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1. INTRODUZIONE ALL’ECONOMIA ISLAMICA
Le civiltà fondate su religioni di tipo monoteistico hanno risentito storicamente nei loro ordinamenti
giuridico-economici, dei principi religiosi. La vera differenza, che ha portato alla spaccatura tra il
mondo occidentale e quello arabo, si è venuta a creare nel momento in cui il mondo cristiano ha
modificato tale visione, sostituendola con una più squisitamente laica.
La concezione liberale trova riscontro nell'affermazione delle libertà fondamentali e, tra queste, quella
religiosa, connessa alla libertà di coscienza, di opinione e di pensiero, condivise senza riserve dai
sistemi politici giuridici dei paesi europei e da molteplici paesi di diversi continenti influenzati proprio
dall'applicazione del pensiero liberale. Così non è stato e non è nella realtà islamica che, rimasta
ancorata ad un orientamento tradizionale, perpetua l'irrinunciabilità di certi principi basilari contenuti
nel Corano ed affermati nella Legge Sacra.
Una rilevanza pressoché totale delle norme coraniche che esprimono la loro valenza al di là del mero
valore morale, divenendo veri e propri principi irrinunciabili, sui quali formare ed ai quali ispirare il
comportamento di tutta la collettività. Un modello di riferimento, dunque, dal quale traggono
ispirazione tanto il sistema legislativo che quello economico.
Il principale aspetto di contrasto con la pratica finanziaria occidentale è il divieto di pagamento degli
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interessi equiparati all’usura (Riba). La proibizione della Riba si fonda sul credo secondo il quale non
ci può essere guadagno senza l’assunzione di rischi: il profitto, in una visione islamica, sarebbe
legittimato solo dal rischio.
Oltre alla Riba sono espressamente vietate pratiche economiche che implicano i concetti Gharar
(“irragionevole incertezza”, ambiguità), Maisir (speculazione) ed Haram (ciò che è esplicitamente
proibito dal Corano, ossia attività economiche connesse alla distribuzione/produzione di alcol, tabacco,
armi, carne suina, pornografia, gioco d’azzardo etc).
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Alcuni economisti islamici degli anni ’50 del secolo scorso, consci dei problemi che questa prescrizione comporta, hanno sostenuto
che il divieto fosse diretto a bloccare esclusivamente le pratiche finanziarie socialmente dannose come ad esempio l’usura, ma non
escludesse completamente il pagamento degli interessi. Tuttavia questa posizione è rimasta minoritaria. Essendo rigettata la nozione di
interesse come remunerazione per il differimento del consumo, il concetto di risparmio perde dunque il significato datogli dall’economia
convenzionale (ossia scelta di consumo intertemporale) e per questo non merita il pagamento di un prezzo. Ciò ha implicazioni per la
teoria economica, con particolare riferimento alla politica monetaria (si veda Vadalà 2004).
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Cambia sostanzialmente il rapporto di intermediazione tra cliente/depositante e istituzione finanziaria
che si basa sulla compartecipazione al rischio di impresa e non come tra prestatore e prestatario.
Secondo l’interpretazione più rigida della dottrina, l’istituzione finanziaria agisce come una sorta di
agente d’investimento, che può comunque investire i propri capitali insieme a quelli dei
clienti/depositanti in attività regolate secondo varie metodologie di finanziamento
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1.1. Evoluzione dell’Islamic Finance
Benché la Shari’a abbia rappresentato da oltre un millennio la cornice di riferimento etica dell’attività
commerciale islamica, il fenomeno di finanza islamica è in pratica contemporaneo.
Le prime iniziative strutturate risalgono all’inizio degli anni ’60 in Algeria ed Egitto, dove vennero
costituite banche islamiche pubbliche. Il processo subì una netta accelerazione agli inizi degli anni ’70
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quando venne istituita la Islamic Development Bank (IDB) con la missione di favorire nei paesi
membri e nelle comunità musulmane, uno sviluppo economico e sociale coerente con i precetti
coranici.
La prima banca privata islamica, la Dubai Islamic Bank, è nata nel 1975. Nel 1979, invece, il Pakistan
è stato il primo paese a sancire l'islamizzazione dell'intero sistema bancario, seguito, nel 1983, da
Sudan ed Iran..
