II
tutti coloro che abbiano una presenza in rete; sicuramente le imprese nate “con” e
“sul” web, perché scaturite dal processo innovativo introdotto dalle ICT, ma pure
quelle tradizionali, ovvero preesistenti già nel “mondo reale”, che decidono di
ampliare strategicamente la propria presenza anche in quello virtuale.
Le aziende che svolgono il proprio business on line, quindi, hanno la
possibilità di conoscere lo stile di vita, le preferenze e gli eventi significativi della
vita dei loro clienti, mentre questi ultimi hanno la possibilità di disporre di
maggiori informazioni sulle aziende e sui prodotti/servizi. Questo è possibile
perché internet facilita il dialogo all’interno di cerchie di individui e tra gruppi
distinti; per questo, si sta evolvendo una cultura di condivisione della conoscenza
attraverso forum di discussione, siti che ospitano recensioni, chat e comunità.
Negli ultimi anni si è verificato, infatti, un incremento notevole dei siti che si
occupano di raccogliere opinioni dei clienti, dove i consumatori condividono le
proprie esperienze o le storie delle interazioni che hanno avuto con le aziende o
nell’utilizzo dei prodotti.
Dato questo scenario, in questo lavoro si vedrà, nel Capitolo Primo, come le
aziende, soprattutto quelle che operano nell’ambiente internet, abbiano adottato
un orientamento al marketing relazionale, abbandonando l’orientamento al
marketing transazionale, non più idoneo al perseguimento del vantaggio
competitivo di lungo periodo, poiché questo non considerava il maggior costo
dovuto all’acquisizione di un nuovo cliente, rispetto a quello per la fidelizzazione
dei clienti già acquisiti. Attraverso l’approccio al marketing relazionale si cerca,
quindi, di dar vita a strette relazioni di lungo periodo, facendo in modo da
sviluppare, da parte dei clienti, lealtà verso l’azienda.
III
Per raggiungere tale obiettivo occorre condurre il cliente lungo un
continuum che ha inizio con la soddisfazione delle sue esigenze, sviluppando,
dunque, una fiducia nell’azienda, in modo da ottenere la sua fedeltà e, infine, la
sua lealtà. Si individuano, quindi, quali sono le variabili su cui far leva per
ottenere tale risultato e, soprattutto, il ruolo svolto dalla comunicazione in tale
processo.
Si analizza, poi, il processo di evoluzione del marketing diretto, che, grazie
alle ICT (information and communication technology) e, in particolare, ai
database system, ha potuto usufruire di una migliore conoscenza del cliente, per
una maggiore personalizzazione della comunicazione di marketing e venendo
denominato, quindi, database marketing.
Infine, con l’avvento del web si è avuta un’ulteriore innovazione. Data la
sua caratteristica di interattività, infatti, si è avuta la possibilità di allacciare
relazioni diadiche tra l’azienda e il cliente, che hanno consentito una maggiore
conoscenza delle esigenze di quest’ultimo e la possibilità di personalizzare,
quindi, non solo la comunicazione, ma l’intera offerta aziendale, al fine di dar vita
a relazioni durature basate sulla fiducia e finalizzate alla customer loyalty.
Nel Capitolo Secondo si valutano quali sono le tecniche di web marketing di
cui ci si può avvalere al fine di sviluppare e, quindi, gestire la relazione con i
clienti, attraverso la personalizzazione e lo scambio di informazioni. Vengono
analizzate, dunque, le seguenti tecniche: Search engine marketing, E-mail
marketing, Permission marketing, Viral marketing, Community marketing, Tribal
marketing e Guerrilla marketing.
IV
Dopo aver considerato le tecniche di cui le aziende si possono avvalere per
realizzare una strategia di web marketing, nel Capitolo Terzo viene preso in esame
il processo di pianificazione per la realizzazione della strategia e la sua
implementazione. Si analizzano, in primo luogo, le specificità della pianificazione
nell’ambiente internet, prendendo in considerazione le varie fasi dello sviluppo di
un piano per la presenza web. In secondo luogo, si evidenzia come internet svolga
una profonda influenza sia sulla formulazione della strategia, soprattutto nella fase
di analisi della concorrenza e della domanda, sia sulle politiche di web marketing
mix. Queste, oltre alle classiche “4P”, che a loro volta devono essere adattate alle
tipicità di questo ambiente, comprendono altre due leve caratterizzanti il
marketing operativo on line, che sono il contenuto delle pagine web del sito, e lo
sviluppo di comunità virtuali.
