2
Il vero problema, tuttavia, è insito nella natura dell’istituto espropriativo:
si tratta, infatti, di una materia complessa, che coinvolge numerose discipline
(giuridica, economica, estimativa, urbanistica, ecc.), e di una materia
estremamente importante sotto il profilo della limitazione del diritto di
proprietà, ossia del diritto di godere e di disporre di un bene in modo pieno ed
esclusivo.
Una tale rilevanza, peraltro sancita dall’art. 42 della Costituzione e
dall’art. 834 del Codice Civile, non può che essere riconosciuta ad uno
strumento, quello ablatorio, fondamentale nei confronti delle necessità della
collettività; le vicende espropriative, infatti, trovano il loro presupposto nelle
previsioni di sviluppo delle città, uno sviluppo razionale guidato dalla mano
Pubblica attraverso validi programmi di pianificazione territoriale e procedure
urbanistiche. Tuttavia, sempre più spesso, l’esproprio ha trovato la sua
ragione di esistere anche nella preservazione di beni culturali, archeologici e
ambientali e viene oggi considerato molto più che un semplice strumento
urbanistico.
L’esproprio, comunque, rappresenta uno degli anelli di congiunzione fra
urbanistica ed agricoltura, motivando, in parte, il rapporto esistente tra i due
settori. In questi ultimi anni, infatti, si evidenzia sempre più come la
destinazione della terra all’urbanizzazione, in particolare per l’edilizia
pubblica, incida notevolmente sulla destinazione della stessa per
l’utilizzazione agricola. Tutto ciò, naturalmente, non comporta soltanto una
decurtazione della terra per l’attività agricola, bensì determina ripercussioni
sull’andamento del mercato fondiario e sullo sviluppo dell’edilizia privata.
Per quanto concerne il concetto di giusta indennità, di giusto ristoro, di
indennità congrua, seria ed adeguata, ecc., si lascia la parola ai legislatori e ai
giuristi che, a partire dal 1865, si sono adoperati al fine di definire gli
elementi necessari a determinare l’indennità di esproprio, passando dal valore
venale, al VAM, al Valore Agricolo, e così via.
All’estimatore è, comunque, sempre rimasto il compito di attribuire un
valore monetario al bene oggetto di esproprio che fosse conforme al concetto
di giusta indennità, così come definita dalle diverse disposizioni legislative
che si sono succedute nel secolo e mezzo che è intercorso fra la legge
fondamentale e le attuali normative.
Nei casi di definizione dell’indennità di esproprio, i problemi nascono
nel momento in cui l’espropriando non accetta l’indennità proposta
dall’Autorità espropriante; a questo punto i periti (CTU o CTP), in sede
giudiziale, o la Commissione Provinciale Espropri (CPE), devono,
3
innanzitutto, definire il valore agricolo dell’area espropriata. Secondo il
Medici (1972), “il giudizio di stima consiste nell’attribuire una somma di
moneta ad un determinato bene economico”, in relazione a quella che viene
indicata, comunemente, come la “ragion pratica della stima”; in funzione
delle molteplici ragioni per cui può essere richiesta la stima di un bene,
diverso è l’aspetto economico che esso, di volta in volta, assume (più
probabile valore di mercato, più probabile valore complementare, ecc.).
Con l’emanazione della legge n° 865 del 22 ottobre 1971 è stato
introdotto un criterio del tutto nuovo di calcolo dell’indennizzo: il Valore
Agricolo Medio, un valore determinato ogni anno, per ogni tipo di coltura di
ogni regione agraria, in ogni provincia, dalla Commissione Provinciale
Espropri (per molti anni, tuttavia, la determinazione dei VAM è stata nelle
mani dell’Ufficio Tecnico Erariale). Tale criterio, basato sull’utilizzo dei
VAM, da un punto di vista estimativo si può ricondurre ad una metodologia
sintetica “per valori tipici”. Di fondamentale importanza risulta chiarire la
natura dell’area oggetto di esproprio, in quanto questo accertamento comporta
una vera e propria dicotomia nella determinazione dell’indennità. Le varie
leggi, infatti, prevedono l’utilizzo di diversi criteri di calcolo dell’indennità di
esproprio a secondo della natura dell’area.
