2
Quello che si è cercherà di fare in questo lavoro di tesi è un tentativo
di localizzazione congiunta con un modello monodimensionale, degli
eventi sismici del mar Tirreno meridionale, negli anni che vanno dal
1988 al 2002, con l’ausilio di nuovi dati non ancora elaborati, forniti
dall’INGV, relativi alla sequenza sismica del terremoto del 6
settembre 2002 di Palermo ,per capire la correlazione ancora non ben
individuata tra la sismicità e le strutture neotettoniche del margine
meridionale tirrenico. Dunque, ci si propone di studiare la Sicilia
centro-occidentale in tutta la sua complessità, considerando le
caratteristiche sismiche storiche, quelle geologiche e non ultimo
geodinamiche, per cercare di inquadrare, forse con un po’ di
presunzione la complessa tettonica della Sicilia e di inserirla nella
geodinamica del Mar Mediterraneo, come uno dei tasselli
fondamentali. L’interesse principale che ha spinto alla scelta di
questo settore, è motivato dalla sua posizione intermedia tra la catena
Siculo-Maghrebide affiorante e le zone sommerse d’avampaese site
nel Canale di Sicilia e più a sud-est nel plateaux ibleo, sia dalla
notevole presenza soprattutto nella Sicilia centro-occidentale e
meridionale di dati di pozzi, perforazioni e sezioni sismiche, che
hanno rivelato i caratteri più nascosti della Catena e dalla mole di
eventi sismici registrati dalla rete nazionale e provvisoria durante il
periodo 1988-2002.
I terremoti analizzati sono 2143, di cui solo nel periodo
settembre 2002-dicembre 2002, circa 700; dopo aver elaborato i dati
sismici pervenuti dalla rete provvisoria, installata dall’INGV, a poche
ore dall’evento principale delle 03.21 del 6 settembre 2002, si è
proceduti ad un’integrazione di essi con quelli già esistenti ed è stata
avviata un’ iterativa procedura di localizzazione , con il preesistente
modello, per pervenire alla fine ad un nuovo modello di velocità
3
monodimensionale a otto strati piani e paralleli, visto che l’analisi
della distribuzione dei residui medi di raggio rispetto alle distanze
epicentrali, e dei residui medi di stazione aveva mostrato la necessità
di modificare il modello di velocità esistente.
Vista poi, l’importanza della distribuzione ipocentrale nello
spazio per quanto concerne gli eventi di comune sorgente
sismogenetica (clusters) , ci si è indirizzati alla ricerca dei piani di
clusterizzazione, ovvero dei piani attorno ai quali si riescono a
compattare gli eventi, dando informazioni circa lo strike e il dip delle
faglie, la cui attività è molto spesso causa dei terremoti. Ripreso, a
questo punto, il lungo processo iterativo di localizzazione, con il
nuovo modello,e con il bollettino sismico rinnovato dalle
perturbazioni, si è raggiunto quello che si può definire un risultato
soddisfacente, che ha permesso d’ inquadrare la tettonica del margine
tirrenico, grazie al fatto che i piani di faglia ottenuti dalle
clusterizzazioni sono serviti a delineare un quadro delle strutture
neotettoniche in accordo con i moderni dati di geologia strutturale.
Si è ritenuto opportuno , inoltre, fare un confronto tra i dati
della sequenza sismica di settembre prima e dopo l’integrazione delle
letture della rete provvisoria , per capire e le differenze di profondità
focale e vettori spostamento , e i valori dei residui medi di raggio e di
stazione che, come detto, sono ottimi indicatori della bontà del
modello di velocità usato, ma anche per sottolineare che un numero
maggiore di stazioni sismiche sono in grado di ridurre notevolmente la
dispersione dei dati, e di migliorarne la qualità, con conseguente
successo di localizzazione degli eventi e maggiore comprensione delle
strutture genetiche dei terremoti. A tal proposito, è stato dedicato un
riguardo particolare, al settore della Valle del Belice, colpito nel 1968
da uno sciame sismico, la cui rete, se sfruttata al meglio ovvero per
4
acquisire i dati in maniera ottimale, potrebbe dare il giusto spunto
all’avviamento di neoconoscenze scientifiche e tecnologiche che
contribuirebbero all’innesco di un turismo di qualità trasformando il
Rischio sismico in Risorsa, dal momento che le aree colpite da sismi
hanno sempre esercitato suggestione e diciamo pure una sorta di
fascino. La microsismicità della Valle del Belice, è tuttora
sconosciuta, nonostante quest’area rivesta un ruolo fondamentale nella
tettonica siciliana chiaramente correlata a quella del margine tirrenico:
per cui si ritiene , che la conoscenza della tettonica di quest’area,
potrebbe dare notevoli delucidazioni sulla neotettonica della Catena e
del Mar Tirreno meridionale. A tal scopo, è stata avviata un’ analisi
dei primi dati acquisiti in analogico dalle stazioni, posizionate in
diversi punti della Valle del Belice, relativi al triennio 2000-2002,
forniti dall’INGV. Purtroppo, non è stata eseguita alcuna
elaborazione sui dati così raccolti, perché i dati in digitale sono stati
acquisiti solo a partire dal 2003. Per cui, si è preferito compilare una
tabella con i tempi di arrivo, alle diverse stazioni, delle onde P letti
sui sismogrammi e fare un’analisi statistica, ai fini del miglioramento
della rete sismica, e per quanto riguarda l’acquisizione dei dati
(rumore, posizione) e per il potenziamento della stessa, vista
l’importanza della regione .