Successivamente si prendono in considerazione le voci di costo,
descrivendo le principali metodologie per lo stanziamento delle risorse e, inoltre,
alcuni metodi di stima dei ricavi conseguibili, al fine di prevederne l’incidenza
economica sui conti di budget dell’azienda. Infine, si analizzano le principali
metodologie per il controllo sul web, che dovrà essere svolto sul grado di
raggiungimento degli obiettivi strategici, di marketing e sull’efficacia della
comunicazione effettuata.
Da ultimo, nel Capitolo Quarto, si è proceduto con l’applicare il processo di
pianificazione descritto teoricamente ad un caso concreto. L’azienda oggetto dello
studio è la Jobiz.com S.r.l., azienda di Salerno, nata nel 2000 come web agency,
evolutasi, poi, in una vera e propria software house, il cui prodotto di punta è
“e.cube”, un content management systems, ovvero un software che permette,
V
anche a chi non possiede buone conoscenze dei linguaggi di programmazione e di
informatica in generale, di creare e gestire autonomamente siti web, i suoi
contenuti e gli utenti che vi accedono.
1
Cap. 1 - Marketing relazionale, marketing diretto,
marketing elettronico
1.1 Evoluzione del mercato e approccio relazionale
I primi studi
1
riguardanti la disciplina del marketing si sono avuti all’inizio
del secolo scorso, contestualmente all’allargamento dei mercati dalla dimensione
locale a quella nazionale. Alle origini essa era considerata un processo sociale ed
economico in cui erano coinvolti attivamente più soggetti
2
. Infatti, consisteva
nello studio dei prodotti “commodity” e degli attori coinvolti nel processo di
trasferimento dei beni dall’offerta alla domanda.
A partire dalla seconda metà del secolo si sono avuti dei notevoli sviluppi ed
una concettualizzazione maggiormente organica. Nel 1948 la American
Marketing Association definì il marketing come “l’esecuzione delle attività di
business che dirigono il flusso dei beni e servizi dal produttore al consumatore o
utilizzatore”. Da questa si evince come sia la sola azienda a svolgere l’attività di
marketing senza coinvolgere gli altri attori. Infatti, questa definizione riflette il
contesto economico americano degli anni ’50, caratterizzato dalle grandi imprese
gerarchiche. Esse sono alla costante ricerca delle economie di scala, da conseguire
attraverso la standardizzazione e la produzione di massa; nel fare ciò
1
Sull’evoluzione del concetto di marketing cfr. ZILIANi C., E-marketing. direct, database e internet
marketing, McGraw-Hill, Milano, 2001, pagg. 1-10.
2
Fonte: ZILIANI C., ibidem, McGraw-Hill, Milano, 2001, pag. 1.
2
internalizzano un numero crescente di attività, ricorrendo sempre meno al
mercato. Tipico esempio di questo scenario è lo stabilimento Ford di River Rouge.
In questo periodo si hanno le prime formulazioni del concetto di marketing
come lo intendiamo oggi. Nel 1954 Peter Drucker affermava che un’impresa ha
due obiettivi fondamentali: innovare e soddisfare il cliente, a patto di ottenere un
profitto
3
. Questa definizione si avvicina molto a quella, oggi dominante, di Philip
Kotler, secondo il quale “il marketing è soddisfare profittevolmente i bisogni”
4
.
Un altro teorico importante fu Borden che nel 1964 introdusse il marketing mix
5
,
ma la concettualizzazione più diffusa oggi è quella ideata da McCarthy negli anni
’60, ossia le famose 4P
6
.
Durante gli anni ’60 e ’70 il marketing assume un ruolo egemone; infatti,
nell’impresa industriale, integrata verticalmente, diventa una vera e propria
funzione aziendale svolta dal “marketing department” in cui operavano specialisti
delle vendite, del pricing, della pubblicità e delle ricerche di mercato. Ad essi
erano assegnati vari compiti: prima di tutto dovevano comprendere i bisogni del
mercato, affinché il prodotto realizzato risultasse appetibile; inoltre, dovevano
creare la domanda per un volume enorme di prodotto standardizzato attraverso
un’opera di persuasione, facendo leva sui mezzi di comunicazione di massa e
gestendo in modo opportuno i canali di distribuzione che non erano ancora in
grado di opporsi al potere dell’azienda produttrice.
