5
dall’interazione dell’oggetto dominato dalla tecnica dell’ingegneria col progetto
moderno dell’abitare la sfera d’uso metropolitana in cui esso riceve un’ ‘anima
formale’, una bellezza non circoscritta come prima nel solo semplice oggetto
costruito, ma scatenata da fattori estetici di aggregazione ‘ambientale’ o
relazionati ad una sua maturazione temporale che la critica architettonica ha
sempre avuto difficoltà prima ad individuare e dopo a riconoscere
tempestivamente.
Questa bellezza estrema, figlia della metropoli, creatura irrequieta della ‘città-
madre’, non concepita tanto dalla singola azione culturale classica
predeterminata dell’architetto ma scorta tra il suo operare intellettuale e la
natura delle cose che sfidano i suoi sentimenti non ancora disvelandosi
completamente; non prodotta dall’arte del fare imitando le dinamiche formali
del mondo fisico naturalizzato ma scaturita dall’arte di osservare le energie
‘minacciose’ ancora indefinite della ‘natura’ delle macchine, si rinviene
sistematicamente nelle forme vissute dell’architettura dell’ingegneria del mondo
paesaggistico e architettonico moderno. Le sue radici estetico-architettoniche,
che saranno anche qui oggetto di riflessione, affondano nello studio della città
post-illuminista, quindi nell’opera di Gottfried Semper e di Otto Wagner;
continuano per Behrens e proseguono per Gropius e i pensatori più colti del
Werkbund fino a Chiattone; al termine si coagulano intensamente, prendendo
forma in una ‘posizione-limite’ storica, nella vita artistica meteorica di un
giovanissimo architetto visionario: Antonio Sant’Elia. Ripercorrerle significa
comprendere ancora di più la complessità e la vera natura del presente.
6
PARTE PRIMA
1
COMPARSA E PRESA D’ATTO DEL CAMBIAMENTO PERCETTIVO MODERNO
Tra la fine del secolo XVIII e gli inizi del XIX l’Europa nord occidentale,
fino ad allora appena punteggiata dagli spazi industriali, è travolta con rapidità
dal paesaggio artificiale meccanico. Con le loro forti caratteristiche
macchinistiche le nascenti metropoli diverranno dei veri e propri laboratori in
cui poter distillare un’esperienza estetica intrisa non più di una sublimità
specificata dalla natura (come accadde per le antiche città) ma di estrazione
tecnologica.
1
L’impatto dell’umanità con la realtà industriale si prospetta
chiaramente traumatico nella rapida successione delle prime significative
alterazioni fisiche del paesaggio. Non è solo l’ansietà che le macchine possano
in pieno prepotentemente sostituirsi nello spazio antropico alle cose naturali che
inquieta l’Occidente evoluto, ma che le medesime possano mettere in crisi lo
stesso ruolo sociale dell’uomo, posto a margine se non perfino sostituito dai
rapidi processi di produzione automatizzata. Il Luddismo, movimento radicale
che ereditò il nome dall’operaio ribelle del Leicestershire Ned Ludd, il quale nel
1799 scatenò una piccola e spontanea sollevazione in una fabbrica distruggendo
per protesta un telaio meccanico, fu un’organizzazione operaista sorta quasi
spontaneamente che reagì con particolare violenza contro l’introduzione di
impianti di automazione macchinica nelle prime industrie tessili inglesi. Simili
gesti estremi furono pagati dai luddisti a caro prezzo con impiccagioni e
deportazioni. Il Luddismo è il risultato di una prevedibile reazione di larghi
strati di società umana posti sotto il dominio del potente, irrefrenabile, nascente
capitalismo, che vedono nella macchina moderna la tremenda manifestazione
sulla Terra della materializzazione del mostruoso drago alato e ignivomo
appartenente all’iconografia pittorica dei bestiari medievali, la cui consistenza
fisica da ipotetica carne si tramuta nella realtà in meravigliosa materia metallica
infuocata e fumante. Se il radicalismo ottocentesco, proprio di una cultura che
tendeva a criminalizzare l'artificialità moderna, può essere inteso e tollerato
ancora oggi come una comprensibile lotta dell’uomo per la preservazione della
sua specie, e per la conservazione della sua funzione sociale, non si può nutrire
1
Per conoscere la definizione di ‘Sublime tecnologico’ cfr. M. Costa, Il Sublime tecnologico. Piccolo trattato di estetica della
tecnologia, Roma, 1998. Il concetto deriva dalla definizione di Kant di ‘Sublime matematico’ espresso in Critica del giudizio, poi ripreso
e perfezionato da Schopenhauer in Il mondo come volontà e rappresentazione. Si è a conoscenza che anche il teorico Leo Marx abbia
elaborato un suo concetto di ‘Sublime tecnologico’ così come evidenziato da D. F. Noble, La religione della tecnologia, Torino, 2000, p.