L’introduzione di questo nuovo parametro, il VAM, ha portato subito
alla nascita di numerosi problemi e di dubbi riguardo alla legittimità
costituzionale, tanto che, nonostante venisse utilizzato, all’inizio, anche per le
aree edificabili, dalla sentenza di incostituzionalità degli anni ’80, nonché
dalla normativa attuale, sancita dal “Testo unico delle disposizioni legislative
e regolamentari in materia di espropriazione per pubblica utilità” n° 327
dell’8 giugno 2001, trova applicazione solamente per l’espropriazione di aree
non edificabili, in quanto per le aree urbane porterebbe alla determinazione di
indennizzi di gran lunga inferiori ai valori di mercato.
Del resto, visto che, spesso, il procedimento espropriativo non si risolve
se non passando a vie legali, viene da chiedersi se, e in quale misura, la
Commissione tenga conto del mercato. Solamente da una attenta analisi del
mercato da parte dei componenti della Commissione, infatti, possono
scaturire dei valori solidi e validi, che permettano, a chi opera nel settore
espropriativo, di lavorare con una certa tranquillità. Per mercato intendiamo
non solo quello fondiario, in cui i prezzi risentono di fattori endogeni
(connessi alla posizione e alle vicende dell’agricoltura in senso stretto) e di
fattori esogeni (connessi alla politica agraria, alla congiuntura del sistema
economico generale ed ai provvedimenti di politica economica nazionale in
4
materia fiscale, finanziaria, ecc.), ma anche quello dei prodotti agricoli e dei
redditi ad essi connessi.
Un altro importante legame è quello che esiste tra l’ indennità di
occupazione e il mercato degli affitti. L’autorità espropriante può disporre
l’occupazione temporanea di aree non soggette al procedimento espropriativo,
se ciò risulti necessario per la corretta esecuzione dei lavori previsti. Nel caso
di occupazione di un’area, è dovuta al proprietario una indennità per ogni
anno pari ad un dodicesimo di quanto sarebbe dovuto nel caso di esproprio
dell’area e, per ogni mese o frazione di mese, una indennità pari ad un
dodicesimo di quella annua. Tale indennità può essere correlata al canone di
affitto di un’area, per vedere se l’indennità di occupazione è equa o meno.
Con questi presupposti, si può capire l’importanza di uno studio che
cerchi di analizzare se esistono dei rapporti tra i VAM e i valori di mercato e,
soprattutto, quanto siano stretti questi rapporti.
Il presente lavoro cerca di affrontare tali problematiche ed in particolare
si pone come obiettivi:
a) analizzare i legami che intercorrono tra i VAM ed i valori fondiari delle
aree;
b) affrontare il problema della congruità dell’indennità di espropriazione
all’atto pratico di applicare i VAM per la determinazione di tale valore;
c) determinare se i componenti della Commissione provinciale (o dell’UTE),
nella determinazione dei VAM, considerano, oltre ai valori fondiari delle
aree, anche altri parametri quali, ad esempio, i prezzi dei prodotti agricoli;
d) proporre alcune modifiche al metodo di determinazione dell’indennità
basato sui VAM, affinché tale valore costituisca un giusto ristoro per il
proprietario.
Il perseguimento di tali obiettivi comporta, innanzitutto, di capire in che
modo i VAM sono nati, da un punto di vista legislativo. Successivamente,
partendo dalle critiche che li hanno seguiti nel corso degli anni, si procederà
ad una analisi dettagliata di questi valori, per vedere la corrispondenza con i
valori di mercato e, quindi, gli eventuali pregi e difetti.
Al fine di perseguire gli obiettivi sopra citati, lo studio è stato articolato
nelle seguenti parti:
ξ Capitolo 1: effettua un excursus storico sulle varie leggi espropriative, per
soffermarsi, poi, sulla normativa attuale;
ξ Capitolo 2: esamina la nascita e la determinazione dei VAM e considera
alcuni loro pregi e difetti;
5
ξ Capitolo 3: si concentra sulle metodologie di analisi che verranno eseguite
sui VAM;
ξ Capitolo 4: affronta i problemi della determinazione dell’area oggetto di
studio e della ricerca dei dati; viene riportata, inoltre, un’analisi di questi
dati;
ξ Capitolo 5: dopo aver descritto il mercato fondiario, si passa ad analizzare i
rapporti esistenti tra i VAM e i valori fondiari dei terreni agricoli;
ξ Capitolo 6: analizza i rapporti esistenti tra i VAM e i prezzi dei prodotti
agricoli;
ξ Capitolo 7: riporta, alla luce delle analisi condotte, alcune considerazioni
conclusive sui risultati conseguiti.