5
I CAPITOLO
LA SISMICITA’ STORICA DELLA SICILIA OCCIDENTALE
Violenti e remotissimi fenomeni tellurici nella Sicilia,
evidentemente adombrano la fantasiosa creazione del mito d’Encelado
di cui vi è traccia nelle opere di molti poeti dell’antichità, greci e
latini. Encelado era uno dei Giganti, esseri di struttura colossale, figli
della Terra, che mossero guerra a Giove e tentarono la scalata
all’Olimpo. Ma, furono debellati ed Encelado, atterrato dal fulmine di
Giove, restò sepolto sotto la Sicilia con il capo schiacciato sotto la
mole dell’Etna. Quando, nel disperato tentativo di alleviare l’enorme
peso, il Gigante, sbuffando, cercava di svincolarsi e di mutare
posizione, l’Etna emetteva fiamme e vapori, ed intense vibrazioni
scuotevano il suolo della Sicilia… così racconta Virgilio, nel III libro
dell’Eneide (vv. 578-582 ).
Indipendentemente dalla fantasia di questo racconto epico,
s’intuisce il desiderio e il bisogno di giustificare i movimenti del suolo
che così tanto terrore incutevano alle popolazioni antiche, ricorrendo a
“baruffe divine’. Basta esaminare una moderna carta geologica della
Sicilia, per avere un’idea della intensa attività tettonica siciliana ,che
sta alla base degli eventi sismici catastrofici avvenuti nei secoli
precedenti, e che è tuttora in atto, e della sua complessità.
6
Il suolo siciliano è interessato da sistemi di faglie che lo
scompongono in microzolle interagenti tra loro: un primo sistema è
caratterizzato da una direzione prevalente E-W e coinvolge gran parte
della Sicilia occidentale: alcune linee tettoniche attraversano anche la
Valle del Belice, mentre un altro sistema di faglie, ha direzione SO-
NE, che è quasi parallela alla direttrice Sciacca - Palazzo Adriano -
Termini Imerese. Una terza classe è formata da diverse faglie che con
componente prevalentemente N-S interessano i monti di
Castellammare del Golfo, Carini, Palermo ,Termini Imerese e Monti
Sicani. Di notevole importanza è la faglia che attraversa lo stretto di
Messina e che si prolunga verso l’entroterra calabrese (De Panfilis &
Marcelli, 1968).
Dalla carta della sismicità della Sicilia, redatta da Baratta nel
1934, sulla base degli effetti macrosismici, causati dai terremoti
storici, rappresentata in fig. 1.1,
020 KM
AGRIGENTO
CALTAN I SSETTA
ENNA
CATANIA
SI RAC USA
N
M ESSI N A
PALERM O
TRA PAN I
MARSALA
MAZARA
DEL
VALLO
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CORLEONE
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SA LEM I
CATELVETRA NO
RAG USA
SI SM IC I TA’ CRESCENTE
Fig. 1.1 Sismicità della Sicilia occidentale secondo Baratta (1934).
7
si individuano le zone sismiche più importanti della Sicilia, da quella
di Messina e Ragusa in Sicilia orientale a quelle delle Madonie e
della Valle del Belice, in Sicilia occidentale, anche se fino all’evento
del 1968, la Valle del Belice era considerata una regione asismica,
come si evince dalla fig.1.1.
