II
diretti a disciplinare e mitigare il potere di trasferimento dell’imprenditore,
contemperando entro giusti limiti le contrapposte esigenze.
Occorre peraltro rilevare che un’eccessiva restrizione di tale potere può
determinare l’impossibilità di una sana gestione aziendale, incidendo sulla
produttività dell’impresa, con inevitabili ripercussioni sugli stessi lavoratori che
potrebbero veder messo in discussione il posto di lavoro.
Negli ultimi anni consapevoli di ciò, le stesse forze politiche e sindacali hanno
intuito il pericolo derivante da un garantismo esasperato e da un sostanziale
immobilismo delle forze lavoro.
Questo lavoro si propone l’obiettivo limitato di analizzare l’istituto del
trasferimento del lavoratore, così come disciplinato nel vigente CCNL del
personale non dirigente della società Poste Italiane S.p.A.
Al fine di inquadrare al meglio l’istituto si è proceduto nel primo capitolo ad
una breve disamina della normativa legale che disciplina il trasferimento
individuale del lavoratore. Una particolare attenzione è stata dedicata alle nozioni
stesse di trasferimento e di unità produttiva alla luce delle più recenti pronunce dei
giudici di legittimità e di merito e dell’interpretazione che ne è stata data da alcuni
cultori della materia.
Nel secondo e terzo capitolo si è invece approfondito l’argomento proprio del
trasferimento del lavoratore postale così come risulta attualmente regolamentato
dal vigente CCNL del personale non dirigente. L’istituto è stato analizzato non
solo nella sua forma classica del trasferimento individuale d’ufficio, cui è stato
dedicato l’intero secondo capitolo, ma anche con riferimento alle altre diverse
tipologie di trasferimento: collettivo, volontario, trasferimento dei dirigenti
sindacali e trasferimento ex legge 104/92, terzo e ultimo capitolo del lavoro.
Non si poteva fare a meno di trattare, in un paragrafo del terzo capitolo,
dell’istituto della trasferta, sia per la sua affinità con la nozione di trasferimento,
di cui peraltro, dottrina e giurisprudenza pare abbiano marcato nel tempo la
sostanziale differenza, sia perché l’istituto riveste in ambito postale un rilievo
notevole per la sua ricorrente applicazione.
1
CAPITOLO PRIMO
BREVI CENNI SULLA DISCIPLINA LEGALE DEL
TRASFERIMENTO INDIVIDUALE.
1. Nozione di trasferimento e unità produttiva - 2. Presupposti legali del potere
di trasferimento.
1. Nozione di trasferimento e unità produttiva.
Il trasferimento del lavoratore è disciplinato legislativamente nell’ultimo
periodo del 1° comma dell’art. 2103 cod. civ., come sostituito dall’art. 13 della
legge 20 Maggio 1970 n. 300: esso stabilisce che il lavoratore non può essere
trasferito da un’unità produttiva ad un’altra, se non per comprovate ragioni
tecniche, organizzative e produttive.
Ai fini dell'identificazione della fattispecie di trasferimento regolamentata dal
predetto art. 2103 c.c., occorre che vi sia un mutamento definitivo e non
temporaneo, come nel caso della trasferta, del luogo di adempimento della
prestazione lavorativa dedotta nel rapporto. Sul punto la giurisprudenza sia di
merito che di legittimità si mostra sufficientemente concorde
1
.
Altra condizione necessaria perché possa aversi trasferimento, secondo la
dizione letterale della norma è che la nuova sede di lavoro ricada in una diversa
unità produttiva.
In assenza di una definizione legislativa, la nozione di “trasferimento” ha
formato oggetto d'acceso dibattito sia in dottrina, sia in giurisprudenza.
L’orientamento di parte della dottrina è che, poiché la ratio della norma sarebbe
quello di salvaguardare l’interesse del lavoratore ad evitare i disagi personali e
familiari conseguenti ad un mutamento apprezzabile del luogo della prestazione
lavorativa, nonostante il legislatore abbia giuridicamente qualificato come
1
Pret. Nuoro 27 settembre 1996, in D.L. Riv. critica dir. lav. 1998, 130;
Trib. Milano 30 luglio
1997, in D.L. Riv. critica dir. lav. 1998,129; Cass. 05 luglio 2002 n. 9744, in Giust. civ. Mass.
2002, 1165.
2
trasferimento il mutamento dell’unità produttiva, il trasferimento cui fa
riferimento la norma sarebbe da intendersi in senso geografico/spaziale e cioè in
sensibile spostamento della sede di lavoro tale da comportare il cambiamento di
domicilio o residenza del lavoratore
2
.
Secondo tale orientamento la nozione di trasferimento avrebbe un preciso
significato, dal quale non si può prescindere. Il significato attribuibile sarebbe
quello di trasferimento geografico, che si può avere solo nel caso in cui vi sia lo
spostamento del lavoratore da una località ad un’altra, non potendo invece
configurarsi come trasferimento il passaggio del lavoratore da un’unità produttiva
ad un’altra nell’ambito dello stesso territorio comunale.
I limiti allo ius variandi del datore di lavoro non sussisterebbero quindi, nel
caso di trasferimento all’interno dello stesso complesso aziendale o, in ogni caso,
in ambito geografico ristretto (es. all’interno dello stesso comune). In tale ipotesi
il datore di lavoro per compiere lo spostamento del lavoratore non avrebbe la
necessità di giustificarlo con la presenza di comprovate esigenze tecniche,
organizzative e produttive.
