%.
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Fig.1.2 Andamento della produzione di calore in funzione dell’innalzamento
della temperatura durante la combustione all’aria libera
Perché il legno possa bruciare fornendo energia termica occorre inizialmente
somministrargli del calore affinché possano in esso avvenire quei complessi
fenomeni di degradazione dai quali si origineranno i gas combustibili capaci di
portare ad un bilancio energetico positivo, ovvero la produzione di calore.
Durante la combustione del legno possono distinguersi diverse fasi di processo,
dall’essiccamento iniziale, fino 100°C, al termine della combustione, dopo gli
800°C.
Fig.1.3 Sviluppo di calore e variazione della massa volumica
all’innalzamento della temperatura nel legno
Evidentemente la combustione della “parte gassosa” è molto differente da
quella non gassosa. Infatti, mentre la fiamma dovuta alla combustione dei gas si
presenta molto lunga, al contrario quella relativa al carbonio fisso è appena
rilevabile. Inoltre, mentre la parte gassosa si libera subito durante le prime fasi di
combustione la restante parte è molto persistente.
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Nella sua combustione il legno produce calore in dipendenza al suo potere
calorico: conoscere le caratteristiche di ogni tipo di legno permette di quantificare
quale sarà il quantitativo di calore prodotto.
Fig.1.4 Potere calorifico del legno
Tale caratteristica non ha, però, un valore assoluto ma è influenzata da
molteplici fattori, primo fra tutti l’umidità.
Fig.1.5 Potere calorifico del legno in funzione dell’umidità
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1.2 La radiazione solare
II calore è una forma di energia cinetica; la temperatura è l'indice del livello del
calore di un corpo in equilibrio termico, ed è proporzionale all'energia cinetica
media posseduta dalle sue molecole.
Il calore può essere propagato ad un altro corpo, determinando in esso
variazioni termiche, oppure essere convertito in un'altra forma di energia, secondo
le leggi della termodinamica. La diversa distribuzione del calore sulla Terra da
origine all'energia cinetica dei venti.
Con calore specifico si intende la quantità di calore che l'unità di massa assorbe
o cede per riscaldarsi o raffreddarsi di 1°C. In conseguenza del suo elevato calore
specifico, l'acqua possiede una notevole inerzia sia ad accumulare calore, che a
cederne.
Esistono varie modalità di propagazione del calore: (i) per conduzione, che si
verifica quando il calore passa da una regione a temperatura maggiore ad una a
temperatura inferiore, attraverso una serie continua di mezzi materiali: ciò implica
scambio di energia cinetica fra le molecole dei corpi in questione; (ii) per convezione,
che si verifica nei liquidi e nei gas. Differenze di temperatura in seno ad un fluido
provocano, a causa della dilatazione termica, variazioni di densità, con
conseguente spostamento di porzioni di fluido a temperatura maggiore verso zone
caratterizzate da temperature più basse, fino al raggiungimento di un nuovo stato
di equilibrio; (iii) per irraggiamento, cioè tramite radiazione elettromagnetica.
In generale il processo di bilancio termico avviene per combinazione delle
modalità sopra descritte. Si consideri, ad esempio, il bilancio termico di una foglia:
nello strato limite
∗
il calore si propaga per convezione e, in misura assai più
ridotta, per conduzione, l’aria così riscaldata viene poi allontanata dallo strato
limite per convezione; infine, in presenza di cielo notturno sereno, la foglia perde
calore soprattutto per irraggiamento.
∗
strato in cui la velocità del vento è inferiore a quella dell’atmosfera circostante e il flusso d’aria è laminare,
cioè parallelo alla superficie.
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1.2.1 II riscaldamento dell'aria
L'aria si riscalda pochissimo sotto l'azione diretta dei raggi solari, mentre il
suolo e l'acqua assorbono la radiazione sia ad onde brevi che ad onde lunghe
proveniente dall'atmosfera, restituendogliela sotto forma di calore. L'aria, venendo
a contatto con la superficie terrestre che emette radiazione termica, si riscalda e
tende a salire e a cedere il proprio calore agli strati superiori, che sono formati da
aria più fredda che tende quindi a scendere. L'aria si riscalda quindi per
convezione.