121.
7
lo stesso pensiero quando esso passò ad identificare l’artificialità moderna col
male assoluto condannandone l’aspetto estetico.
La difesa aprioristica dell’artigianato concepita attraverso una affrettata
analisi sociologico-sentimentalistica del presente aveva indotto anche gli
intellettuali, e tra loro i più contrariati Thomas Hope, Augustus W. Pugin,
Thomas Carlyle, John Ruskin e William Morris, a scagliarsi con determinazione
contro. Ruskin, studiando i paesaggi di Turner e dei modern painters, coltiva il
desiderio di ripristinare il primato della natura sul mondo. Immagina una totalità
naturale immune dalla pervasività travolgente della tecnica accogliendo come
contropartita la possibilità che essa possa esprimere risvolti fisici indomabili,
tremendi, purché la si osservi affrancata da una unione che considera
inaccettabile perché opprimente. La natura è per Ruskin classica interpretazione
della parola di Dio. Così facendo si recinge in un pensiero inflessibile ed
unilaterale che rifiuta di dare in pasto alla sua coscienza critica l’idea che in
realtà anche la bruttezza del mondo sovrastrutturale dell’artificio meccanico
moderno sia ‘forma di Dio’, sia dei-formitas.
Il modernismo culturale, da cui sorge il pensiero moderno estetico, che
secondo alcuni studiosi si vuole affiori in senso lato già dal Rinascimento,
epoca in cui viene coniato il termine ‘moderno’; secondo altri come Harvey,
invece (tesi questa che facciamo nostra), dopo i moti parigini del 1848, si
riteneva fosse un fenomeno che vivesse “un rapporto tormentato e complesso
con l’esperienza dell’esplosiva crescita urbana (parecchie città superarono un
milione di abitanti intorno alla fine del secolo), il forte movimento dalle aree
rurali alle aree urbane, l’industrializzazione, la meccanicizzazione, le massicce
ristrutturazioni degli ambienti edificati e i movimenti politici urbani, chiaro ma
infausto simbolo dei quali furono i sollevamenti rivoluzionari parigini del 1848
e del 1871”.
2
L’opinione pubblica e le istanze intellettuali cittadine sono
interessate, ma si tratta di un’attenzione angosciosa, dalla costituzione immane
dei nascenti agglomerati edilizi subito divenuti preda di intensivi inquinamenti
idrici ed atmosferici. Le vicine industrie alimentate col carbone fossile
trasformavano le periferie delle città più industrializzate in luoghi fumosi e
fuligginosi dalle sembianze infernali. Era tuttavia, questo, un avvenimento in
cui l’aspetto scenografico influiva non di poco. La terribilità dell’ ‘infinitamente
grande’ filosoficamente inteso mostrava tutta la sua straripante potenza
tecnologica sommergendo gli orizzonti della natura. E’ come se con
l’espandersi tridimensionale degli edifici industriali si fosse ad un certo punto
reso troppo visibile un nemico finalmente da additare.
2
D. Harvey, La crisi della modernità. Alle origini dei mutamenti culturali, Milano, 1997, p. 40.
8
I pericoli di inquinamento ambientale si sono sempre riscontrati nella
storia dell’umanità. La natura è piena anche di veleni che l’uomo non ha
generato. In più l’aumento della speranza di vita alla nascita della popolazione
occidentale, in un secolo raddoppiata nei paesi industrializzati, dimostra quanto
sia erroneo considerare eccessivamente catastrofica l’idea di progresso sorta in
seno al moderno.
3
Sarà perciò il fattore visivo dimensionale del Sublime
tecnologico ad ossessionare la cultura di massa dell’Ottocento ed a formare il
duraturo giudizio retorico di una natura sempre amica che la metropoli pone ai
margini del suo dominio sintetico, tanto familiare da trovare ben presto tra le
comunità urbane rappresentazione dagli abiti alle suppellettili fino alle facciate
degli edifici, una natura mite e bella che aveva come suo principale avversario
la nuda materia artificiale moderna.
3
Consultare il polemico quanto documentato testo di B. Lomborg, The Skeptical environmentalist. Measuring the real state of
the world, Cambridge, 2001.
9
2
LONTANO DALLE FORME INGENUE DELL’ARTE
L’ingegneria civile moderna trae origine soprattutto dalla massoneria
medievale cristiana delle corporazioni dei muratori e delle associazioni occulte
dei Rosa-Croce sorte nel XVII secolo che perseguivano una riforma
dell’umanità attraverso lo studio delle arti e delle scienze. Col tempo queste
divennero vere e proprie società segrete che spostarono “l’attenzione dalle reali
competenze edilizie ad un’ ‘interpretazione reale e mistica dell’edilizia’ basata
sulla venerazione del ‘Grande Architetto’”.