3
Cfr. BRANNBACK M., “The Concept of Customer-Orientation and its Implication for Competence
Development”, Working Paper: Turku School of Economics and Business Administration, maggio 1999.
4
Fonte: KOTLER P. et alii, Principi di marketing, Isedi, Torino, 2001, pag. 19.
5
Troilo sottolinea come in realtà altri autori prima di Borden abbiano impiegato il termine marketing mix.
Tuttavia quella di Borden è il primo a formalizzare e a sistematizzare il concetto. Cfr. TROILO G.,
“L’evoluzione del concetto di marketing mix”, Finanza Marketing e Produzione, 2, 1993.
6
Queste sono identificabili in: Product (caratteristiche del prodotto), Price (politiche di pricing), Promotion
(comunicazione) e Place (gestione degli aspetti legati alla distribuzione).
3
Già dalla metà degli anni ’70, però, questo tipo di struttura iniziò ad
evidenziare dei limiti dovuti alla sua rigidità. Questi si acuirono negli anni ’80 con
l’avvio della globalizzazione, a cui conseguì un aumento della concorrenza, che
indusse le aziende a ristrutturarsi. Nacquero, così, strutture più flessibili che
puntavano più sul ricorso al mercato che all’integrazione. Il punto di forza di
queste organizzazioni era l’orientamento alla “relazione” sia all’esterno, facendo
largo ricorso alla partnership tra i soggetti facenti parte della filiera e tra
concorrenti, sia all’interno dell’azienda facendo ricorso all’orientamento per
processo anziché alla divisione per funzioni.
Durante l’evoluzione del “marketing management”, sino agli inizi degli anni
’80, si sono avvicendati diversi orientamenti secondo i quali può essere svolta
l’attività di marketing
7
: l’orientamento alla produzione, al prodotto, alla vendita
ed al mercato, ovvero, “marketing transazionale”.
Le imprese gestite secondo l’orientamento alla produzione hanno
principalmente l’obiettivo del contenimento dei costi di produzione, poiché si
presume che i consumatori privilegiano quei prodotti disponibili a basso prezzo.
Quest’orientamento è stato il primo ad essere seguito dalle aziende ed è indicato
nelle situazioni in cui la domanda è superiore all’offerta e quando il costo del
prodotto è troppo elevato e va ridotto tramite un aumento della produttività. Il suo
limite consiste nel fatto che il consumatore può manifestare interesse anche per le
caratteristiche del prodotto e non solo per il prezzo
8
.
7
Cfr. KOTLER P. et alii, op. cit., Isedi, Torino, 2001.
8
Cfr. VALDANI E., “L’impresa proattiva: un nuovo modello di impresa per generare valore”, Economia &
Management, no. 4, 1992.
4
Nel caso dell’orientamento al prodotto l’impresa concentra tutta la sua
attenzione sulla qualità e sulle prestazioni del prodotto. Le aziende che adottano
questo orientamento introducono continui miglioramenti e, più in generale, sono
estremamente focalizzate sugli “aspetti tecnologici”. Il rischio è quello di perdere
di vista i reali bisogni del cliente, illudendosi che prodotti sempre più sofisticati e
“performanti” siano il modo migliore per attirarlo.
Nell’approccio alle vendite l’impresa non produce ciò che viene richiesto
dal mercato, bensì cerca di vendere ciò che produce. In pratica le imprese di
questo tipo ritengono che “i consumatori non acquistano il prodotto in quantità
adeguate a meno che l’azienda non realizzi azioni di vendita su larga scala e non
attivi un’aggressiva campagna promozionale”
9
. Si suppone, inoltre, che il cliente
finirà per apprezzare il prodotto cui è stato indotto ad acquistare. Se questo non
avviene, egli finirà comunque per dimenticare la delusione ed effettuerà un nuovo
acquisto. Proprio in quest’ultima affermazione risiede il limite di
quest’orientamento, infatti, una serie di studi ha dimostrato che un consumatore
insoddisfatto difficilmente ripete l’acquisto e riferisce la propria “brutta
esperienza” a 10-11 persone
10
.