Attualmente il sistema bancario islamico conta quasi duecento istituti finanziari ed assorbe il 30% del
risparmio del settore privato dei paesi islamici. Si prevede che la sua quota raggiunga il 50% entro il
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2010 ed il 60-70% entro il 2020.
L'apertura nel 1996, da parte della Citybank, di una propria filiale islamica – la Citi Islamic Investment
Corp – nel Bahrain ha dato il via, inoltre, anche all'interesse degli istituti di credito occidentali in
questo specifico segmento bancario; sovente le banche occidentali prediligono l'apertura di singoli
sportelli islamici, piuttosto che la costituzione di intere filiali.
In ordine cronologico l'ultima banca occidentale ad aprire una filiale islamica è stata la svizzera UBS
che, alla fine del 2002, ha costituito la Noriba Bank in Bahrain, allo scopo di sfruttare le opportunità
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offerte da questo eccezionale segmento di mercato ancora per niente saturo.
L’evoluzione ha visto il passaggio da strumenti finanziari elementari adoperati in operazioni
commerciali bilaterali a forme più complesse quali l’emissione di titoli di debito e/o di capitale etc.
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Istituzione finanziaria multilaterale con sede in Arabia Saudita ed avente come azionisti oltre 50 paesi musulmani. I principali azionisti
sono l’Arabia Saudita (circa 25%) ed il Kuwait (circa12%)
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Relazione del Presidente della Camera di Commercio Italo-Araba, Sergio Marini per il Convegno sulle Banche Islamiche
tenutosi il 19 dicembre 2002, presso la sede ABI a Roma.
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Karen Iley e Mona Megalli "Western banks eye billion dollar Islamic market" – Reuters.com dell'8.8.2002
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Questi ultimi sono, in linea di principio, preferiti ai primi in quanto consentirebbero un più stretto
legame con l’economia reale.
Tra i fattori determinanti nella diffusione della finanza islamica vi sono stati:
• l’esigenza di investire in attività coerenti con la Shari’a parte degli incrementati introiti
derivanti dal petrolio (effetto del doppio shock degli anni ’70 e recentemente dai continui
apprezzamenti dell’oro nero)
• la rivoluzione in Iran del 1979 che portò alla completa islamizzazione del sistema finanziario in
quel paese
Lo sviluppo del fenomeno ha registrato una relativa battuta d’arresto nel corso degli anni ’90 per
diversi fattori tra i quali: riduzione degli introiti petroliferi, frenata nella crescita del commercio
mondiale, instabilità dell’area medio-oriente, crisi finanziaria nel Sud- Est Asiatico, scandalo della
BCCI in Bahrain (che coinvolse molte banche islamiche).
Tuttavia gli attentati dell’11 Settembre del 2001 e la conseguente congiuntura petrolifera, caratterizzata
da prezzi crescenti, hanno rinvigorito il fenomeno.
Molte ricche famiglie medio-orientali hanno iniziato il rimpatrio dei propri risparmi detenuti in dollari
ed in altre valute straniere per timori di “congelamento” e li hanno dirottati verso banche e/o altre
istituzioni finanziarie islamiche.
Si stima che le attività in valuta estera detenute dagli abitanti (individui, governi, corporate) dei paesi
Medio-Orientali e del Golfo Persico ammontino a una cifra compresa tra 700 e i 900 miliardi di
dollari, destinati a crescere data l’attuale dinamica dei prezzi petroliferi.
L’atteggiamento dei governi dell’area MENA (Nord-Africa e Medio-Oriente) verso lo sviluppo del
fenomeno non è stato sempre univoco: favorito in paesi quali, ad esempio, Giordania e Sudan ha
trovato invece ostacoli in altri quali Algeria, Iraq, Libia, Siria.
L’islamic banking è stato spesso ostacolato in quei paesi votati alla laicità dello stato perché
erroneamente ritenuto un passo indietro verso il cammino dell’occidentalizzazione.
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2. LEGAMI CON LE FONTI SACRE
Letteralmente ISLAM significa devozione a Dio e più specificatamente ad Allah che ha comunicato
con gli uomini attraverso i profeti, da Abramo a Gesù sino a Maometto, ai quali ha rivelato il suo
messaggio, così come descritto nel Corano, unico Testo Sacro.