4
I primi massoni moderni furono gli
ingegneri civili d’Inghilterra tra cui il Grande Maestro Desaguliers, John
Grundy, Thomas Telford. In Francia l’École des Ponts et Chaussées fu fondata
da massoni, lo stesso vale per l’École Polytechnique di cui il matematico
Gaspard Monge, padre della geometria descrittiva, divenne una figura cardine
dei Cavalieri d’Oriente e dei Rosa-Croce. Tutte le più importanti scuole
tecniche che si formeranno in Europa e in America dopo di esse e sotto il loro
esempio saranno creature della conoscenza esoterica della massoneria
speculativa di impronta rosacrociana attiva già nella fondazione in Inghilterra
della Royal Society, nata sul modello della più antica seicentesca Accademia
dei Lincei di Roma, che ebbe quest’ultima tra i suoi fondatori Galileo Galilei e
Federico Cesi, associazione in cui si intrecciavano studi scientifici e pratiche
occulte. La cultura europea tecnologica segnò notevolmente gli Stati Uniti dove
istituzioni tecniche come nel caso dell’accademia militare di West Point furono
ispirate specie dall’École Polytechnique. Anche le successive esperienze
prussiane furono determinanti per il progresso del Nuovo mondo. John
Adolphus Etzler, ingegnere emigrato tedesco e il suo collega famoso costruttore
di ponti John Augustus Roebling introdussero in America un pensiero
trasformativo basato su una sintesi tra filosofia hegeliana, socialismo oweniano
ed evangelismo americano che indurrà ad una laicizzazione della missione
scientifica pronta a farsi ora portatrice di una attitudine politica progressista e
solidaristica. Si passò grazie all’azione profetica di Francesco Bacone da una
idea cristiana millenaristica al post-millenarismo che prefigurava una “seconda
creazione” per opera dell’uomo piuttosto che di Dio, una sovrastruttura
artificiale per il mondo naturale che consentisse il recupero dell’originario
splendore di Adamo prima della Caduta. In definitiva l’ingegneria civile
moderna impose codici appartenenti solo superficialmente alle strutture
materialistiche, essa creò le basi scientistico-tecniciste da cui sgorgarono
4
D. F. Noble, La religione della tecnologia, Torino, 2000, p. 95.
10
rinnovate strategie tecniche ed estetiche su quel terreno che fu faticosamente
perforato dalla riflessione teorica architettonica. Condividendo la posizione di
Emanuele Severino, si potrebbe dire che ogni tecnica emana i suoi primi vagiti
appena percepisce la presenza di un nuovo concetto di bellezza. Non può esserci
una tecnica senza bellezza. E la “bellezza (come la bontà) è la potenza di chi è
alleato alla suprema potenza del divino”.
5
In Germania Karl Rosenkranz, che ha occupato da filosofo una posizione
intermedia tra destra e sinistra hegeliana, con Estetica del Brutto
6
edito nel 1853
concentra i suoi studi lontano dal Bello inteso nella sua accezione classica. Il
pensiero di Rosenkranz si distanzia finanche dal Sublime romantico, tanto
adorato da Ruskin, che deve la sua decifrazione a Edmund Burke ed a Emanuele
Kant. Si può rendere chiaro ulteriormente il concetto specificando che il Brutto
finisce legittimamente per inglobare il Sublime, rappresentandone la sua
naturale evoluzione filosofica. Rosenkranz con acutezza assiste e prende atto
della formazione di prepotenti istanze conoscitive di quest’ultimo. Sul suo
personale orizzonte teorico spunta questa categoria estetica che si offre subito
alla filosofia come minaccioso spazio di ricerca oppositivo, non pacificato,
graffiante, dai confini ancora troppo slabbrati per essere agevolmente rivelati.
L’arte non può essere per Rosenkranz riduttivamente una riproposizione passiva
della realtà dominata in quegli anni, nel territorio prussiano, già timidamente dal
potere della tecnica. Egli stesso ricorda le file dei vagoni e di gru metalliche che
si imponevano nel paesaggio moderno, pensando che tutto ciò avrebbe potuto
appartenere all’arte, riflettendo come e più di quanto si era già fatto col caso
Chrystal Palace nel ’51 in Inghilterra, solo se essa fosse stata in grado di
produrre elaborate ricadute estetiche. Rosenkranz si inoltra in un mistero
speculativo scatenato da quelle anonime costruzioni che dopo ben cinquant’anni
Friedrich Naumann cercherà di decodificare quando paragonerà la bellezza
dell’intelaiatura di ferro di una stazione moderna a quella delle cattedrali
gotiche: “ci dà l’impressione di come deve essere stato percepito il gotico più
antico e puro”.