Un’impresa orientata al mercato studia innanzitutto le esigenze, i bisogni e
le aspettative del consumatore e sulla base di queste “plasma” la propria offerta,
gestendo in modo integrato un ventaglio di strategie e strumenti tattici ai quali
l’impresa può attingere per costruire un mix che il mercato trovi irresistibile.
Quindi, questo orientamento si rivela più flessibile e può essere applicato in
qualsiasi mercato, “dosando” le 4P in modo diverso a seconda delle esigenze.
9
Fonte: KOTLER P. et alii, op. cit. , Isedi, Torino, 2001, pag. 16.
10
Cfr. KOTLER P. et alii, ibidem, Isedi, Torino, 2001, pag. 17.
5
Le 4P sono, in definitiva, 4 “leve” sulle quali l’impresa può agire per servire
il mercato meglio di quanto faccia la concorrenza. Proprio sull’utilizzo di questo
strumento, giudicato semplicistico e ormai inadatto
11
, si incentra un primo filone
di critica all’orientamento al mercato.
Si sostiene, infatti, che il marketing mix sia un approccio che punta a
persuadere il consumatore ad acquistare i prodotti dell’azienda, esercitando una
pressione su di lui. Si evince, quindi, come questo strumento scaturisca da una
visione in cui l’azienda ha la possibilità di controllare l’ambiente, cosa che invece,
oggi, risulta infondata. Inoltre, le imprese che adottano questo strumento tendono
a pensare che il marketing sia composto da una serie di attività chiaramente
definite. Di conseguenza, una funzione (o divisione) viene incaricata di svolgere
tali attività. Questo, però, impedisce la diffusione dei principi dell’orientamento al
mercato nelle altre parti dell’azienda e non rende possibile l’individuazione e lo
sviluppo delle sinergie derivanti da un orientamento strategico maggiormente
integrato.
Altro limite deriva dalla visione stessa del marketing management come
insieme di attività manageriali orientate alla massimizzazione del profitto, dato
che, in questo modo, si sacrificano le relazioni con i partner.
Un altro rischio, in cui le imprese marketing-oriented spesso incorrono,
consiste nella perdita della capacità di innovare. Questo è dovuto, in primo luogo,
alla focalizzazione sui bisogni e sulle aspettative della clientela, che può
trasformarsi in una strategia di pedissequo adattamento dell’offerta alle richieste
11
Cfr. GRONROOS C., “From Marketing Mix to Relationship Marketing: Towards a Paradigm Shift in
Marketing”, Management Decision, no. 2, 1994a. GRONROOS C., “Quo Vadis Marketing? Toward a
Relationship Marketing Paradigm”, Journal of Marketing Management, no. 10, 1994b.
6
del mercato, il quale non è in grado di immaginare prodotti realmente innovativi;
in secondo luogo, all’eccessiva attenzione posta sul marketing mix, che favorisce
la diffusione di prodotti imitativi.
Veniamo ora al limite più importante del marketing tradizionale, ossia, la
sua natura intrinsecamente “transazionale”. Infatti, lo scambio che avviene tra
impresa e cliente è prettamente unidirezionale, con un ruolo prevalente della
prima, mentre il cliente non ha rilevanza a causa della sua elevata sostituibilità.
Un’altra critica al marketing tradizionale deriva dal tentativo di applicare
quest’orientamento nei settori dei servizi e dei beni industriali. Questo ha portato
alla luce notevoli limiti, essendo stato creato per il mercato dei beni di consumo di
massa. Al fine di trovare soluzione a questi limiti si sono sviluppati due diversi
approcci
12
: il primo ha cercato di rielaborare il paradigma tradizionale per
adattarlo alle nuove esigenze; il secondo, partendo dal presupposto che il
paradigma tradizionale sia inconciliabile con i cambiamenti in atto, ha elaborato
un nuovo approccio.
Visti i limiti che presenta il paradigma tradizionale e la difficoltà ad essere
applicato nei settori dei servizi e dei beni industriali, a partire dalla seconda metà
degli anni ’70, si sviluppa un nuovo paradigma, il marketing relazionale.