In realtà, il valore d’insolazione aumenta con l'altitudine e man mano che si sale
di quota, i raggi solari attraversano uno spessore di atmosfera sempre minore:
l'aria che incontrano è sempre meno umida, meno densa. Tale caratteristica rende
l'aria d'alta quota meno adatta, rispetto a quella degli strati inferiori, a trattenere il
calore; la dispersione termica è maggiore alle quote più elevate. La variazione della
temperatura dell'aria in funzione dell'altitudine è di tipo adiabatico, cioè dovuta
alla espansione o alla compressione del fluido senza che vi sia uno scambio di
calore con l'ambiente circostante.
I valori termici che maggiormente interessano l’ecologia sono: le temperature
medie giornaliere, mensili e annue, i massimi e i minimi assoluti, la media dei
minimi del mese più freddo e quella dei massimi del mese più caldo, l’escursione
termica giornaliera, mensile e annua.
1.2.2 La distribuzione della temperatura sulla Terra
La radiazione solare, ricevuta dai diversi lunghi della Terra, varia con l'angolo di
incidenza dei raggi solari rispetto al piano dell'orizzonte: man mano che l'angolo si
avvicina alla normale, il tragitto dei raggi dentro l'atmosfera si abbrevia e l'apporto
energetico sull'unità di superficie risulta maggiore; tale apporto dipende (i) dalla
latitudine, (ii) dall'esposizione e dall'inclinazione del terreno rispetto ai raggi solari,
(iii) dalla stagione, (iv) dall'ora del giorno.
Il diverso comportamento delle terre e delle acque nei confronti della radiazione
solare dipende dal fatto che queste ultime si riscaldano e si raffreddano più
lentamente rispetto alle prime: i raggi solari penetrano assai più in profondità
nell'acqua degli oceani, il cui moto ondoso assicura inoltre un continuo
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rimescolamento fra gli strati situati a differenti profondità, contribuendo ad una
più omogenea distribuzione del calore.
Fra gli altri fattori capaci di influire sulle temperature, e sulle precipitazioni, di
una zona, va citato l'orientamento delle terre e dei rilievi montuosi rispetto alla
direzione delle masse d'aria.
Riguardo alla temperatura del suolo si riassumono brevemente alcuni concetti
elementari: (i) le oscillazioni termiche, sia giornaliere che stagionali, sono
nettamente più accentuate nei primi cm di suolo; (ii) i suoli scuri assorbono più
radiazione di quelli chiari e quindi sono più caldi; (iii) i terreni umidi si riscaldano
più lentamente di quelli aridi; (iv) la tessitura di un suolo ne condiziona la capacità
di immagazzinare e cedere calore. (v) il calore gioca un ruolo decisivo nella
rapidità di decomposizione della sostanza organica: l'attività microbiologica degli
organismi decompositori è strettamente dipendente dal calore e dall'umidità.
1.2.3 Importanza della morfologia
In termini di assolazione annua
∗
, non si fa distinzione fra le esposizioni est e
ovest, in quanto entrambe, a parità di altre condizioni, vengono investite della
stessa quantità di energia solare. Diverso è il discorso per le temperature, in
quanto l'energia radiante che investe un’esposizione est esplica la sua azione nelle
ore mattutine, quando le temperature dell'aria sono più basse, mentre le
esposizioni ovest ricevono lo stesso apporto radioattivo nelle ore pomeridiane, in
concomitanza con le temperature più elevate del giorno: per questo le esposizioni
ovest sono più calde di quelle est.
In genere si osserva che la variazione della temperatura con l'esposizione cresce
con l'altitudine, tanto è vero che è proprio in alta montagna che il contrasto della
vegetazione sui versanti opposti è più netto. L'influenza dell'esposizione è
evidente in molte delle nostre valli alpine, in cui, di regola, le pendici esposte a sud
e ad ovest ospitano pascoli e colture agrarie, mentre quelle rivolte a nord e a est
sono coperte da boschi.
