fronte alle proprie obbligazioni, ha conseguenze estremamente gravi, sia per
il debitore, sia per i creditori, che per la pubblica economia.
L’imprenditore, con il fallimento, perde la sua azienda ed i beni materiali ed
immateriali che la compongono ed, inoltre, la liquidazione del patrimonio,
che necessariamente consegue all’avvio di tale procedura, si svolge secondo
tempi e modalità che risultano inevitabilmente contrari ai normali criteri
economici. Il lungo e laborioso iter e le spese che ne derivano finiscono per
assorbire gran parte dell’attivo realizzato e si assiste, così, spesso, alla
distruzione di rilevanti valori e all’impossibilità per i creditori di trovare
soddisfazione.
La cessazione dell’impresa, l’interruzione di notevoli rapporti commerciali e
le ripercussioni che il disastro economico di un’azienda determina, anche
nell’ambito di altri complessi organizzati per la produzione, possono creare
uno stato di crisi di ordine generale nell’economia nazionale.
Introducendo il concordato preventivo, invece, il legislatore aveva voluto
dare al debitore la possibilità di salvarsi dalle conseguenze rovinose del
fallimento, di conservare l’amministrazione dei propri beni, di non subire gli
effetti negativi di una liquidazione forzata, salvo, ovviamente, l’ipotesi di
8
concordato preventivo per cessione dei beni, e di estinguere definitivamente
le proprie obbligazioni, restando libero di riprendere la propria attività
2
.
Il concordato preventivo, così come disciplinato dal R.D. 16 Marzo 1942, n.
267, prevedeva, infatti, che l’imprenditore offrisse serie garanzie reali o
personali di pagare, oltre alla totalità dei crediti privilegiati, almeno il
quaranta per cento dei crediti chirografari, oppure cedesse ai creditori tutti i
beni esistenti nel proprio patrimonio.
Anche i creditori, oltre a trovare un conveniente soddisfacimento delle
proprie ragioni obbligatorie, non erano costretti a subire i lunghi tempi di
una procedura dispendiosa, limitando gli effetti negativi che generalmente il
dissesto economico di un’azienda produce, e, comunque, nel pieno rispetto
del principio della par condicio creditorum.
Sulla convenienza della procedura per i creditori e sulla meritevolezza del
debitore a fruire di tale beneficio si esprimeva, infatti, in sede di
omologazione, il tribunale.
Il concordato preventivo veniva considerato, quindi, come una procedura
destinata esclusivamente all’imprenditore “onesto ma sfortunato”, che aveva
2
R. Provinciali ha definito il concordato preventivo come un provvedimento
riparatorio e costruttivo, che tende a rimettere nella sua normale funzionalità
l’impresa, superando la crisi da cui è affetta, evitando la liquidazione e
l’esecuzione collettiva, in Trattato di diritto fallimentare, 1974.
9
condotto la sua attività con correttezza professionale, il cui dissesto appariva
determinato più dalla cattiva sorte o da eventi comunque indipendenti dalla
sua volontà, che da gravi demeriti, al quale si offriva il modo di evitare
l’inesorabile distruzione della propria azienda.
Con l’evolversi della realtà politica ed economica, però, non solo è stata
cancellata questa concezione del concordato preventivo, ma è mutato anche
il modo stesso di concepirne la validità
3
.
L’intervento concorsuale è stato inquadrato nella prospettiva di un valido
contributo alla soluzione della crisi imprenditoriale e si è cercato di
trasformare il concordato preventivo in uno strumento idoneo a perseguire il
risanamento dell’azienda e la conservazione dei posti di lavoro
4
.
Questo sia pur generoso tentativo, da parte della giurisprudenza, di
rivitalizzare ed adattare alle nuove ed impellenti necessità che l’emergenza
sociale imponeva
5
, un istituto pensato per altri scopi, non poteva, però, che
3
G. Lo Cascio, Il Concordato Preventivo, 2002.
4
Si vedano L. Stanghellini, Il declino del concordato preventivo con cessione dei
beni, in Giurisprudenza Commerciale, 1993 e R. Viale, L’uso alternativo del
concordato preventivo, in Giurisprudenza Commerciale, 1979.
5
In seguito alla crisi industriale degli anni ’70, era fortissima la spinta di istanze
sociali dirette alla salvaguardia dei posti di lavoro.