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CAPITOLO 1
LA NORMATIVA SUGLI ESPROPRI
1.1 EXCURSUS STORICO
Gli espropri rappresentano un elemento fortemente influente sul mercato
fondiario, in quanto, spesso, modificano l’uso dei suoli, che passano da un
utilizzo prevalentemente agricolo o forestale ad un uso edilizio (salvo i casi di
esproprio di aree archeologiche, di aree da destinare a verde pubblico, ecc.);
questi interventi, per la loro natura, contribuiscono a parcellizzare
ulteriormente il territorio, già fortemente condizionato da interventi di Politica
Agricola Comunitaria (le politiche dell’U.E., infatti, incidono sulle decisioni
degli agricoltori non solo in merito agli indirizzi produttivi da praticare, ma
anche per quanto concerne lo sviluppo strutturale delle aziende), da
successioni e donazioni, dalla Riforma Agraria, dalla forte variegatura delle
destinazioni d’uso e da un utilizzo sempre meno agricolo dei suoli rurali.
La complicata vita dell’Espropriazione per Pubblica Utilità nasce nel
lontano 1865, anno in cui viene emanata la legge n° 2359, che ha costituito
per molti anni la legge fondamentale sugli espropri, ed è servita come
riferimento futuro per ogni successiva normativa.
Nella legge fondamentale, l’indennità di espropriazione è stabilita dagli
articoli 39 e 40, che testualmente recitano: “Nel caso di occupazione totale, la
indennità dovuta all'espropriato consisterà nel giusto prezzo che a giudizio
dei periti avrebbe avuto l'immobile in una libera contrattazione di
compravendita” e “Nei casi di occupazione parziale, l'indennità consisterà
nella differenza tra il giusto prezzo che avrebbe avuto l'immobile avanti
l'occupazione, ed il giusto prezzo che potrà avere la residua parte di esso
dopo l'occupazione”.
Queste norme, basate sul valore di mercato (art. 39) o sul valore
complementare (art. 40), sono sicuramente eque, in quanto stabiliscono un
criterio di stima che prevede il giusto compenso per chi viene sacrificato del
suo diritto di proprietà a favore dell’interesse comune.
La prima deroga alla legge fondamentale e alla determinazione
dell’indennità di espropriazione sulla base del valore venale si ebbe con la
legge n° 2892 del 1885, meglio conosciuta come legge di Napoli, in quanto
7
promulgata per il risanamento della città di Napoli in seguito all’epidemia di
colera del 1884.
Il criterio di calcolo dell’indennità è regolato dall’art. 13 della legge,
secondo cui: “l’indennità dovuta ai proprietari degli immobili espropriati
sarà determinata sulla media del valore venale e dei fitti coacervati
dell’ultimo decennio, purché si abbia la data certa corrispondente al
rispettivo anno di locazione. In difetto di tali fitti accertati, l’indennità sarà
fissata sull’imponibile netto agli effetti delle imposte sui terreni e sui
fabbricati; inoltre, i periti non dovranno, nelle stime dell’indennità, tener
conto dei miglioramenti e delle spese fatti dopo la pubblicazione ufficiale del
piano di risanamento”.
Dato che la legge di Napoli era nata con la finalità di risolvere, o meglio,
di far fronte a delle anomalie del mercato immobiliare, generato dal
particolare contesto ambientale, sarebbe dovuta rimanere confinata alle
circostanze che l’avevano generata; in realtà le disposizioni di tale legge
vennero estese ad altri comuni ed alle espropriazioni necessarie per le opere
pubbliche. Questo generò numerosi conflitti tra proprietari ed
Amministrazione Pubblica.
Dal 1885, anno di emanazione della legge di Napoli, bisogna poi
attendere quasi un secolo prima di veder pubblicata una nuova legge: è,
infatti, il 1971 quando viene emanata la legge n° 865, denominata Legge sulla
casa.
Negli anni seguenti al 1885 lo Stato italiano ha emanato numerosi
provvedimenti riguardanti l’espropriazione di beni per i motivi più diversi,
rifacendosi, però, sempre o alla legge fondamentale o alla legge di Napoli.
Questo numero elevato ed eterogeneo di disposizioni ha portato, nel
corso degli anni, ad una certa confusione in ambito espropriativo, dando
origine spesso a disagi e sperequazioni.