∗
intervallo di tempo, espresso in ore, durante il quale il sole dovrebbe stare immobile sulla normale del luogo
stesso per apportargli le quantità di energia di cui lo irradia nel corso di un anno, senza considerare le azioni di
nubi, foschie e tutti gli agenti che ostacolano il passaggio della radiazione solare.
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A livello fisiologico il problema delle temperature troppo elevate è
rappresentato da squilibri metabolici nella pianta, come l’alterazione del bilancio
fotosintesi/respirazione: l’azione delle alte temperature, riflettendosi sulla
disponibilità idriche, si confonde spesso con quella dell’aridità e sono quindi
capaci d influenzare il processo di crescita.
1.2.4 Azione della temperatura sulle specie arboree
È in gran parte, anche se non esclusivamente, in funzione della temperatura che
la vegetazione si distribuisce in fasce che si susseguono secondo l’altitudine: esse
possono essere intese come fasce di vegetazione bioclimatiche, “unità elementari
riconoscibili nella vegetazione come effetto del clima”.
Effetti della temperatura sono riscontrabili anche sull’accrescimento e sullo
sviluppo degli alberi forestali: a maggiore altitudine gli alberi presentano minori
accrescimenti diametrali del fusto rispetto a quelli situati a quota inferiore.
Inoltre l’entrata in riposo vegetativo dipende dalle minime del periodo
autunnale: quando ciò non si verifica, come nei climi oceanici, la pianta rimane in
uno stato di riposo incompleto e continua passivamente a traspirare e a respirare,
fino a che si crea uno squilibrio metabolico che può portarla anche alla morte.
1.2.4.1 Azione delle alte temperature
Al di sopra di 50 °C è situata la temperatura letale per le cellule vive della
maggior parte delle piante: non ha importanza tanto la temperatura massima
assoluta, quanto la durata dell'evento. Le temperature letali variano in senso
inverso col tempo di esposizione come descritto dall’espressione di Lopeshkin:
ZbaT log−=
dove a e b sono costanti,
T è l'alta temperatura che uccide la pianta
Z è il tempo di esposizione al calore
Le temperature elevate possono esercitare danni diretti e indiretti alle piante: (i)
i danni diretti da shock termico, sono causati da brevi esposizioni ad alte
temperature: le specie più colpite sono, di regola, le più tolleranti l'ombra e in
particolare quelle a corteccia liscia e sottile, come l'abete bianco, l'abete rosso, i
carpini ecc. Certe specie, come la betulla, si difendono da questo tipo di danno: la
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presenza di spessi strati di sughero, funge da isolante termico; (ii) I danni indiretti
sono invece l’alterazione dell’evapotraspirazione conseguente all’esposizione ad
alte temperature: in condizioni di elevati valori di deficit di saturazione del vapore
acqueo nell’aria e di alte temperature, diminuisce l’efficacia delle piogge e aumenta
la traspirazione della pianta, con conseguente deficit idrico.
1.2.4.2 II clima termico delle tagliate e delle radure
Le radure di piccole dimensioni non differiscono molto dal bosco per ciò che
riguarda le temperature, in quanto vi è uno scambio di calore con l'area boscata. In
quelle di ampie dimensioni invece, l'escursione termica giornaliera è nettamente
superiore a quella che si ha sotto copertura: in un suolo nudo si ha una maggiore
dissipazione di energia sotto forma di calore sensibile.
Questo si può attribuire al fatto che nelle radure, a causa dei limitati movimenti
d'aria, nelle ore notturne si hanno perdite di calore per irraggiamento, anche se le
chiome degli alberi circostanti intercettano e riemettono verso il suolo parte
dell'energia da esso irraggiata. Nelle ore diurne, al contrario, la radiazione solare
innalza la temperatura di più nella radura che non nel bosco, dove l'afflusso di
energia radiante subisce il filtro della copertura arborea. Dal momento che
l'aumento diurno di temperatura è maggiore del raffreddamento notturno, nelle
radure la temperatura media giornaliera è di regola superiore a quella che si
registra all'interno del bosco.