10
naufragare, proprio perché nel concordato preventivo non erano state
previste norme idonee a gestire in modo soddisfacente la crisi d’impresa
6
.
Il recupero dell’impresa, inoltre, fuoriusciva dallo stesso schema della
procedura e non pareva lecito ritenersi scopo, almeno immediato, della
disciplina. La legge, infatti, non indicava chiaramente quale dovesse essere
la sorte dell’impresa in conseguenza dell’instaurazione di questa procedura
concorsuale minore, se fosse destinata a cessare o se, invece, potesse
continuare, una volta soddisfatti i creditori.
Pareva possibile ritenere che, mentre nel caso di concordato per garanzia o
con pagamento in percentuale, l’imprenditore potesse riprendere l’attività,
se pure con un complesso aziendale ridotto, nel caso di concordato con
cessione dei beni, invece, tale evenienza fosse da respingere
7
.
6
G. Rago, Il concordato preventivo dalla domanda all’omologazione, 1998.
7
S. Pacchi, Il nuovo concordato preventivo, dallo stato di crisi agli accordi di
ristrutturazione, 2005.
11
1.2 LA RIFORMA DELLA LEGGE FALLIMENTARE
Da molti anni si discute in merito alle necessità ed alle prospettive di una
riforma del diritto delle procedure concorsuali.
Le ragioni di questa esigenza sono state di diversa natura: all’evoluzione
della Comunità Europea ed all’esigenza di un allineamento del nostro
ordinamento alle legislazioni degli altri paesi, si è aggiunta l’eccessiva
durata dei nostri procedimenti e la necessità che il rimedio della crisi
imprenditoriale operasse speditamente. Soprattutto, era sorto il bisogno di
un recupero dei valori aziendali, del management, della stessa
organizzazione dei beni economici, non più individuabili nella proprietà di
cose materiali, quanto piuttosto nei beni immateriali, nei risultati della
ricerca, nelle esperienze di mercato e nell’organizzazione di servizi
8
.
8
G. Lo Cascio, La nuova legge fallimentare: dal progetto di legge delega alla
miniriforma per decreto legge, in Il fallimento e le altre procedure concorsuali, n.
4, 2005.
12
Dal 2000, in particolare, si sono susseguiti numerosi progetti di riforma
9
,
tra i quali devono essere ricordati il Progetto dell’Associazione bancaria
italiana
10
; il progetto del gruppo parlamentare DS
11
ed il disegno di legge
“Modifiche urgenti al R.D. 16 Marzo 1942, n. 267, recante disciplina del
9
Si veda E. Frascaroli Santi, Crisi dell’impresa e soluzioni stragiudiziali, 2005, in
Trattato di diritto commerciale e di diritto pubblico dell’economia diretto da
Francesco Galgano, volume trentasettesimo.
10
Il progetto A.B.I. introduceva una procedura innovativa: la “Procedura di
gestione delle difficoltà dell’impresa”, che rappresentava una soluzione
stragiudiziale per la rimozione delle crisi di impresa reversibili. Accanto a questa
procedura innovativa, venivano, comunque, disciplinate le tradizionali procedure
concorsuali, con particolare attenzione per l’amministrazione controllata, in parte
modificata. Scopo del progetto di riforma era quello di ottenere una maggiore
celerità e speditezza delle procedure, una riduzione dei costi delle stesse ed una
deformalizzazione dei controlli da parte dell’autorità giudiziaria. La “procedura di
gestione delle difficoltà dell’impresa” poteva essere richiesta da un qualsiasi
soggetto in stato di sovraindebitamento e, quindi, anche dal debitore civile, ed era
concepita come un vero e proprio accordo stragiudiziale, che doveva concludersi al
di fuori e prima dell’apertura di un provvedimento giudiziale. Il sistema delineato
fu definito un sistema “binario” poiché consentiva al debitore di optare per un
modello di soluzione negoziata con l’intervento dell’autorità giudiziaria successivo
al perfezionamento dell’accordo con i creditori; ovvero per un modello di
soluzione giudiziale. La scelta di ricorrere all’uno o all’altro modello riguardava il
debitore.