7
Le cattedrali gotiche e tutte le artes mechanichae del XII
secolo, il risultato della proliferazione della visione cristiana del mondo, furono
le matrici della riflessione formale moderna colta, e non certo come taluni
credono del sentimentalismo nostalgico neogotico intriso di naturalismo
antimoderno di Ruskin che le aveva sempre associate alle sublimi montagne
delle Alpi viste da adolescente a Chamonix.
Resosi autonomo dalla disposizione emarginante che il Bello gli aveva
assegnato imperiosamente e giudiziosamente, il Brutto rosenkranziano conosce
5
E. Severino, Tecnica e architettura, Milano, 2003, p.120.
6
K. Rosenkranz, Estetica del Brutto, Palermo, 1984.
7
T. Heuss, “Friedrich Naumann”, in F. Dal Co, Teorie del Moderno. Architettura Germania 1880-1920, Bari, 1985, p. 327.
11
un tempo storico di dilatazione inaudito. “La musa moderna - scriveva nel 1827
Hugo nella celebre prefazione del Cromwell - vedrà le cose con uno sguardo più
alto e più ampio. Essa sentirà che tutto nella creazione non è umanamente bello,
che il brutto esiste a fianco del bello, il difforme vicino al grazioso, il grottesco
come risvolto del sublime, il male assieme al bene, l’ombra assieme alla luce.”
8
Con Hugo, sempre grazie all’arte cristiana, per la prima volta negli studi estetici
il Brutto finisce per essere abilitato a Bello, fino a coincidere ed annullarsi nel
tempo in esso. Hugo sosteneva che il Bello non è altro che la forma considerata
nel suo rapporto più semplice, nella sua simmetria più assoluta, nella sua
armonia più intima con l’organismo umano; il Brutto, al contrario, è un
particolare di grande interesse che ci sfugge, che si armonizza non con l’uomo
ma con l’intera creazione. E’ possibile focalizzare la produzione artistica,
moderna e premoderna specifica, su due tracciati che si dipartono dal concetto
iniziale di bruttezza di cui Rosenkranz ha avuto il merito di comprendere i tratti
essenziali: il Brutto espresso dalla tecnica moderna inizialmente diviene per la
cultura sinonimo di paura e fascino verso l’inconoscibile spaziale-temporale. Il
Brutto tecnologico fagocita in un sol colpo l’estetica del Sublime matematico e
quella sua inconsapevole attitudine ad essere massimamente identificabile con
movimenti psichici estremi raggiungibili solo per mezzo dell’azione di
un’ebbrezza ottenuta sotto l’effetto delle droghe più potenti.
9
Senza dimenticare le antiche visioni letterarie fantastiche e avveniristiche
di Platone, Luciano di Samosata, Apollonio Rodio, Dante Alighieri, Thomas
More, Ludovico Ariosto, Francesco Bacone, Tommaso Campanella, Savinien
Cyrano de Bergerac, M. Anton Doni Fiorentino, Jonathan Swift, Voltaire, è a
partire dal secondo Settecento in poi che si ritrovano nelle opere questi temi in
forma sempre più sofisticata. La realtà e l’irrealtà inquietanti, o il futuro, sono la
materia comune dei ‘romanzi d’appendice’ fantastici e realistici poco
riconosciuti dalla letteratura alta, o delle ghosts stories sgorgate come reazione
al clima positivista predominante contro il quale opponevano la riscoperta del
barbarico, del selvaggio, del mostruoso. Ma la presenza di personaggi
inquietanti all’interno del tempo storico-mitico del gotico era anche la traccia di
una traduzione fantastica, apocalittica, dei pericoli tecnologici del presente
sentiti dai romantici inglesi. Rifacendosi alla teoria del Brutto, più che del
Sublime, questa tendenza culturale scatenava l’attrazione verso quegli aspetti
misteriosi ed oscuri dell’esperienza umana. I romanzi d’appendice francesi
venivano letti tanto dalle grandi masse quanto da aristocratici e borghesi. Erano
pubblicati a puntate su giornali come i francesi «La Presse», «Le Journal des
8
V. Hugo, “Preface de Cromwell”, in Théatre complet, tomo I, Parigi, 1827, p. 416.
9
E. Zolla, Il Dio dell’ebbrezza. Antologia dei moderni Dionisiaci, Torino, 1998, p. XCVI.
12
Débats», «Le Costitutionnel», «Le Siècle», che arrivavano a vendere centinaia
di migliaia di copie. Gli autori dell’epoca godevano di una fama simile a quella
degli odierni personaggi del cinema o della televisione. Risulta evidente che un
fenomeno di questa portata dovesse fortemente incidere sull’immaginario e sul
gusto della neonata società moderna. E’ possibile in queste opere senza dubbio
rintracciare la radice stilistica del genere fantascientifico letterario e illustrativo.