1.3 Le piogge
Le condizioni perché si verifichino le piogge si creano quando le masse d'aria
che contengono vapore acqueo si raffreddano al di sotto del loro punto di rugiada,
con conseguente condensazione e formazione di nubi. Le goccioline che formano
le nubi hanno diametri compresi fra 1 e 100 µ (micron), mentre in certe
condizioni le goccioline si aggregano in gocce di dimensioni pari a circa 1 mm: è
così che esse, non potendo più rimanere in sospensione, precipitano.
Le piogge si distinguono, per la loro origine, in:
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(i) convettive. Sono frequenti alle basse latitudini, limitatamente ai giorni più caldi
dell'estate. Generalmente di distribuzione locale e breve durata e d’elevata
intensità esse si verificano quando, in conseguenza di forti afflussi di radiazione
solare, gli strati d'aria immediatamente al di sopra del suolo raggiungono
temperature elevate. A causa del gradiente termico tra gli strati d'aria situati a
differenti quote, l'aria umida e leggera sale per convezione e si espande a causa
della minore pressione atmosferica. Espandendosi si raffredda e da luogo ad
annuvolamenti e a precipitazioni.
(ii) orografiche. Si verificano quando masse d'aria umida, spinte dai venti,
risalgono lungo i fianchi di un rilievo o di una catena montuosa, e di conseguenza
si espandono e si raffreddano. E così che il versante esposto al vento riceve
elevate precipitazioni, mentre il versante opposto ha un clima nettamente più
arido.
(iii) cicloniche. Si originano nelle aree di bassa pressione, dove i venti convergono
e costringono masse di aria umida a risalire verso l'alto, causando piogge
prolungate e di moderata intensità, che interessano di regola vaste regioni.
La pioggia rappresenta di regola la principale sorgente d’acqua per la
vegetazione, anche se in certi casi la neve, la nebbia e la rugiada svolgono un ruolo
tutt'altro che di secondo piano.
Per quanto riguarda l'approvvigionamento idrico, è importante conoscere la
distribuzione stagionale delle piogge, ovvero il regime pluviometrico: valori medi
delle precipitazioni hanno scarsa importanza, mentre è fondamentale conoscere la
loro distribuzione nonché la frequenza di annate siccitose, visto che il carattere e
la distribuzione della vegetazione sono fortemente influenzati dai minimi di
pioggia.
1.3.1 L’intercettazione delle piogge da parte della copertura forestale
La quantità di precipitazione (P) che viene intercettata (I) dalle chiome e
successivamente evaporata, può essere quantificata facendo riferimento alla
seguente equazione
)(
ff
STPI +−=
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dove Tf è la precipitazione sottochioma (throughfall), che arriva direttamente al
suolo passando attraverso la copertura vegetale o indirettamente
gocciolando dalle foglie e dai rami,
Sf è lo scorrimento lungo il fusto (stemflow).
Le foglie trattengono l'acqua sotto forma di pellicola o di goccioline che si
accumulano in scanalature e depressioni: oltre certi limiti, l'acqua si raccoglie in
gocce di maggiori dimensioni che scorrono sulla foglia fino a sgrondare dalle
chiome e cadere al suolo.
L'intercettazione è massima in corrispondenza di precipitazioni frammentate di
limitata intensità, mentre quando esse sono a carattere temporalesco e di apporto
superiore a 20 mm, è praticamente nulla, perché la capacità di intercettazione della
chioma viene presto saturata. È nei climi aridi e in corrispondenza di leggeri
rovesci che l'intercettazione può avvicinarsi al 100%.
Le caratteristiche strutturali del soprassuolo, e in particolare la densità, svolgono
un ruolo di primo piano nel determinare l'entità d’intercettazione: i boschi densi
intercettano infatti più acqua dei boschi radi*. La capacità di un popolamento di
intercettare l'acqua di precipitazione varia quindi con l'età, come conseguenza
delle variazioni di densità del soprassuolo e di area fogliare.
1.3.2 Il sottochioma e lo scorrimento lungo il fusto
La frazione dell'acqua di precipitazione che non evapora dopo essere stata
intercettata dalla copertura arborea, può seguire due vie: (i) sgrondare dalle chiome
(throughfall) o (ii) scorrere lungo i rami di vario ordine fino al fusto, da cui
raggiunge il suolo al piede della pianta (stemflow).