11
Il progetto del gruppo parlamentare DS, presentato alla Camera il 21 Giugno
2001, prevedeva diverse modalità di intervento a seconda che l’impresa si trovasse
in una situazione di temporanea difficoltà ad adempiere od insolvenza imminente,
insolvenza attuale oppure crisi. In relazione alla prima ipotesi era prevista la
procedura di ristrutturazione delle passività, che avrebbe dovuto sostituire
l’amministrazione controllata ed il concordato preventivo, in relazione alla seconda
la procedura di insolvenza, infine, con riguardo ad una situazione di crisi, era
possibile la composizione negoziale della crisi. Relativamente al presupposto
soggettivo, il progetto DS stabiliva l’assoggettamento alle procedure di tutti gli
imprenditori, indipendentemente dalle dimensioni, e quindi anche
dell’imprenditore agricolo e del piccolo imprenditore in generale. Era prevista
anche per l’insolvente civile la possibilità di assoggettamento alla procedura di
ristrutturazione delle passività e alla procedura di insolvenza, solo su sua domanda.
13
fallimento”, approvato dal Consiglio dei Ministri nel marzo 2002,
generalmente indicato come “Miniriforma della legge fallimentare”
12
.
Tra i vari progetti emergeva sicuramente quello elaborato dalla seconda
Commissione Trevisanato, istituita con decreto del 27 Febbraio 2004
13
.
12
La c.d. miniriforma aveva lo scopo di realizzare un adeguamento della legge
fallimentare alle decisioni della Corte Costituzionale riguardanti alcune norme e
agli orientamenti consolidati della dottrina e della giurisprudenza. Il disegno di
legge prevedeva l’abrogazione del secondo comma dell’art. 1 l. f., indicante i
parametri di qualificazione dei piccoli imprenditori, la modifica dell’art. 90 l. f.,
concernente l’esercizio provvisorio dell’impresa, prevedendo che il tribunale dopo
la dichiarazione di fallimento potesse disporre la continuazione temporanea
dell’impresa del fallito, se conveniente nell’interesse dei creditori e, relativamente
al concordato preventivo, l’abolizione del requisito della meritevolezza. Il giudizio
del tribunale si sarebbe dovuto, quindi, basare, secondo tale elaborato, sulla
considerazione degli interessi dei creditori ad un miglior soddisfacimento e sul
prevalente interesse alla conservazione dell’impresa, con la volontà di abbandonare
la tradizionale impostazione soggettiva della legge fallimentare, basantesi sulla
figura dell’imprenditore, ed adottare, invece, un’impostazione oggettiva in cui il
sistema concorsuale fosse rivolto all’impresa.
13
La commissione Trevisanato è stata l’incubatrice di un nuovo modo di concepire
le soluzioni alle crisi d’impresa, sul quale hanno avuto larga influenza i modelli
indicati dai principali ordinamenti stranieri. Nel corso dei lavori si sono confrontate
due concezioni di gestione della crisi: la prima, più tradizionale e recepita dalla
maggioranza della commissione, segnata dal convincimento di dover continuare ad
ancorare sia gli accordi tra debitore e creditori, sia la gestione della liquidazione al
controllo del giudice, seppur dotato di minori poteri rispetto a quelli che gli
conferiva il R. D. 16 marzo 1942, n. 267; la seconda più innovativa, caratterizzata
da un maggior riconoscimento degli accordi stragiudiziali, dalla volontà di lasciare
agli organi non togati della procedura ulteriore spazio rispetto a quello, già
rilevante, riconosciuto dalla proposta di maggioranza. Entrambe le concezioni
erano, comunque, accomunate da una visione decisamente nuova rispetto al
modello precedente e contraddistinte dalla volontà di porre al centro del nuovo
modello la crisi dell’impresa e le possibili soluzioni per regolarla con accordi tra
debitore e creditori, e, solo ove questo risultato non fosse conseguibile, con
l’adozione di una procedura liquidatoria più snella ed efficace dell’attuale
14
Il suddetto progetto si basava sulla sostituzione delle quattro procedure
disciplinate dal R.D. 16 Marzo 1942, n. 267, con la procedura di
composizione concordata della crisi e con quella di liquidazione
concorsuale.
Accanto all’introduzione di queste due procedure, era prevista una
disciplina del tutto nuova per il nostro ordinamento, riferita ai c.d. istituti di
allerta e prevenzione, rivolti a favorire l’emersione tempestiva della
situazione di crisi dell’impresa.