Intanto il 1° gennaio 1948 entra in vigore la Costituzione della
Repubblica Italiana, in cui se da un lato viene garantito il diritto di proprietà,
dall’altro viene ricordato che questa può essere soggetta ad esproprio se esiste
la pubblica utilità; in particolare gli articoli interessanti da questo punto di
vista sono:
- art. 42: “la proprietà è pubblica o privata. I beni economici appartengono
allo Stato, ad enti o a privati. La proprietà privata è riconosciuta e
garantita dalla legge, che ne determina i modi di acquisto, di godimento e i
limiti allo scopo di assicurarne la funzione sociale e di renderla accessibile
a tutti. La proprietà privata può essere, nei casi previsti dalla legge, e
8
salvo indennizzo, espropriata per motivi d’interesse generale. La legge
stabilisce le norme ed i limiti della successione legittima e testamentaria e
i diritti dello Stato sulle eredità”;
- art. 43: “ai fini di utilità generale la legge può riservare originariamente o
trasferire, mediante espropriazione e salvo indennizzo, allo Stato, ad enti
pubblici o a comunità di lavoratori o di utenti, determinate imprese o
categorie di imprese, che si riferiscano a servizi pubblici essenziali o a
fonti di energia o a situazioni di monopolio ed abbiano carattere di
preminente interesse generale”.
Del resto l’espropriazione per pubblico intersesse era già sancita dall’art.
834 del Codice Civile, in vigore dal 21 aprile 1942, che recita testualmente:
“Nessuno può essere privato in tutto o in parte dei beni di sua proprietà, se
non per causa di pubblico interesse, legalmente dichiarata, e contro il
pagamento di una giusta indennità. Le norme relative all’espropriazione per
causa di pubblico interesse sono determinate da leggi speciali”.
Il 25 maggio 1957 la Corte Costituzionale, con la sentenza n° 61,
interviene per la prima volta in materia espropriativa, affermando che occorre
stabilire un rapporto di complementarietà tra misura dell’indennizzo e scopi di
pubblica utilità che, “proprio per questa loro natura e per i superiori interessi
che ne sono il presupposto, devono essere raggiunti: il che significa che essi
devono essere coordinati e contemperati il più possibile con l’interesse
privato, ma che non possono a queste essere subordinati, al punto che un
integrale considerazione di esso finisca praticamente per impedire la
realizzazione degli scopi di pubblica utilità”. Secondo la Corte, indennizzo
non può significare integrale ristoro del danno economico subito, ma
“soltanto il massimo di contributo e di riparazione che, nell’ambito degli
scopi di generale interesse, la Pubblica Amministrazione può garantire
all’interesse privato”. La scelta dei criteri per la determinazione
dell’indennizzo rientra nel potere discrezionale del legislatore, in quanto
rappresenta “un complesso e vario esame di elementi tecnici, economici,
finanziari, politici, che solo al legislatore può essere dato compiere”. Unico
limite a tale discrezionalità, su cui può incidere il sindacato della Corte, è
quello che separa un indennizzo anche minimo, ma effettivo, da uno
simbolico, il quale sarebbe inesistente. Questi principi sono stati integrati ed
arricchiti dalla successiva giurisprudenza costituzionale.
Per cercare di riportare un pò di ordine e semplificare la disciplina
venne emanata, il 22 ottobre 1971, la legge n° 865, meglio nota come Legge
sulla casa, in quanto prevedeva anche la realizzazione di programmi di
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edilizia abitativa. L’art. 9, Titolo II recita testualmente: “Le disposizioni
contenute nella presente legge si applicano all'espropriazione degli immobili
per l'acquisizione delle aree comprese nei piani di cui alla legge 18 aprile
1962, n° 167, e successive modificazioni, per la realizzazione di opere di
urbanizzazione primaria e secondaria compresi i parchi pubblici e di singole
opere pubbliche, per il risanamento, anche conservativo, degli agglomerati
urbani, per la costruzione di edifici o quartieri distrutti o danneggiati da
eventi bellici o da calamità naturali, per l'acquisizione delle aree comprese
nelle zone di espansione, nonché per l'acquisizione degli immobili necessari
per la costituzione di parchi nazionali”.
Dal punto di vista del calcolo dell’indennità di espropriazione la novità
più importante è data dall’introduzione del Valore Agricolo Medio (V.A.M.),
un valore determinato ogni anno, per ogni tipo di coltura di ogni regione
agraria, in ogni provincia, dalla Commissione Provinciale.