Se l’attenzione verso un futuro in cui mondi, città, uomini sono divenuti
macchine (spesso dirette proiezioni, metafore, di entità aliene) è sondato
maggiormente dagli scritti di Jules Verne, Herbert G. Wells, Albert Robida,
Enrico Novelli (Yambo), Mary Shelley, il tempo presente o il tempo storico
attualizzato (soprattutto goticheggiante), resisi immaginifici con i loro luoghi
oscuri, visionari, sono descritti con efficacia dalle pagine di Walpole, Ann
Radcliffe, Lewis, Le Fanu, Bram Stoker, Beckford, Byron, Scott, Oscar Wilde,
Edgar Allan Poe, E.T.A. Hoffmann, Sue, o la realtà insidiosa delle metropoli
dei Dumas, di Hugo, Dickens, Zola, Baudelaire. L’arte ha ormai scelto di
apparire anche poco edificante e rassicurante, ha deciso di non occuparsi
soltanto della pura forma ideale antica, dello stile premoderno rigoroso e fine
classicamente inteso, del Bello insomma. L’arte, mediante gli studi di
Rosenkranz, si introduce prepotentemente nella metropoli stabilendo di
assorbire il Brutto. Essa, allora, deve fare in modo da “purificare il brutto da
ogni sovrabbondanza ad esso eterogenea e dal caso che lo disturba, e sottoporlo
a sua volta alle leggi generali del bello”.
10
10
K. Rosenkranz, Estetica del Brutto, p. 72.
13
3
LE SCONVOLGENTI POLICROMIE DEL TRIANGOLO SEMPER-WAGNER-NIETZSCHE
“Il tempo dell’uomo socratico è finito: inghirlandatevi di edera, prendete
in mano il tirso e non vi meravigliate che la tigre e la pantera si accovaccino
carezzevolmente ai vostri ginocchi”. Con intenso trasporto apparentemente
criptico, Friedrich Nietzsche scriveva questa rabbrividente frase in La nascita
della tragedia,
11
la sua monumentale opera giovanile che diede rinnovata
potenza al mito di Dioniso più di quanto fece il romanticismo tedesco, un libro
che provocò grande scandalo nel mondo accademico del suo tempo. A volte
pantere, a volte tigri o leopardi, l’utilizzo di simili immagini zoomorfe era
proprio dei culti bacchici diffusisi perfino in Oriente e che l’autore di La nascita
della tragedia riporta alla luce nel 1871 con tale testo capitale. Nietzsche
avrebbe probabilmente attinto la simbologia dionisiaca dai libri o dai progetti di
Gottfried Semper, soprattutto dalla facciata del Nuovo teatro di Dresda sulla cui
esedra l’architetto tedesco installò una quadriga di bronzo tirata da quattro
pantere guidata da Dioniso con a fianco la sua sposa Arianna.
Perché proprio quattro pantere furono disposte da Semper ai piedi di
Dioniso? Era Apollo che faceva tirare il suo carro da quattro tetrapodi, ma in
quel caso erano cavalli. Il soggetto apollineo fu prediletto da Semper fino ad un
certo punto, come confermano i suoi anteriori progetti dei teatri di Rio de
Janeiro e di Monaco (in cui poteva trovare secondo Cornelius Gurlitt il suo
simile massimo precedente post-classico, manierista, nell’Apollo posto nel
Belvedere Vaticano di Bramante), fino a quando cominciò a considerare il
teatro in “termini emotivi come il regno frenetico di un ditirambo dionisiaco”.
12
Il numero quattro descriveva lo spirito ordinatore, razionale, dell’antagonista di
Dioniso, l’altro dio chiamato a proteggere la fondazione delle città piuttosto che
la loro distruzione. La dicotomia che sintetizzava la cultura greca classica era
allora stata fusa e assorbita da Semper nelle sue creazioni. Il numero quattro,
infatti, era lo strumento di misurazione teoretica che l’architetto prediligeva
nell’analisi dell’architettura la cui ‘epidermide’ sarebbe stata tatuata da un
turbinio formale e cromatico sconvolgente: quattro erano le “arti minori” che
riassumevano secondo Semper l’arte del costruire; quattro gli “elementi
dell’architettura” che esprimevano in modo concluso il suo significato; quattro
le ‘ali’ architettoniche che soventemente nei suoi progetti a scala urbana
agganciava ad un corpo centrale; quattro furono perfino i testi fondamentali che
11
F. Nietzsche, La nascita della tragedia, Milano, 1972, p. 137.
12
H. F. Mallgrave, Gottfried Semper. Architect of the Nineteenth Century, London-New York, 1996, p. 346.
14
Semper stese. La numerologia (che con valenze occultiste di stampo teosofico e
antroposofico, rosicruciane e massoniche, sarà presente anche in Sant’Elia,
Gropius, Taut, Berlage, Hermann Hobrist, Wenzel Hablik)
13
ricorre spesso
anche nel Semper di Der Stil
14
, la stessa che a partire dal 1872 affascinò a
quanto pare anche il Wagner della Tetralogia e il Nietzsche delle Quattro
considerazioni inattuali.