I Musulmani, pur essendo presenti in più parti del mondo e nonostante gli scismi che nel tempo si sono
sviluppati nell'ambito dell'Islam, nel rispetto della diversità sono tutti legati da una fondamentale ed
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irrinunciabile unità rappresentata dalla Shari’a la legge sacra dell'Islam, che designa l'intero
complesso di norme che regola tutti gli aspetti pubblici e privati, sociali ed economici, religiosi e
politici della vita dei credenti musulmani.
La religione, quindi, come tutte le religioni monoteistiche che credono nella determinazione dei
modelli comportamentali, influisce in maniera diretta sul diritto e su tutti gli aspetti della sfera
pubblica.
Per il Corano è proibita la rendita finanziaria, ma non quella commerciale. Nonostante l'apparente
somiglianza, per l'Islam i profitti ottenuti dal commercio sono assolutamente diversi rispetto a quelli
ottenuti dal prestito (sura 2, versetto 275) e tale distinguo offre l'opportunità di approntare prodotti etici
che soddisfino le esigenze dell'utente senza offendere la sua religiosità.
2.1. Lo Zakat
La zakat è la tassa generalizzata sulla ricchezza, con aliquota del 2,5%, che grava sulla proprietà di
beni non sfruttati per fini produttivi. Essa rappresenta, assieme al filtro islamico e alla proibizione
della riba, il terzo pilastro dell’islamic economics.
Letteralmente zakat significa “purificazione” e il suo pagamento viene considerato dagli islamismi
essenziale perché purifica la ricchezza dalla sua malefica tendenza ad accumularsi nelle mani di pochi.
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La Shari’a è fondata sull’interpretazione della legge divina contenuta nel Corano e nella Sunna del profeta Maometto.
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La shari’a riconduce l’istituzione di questa tassa al credo fondamentale che tutto appartiene a dio e
quindi parte dei beni posseduti va devoluta alla comunità per far fronte alle esigenze di tutti i membri.
La zakat è essenzialmente un sistema di redistribuzione della ricchezza che dovrebbe arginare i
fenomeni di povertà.
Dal punto di visto economico, l’applicazione di una tassa su una base imponibile costituita da una
ricchezza non produttiva dovrebbe avere effetti positivi, con un aumento dell’efficienza nell’utilizzo
delle risorse e un disincentivo a lasciare improduttivi i propri beni per evitare il pagamento della tassa.
La zakat viene calcolata solo su determinati redditi, come ad esempio sui possedimenti di oro ed
argento, nonché di bestiame o sui prodotti agricoli di prima necessità ( “Uchur”, ossia il “dare
immediatamente dopo la raccolta della mietitura”).
Oggi le banche Islamiche prevedono un fondo speciale per la raccolta dello zakat, il quale viene in
genere utilizzato per l'erogazione di mutui particolari. Per il calcolo di quanto dovuto riguardo al
pagamento della Zakat si applicano regole alquanto complesse.
Nel caso in cui la somma sia in contanti, la cosa è facile. Ma se uno possiede ricchezza in merce o in
materiale commerciabile, allora deve valutare la propria ricchezza al termine di ogni anno e versare la
zakat al medesimo tasso del 2,5% sul valore totale della ricchezza. Se il suo denaro è investito in
immobili come case e industrie che siano fonte di reddito, la zakat va calcolata sul totale netto del
reddito, non sul valore totale della proprietà. Se invece costruisce case e edifici per poi venderli, la
zakat deve essere calcolata sul valore totale della proprietà. Se uno è creditore e il debitore è solvibile,
il creditore deve pagare la zakat anche sulla cifra che gli spetta, perché essa fa parte della sua
ricchezza. In ogni caso, bisogna ricordare che si paga la zakat soltanto sul bilancio netto. Le spese
personali, le spese familiari, le spese necessarie, il pagamento dei debiti: tutto ciò viene prima, e la
zakat viene calcolata sul bilancio netto. Bisogna anche ricordare che il tasso del 2,5% è solo un
minimo.
La zakat può essere distribuita direttamente a persone di una o più delle categorie suddette oppure a
organismi che si occupino di tali categorie. Può anche essere distribuita sotto forma di borse di studio a
studenti e ricercatori brillanti e promettenti, ovvero come garanzia ad organismi e istituzioni di
pubblico servizio che tutelino tali cause.
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