La procedura di composizione concordata della crisi, rivolta a valorizzare
gli accordi tra debitore e creditori per superare la crisi o regolare
l’insolvenza già manifestatasi, di fatto, superava e sintetizzava le discipline
delle due procedure di concordato preventivo e amministrazione
controllata
14
.
Il debitore avrebbe potuto mantenere, di regola, la gestione dell’impresa a
tutela della cui ordinata prosecuzione si sarebbero prodotti “effetti
fallimento. A. Jorio, I lineamenti di una nuova… improbabile legge fallimentare, in
Giurisprudenza commerciale, Maggio – Giugno 2005.
14
G. Santoni, I principi ispiratori del progetto di riforma, in Crisi dell’impresa e
insolvenza, 2004.
15
protettivi”
15
, utili anche al mantenimento del principio della par condicio
creditorum.
All’apertura della procedura, il debitore avrebbe dovuto presentare, insieme
all’istanza, un piano di composizione della crisi, contenente l’indicazione
delle attività imprenditoriali destinate alla prosecuzione e di quelle destinate
alla dismissione, delle previsioni economiche e finanziarie connesse alla
prosecuzione dell’esercizio dell’impresa, e delle modalità di copertura del
fabbisogno finanziario
16
.
Il piano avrebbe potuto prevedere la suddivisione dei creditori in classi,
purché ai creditori appartenenti a ciascuna classe venisse riservato un
trattamento uniforme. La formazione di classi di creditori, unitamente alla
quantificazione dei rispettivi crediti, poteva essere, peraltro, soggetta, su
impulso degli interessati, a specifico sindacato dell’autorità giudiziaria in
ordine ai criteri di suddivisione adottati, al fine di evitarne l’impropria
15
Divieto di azioni esecutive e inefficacia degli atti costitutivi di diritti di
prelazione.
16
Qualora si fosse voluto adottare l’indirizzo della cessione dei complessi
aziendali, il piano avrebbe dovuto indicare anche le modalità di cessione, mentre,
se si fosse voluto mettere in atto la ristrutturazione dell’impresa, il piano avrebbe
dovuto prevedere le forme di ricapitalizzazione ed il mutamento degli assetti
proprietari.
16
finalizzazione all’artificiosa formazione delle maggioranze necessarie
all’approvazione del piano stesso.
Dall’insuccesso della procedura di crisi sarebbe potuta derivare la procedura
di liquidazione concorsuale, rivolta a disciplinare unitariamente
l’insolvenza, ma con caratteristiche di flessibilità. La procedura di
insolvenza sarebbe stata finalizzata al soddisfacimento dei creditori, in
forma concorsuale, attraverso il realizzo della vendita di beni del debitore, o
in forma concordata, con la conservazione, anche parziale, dell’impresa.
Per quanto riguarda il presupposto oggettivo delle procedure, va sottolineato
che, nel progetto redatto dalla Commissione Trevisanato, il ricorso alla
procedura di crisi era ammesso anche al fine di regolare in via
convenzionale una situazione di insolvenza.
Questo disegno di legge non ha, però, avuto seguito. Il legislatore ha, infatti,
improvvisamente mutato orientamento, indirizzandosi verso una riforma
parziale della vecchia legge fallimentare.
L’11 marzo 2005 il Consiglio dei Ministri ha deliberato di inserire
nell’ambito di una serie di interventi diretti a rilanciare la competitività del
Paese, il “Piano di azione per lo sviluppo economico, sociale e territoriale”,
anche la riforma delle procedure concorsuali.
17
Ne sono, così, derivati, da un lato, il decreto legge 14 marzo 2005, n. 35,
pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 16 marzo 2005, n. 62, dall’altro, un
disegno di legge in materia fallimentare e processuale civile
17
.
Attraverso il decreto legge n. 35/2005, il legislatore si è preoccupato,
innanzitutto, di ridisciplinare l’azione revocatoria fallimentare, di
rivoluzionare la procedura di concordato preventivo e di introdurre gli
accordi di ristrutturazione dei debiti.
Il 14 maggio 2005, il decreto legge n. 35/2005 è stato convertito in legge e,
contemporaneamente, con la stessa legge di conversione n. 80/2005
18
, è
stata conferita delega al Governo per l’approvazione di uno o più decreti
legislativi delegati.