Nei paragrafi che seguono, ci occuperemo della sismicità storica della
Sicilia occidentale, avendo come riferimento l’opera ‘I terremoti
d’Italia’ del Baratta del 1901, anche se in verità gli eventi sismici
verificatisi posteriormente alla pubblicazione del lavoro di Baratta
hanno modificato sensibilmente il quadro generale delineato da questo
Autore.
8
1.1 I centri sismici delle Madonie
Il gruppo montuoso delle Madonie, è solcato da complessi
sistemi di faglie, la cui attività è alla base di rovinosi terremoti, i cui
effetti sono stati risentiti in tutta la Sicilia, vista la collocazione
geografica. Scinà (1819), racconta di una manifestazione sismica degli
anni 1818 – 1819, con epicentri fra Petralia Sottana e Castelbuono,
durante la quale, numerosi centri tra cui Polizzi Generosa,
Caltavuturo, Gangi, Collesano, e Isnello riportarono danni notevoli.
Successivamente , nel maggio del 1823,in seguito ad un violento
sisma con ubicazione non ben chiarita (forse tirrenica), una serie di
sismi colpì la Sicilia settentrionale, arrecando danni ai paesi di
Isnello,Gratteri e Castelbuono. Un altro evento attribuibile al centro
sismico di Castelbuono, nell’aprile del 1906, fu sentito del V a
Pollina, S.Mauro Casteverde e Tusa, e di IV a Gangi, Polizzi
Generosa, Collesano e Pettineo. A Petralia Sottana, ebbe origine un
violentissimo terremoto, nel settembre del 1934, arrecante danni
enormi ad Alimena, a Nicosia e a Gangi, nonché nelle provincie di
Catania, Siracusa, Enna, Caltanissetta e Ragusa. Due altri centri di
scuotimento si trovano nelle Madonie orientali presso Geraci Siculo e
Gangi, che sono stati colpiti da violente scosse sismiche nel 1888 e nel
1910, nel 1912, nel 1927 e nel 1957.
Uno tra i più violenti terremoti, avvenuti in Sicilia, per essere stato
risentito in quasi tutta l’isola, è quello dell’ottobre del 1967 con
epicentro nei Monti Nebrodi occidentali, presso Monte Sambughetti.
Furono coinvolti, oltre a numerosi centri della provincia di Messina,
ed Enna, anche le due Petralie, Pollina, Gangi, Geraci Siculo e
S.Mauro Castelverde.
9
1.2 La sismicità della Valle del Belice e della provincia di Palermo
La Valle del Belice era considerata fino al terremoto del 1968
una delle cosiddette “aree asismiche” e di conseguenza urbanizzata
con strutture fatiscenti ed edifici incapaci di resistere alle
sollecitazioni meccaniche, consistenti in grotte e capanne adibite ad
abitazioni. Eppure, in passato erano accaduti eventi sismici: basta,
infatti, dare un’occhiata al lavoro “Istoria cronologica dei terremoti di
Sicilia” edita nel 1743 da A. Mongitore, per rendersi conto che in
tempi storici, sismi di mediocre entità avevano interessato la Sicilia
occidentale, aprendo la strada al “grande evento”. Nel 1259, un
terremoto molto forte colpì la città di Trapani, e nel 1593, un rovinoso
terremoto interessò Corleone e gran parte della Sicilia occidentale.
Molto risentito fu il violento sisma di Palermo del 1660 e nel 1726, un
altro sisma interessò Trapani e Monte S.Giuliano. Nel maggio del
1727, a Palermo, Partanna, S. Ninfa, S. Margherita di Belice,
Villafranca Sicula e Agrigento, fu avvertito un sisma che fu seguito da
un parossismo d’eventi fino all’Agosto del 1727, con un sisma del VII
grado, della scala Mercalli con epicentro a mare nei pressi di Sciacca.
E’ importante ricordare la scossa rovinosa (VIII grado) avvenuta nel
giugno 1740 nei dintorni di Sciacca, che provocò danni a Mazara del
Vallo e a Palermo. Ancora ,nel 1823 un terremoto causò gravi danni a
Palermo,a Grisì, nel comune di Monreale, e venne danneggiata l’intera
costa settentrionale della Sicilia. Nel centro sismico di Corleone forti
scosse si susseguirono dal 18 al 22 aprile 1845, e, un lungo e molto
intenso periodo sismico, da aprile a dicembre 1876, le cui scosse più
intense (25 maggio e 10 giugno) furono sentite a Bisacquino,
Campofiorito, Roccamena, Piana degli Albanesi, Marineo,
10
Mezzojuso, Prizzi e Palazzo Adriano. Il 20 novembre 1954 fu sentita
una scossa che poi fu seguita da numerose repliche fino al Febbraio
1955. Nel maggio del 1957 è avvenuto un sisma di V grado a
Margherita di Belice, che è stato avvertito anche a Sambuca di Sicilia
e Caltabellotta, Sciacca, Menfi, Montevago, Salaparuta e Gibellina.