Esso ha come obiettivo “iniziare, negoziare e gestire le relazioni di scambio
con gruppi chiave di interesse al fine di perseguire vantaggi competitivi sostenibili
in specifici mercati, sulla base di accordi a lungo termine con clienti e fornitori”
13
.
Secondo questa visione il marketing dovrebbe puntare a creare, mantenere e
12
Cfr. BOTTINELLI L., “La nascita e lo sviluppo del marketing relazionale”, Quaderno di ricerca n.5, marzo
2004, documento internet tratto dal sito: http://economia.unipv.it/ric-az/collane/coll_wp.htm, 24/11/2005.
13
Fonte: BOTTINELLI L., ibidem, Quaderno di ricerca n.5, marzo 2004, documento internet tratto dal sito:
http://economia.unipv.it/ric-az/collane/coll_wp.htm, 24/11/2005.
7
gestire delle relazioni durature con i partner, al fine di creare un “capitale
relazionale”.
Elemento caratteristico è la bidirezionalità dello scambio tra i soggetti
coinvolti, che comprende non più solamente beni e denaro, ma anche
informazioni e rapporti di natura sociale. Attraverso questo approccio l’impresa
attua quelle attività finalizzate a creare, mantenere e sviluppare le relazioni con i
propri clienti attuali al fine di soddisfare il maggior numero possibile di esigenze
per un arco temporale lungo
14
. Questo comportamento è dovuto al fatto che la
maggior parte dei profitti di un’impresa sono generati da un numero esiguo di
buoni clienti, che rappresentano la risorsa più critica per la sua sopravvivenza. Si
è concordi, infatti, nel ritenere che l’obiettivo dell’impresa dovrebbe consistere
nel vendere ad ogni cliente il maggior numero di prodotti e servizi più che nel
vendere lo stesso prodotto o servizio al maggior numero di clienti possibili. Si
tende ad aumentare, dunque, il portafoglio prodotti più di quanto ci si impegni ad
aumentare il portafoglio clienti. E per fare ciò è necessario impegnarsi nella
fidelizzazione della base di clienti acquisiti.
Il marketing relazionale ha avuto un forte sviluppo nell’ambito dei servizi,
date le specificità di questo settore, che si riferiscono alle caratteristiche del
processo di erogazione/acquisto del servizio, alla bidirezionalità dei flussi
informativi ed all’interdipendenza dei com-portamenti degli operatori.
Poiché non è possibile valutare la qualità del servizio se non a posteriori, è
di estrema importanza per l’erogatore che il cliente collabori, al fine di attivare un
vero e proprio scambio di informazioni, in modo da garantirne la soddisfazione
14
Cfr. TRAINITO F., Il marketing relazionale, documento internet tratto dal sito:
www.cwi.it/showPage.php?template=rubriche&id=8030, 06/12/2005.
8
aumentando la qualità percepita del servizio. Inoltre, anche per il cliente è
vantaggioso allacciare relazioni durature, poiché si riducono il rischio di
comportamenti opportunistici da parte dell’erogatore di servizi ed i costi di
negoziazione
15
.
Negli ultimi anni, grazie allo sviluppo dell’ICT (information and
communication technology), l’approccio relazionale ha tratto consistenti benefici,
che hanno consentito di ridurre in maniera significativa i costi di raccolta ed
elaborazione delle informazioni necessarie per l’analisi della clientela e per la
gestione delle relazioni, oltre a sviluppare nuove opportunità per una gestione
ancora più personalizzata della clientela
16
.
Anche i mercati dei beni industriali presentano aspetti strutturali particolari,
che riguardano principalmente la concentrazione degli operatori, spesso molto
elevata, la dimensione, medio-grande, degli stessi e la complessità e specificità dei
beni/servizi scambiati; si tratta dei mercati business-to-business
17
. In questi
contesti, le relazioni stabili di lungo periodo rappresentano la modalità più diffusa
con cui allacciare rapporti commerciali.
15
Cfr. MORGAN R., HUNT S., “The Commitment-Trust Theory and Relationship Marketing”, in Journal of
Marketing, vol. 58, 1994, pp. 20-38.
16
Con particolare riferimento al contributo dell’information technology allo sviluppo del marketing
relazionale si veda AIELLO G.M., Relazioni di marketing e tecnologie digitali, Giappichelli, 2002.