E’ stato Semper, mediante l’amico musicista Richard Wagner, a segnare
un rinvigorimento del dionisismo ed a contribuire ad ispirare La nascita della
tragedia a Nietzsche. Infatti, Nietzsche venne a conoscenza della grande
personalità di Semper frequentando la casa di Wagner. E subito nell’estate del
1869 si procurò il testo di una conferenza sugli stili architettonici che
l’architetto tenne a Zurigo.
15
Ad agosto Wagner ascoltò quella lezione pubblica
che la moglie Cosima von Bülow gli lesse commossa, rimpiangendo di non
essere più in contatto con l’ex amico architetto. Nietzsche rimase assorbito dalle
idee di Semper per tutta la fine del 1869 leggendo Der Stil e probabilmente
anche il pamphlet sulla policromia greca,
16
opere che lo persuasero a definire
Semper “il più significativo architetto vivente”. Semper fin da giovanissimo
aveva un carattere saturo di un’energia incontrollabile e pericolosa. L’alcol, il
gioco d’azzardo e i duelli caratterizzavano il suo stile di vita. Era un uomo la cui
elevata cultura gli dava licenza di sconfinare soventemente nell’arte della
polemica e del paradosso. Falliti così gli studi di legge e di matematica
all’università di Gottinga passa subito a quelli di architettura a Monaco. Ferito
in duello un tale con cui accomunava un morboso interesse per una donna,
abbandonò frettolosamente Regensburg nel 1826 e si trasferì a Parigi. Qui si
avvicinò a Franz Christian Gau, che si occupava di ricerche sugli edifici
pompeiani e nubiani, così da ampliare le sue conoscenze in architettura.
Durante il 1830, prima di ritornare a Dresda dove per un quindicennio
ricoprirà importanti incarichi, vagabonda tra l’Italia e la Grecia. Nel museo di
Bari sbalordito guardava statuine greche completamente dipinte a fianco di altre
sbiancate; ad Atene, ancor prima, scoprì con i propri occhi qualcosa di ancora
più meraviglioso: già in passato Quatremère de Quincy e un altro allievo di
Gau, Jacob-Ignaz Hittorff, si accorsero di quella sconcertante rivelazione: gli
edifici e le sculture in territorio ellenico, ancora in parte intatte, nascondevano
13
S. Cigliana, Futurismo esoterico. Contributi per una storia dell’irrazionalismo italiano tra Otto e Novecento, Napoli, 2002, p.
300.
14
G. Semper, Der Stil in den technischen und tektonischen Künsten oder paraktische Ästhetik. Ein Handbuch für techniker,
Künstler und Kunstfreunde., Vol. I, Die Textile Kunst, Frankfurt a M. 1860; Vol. II, Keramik, Tektonik, Stereotomie, Metallotechnik,
München 1863; Tradotto non integralmente in G. Semper, Lo Stile, a cura di A. Burelli, C. Cresti, B. Gravagnuolo, F. Tentori, Bari,
1992.
15
La conferenza in questione è “Über Baustyle” che Semper tenne al Rathaus di Zurigo, il palazzo municipale, il 4 marzo 1869.
Trad. it. G. Semper, “Degli stili architettonici”, in B. Gravagnuolo, Architettura, arte e scienza, Napoli,1987, pp. 97-100.
16
G. Semper, “Osservazioni preliminari sull’architettura dipinta e sulla plastica presso gli antichi”, in B. Gravagnuolo,
Architettura, arte e scienza, pp. 87-92.
15
nei loro pori chiare tracce di pigmenti di svariata tonalità. Il fascino niveo della
Grecia classica propagandato da Winckelmann era, dunque, pura illusione. La
bellezza greca antica possedeva contorni ed accenti ben più intricati. Da quel
momento Semper iniziò ad operare una sistematica aggressione al
neoclassicismo trascinandolo sulla via della morte estetica assieme a tutti i
buoni propositi illuministi.