Secondo la legge 865/1971, l'indennità di espropriazione, per le aree
esterne ai centri edificati è commisurata al VAM corrispondente al tipo di
coltura in atto nell'area da espropriare; invece, nelle aree comprese nei centri
edificati l'indennità è commisurata al VAM della coltura più redditizia tra
quelle che, nella regione agraria in cui ricade l'area da espropriare, coprono
una superficie superiore al 5 % di quella coltivata della regione agraria stessa.
Tale valore è moltiplicato per un coefficiente: da 2 a 5 se l'area ricade nel
territorio di comuni fino a 100 mila abitanti; da 4 a 10 se l'area ricade nel
territorio di comuni con popolazione superiore a 100 mila abitanti.
Per l'espropriazione delle aree che risultino edificate o urbanizzate
l'indennità è determinata in base alla somma del valore dell'area e del valore
delle opere di urbanizzazione e delle costruzioni, tenendo conto del loro stato
di conservazione. Se la costruzione è stata eseguita senza licenza, o in
contrasto con essa, o in base ad una licenza annullata, ne deve essere disposta
ed eseguita la demolizione e l'indennità è determinata in base al valore della
sola area.
La legge n° 865/1971 sollevò sin dal suo apparire non pochi dubbi di
legittimità costituzionale in relazione all’art. 42 della Costituzione, soprattutto
in quella parte di disposizioni che prevedevano per le aree urbane indennizzi
di gran lunga inferiori ai valori di mercato e configurando, di conseguenza,
evidenti disparità di trattamento tra proprietari di aree contigue, ma
diversamente preordinate ad interventi espropriativi a seconda delle scelte di
politica urbanistica attuate a livello locale. La Corte Costituzionale, investita
dal problema, rinviò a lungo ogni decisione, nell’attesa che il legislatore
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conducesse a termine quel processo di modificazione del regime giuridico dei
suoli urbani che, iniziato con la legge 865/1971, avrebbe dovuto concludersi
con l’espressa separazione del diritto di costruire (jus aedificandi) dal diritto
di proprietà.
A tale scopo il 28 gennaio 1977 fu emanata la legge n° 10, denominata
legge Bucalossi, la quale, all’art. 14, oltre ad incrementare i parametri ed i
coefficienti di determinazione dell’indennizzo, affermava il contenuto
meramente agricolo dei suoli urbani, facendo del diritto di costruire l’oggetto
di una concessione dei pubblici poteri ai proprietari e ad altri soggetti aventi
titolo, ossia separava il diritto di costruire dalla proprietà del suolo,
attribuendolo allo Stato o, comunque, all’ente pubblico, che poteva poi
riconcederlo al proprietario o, al limite, anche ad altri, dietro pagamento di un
prezzo.
La soluzione proposta con questa legge non ha dato gli esiti sperati, ed
inoltre anche la legge n° 10/1977 è stata dichiarata incostituzionale, in
relazione all’art. 42 della Costituzione, con la sentenza della Corte di
Cassazione n° 5 del 30 gennaio 1980.
La violazione risulterebbe palese quando, per la determinazione
dell’indennità di esproprio, non si considerano le caratteristiche del bene da
espropriare, ma si adotta un criterio che, come quello del valore agricolo
medio dei terreni secondo i tipi di coltura praticati nelle regioni interessate,
prescinde dal valore del bene oggetto di esproprio, utilizzando un elemento di
valutazione del tutto astratto. Con questa sentenza la Corte costituzionale ha
affermato che “l’indennizzo assicurato all’espropriato dall’art. 42 della
Costituzione, se non deve costituire integrale riparazione per la perdita
subita, non può essere tuttavia fissato in misura irrisoria e meramente
simbolica, ma deve rappresentare un serio ristoro”; per questo, aggiunge la
Corte, bisogna determinare l’indennizzo con riferimento “al valore del bene
in relazione alle sue caratteristiche essenziali, fatte palesi dalla potenziale
utilizzazione economica di esso, secondo legge”. Utilizzazione che, per le aree
destinate all’edificazione, in quanto poste in zone interessate allo sviluppo
urbano, non può che essere quella edilizia: di questo bisogna tener conto nella
determinazione dell’indennità di espropriazione da rapportare al valore del
bene. In questi terreni destinati ad insediamenti edilizi, che non hanno alcuna
relazione con le colture praticate nella zona, l’utilizzo del valore agricolo
medio porta alla determinazione di indennizzi di esproprio sperequati rispetto
al valore dell’area da espropriare.
