6
luogo, che la ricerca toponomastica – e io aggiungerei anche
quella antroponomastica- non si può condurre se non «al
lume della linguistica». Interessante, in tale ambito, mi è
apparsa, infine, l’analisi circa la presenza di elementi
dialettali, tanto nei toponimi quanto negli antroponimi, per
dimostrare come alcuni di questi tratti linguistici locali siano
andati incontro, nel corso degli anni, a una vera e propria
“cristallizzazione” e, in molti casi, si siano imposti
definitivamente nell’uso corrente.
Per portare avanti una simile indagine, di tipo
sostanzialmente diacronico, il primo passo è consistito
necessariamente nell’individuazione di un campione di
toponimi e nomi di persona, da assumere come punto di
partenza per un confronto con la situazione attuale.
La scelta è caduta su una fonte documentaria di
primaria importanza quale quella rappresentata dai catasti
onciari di fine Settecento.
Non si è trattato, del resto, di una designazione
casuale. Il catasto onciario, infatti, al di là dei dati socio-
economici obiettivamente fornitici per il XVIII secolo,
costituisce una fonte unica sotto il profilo linguistico, dal
momento che contiene la più antica, ricca ed omogenea
7
raccolta di toponimi ed antroponimi, utile per uno studio di
carattere locale.
Ringrazio la professoressa Maria Teresa Greco che, con i suoi preziosi suggerimenti,
mi ha consentito un più facile orientamento nella lettura delle pagine del catasto,
nonché l’architetto Rocco Vitolo, dipendente del Comune di Nocera Inferiore, e il
dottore Vincenzo Palazzo, della società “Gsi”, per avermi fornito informazioni e dati
utili allo studio dei toponimi e degli antroponimi.
8
Capitolo 1
L’autorevolezza della fonte scelta
9
1.1. I catasti onciari.
Gli atti dei catasti onciari riflettono il complesso
lavoro di rilevazione e di descrizione dei beni e delle rendite
dei sudditi del Regno di Napoli, voluto da Carlo di Borbone
e realizzato, con risultati che la storiografia moderna ha
dimostrato di modesta consistenza, a partire dal 1741. Si
tratta di una sorta di anagrafe tributaria che riporta i
possedimenti e i redditi di ciascuna famiglia detenuti nei
rispettivi comuni e anche fuori
1
.
I documenti che li costituiscono sono
sostanzialmente di tre tipi: atti preliminari (dichiarazioni
dei deputati del catasto, verbali di adunanze e di operazioni
svolte dagli estimatori, lettere, suppliche e comparizioni di
cittadini), apprezzi (la valutazione dei redditi e dei pesi
condotta dall’autorità comunale in contraddittorio con gli
interessati) e stati delle anime, generalmente cuciti in
volume; le “rivele”, ossia le denunce preventive dei
capifamiglia censiti, relative alla composizione dei rispettivi
nuclei familiari, ai redditi in godimento e agli immobili
tenuti in proprietà con la descrizione di ciascun cespite e
delle partite passive; gli “onciari”, costituiti da stati di
1
Questa nuova forma di censimento dei beni dei sudditi doveva rispondere, almeno
nelle intenzioni, a più razionali criteri di accertamento patrimoniale per una più equa
distribuzione del carico fiscale. Cfr. AUGUSTO PLACANICA, Presentazione, ne «Il
Mezzogiorno settecentesco attraverso i catasti onciari», vol. I – Aspetti e problemi
della catastazione borbonica (Atti del seminario di studi 1979-1983), Napoli, Edizioni
Scientifiche Italiane, 1983, pp. 5-17.
10
famiglia e descrizioni dei luoghi di residenza, delle attività
lavorative, dei beni e dei pesi da dedurre, dei debiti per le
cause più diverse, insieme con l’indicazione del reddito
imponibile, ottenuto operando la differenza tra attivo e pesi,
e la determinazione finale (secondo aliquote differenziate in
relazione alle esigenze di bilancio dell’Università di
appartenenza) del gravame fiscale
2
, espresso in once (antica
moneta di conto, da cui deriva la denominazione di catasti
onciari).