Le teorie semperiane hanno condizionato la prassi architettonica della
fine del XIX secolo, così come profondamente hanno rimodellato le discipline
archeologica, della storia dell’arte e dell'estetica. Semper, assassinando l’ideale
di bellezza canonica dell’architettura neoclassica, non poteva che coltivare lo
scopo di riaprire le porte della disciplina a soggetti estetici per secoli ritenuti
dalla cultura dominante indesiderati. Richard Wagner, lo ‘stregone’ dalla presa
ipnotica sopraggiunta dal “gioco tra la eccessiva proliferazione dei toni” e “la
contemporanea tensione alla fusione sonora”,
17
dopo aver partecipato ai moti di
Dresda del 1849 organizzati da Bakunin cercò dall’esilio in Svizzera di
riprendere contatti col vecchio compagno di barricate Semper, nel frattempo
allontanatosi come esule politico a Londra (in cui organizzò la resistenza con
altri rifugiati tedeschi tra cui Marx) e dove affascinato e coinvolto dal lavoro di
Henry Cole per l’esposizione del ’51 scrisse il saggio Scienza, industria e arte.
18
Il maestro Wagner desiderava che la sua musica si avvolgesse in un palazzo
dell’Opera eretto dall’abile architetto. Pensava ad un auditorio contenuto ed a
un teatro spazioso. Nietzsche, ventenne e ancora filologo, grazie alla stretta
amicizia non ancora incrinata col grande musicista e la consorte Cosima, si fece
rapire completamente dal pensiero semperiano.
19
Cercò perfino di entrare in
contatto con Semper personalmente per via postale, mediante Cosima,
utilizzando strumentalmente irrilevanti motivi per amore di conoscenza.
Discusse i contenuti delle opere di Semper con Wagner, idee che lo portarono
progressivamente a concepire La nascita della tragedia dallo spirito della
musica (come inizialmente titolò l’opera oramai matura). La tragedia greca era
nata dall’unione di elementi apollinei e dionisiaci in cui questi ultimi
prevalevano, un’aggregazione che per Nietzsche terminò nel periodo di
massimo splendore della cultura greca classica, quando l’avvento dei pensieri
razionali euripideo e socratico cancellarono la componente dionisiaca.
17
A. Cuomo, Doktor Loos, Melfi, 2000, pp. 22-23.
18
G. Semper, Architettura, arte e scienza, pp. 105-140. Per approfondire la conoscenza dell’attività di Semper a Londra si
consiglia la consultazione anche del recente saggio di: H. F. Mallgrave, “Semper, Klemm e l’etnografia”, in Lotus, n. 109, giugno 2001,
pp. 119-131.
19
La storiografia architettonica italiana che finora si è impegnata a diffondere le idee di Semper ha inspiegabilmente trascurato le
relazioni di pensiero intercorse tra lo stesso e Nietzsche. In base alle conoscenze dell’autore, soltanto grazie all’interesse dello scrittore
Elémire Zolla si è potuto in Italia venirne a conoscenza. Cfr. E. Zolla, Il Dio dell’ebbrezza, p. LXV. Tuttavia, esistono degli aspetti
descritti sommariamente nel testo di Zolla (così come accade per ogni opera antologica) in merito alla scoperta dell’opera di Semper da
parte di Nietzsche. Per avere un quadro maggiormente articolato delle relazioni culturali intercorse tra Semper, R. Wagner e Nietzsche
cfr. H. F. Mallgrave, Gottfried Semper.
16
L’obbiettivo di Nietzsche era chiaro: porre nell’era moderna l’esperienza
estetica al di sopra dell’azione scientifica.
In La nascita della tragedia, libro di lunghissima elaborazione,
ripetutamente Nietzsche descrive la bellezza apollinea come un velo
rappresentante il bisogno di arte che consente all’umanità di sopportare la vita.
Direbbe Jean Clair che “è proprio il manifestarsi del Bello, il diffondersi della
visibilità del mondo che rappresentano una difesa dinanzi alla potenza della
morte e al terrore della notte”.
20
Da allora Apollo e Dioniso vennero di nuovo
osservati dall’alta cultura dopo molti secoli, contemporaneamente e pienamente.
Nietzsche, e prima ancora Hölderin,
21
scoprì che la tragedia, figlia dello spirito
della musica, era il mezzo con cui i Greci si allontanavano dal dolore elevandosi
mediante la sua rappresentazione. Apollo e Dioniso erano l’essenza della
tragedia: mentre il primo rappresentava la parte più razionale e civile della
natura umana, l’altro ne impersonava le forme più oscure e passionali; mentre il
primo ‘edificava’ frenando le pulsioni orgiastiche del mondo, l’altro
‘distruggeva’ avvolto da pensieri allucinatori prodotti dalle bevande narcotiche
che ricavava dalla natura: “Dioniso non è un dio utile per tessere, annodare, ma
un dio che scioglie, dissolve. Le tessitrici sono sue nemiche. Eppure viene il
momento in cui abbandonano il telaio per galoppare dietro di lui sui monti”. Ma
l’ellenismo era possibile comprenderlo nella sua grandiosità solo assistendo nel
suo interno allo scontro perenne tra la sobrietà giunonica e l’ebbrezza
dell’inorganico, al confronto del titanico e del barbarico con il bisogno di
trasfigurazione estetica, a quell’intimo combattimento drammatico che ricoprirà
la vita professionale di Semper e di colui che avrebbe potuto rappresentare il
suo ‘discepolo’ ideale: Sant’Elia.