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Questa sentenza (ripresa anche dalla sentenza della Corte Costituzionale
n° 231/1984, con la quale si precisava che il criterio del valore agricolo non è
lesivo della Costituzione se riferito alle aree prive di attitudine edificatoria) ha
svolto un ruolo fondamentale nella futura evoluzione legislativa non solo per
quanto riguarda gli espropri, ma per l’intera disciplina urbanistica.
La Corte, infatti, ha fondato la sua decisione di incostituzionalità della
normativa sull’affermazione che il diritto ad edificare costituisce ancora una
caratteristica peculiare del diritto di proprietà, tale da omologare i suoli
urbani, con la conseguenza, per il legislatore, di dover necessariamente
apprestare soluzioni che assicurino uguale trattamento giuridico a tutte le
aree, siano esse potenzialmente, oppure effettivamente, destinate all’attività
edificatoria.
Per cercare di colmare il vuoto che si era venuto a creare in seguito alla
sentenza 5/1980 il legislatore intervenne con la legge n° 385 del 29 luglio
1980 (Norme provvisorie sulla indennità di espropriazione di aree
edificabili nonché modificazioni di termini previsti dalle leggi 28 gennaio
1977, n° 10, 5 agosto 1978, n° 457 e 15 febbraio 1980, n° 25). Questa “legge
tampone” aveva carattere di provvisorietà, in quanto all’art. 1 era previsto che
la legge sostitutiva sarebbe stata emanata “entro un anno dall'entrata in
vigore della presente legge”. Del resto tale legge prevedeva che “fino
all'entrata in vigore di apposita legge sostitutiva delle norme dichiarate
illegittime dalla Corte costituzionale con sentenza n° 5 del 1980, per tutte le
espropriazioni comunque preordinate alla realizzazione di opere o interventi
da parte o per conto dello Stato, delle regioni, delle province, dei comuni e
degli altri enti pubblici o di diritto pubblico, anche non territoriali,
l'indennità è” calcolata sulla base di quanto previsto dalla legge 865/1971,
così come modificata dalla legge 10/1977, salvo successivo conguaglio ai
sensi della legge sostitutiva. Il termine di un anno entro cui questa legge
sarebbe dovuta essere stata varata venne via via prorogato dal legislatore.
La situazione venutasi a creare divenne, comunque, ben presto
insostenibile, in quanto, da una parte gli espropriati non sapevano se, come e
quando avrebbero ricevuto la liquidazione definitiva dell’indennità come
conguaglio, dall’altro gli enti esproprianti non erano in grado di prevedere
l’entità degli oneri per le espropriazioni. A questo si aggiunse la sentenza
della Corte costituzionale n° 223 del 15 luglio 1983 che dichiarava
incostituzionale la legge 385/1980 e le successive leggi di proroga.
In particolare la Corte osserva che anche la legge tampone si oppone a
quanto previsto dall’art. 42 della Costituzione, così come aveva previsto la
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sentenza n° 5/1980, essendovi testuale corrispondenza tra la norma dichiarata
incostituzionale e la legge provvisoria; inoltre il carattere di provvisorietà è di
fatto venuto meno a causa delle ripetute proroghe all’entrata in vigore
dell’apposita legge sostitutiva e questo deve far ritenere che l’acconto
costituisca di fatto l’unico indennizzo.
A questo punto si presentava nuovamente il problema di quale criterio
applicare nella determinazione dell’indennità di esproprio. A cercare di far
fronte alle numerose incertezze interpretative intervenne più volte la Corte di
Cassazione, che, con le sentenze n° 314 del 31 maggio 1984 e 1197 del 20
febbraio 1984, ha ribadito che il sistema di indennizzo dell’ex legge 865/1971
deve considerarsi integrativo, e non derogatorio, di quello contenuto nella
legge generale sull’espropriazione n° 2359/1865. Tale legge, infatti, mai stata
abrogata, ha continuato ad applicarsi alle espropriazioni disposte a favore di
soggetti privati e viene ad espandersi dopo la sentenza costituzionale n°
223/1983. Con le sentenze della Corte di Cassazione a Sezioni riunite n° 5401
del 24 ottobre 1984 e n° 4091 dell’8 luglio 1985, si prevede che i criteri di
determinazione basati sul valore agricolo medio, come previsti dall’art. 16
della legge sulla casa, rimangono operanti per gli espropri aventi per oggetto
aree estranee allo sviluppo edilizio e, perciò, ad effettiva destinazione
agricola; per le aree edificabili si applica il criterio del valore venale, come
previsto dall’art. 39 della legge fondamentale.