17
Per un inquadramento generale dei mercati business-to-business si vedano: GIULIVI G., Marketing
relazionale e comunicazione business-to-business, Angeli, 2001; FIOCCA R., SNEHOTA I., TUNISINI A.,
Business Marketing, McGraw-Hill, Milano, 2003.
9
1.2 Il sistema delle variabili relazionali nel B2B
L’attenzione per lo sviluppo di relazioni con i clienti, recentemente definita
da Valdani e Busacca customer-based view
18
, ma anche con gli altri stakeholder,
si è accresciuta a causa degli sviluppi nelle tecnologie, nelle forme di concorrenza
e nei comportamenti della domanda di mercato
19
.
Per quanto riguarda le tecnologie, l’enorme sviluppo che esse hanno avuto
rende difficile, da parte della singola impresa, sviluppare e dominare tutte le
competenze tecnologiche che confluiscono in determinati prodotti, per cui esse
ricorrono a forme di relazione inter-impresa. Lo sviluppo della concorrenza, sia
nei mercati tradizionali che digitali, dovuto alla facilità con cui vengono imitati le
soluzioni tecnologiche e i business model delle aziende internet, ha reso di vitale
importanza lo sviluppo di relazioni con clienti, fornitori e partner, al fine di creare
“reti di valore” inimitabili per potersi differenziare dalla concorrenza.
Infine, le strutturali modificazioni dei processi di scambio sono in parte
indotte dall’emergere dell’economia digitale. Infatti, nei business internet-based
le relazioni di mercato sono caratterizzate “dall’infedeltà a portata di mouse”,
connessa al tendenziale annullamento di alcune categorie “strutturali” dei costi di
transazione, che comporta una più facile uscita dalla relazione. Tuttavia, in tali
business, le imprese che hanno la possibilità di sviluppare solide relazioni con i
propri clienti producono un valore-potenzialità
20
molto elevato, derivante dalle
18
Cfr. VALDANI E. e BUSACCA B., “Customer-based View”, Finanza, Marketing e Produzione, n 2, pagg. 95-
131.
19
Cfr. COSTABILE M., Il capitale relazionale, McGraw-Hill, Milano, 2001, pagg. 25 e segg. Cfr. COSTABILE
M., “Un modello dinamico di customer loyalty”, working paper, 57, Osservatorio di Marketing, SDA,
Bocconi, Milano, pagg. 2 e segg, documento internet tratto dal sito: www.michelecostabile.it, 05/12/2005.
20
“Il valore-potenzialità” consiste nel valore delle opzioni di sviluppo dell’impresa, compatibilmente con il
suo patrimonio di risorse e di intangibile. Fonte: COSTABILE M., ibidem, McGraw-Hill, Milano, 2001, pag.
35.
10
opzioni di cross-selling (sviluppo commerciale con la medesima base di clienti) e
da quelle di apprendimento e innovazione (sviluppo della base-clienti), che nei
mercati virtuali sono di più facile implementazione. Proprio per queste ragioni, le
relazioni d’impresa sono considerate le principali fonti per la determinazione del
vantaggio competitivo e la generazione del valore.
Secondo Costabile, infatti, visto che il vantaggio competitivo consiste nella
capacità di produrre valore differenziale per il cliente, le relazioni d’impresa,
finalizzate a potenziare e rendere più efficaci le sue competenze, o più efficiente il
loro dispiegamento, assumono valore nel momento in cui consentono di
accrescere il valore per il cliente attraverso la creazione di beni e servizi finalizzati
ad attivare relazioni con la domanda
21
. Al fine di analizzare tali relazioni è
possibile identificare un continuum relazionale, vale a dire un insieme di
condizioni intermedie che possono caratterizzare il ciclo di vita delle relazioni fra
il cliente e l’impresa nel tempo: dalla customer satisfaction alla customer
loyalty
22
.
21
Cfr. COSTABILE M., ibidem, McGraw-Hill, Milano, 2001, pag. 30.
22
Fonte: COSTABILE M., “op. cit.”, working paper, 57, Osservatorio di Marketing, SDA, Bocconi, Milano,
pag. 7, documento internet tratto dal sito: www.michelecostabile.it, 05/12/2005.