Nota Harvey quanto vitale fosse l’azione dionisiaca divulgata da
Nietzsche della “creazione distruttiva” e della “distruzione creativa”. Un
risultato, quest’ultimo dai risvolti tragici, essenza stessa della modernità, che ha
plasmato psichicamente e materialmente un nuovo mondo irrequieto che ebbe i
suoi miti nella Parigi di Haussmann e nella New York della fine della seconda
guerra mondiale di Robert Moses.
22
Tale visione delle cose scardinava le
convinzioni del tempo. Per la cultura ufficiale l’antichità doveva rimanere
innocua. Per Nietzsche, che si chiedeva come potessero “il brutto e il
disarmonico, il contenuto del mito tragico, suscitare un piacere estetico”,
l’antichità aveva capito che “il brutto e il disarmonico sono un giuoco artistico
che la volontà giuoca con se stessa nell’eterna pienezza del suo godimento”.
23
20
J. Clair, Medusa. L’orrido e il sublime nell’arte, Milano, 1989, p. 10.
21
F. Sossi, “Ipotesi sul Sublime”, in Aut aut, n. 231, maggio-giugno 1989, pp. 25-31.
22
D. Harvey, La crisi della modernità, p. 29-32.
23
F. Nietzsche, La Nascita della tragedia, p. 159.
17
Per Nietzsche l’antichità classica presocratica era stata schiacciata ulteriormente
per molti secoli dal Cristianesimo che ne aveva censurato il volto dionisiaco,
ossia il Brutto classificato sottoforma di categoria estetica. Con Nietzsche si
dissolve del tutto “il nesso strettissimo che certi Padri della Chiesa stabilirono
fra Dioniso e Gesù”.
24
Il Cristianesimo anche se aveva allontanato le pratiche
impure del dionisismo aveva sostanzialmente custodito le sue conoscenze
visive: è al Brutto che è legato il dolore di Cristo che vede le sue carni lacerarsi
su una macchina lignea da tortura qual è la croce, non certo all’armonica
statuaria greca, ci fa notare Hegel;
25
è al Brutto che è assimilata la stessa
immagine di Cristo secondo alcune testimonianze dell’antichità.
26
Il Brutto, di
cui solo Rosenkranz riuscirà a sistematizzarne a metà del XIX secolo la grande
portata filosofica perturbante, sublimato iconograficamente dal Cristianesimo
nel momento in cui si impossessa del corpo dell’Eletto, piuttosto che essere
scacciato finisce per esibirsi non più come rappresentazione del male assoluto,
ma viene a tramutarsi in strumento catartico attraverso il quale è possibile
annientare il male per correggere il mondo in maniera decisiva.
24
Per Zolla la teologia cristiana è in buona parte esoterismo dionisiaco. Molte convincenti relazioni sono state ricercate dallo
studioso torinese tra i riti dionisiaci e cristiani antichi e moderni. Cfr. il paragrafo “Dionisismo e cristianità” in E. Zolla, Il dio
dell’ebbrezza, pp. XXXI-XXXIII.
25
Per avere un’esauriente esposizione dell’argomento si faccia riferimento alla nota tredici della Presentazione di Remo Bodei
alla già citata traduzione italiana di Estetica del Brutto di Rosenkranz.
26
“Gesù a quanto affermano era piccolo, brutto e volgare", cfr. Celso, II discorso vero, Milano, 1987, pag. 134). La bruttezza
della figura di Cristo era accettata nel Cristianesimo primitivo dei Padri della Chiesa d’Africa sulla base di Is., 52, 14; 53, 2-3. Secondo il
profeta Isaia Gesù “non era né bello né nobile a vederlo, né aveva un aspetto da sentirsi attratti”. Cfr. R. Bodei, Le forme del Bello,
Bologna, 1995, p. 95. Secondo Paolo, Fil., 2,7, Cristo, discendendo sulla Terra, degradandosi facendosi uomo, “avrebbe preso l'aspetto
(morphé) di uno schiavo", Ivi. pag. 234. Tutte le testimonianze antiche paiono anche confermate dagli ultimi studi antropologici condotti
in Inghilterra, su crani di uomini palestinesi vissuti attorno ai primi anni del Cristianesimo, analizzati al computer per ricostruire il
probabile volto di Gesù di Nazaret.