Nel 1968, avvenne l’evento della Valle del Belice che causò quasi la
completa distruzione dei centri abitati di Gibellina, Salaparuta,
Montevago, e notevoli danni in numerosi centri siciliani. Solo da
questo momento, si considerò la Valle del Belice, come una delle più
importanti regioni sismiche della Sicilia occidentale.
1.2.1 La sequenza sismica della Valle del Belice:
Sicilia sud-occidentale(1968).
La sequenza sismica della Valle del Belice, iniziata il 15 gennaio
1968 , caratterizzata da sei principali shock con magnitudo compresa
tra 5 e 5.4, rappresenta l’evento sismico più forte registrato nella
Sicilia occidentale in tempi storici.. Durante la fase parossistica, le
località ripetutamente colpite furono quelle contenute entro il
quadrilatero compreso tra le latitudini 37°40 E e 38°05 N e le
longitudini 12°45 E e 13°70 E .
Le posizioni epicentrali si distribuirono prevalentemente lungo la
Valle del fiume Belice, in dieci punti diversi entro un’area di 550 km
2
.
Le profondità ipocentrali erano comprese fra un minimo di 28 km ed
un massimo di 57 km.
La Valle del Belice è un area assolutamente deficiente di rilievi e
strutture di faglie evidenti, infatti, è interessata da pieghe gentili e
blande, come si osserva in fig.1.2.1e i primi thrusts si rinvengono nel
rilievo di Montagna Grande, a nord, e nell’area di Sciacca , a sud. La
11
Valle del Belice giace sul segmento centrale della Catena a pieghe e
falde, siciliana, che secondo Mazzoli et al., (1994) potrebbe essere il
risultato post-collisionale della convergenza diretta NNW, tra le
placche dell’Europa e dell’Africa, dal Tortoniano Superiore
all’Attuale. Essa coinvolge le successioni carbonatiche Mesozoiche-
Paleogeniche, (fig.1.2.1) rappresentanti la copertura sedimentaria di
un segmento del paleomargine continentale della Neotetide (Catalano
and D’Argenio, 1978, 1982; Mascle, 1979)e i sedimenti terrigeni
Miocenici. Questa successione è in posto ed è tettonicamente ricoperta
dai terreni alloctoni del Flysh Numidico (Mascle, 1974; Vitale, 1990).
I carbonati sono circondati dai piani di thrusts che si presentano
articolati in una geometria di rampe frontali dirette ENE, lateralmente
congiungenti con rampe oblique orientate NW, caratterizzate da una
componente laterale - destra di movimento (Catalano et al., 1978). A
Nord, dal Lago Arancio alla rampa del thrust di Montagna Grande,
affiorano i sedimenti del Miocene superiore – Pliocene, correlati ad un
12
Fig.1.2.1 Mappa geologica-tettonica della Valle del Belice a scala 1:33000
(Monaco et al., 1996)
13
sistema di bacini tipo piggy-back, che formano un’ampia depressione
sinforme (sinclinale del Belice), riempita di depositi terrigeni del
Pliocene superiore. Essi verso sud, ricoprono i sedimenti di
piattaforma Meso-Cenozoici, dal Lago Arancio alle rovine di
Gibellina, che sono a loro volta coinvolte dal sistema compressivo di
Rocca Ficuzza (Monaco et al., 1996). Vicino alle rovine di Gibellina,
questa sequenza giace in discordanza sui Trubi e sulle evaporiti
Messiniane, affetti da pieghe sud- vergenti. Probabilmente queste
strutture sono da correlare a thusts ciechi immediatamente sotto la
superficie. Sia i dati geofisici che quelli geologici, forniscono
evidenza di una rottura della rampa di thust, immergente a NNW,
durante la sequenza sismica: secondo questa ipotesi, la rampa attiva
del thrust sotto la Valle del Belice, rimane cieco, e quindi invece, di
comparire in superficie immediatamente a sud dell’area più devastata,
il thrust si appiattisce in corrispondenza di un piano di scollamento,
individuato attorno a 2 km (Suppe, 1983) dentro la copertura
sedimentaria. Lo spostamento lungo il piano di scollamento genera
delle rampe minori, che si congiungono al thrust di Sciacca e
compaiono in superficie.