La giurisprudenza ha poi anche cercato di precisare il concetto di
edificabilità e gli elementi sulla cui base tale qualifica può essere riconosciuta.
Con le sentenze dalla Corte di Cassazione n° 6485 del 15 dicembre 1980 e n°
346 del 17 gennaio 1983 è stato previsto che l’edificabilità di un terreno va
desunta non solo sulla base degli strumenti urbanistici (edificabilità legale),
ma anche in base ad un complesso di elementi certi ed obiettivi relativi all’
ubicazione del terreno, alla sua accessibilità, alla presenza di infrastrutture che
attestano una concreta attitudine del suolo all’utilizzazione edilizia
(edificabilità di fatto). La sentenza della Corte di Cassazione n° 6533 del 12
dicembre 1984 prevede, inoltre, che l’attitudine edificatoria di un area deve
essere attuale, cioè cronologicamente riferibile allo stato di fatto esistente alla
data del decreto di espropriazione.
A partire dall’ormai lontana legge fondamentale del 1865, è iniziata una
parabola discendente del valore dell’indennità da corrispondere
all’espropriato, che tocca il minimo storico con le leggi 865/1971 e 10/1977.
Ma dagli anni ’80 ritorna in auge il principio del giusto ristoro che tende ad
equipararsi al valore di mercato. La continua oscillazione tra valore di
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mercato e valore sociale caratterizza l’atteggiamento del legislatore, che esita
a prendere posizione fino all’emanazione della legge n° 359 dell’8 agosto
1992.
Questa legge, ancora a titolo provvisorio, doveva colmare il vuoto
lasciato dalle sentenze degli anni ’80 riguardo al criterio di calcolo
dell’indennità delle sole aree edificabili. All’art. 5 bis si prevede, infatti, che
“fino all'emanazione di un'organica disciplina per tutte le espropriazioni
preordinate alla realizzazione di opere o interventi da parte o per conto
dello Stato, delle regioni, delle province, dei comuni e degli altri enti
pubblici o di diritto pubblico, anche non territoriali, o comunque
preordinate alla realizzazione di opere o interventi dichiarati di pubblica
utilità, l'indennità di espropriazione per le aree edificabili è determinata a
norma dell'art. 13, terzo comma, della legge 15 gennaio 1885, n° 2892
(Legge di Napoli), sostituendo in ogni caso ai fitti coacervati dell'ultimo
decennio il reddito dominicale rivalutato”. All’art. 3 si prevede che “per la
valutazione della edificabilità delle aree, si devono considerare le
possibilità legali ed effettive di edificazione esistenti al momento
dell'apposizione del vincolo preordinato all'esproprio”; viene quindi
introdotto il concetto di edificabilità legale e di edificabilità di fatto, già
previsto dalle precedenti sentenze della Corte di Cassazione. Infine, secondo
l’art. 4, “per le aree agricole e per quelle che non sono classificabili come
edificabili, si applicano le norme di cui al titolo II della legge 22 ottobre
1971, n° 865 e successive modificazioni ed integrazioni”.
In conclusione si riporta una tabella riassuntiva dei criteri di calcolo.
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LEGGE DENOMINAZIONE CRITERIO DI CALCOLO
n° 2359/1865 Legge Fondamentale
I = Valore di mercato
n° 2892/1885 Legge di Napoli
I =
2
)10( RDVm
I =
2
)10( fittiVm
n° 865/1971
e
n° 10/1977
Legge sulla Casa
Legge Bucalossi
Aree esterne ai c. e.
I = VAM
Aree interne ai c. e.
I = VAM x coeff.
n° 385/1980 Legge Tampone
Aree esterne ai c. e.
I = VAM
Aree interne ai c. e.
I = VAM x coeff. + cong.
n°223/1983 Sentenza Corte Cost.
Aree agricole
I = VAM
Aree edificabili
I = Valore di mercato
n° 359/1992 Art. 5 bis
Aree agricole
I = VAM
Aree edificabili
)4,01(
2
)10(
x
RDVm
I
c.e. = centri edificati