Le gocce d'acqua che cadono dalle chiome, fatto salvo il caso di piogge di
notevole intensità, hanno dimensioni maggiori di quelle della pioggia che arriva al
suolo senza incontrare ostacoli: lo stemflow è quindi maggiore nei popolamenti
giovani. L'acqua che arriva a terra può a sua volta prendere due vie: (i) scorrere in
superficie o (ii) penetrare nel suolo.
∗
ciò è vero a livello di chioma, in quanto sotto la copertura dei boschi più radi può svilupparsi un denso
sottobosco erbaceo-arbustivo, a sua volta efficace nell'intercettazione.
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Il modello di distribuzione dipende dalle caratteristiche della precipitazione,
della copertura vegetale e del terreno, nonché dalla pendenza.
È stato osservato anche che all'aumentare della densità dei boschi, non solo
viene ridotta la frazione di acqua che penetra fra le chiome o viene sgocciolata, ma
che, essendo più alta la proporzione di rami inseriti ad angolo acuto e più ridotte
le dimensioni della chioma, lo stemflow tende ad aumentare.
Fig.1.6 Influenza dell’architettura della chioma sulla distribuzione d’acqua che cade
al suolo per scorrimento lungo il fusto (S) e per sgocciolamento dalla chioma (R).
Le caratteristiche della precipitazione influiscono sull'entità dello stemflow.
Infatti, per precipitazioni di scarsa intensità e breve durata, sia lo scorrimento che
il sottochioma possono risultare quasi nulli, in quanto l'acqua evapora
direttamente dalla chioma; al contrario, eventi piovosi di notevole intensità,
saturando in fretta la capacità di immagazzinamento delle chioma, finiscono per
favorire sia lo stemflow che il throughfall: soprattutto quest'ultimo, dato che
l'effetto meccanico di una precipitazione intensa produce modificazioni
nell'architettura della chioma, facendo aumentare l'angolo di inserzione dei rami.
1.3.3 Strategie di difesa delle piante nei confronti di carenze o eccessi idrici
Secondo le esigenze di acqua, le piante si classificano in: (i) idrofite (piante
adattate a completa o parziale sommersione in acqua), (ii) mesofite e (iii) xerofite
(piante che tollerano stress idrici di elevata intensità). Tale distinzione va applicata
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con una certa elasticità, tanto più che certe specie arboree possono assumere
comportamenti variabili secondo le condizioni ambientali.
Di fronte ad uno stress idrico le piante esibiscono due capacità distinte e
differenti: (i) la rilevanza e (ii) la tolleranza.
La evitanza consiste nella capacità della pianta di mantenere un alto potenziale
dell’acqua anche quando è sottoposta a condizioni di aridità; esse mantengono
uno stato idrico stabile indipendentemente dalle fluttuazioni dell’umidità
atmosferica, e sono quindi in grado di conservare un potenziale idrico interno
relativamente alto anche quando quello esterno è molto basso.
Specie arboree quali pini mediterranei, cipressi, pino silvestre, abete rosso ecc.,
oltre alle foglie possono perdere anche interi rami: dal momento che in quel
periodo l’approvvigionamento idrico per la pianta è assai problematico, essa
riduce al minimo la traspirazione e l’assorbimento idrico.
Fra le strategie evasive si ricorda anche il comportamento secondo il quale una
specie può escluderne un'altra per inibizione chimica, e in questo modo eliminarne
la concorrenza, particolarmente pericolosa in ambienti aridi.
Fra le specie forestali che appartengono alla categoria «risparmiatrici» si
ricordano, fra le altre, il pino nero, il pino silvestre, il pino marittimo, l'abete
bianco e il lentisco.
Al contrario delle risparmiatrici, le piante consumatrici non sono capaci di
risparmiare acqua, essendo caratterizzate da un accelerato assorbimento idrico che
bilancia le forti perdite dovute alla traspirazione. La strategia consumatrice si basa
dunque sulla possibilità di reintegrare immediatamente l’acqua traspirata, in modo
da evitare durature cadute di potenziale idrico che costringerebbero la pianta a
tollerare il secco.