Al di là degli effettivi risultati dell’operazione
3
, il
catasto onciario rappresenta oggi una fonte di grande utilità
per ricostruire la ripartizione e le condizioni della proprietà
del regno, nonché la struttura delle famiglie dei suoi abitanti
alla metà del ‘700. Per quanto riguarda gli immobili urbani,
la descrizione, in genere, era sommaria, limitandosi
all’indicazione dei rapporti proprietari, con la distinzione tra
le case in fitto e quelle in proprietà sul totale degli edifici, e
a qualche cenno sulle strutture architettoniche, con la
2
«Che i pesi sieno con uguaglianza ripartiti, e che ‘l povero non sia caricato più delle
sue deboli forze, ed il ricco paghi secondo i suoi averi», scriveva Carlo di Borbone
nelle Istruzioni della Regia Camera della Sommaria relative alla riforma catastale.
Cfr. FRANCESCO BARRA, Pensiero riformatore e azione di governo. Il dibattito
sul catasto nel Mezzogiorno settecentesco, ne «Il Mezzogiorno settecentesco
attraverso i catasti onciari», vol. I – Aspetti e problemi della catastazione borbonica
(Atti del seminario di studi 1979-1983), Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, 1983,
pp. 19-76.
3
Molto si è dibattuto sul fatto che non risultano tutte e sempre presenti nella
catastazione onciaria alcune frange della società del tempo, allora non tenute a subire
accatastamento o per via di normative privilegiate (la Chiesa o la feudalità, ma solo in
parte) o per inesistenza o eccessiva esiguità del reddito. Cfr. AUGUSTO
PLACANICA, Presentazione, cit.
11
distinzione tra case a un solo piano, a due piani, con o senza
orto contiguo, «palaziate», «solarate» ecc.
Più articolato, invece, era il quadro dei fondi rustici.
I dati catastali, infatti, consentono la ricostruzione del
paesaggio agrario e dei rapporti sociali nelle campagne, con
l’individuazione delle colture prevalenti, del livello di
sfruttamento e di resa, del tipo e dell’intensità di presenza
dei manufatti, della proporzione con l’incolto produttivo.
L’onciario, in ogni caso, se non aveva lo scrupolo
descrittivo degli immobili, rustici o urbani che fossero, in
compenso offriva dei dati che un catasto attuale non
presenta. Dai vari registri, infatti, si possono trarre
interessanti notizie relative ai singoli nuclei familiari (o
“fuochi”), con l’indicazione dei componenti, ivi compresi i
conviventi estranei alla parentela, la loro età, sesso, attività
lavorativa e condizione sociale, nonché l’ubicazione dei
beni posseduti, con i nomi delle località e i confini. Accanto
alle informazioni sugli immobili, usati in proprio o concessi
a terzi a titolo oneroso (fitti, canoni ed estagli colonici,
contratti vari), e sull’attività personale («industria»), si fa
cenno, poi, alla gestione di capitali con i relativi proventi
4
,
eventualmente all’industria zootecnica e al possesso di
4
La massa dei dati del catasto onciario rassomiglia molto da vicino alla massa dei
dati delle nostre correnti dichiarazioni Irpef del modello 740, con aggiunti taluni
elementi descrittivi in più a proposito degli immobili e dei redditi da lavoro. Cfr.
AUGUSTO PLACANICA, Presentazione, cit.
12
servitù attive, infine ai debiti per le cause più diverse
(capitali ottenuti, maritaggi, censi passivi, pesi di messe,
ecc.).
5
Non va dimenticato che questa nuova forma di
censimento riguardava anche i cospicui beni degli
ecclesiastici, di cui è possibile ricomporre, con la dovuta
approssimazione, consistenza e ubicazione. Si tratta,
insomma, di una vera e propria fotografia dell’assetto
sociale e urbano dei comuni, o università (il Regno di
Napoli ne contava oltre duemila), come si chiamavano alla
metà del secolo XVIII, epoca a cui risalgono i catasti. A ben
vedere, insomma, questi ultimi offrono un quadro di grande
complessità, ma di eccezionale interesse per procedere alla
ricostruzione del contesto territoriale, ambientale e
socioeconomico sullo sfondo delle trasformazioni in corso
nel Regno borbonico.