In sede di conversione, però, il legislatore ha definitivamente rinunciato agli
ambiziosi obiettivi di una completa rivoluzione della materia.
17
Sia il decreto legge che il disegno di legge facevano riferimento alla c.d.
“Miniriforma della legge fallimentare”, della quale era stato utilizzato, però,
soltanto l’involucro, dato che il contenuto era stato radicalmente modificato
attraverso un Maxi-emendamento, approvato dal Governo il 23 Dicembre 2004.
18
La legge n. 80/2005, intitolata “Conversione in legge, con modificazioni, del
decreto legge 14 marzo 2005, n. 35, recante disposizioni urgenti nell’ambito del
Piano di azione per lo sviluppo economico, sociale e territoriale. Deleghe al
governo per la modifica del codice di procedura civile in materia del processo di
cassazione e di arbitrato nonché per la riforma organica della disciplina delle
procedure concorsuali”, è stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 111 del 14
maggio 2005.
18
Non sono stati enunciati principi di delega che consentano un opportuno
coordinamento con quanto era stato in precedenza sancito con il decreto
legge, ed, addirittura, è rimasta vigente una parte della precedente disciplina
che mal si concilia con le innovazioni, creando vuoti legislativi ed
imponendo una ricostruzione interpretativa difficoltosa ed incerta.
Per quanto riguarda la disciplina del concordato preventivo, l’unica
innovazione inserita in sede di conversione è stata quella che regola in via
transitoria l’applicabilità della nuova legge ai procedimenti pendenti non
ancora omologati alla data di entrata in vigore del decreto legge; mentre, in
ordine all’azione revocatoria, sono state introdotte solo alcune rettifiche di
carattere formale
19
.
La delega è stata redatta con l’intento di semplificare la disciplina
fallimentare, mediante non soltanto l’estensione dei soggetti esonerati, ma
anche l’accelerazione delle procedure applicabili alle controversie in
materia.
Relativamente agli organi delle procedure, è stata assegnata al comitato dei
creditori una maggiore partecipazione alla crisi dell’impresa ed è stata
introdotta la facoltà di scegliere come curatore, oltre agli studi professionali
19
G. Lo Cascio, I principi della legge delega della riforma fallimentare, in Il
fallimento e le altre procedure concorsuali, n. 9, 2005.
19
associati ed alle società tra professionisti, anche soggetti che abbiano
comprovate capacità di gestione imprenditoriale.
Il legislatore ha, inoltre, manifestato la volontà di modificare la disciplina
relativa alle conseguenze personali del fallito, eliminando le sanzioni
personali e prevedendo che le limitazioni alla libertà di residenza e di
corrispondenza siano connesse alle sole esigenze della procedura
20
.
Il 23 Settembre 2005 il Governo ha approvato lo schema di decreto
legislativo sulle procedure concorsuali.
Aderendo ai principi ed ai criteri direttivi inseriti nella legge delega, lo
schema di decreto legislativo ha previsto la ridefinizione del concetto di
piccolo imprenditore; la cancellazione del registro dei falliti; il
potenziamento del ruolo del curatore; l’ampliamento della possibilità di
ricoprire tale incarico per chiunque abbia svolto funzioni di
amministrazione, direzione e controllo in società per azioni; una nuova
disciplina di concordato fallimentare, articolata secondo i criteri che
20
La legge delega prevedeva, inoltre, la modifica della disciplina dell’accertamento
del passivo, abbreviandone i tempi, semplificando le modalità di presentazione
delle relative domande di ammissione e accordando ai creditori la possibilità di
confermare o effettuare nuove designazioni in ordine ai componenti del comitato
dei creditori e al curatore, in sede di adunanza per l’esame dello stato passivo,
indicando eventualmente al giudice delegato un nuovo nominativo.
Si veda D. Plenteda, La legge delega per la riforma delle procedure concorsuali:
principi e criteri direttivi, in Il fallimento e le altre procedure concorsuali, n. 8,
2005.
20
regolano il concordato preventivo già in vigore e l’abolizione della
procedura di amministrazione controllata.
Il Governo ha portato a compimento la riforma delle procedure concorsuali
con la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale del 16 Gennaio 2006, n. 12,
del decreto legislativo 9 Gennaio 2006, n. 5, approvato dal Consiglio dei
Ministri il 22 Dicembre 2005.
21