La Tolleranza viene esibita da piante che tollerano stress idrici di elevata intensità
quali ad esempio le xerofite. Esse possono perdere quantità eccezionalmente
grandi di acqua, senza che tuttavia sopravvenga la morte. Tali organismi, entrando
in riposo, hanno una straordinaria capacità di tollerare il disseccamento: il loro
stato idrico tende ad adeguarsi all’umidità atmosferica. La tolleranza al secco,
come quella al freddo, può essere migliorata da un pre-trattamento in cui la pianta
viene gradualmente temperata (acclimatazione) all'aridità. Piante esposte a bassi
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livelli di acqua, ad elevati livelli di fosforo e a bassi livelli di azoto, divengono più
tolleranti nei confronti del secco rispetto a piante non pre-trattate.
1.3.4 Indice di area fogliare
L’indice di area fogliare (LAI: leaf area index) è l’area delle foglie portata sopra
un’area di terreno (m
2
di area fogliare ⋅ m
-2
di superficie di riferimento piana). LAI
può essere riferito sia alla superficie totale delle foglie, comprensiva di entrambe le
pagine fogliari che a quella di una sola pagina fogliare
∗
, nonché a quella proiettata
dalle foglie stesse ed indica la quantità di radiazione intercettata dalle chiome delle
piante ed anche l'estinzione della luce in un popolamento.
La stretta relazione esistente fra LAI e disponibilità idriche dell'ecosistema è
evidente se si pensa che uno degli effetti più marcati dello stress idrico è la
riduzione dell'accrescimento fogliare e la diminuzione della longevità delle foglie.
Fig.1.7 Vista emisferica della struttura della copertura ottenuta dal terreno.
(a-sempreverde, b-dipterocarpo secco, c-ducidue miste, d-decidue miste con bamboo)
1.3.5 La neve
La neve si origina quando la condensazione del vapore acqueo avviene
lentamente, per sublimazione; per la sua formazione è necessario che
∗
ciascuna delle due facce di ogni foglia.
Ecologia della foresta
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nell'atmosfera esistano microscopici nuclei di ghiaccio, intorno ai quali il vapore
acqueo si cristallizza. I fiocchi di neve altro non sono che un insieme di questi
cristalli. Dato che a temperature molto basse nell'aria si ha poca umidità, le
nevicate di una certa consistenza si hanno soprattutto attorno a 0°C.
L'azione di isolamento termico è decisiva soprattutto nei confronti del gelo:
durante l'inverno le temperature che si registrano sotto la coltre sono
sensibilmente meno rigide rispetto a quelle rilevate al di sopra di essa. La neve
protegge quindi il suolo dal congelamento e ne limita le perdite di calore: il
novellame trova, sotto la copertura della neve, una difesa dal gelo, dallo
scalzamento ad opera del ghiaccio e dall'azione disseccante del vento.
Un problema è rappresentato dai casi in cui la neve cade dopo che il gelo è
penetrato nel terreno: in tal caso l'azione isolante può produrre effetti indesiderati.
I danni più gravi causati agli alberi sono comunque quelli di tipo meccanico,
dovuti al peso della neve sulle chiome o alla sua pressione sui fusti: deformazioni
permanenti o rotture dei rami, fino agli schianti dei fusti. La sciabolata del fusto è
dovuta alla pressione che il manto nevoso esercita alla base del tronco delle piante
localizzate sui terreni in pendio.
1.4 L’acqua
Un determinato tratto di terreno, boscato o meno, ha un suo bilancio idrico,
regolato da diverse variabili quali (i) precipitazioni, (ii) umidità atmosferica, (iii)
radiazione solare, (iv) vento, (v) suolo, (vi) vegetazione ed esprimibile attraverso
l’espressione
)(
s
ATEIPD +++−=
dove P è l'acqua di precipitazione,
I è la frazione di P intercettata dalle chiome ed evaporata,
E è l'evaporazione prodotta dal terreno,
T è la traspirazione da parte della vegetazione,