Eppure, nonostante la loro ricchezza, gli onciari
rimangono curiosamente una delle fonti meno sfruttate e
consultate dagli studiosi della realtà meridionale. Dopo i
pionieristici lavori di Pasquale Villani, che pure generano
una certa effervescenza di interesse e di iniziative, le più
note delle quali furono quelle promosse intorno alla metà
degli anni Ottanta dal centro di studi “Antonio Genovesi”,
lo studio dei catasti è stato largamente trascurato, al punto
5
Cfr. AUGUSTO PLACANICA, Presentazione, cit.
13
che, negli ultimi tempi, gli storici sembrano averlo quasi del
tutto abbandonato.
6
Le ragioni di questa altalenante fortuna non sono
facilmente decifrabili. Certo, il ritardo con il quale in Italia
ci si è accostati ai catasti onciari rispecchia quello più
generale che ha contrassegnato, nel nostro Paese, le ricerche
di demografia storica e di storia della famiglia, in
particolare. La mancanza di sintonia fra i lavori degli storici
italiani dedicati alla ricostruzione delle strutture della
popolazione e dell'economia del Sud d'Italia e lo stato della
ricerca internazionale ha portato nel giro di pochi anni a un
rilevante calo d'attenzione per la documentazione onciaria.
L'apparente ripetitività dei dati che questa contiene ha, del
resto, reso tale disinteresse ancor più drammatico.
Ciò ha impedito anzitutto di individuare e sfruttare
le straordinarie possibilità, aperte proprio dalla fonte
catastale, di cogliere con immediatezza le specificità e la
pluralità dei meccanismi di riproduzione economica, sociale
e demografica delle regioni meridionali: gli stessi
meccanismi che, operanti nel corso dell' età moderna, si
impongono ancor oggi con l'inerzia della lunga durata.
6
Cfr. GIUSEPPE POLI, Le indagini sui catasti onciari nella recente storiografia, ne
«Il Mezzogiorno settecentesco attraverso i catasti onciari», vol. I – Aspetti e problemi
della catastazione borbonica (Atti del seminario di studi 1979-1983), Napoli, Edizioni
Scientifiche Italiane, 1983, pp. 77-105.
14
Oggi, però, sembra quanto mai opportuno
riprendere, con umiltà, ma con rigore, le indagini sui catasti
onciari, anche perché, nel frattempo, si è ormai assorbito ed
è stato in una certa misura colmato quel senso di inferiorità
metodologica degli storici che ne aveva causato
l'abbandono. Lo studio dei catasti andrebbe, dunque,
affrontato di nuovo, possibilmente comunità per comunità, e
dovrebbe essere integrato, quando risulta possibile, dalle
altre fonti locali.
15
1.2. Il fondo “Onciari” dell’Archivio di Stato di Napoli.
Tutto l’immenso fondo dell’onciario, conservato
nella sala catasti (già sala del Capitolo dei monaci)
dell’Archivio di Stato di Napoli, rappresenta forse la fonte
documentaria più rilevante per la ricostruzione storica della
vita del Mezzogiorno d’Italia in età moderna.
I volumi rilegati in pergamena trovano posto nella
scaffalatura in serie progressiva da sinistra a destra, con
l’indicazione del numero archivistico sul dorso. Si tratta, in
totale, di 9053 pezzi, archiviati per province (Napoli, Terra
di Lavoro, Abbruzzo Ultra 1, Abbruzzo Ultra 2, Abbruzzo
Citra, Principato Citra, Principato Ultra, Basilicata, Calabria
Citra, Calabria Ultra 1, Calabria Ultra 2, Capitanata, Molise,
Terra d’Otranto, Terra di Bari) e relativi distretti. I singoli
fasci sono reperibili attraverso il nome del comune e del
distretto e gli estremi cronologici che sotto il numero
archivistico indicano gli atti preliminari, le rivele e
l’onciario.