La distribuzione epicentrale, le isolinee del danno cumulativo
(fig. 1.2.2) e la taglia delle strutture superficiali, come le pieghe
(sinclinale del Belice, anticlinale del Fiume Freddo), e le strutture
imbricate (Rocca Ficuzza, Monte S. Calogero), suggerirebbero una
larghezza di circa 40 km, per le strutture attive nascoste. Tale rampa
crostale potrebbe rappresentare un segmento di un faglia normale
Mesozoica, invertita durante il processo Neogenico compressivo,
conseguente alla collisione continentale Africa-Europa.
14
Td > 8 0 %
50%< Td< 80%
15%< Td< 5o%
PALERMO
SAM BUC A
CASTELVETRAN O
C O NTESSA
ENTELL INA
CAMPOREALE
RO C CA M ENA
S.MARGHERITA
BELI C E
M O NTEVAG O
SALAPARUTA
PO G G IO REALE
G I BELLI NA
S.NINFA
PARTANNA
SALEMI
VI TA
MARSALA
SCIACCA
CANALE DI SICILIA
MAR TIRRENO
MENFI
Fig. 1.2.2 Mappa delle linee di uguale danno totale (Td) della sequenza sismica del 1968.
Attualmente si sconosce, l’insorgenza di faglie in occasione dello
sciame sismico del 1968, ma non si esclude la riattivazione di strutture
sepolte, piuttosto sembrerebbe che la sequenza sismica del 1968 fu
probabilmente il risultato di tante piccole rotture di un piano di thrust,
che la conseguenza di una singola faglia (Monaco et al. 1996). Questo,
però, non significa che in occasione del sisma non si siano prodotte
variazioni plano-altimetriche permanenti, che si possono mettere in
evidenza tramite misure topografiche di precisione. In seguito, ai
numerosi studi effettuati, dopo la sequenza sismica, Mascle (1968)
descrisse una superficie quaternaria fagliata e ruotata a sud della zona
epicentrale vicino al villaggio di Montevago. Si trattava di una faglia
verticale, immergente verso nord ovest-sud est e soprattutto tuttora
attiva anche se non sembra essere connessa con la sequenza sismica
del 1968. Inoltre, fu osservato che queste zone sono caratterizzate da
margini sismicamente attivi tra zolle crostali a diversa mobilità. Nel
1973, Bosi et al., individuarono le giunzioni in due allineamenti nei
quali erano distribuiti gli epicentri delle scosse principali: una fascia
15
allungata in direzione WSW-ENE e delimitata dal bordo settentrionale
dei Monti Sicani, e la direttrice Castelvetrano-Monte Finestrelle.
Michetti et al. (1995), in seguito a studi di paleosismicità sulla Valle
del Belice indicarono che la pendenza verso sud ovest della sella
all’interno della struttura di Monte Porcello, era una giovane (?)
scarpata di faglia generata dalla faglia di Monte Porcello, che corre
alla base della scarpata e che il continuo cambiare della morfologia
della sella era legato all’attività di questa faglia, le cui geometria e
senso di movimento bene si accordano con le soluzioni focali proposte
da Anderson e Jackson (1987) per lo sciame sismico del 1968. In
realtà, la faglia di Monte Porcello è un elemento tettonico di secondo
ordine dentro la zona trascorrente della Sicilia sud-occidentale, a cui
sembra essere correlata la sorgente sismica dei terremoti del 1968 (
Argnani et al. 1989; Scandone et al. 1992). Da questi studi, Michetti et
al.,(1995) si accorsero che con un accurato studio paleosismico
dell’area sarebbe stato possibile annoverare la Valle del Belice tra le
aree sismiche e dunque non essere colti di sorpresa al momento
dell’evento del ’68. Inoltre, studi condotti da Monaco et al. (1996)
hanno rilevato che la distribuzione epicentrale degli eventi con M>4,
interessa un’area di forma ellittica elongata nella direzione ENE-
WSW che si estende da circa 35 km lungo i suoi assi maggiori da
Castelvetrano a Contessa Entellina. Nella parte a NNW all’incirca
normale all’asse maggiore dell’area sismica, i sismi tendevano ad
allinearsi lungo una superficie immergente a Nord caratterizzata da
un’inclinazione di circa 60°. Buona parte degli studiosi ritiene che la
crosta si assottiglia notevolmente verso il bacino meridionale del
Mediterraneo e quindi i sismi della Valle del Belice avrebbero il loro
ipocentro nelle immediate vicinanze della Moho.