7
A Napoli, pertanto, è depositato tutto il fondo
archivistico della Regia Camera della Sommaria
8
, cui, una
volta espletata la «confezione» del catasto, era trasmessa
7
Cfr. LIDIA CASTALDO MANFREDONIA, Il fondo «Catasti Onciari» conservato
nell’Archivio di Stato di Napoli, ne «Il Mezzogiorno settecentesco attraverso i catasti
onciari», vol. I – Aspetti e problemi della catastazione borbonica (Atti del seminario
di studi 1979-1983), Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, 1983, pp. 271-274.
8
Una sorta di Ministero del Tesoro dell’epoca borbonica.
16
una copia delle carte, mentre un’altra era destinata a
rimanere presso la sede comunale. «Con il passare degli
anni, però, una parte cospicua di tali carte è migrata dalla
sede comunale all’archivio di stato del capoluogo, in
relazione alle normali operazioni di versamento; in altri casi,
invece, i comuni hanno mantenuto presso di loro i
documenti catastali. Molto spesso, però, della copia
appartenente al comune oggi non vi è più traccia».
9
9
MIRELLA MAFRICI, Documenti della catastazione onciaria negli Archivi di Stato
del Mezzogiorno, ne «Il Mezzogiorno settecentesco attraverso i catasti onciari», vol. I
– Aspetti e problemi della catastazione borbonica (Atti del seminario di studi 1979-
1983), Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, 1983, pp. 325-329.
17
1.3. I catasti “nocerini”.
Anche a Nocera Inferiore, per la scarsa sensibilità
dimostrata in genere dagli amministratori verso il problema
della conservazione del materiale archivistico d’importanza
storica
10
, gli atti degli onciari, fino a qualche anno fa’,
sembravano irrimediabilmente perduti.
La recente opera di sistemazione dell’archivio
storico comunale, con la realizzazione di un accurato
10
Cfr. ANNA MARIA MURAGLIA, I catasti onciari conservati negli archivi
comunali della Campania, ne «Il Mezzogiorno settecentesco attraverso i catasti
onciari», vol. I – Aspetti e problemi della catastazione borbonica (Atti del seminario
di studi 1979-1983), Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, 1983, pp. 349-350.
18
inventario a cura dello storico locale Raffaele Pucci, da
poco scomparso, ha consentito di rinvenire e catalogare
alcune copie degli onciari di pertinenza della Città di Nocera
de’ Pagani e, per la precisione, quelli delle Università del
Corpo e di San Matteo che, insieme a Sperandei, tutte e tre
appartenenti al distretto di Salerno, a sua volta dipendente
dalla provincia del Principato Citeriore, comprendevano il
territorio delle attuali Nocera Inferiore e Nocera Superiore.
Si tratta, per la precisione, di due volumi relativi al
catasto dell’Università del Corpo, risalenti al 1754,
altrettanti relativi alla revisione del medesimo catasto,
risalenti al 1794, e, infine, una copia autentica dell’onciario
dell’Università di San Matteo Tre Casali del 1754, redatta
nel 1799, come risulta, al suo interno, da una dichiarazione
del Prefetto dei Regi Archivi, Francesco Orlando, e dei suoi
aiutanti.
Proprio quest’ultimo libro è stato preso in esame per
la selezione del campione di toponimi, prenomi e cognomi
da analizzare. Le difficoltà incontrate nell’interpretazione
della grafia, anche a causa del cattivo stato di conservazione
del fascio, hanno, però, reso necessario il ricorso al catasto
originale, custodito nell’Archivio di Stato di Napoli.
Trattandosi della copia riservata alla Regia Camera della
Sommaria, i compilatori sono stati evidentemente più
scrupolosi nella scrittura, utilizzando una grafia che appare
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sostanzialmente uniforme dall’inizio alla fine e, quindi, più
facilmente comprensibile.