Al contrario, l’altro filone dottrinario si fa invece assertore della tesi che, in
considerazione del dato letterale di cui all’art. 13 Stat.lav. “ trasferimento da una
unità produttiva ad un’altra “ e cioè dell’inserimento del lavoratore in una data
unità produttiva, l’interesse che s'intende proteggere non è quello volto ad evitare
modificazioni geografiche del luogo di lavoro ma l’insieme di rapporti ai quali il
lavoratore subordinato può avere interesse a conservare e che possono essere di
carattere professionale, prospettive di carriera, relazioni interpersonali e quindi
«l’interesse a non essere sradicato, salvo comprovate ragioni, dall’unità produttiva
in cui è inserito»
3
.
2
F. CALA’, Il trasferimento del lavoratore, PADOVA, 1999, 65 e ss.; E. GHERA, Mobilità
introaziendale e limiti dell'art. 13 dello Statuto dei lavoratori, MGL, 1984, 392.
3
A. VALLEBONA, Il trasferimento del lavoratore, in Riv. it. dir. lav. 1987, I, 73.
3
Si osserva inoltre che la norma legale non contiene alcun riferimento alla
distanza fra la sede di provenienza e quella di destinazione del lavoratore e che
pertanto nel caso di spostamento ad altra unità produttiva, nonostante la contiguità
delle stesse, il datore di lavoro sarebbe egualmente tenuto a giustificare il
trasferimento
4
.
Lo stesso orientamento, a sostegno della propria tesi trova conforto nel
concetto di «unità produttiva» desumibile dall’art. 35 della legge n. 300 del 1970 e
che si ritiene abbia un carattere unitario
5
. La stessa Cassazione in diverse
pronunce ha affermato che la nozione di “ unità produttiva “ deve intendersi
unitariamente ogni qual volta sia richiamata dalle norme dello Statuto dei
lavoratori e viene identificata in ogni articolazione autonoma dell’impresa o
dell’azienda, avente, sotto il profilo funzionale o finalistico, idoneità ad esplicare,
in tutto o in parte, l’attività di produzione di beni e servizi dell’impresa della quale
costituisce elemento organizzativo
6
.
Da tale concetto d'unitarietà consegue che, qualora sussista tra le varie unità
produttive in ambito comunale o zonale quella “ autonomia “ derivante da
un’indipendenza tecnica e amministrativa delle articolazioni aziendali connessa
alla loro idoneità ad esaurire per intero il ciclo attinente ad una frazione o
momento della più ampia attività produttiva aziendale, il potere datoriale di
trasferimento sarebbe subordinato alla ricorrenza di “comprovate ragioni tecniche
organizzative e produttive”, richieste dall'art.13 Stat. lav.
Il requisito dell’autonomia dell’unità produttiva viene cioè valorizzato in
termini esclusivi o perlomeno prevalenti, tale che non viene considerato
trasferimento, pur in presenza di un notevole spostamento geografico, il
mutamento del luogo di lavoro, quando questo si verifichi all’interno della stessa
4
M. BIAGI, La dimensione dell'impresa nel diritto del lavoro, 1978, 173.
5
Contrario, F. CALA’, Il trasferimento del lavoratore, op.cit. 74 ss., secondo cui non sarebbe
rinvenibile un concetto « unitario», dovendosi diversificare il medesimo in relazione alla ratio
della singola norma dello statuto che lo contempla. Nello stesso senso, S. BARTALOTTA, Sulle
nozioni di giustificato motivo e di unità produttiva rilevanti in materia di trasferimento del
lavoratore, in Riv. it. dir. lav. 2000,1,110, nota a Cass. 26 maggio 1999 n. 5153.
6
Cass. 22 novembre 1988 n. 6277, in Giust. civ. Mass. 1988, fasc. 11; Cass. 9 giugno 1993 n.
6413, in Notiziario giur. lav. 1994, 110; Cass. 13 giugno 1998 n. 5934, in Riv.it. dir. lav. 1999,
613 con nota di S. ROTINI, Trasferimento del lavoratore - Dirigente di r.s.a. - Nozione di unità
produttiva -Articolazione aziendale con funzionalità autonoma;
4
unità produttiva
7
.
Alla luce del suddetto orientamento, il trasferimento da un’unità produttiva ad
un’altra può avvenire all’interno dell’intera organizzazione aziendale anche nel
caso in cui talune unità produttive siano situate all’estero. Il lavoratore assunto da
un’impresa con diverse articolazioni sparse in tutto il mondo potrebbe quindi
essere soggetto ad un trasferimento anche presso una di esse, in mancanza di
contrarie pattuizioni stabilite all’atto dell’assunzione
8
.
Al contrario l’accoglimento di quest'indirizzo comporta la necessità di dover
qualificare come “trasferimento” anche lo spostamento del lavoratore da una unità
produttiva ad un’altra situata nello stesso edificio, non assumendo nessuna
rilevanza l’elemento spaziale.
La giurisprudenza di merito nella sua corrente maggioritaria ha solitamente
interpretato l’art. 2103 c.c. in senso strettamente letterale, ritenendo che le
garanzie in esso previste competessero al lavoratore spostato dall’una all’altra
unità produttiva senza riguardo alla zona nella quale fosse ubicata l’unità di
destinazione
9
.
Il giudice di legittimità, chiamato più volte a pronunciarsi sulla norma, ha
affermato il principio che, il divieto di trasferire il lavoratore da un'unità
produttiva all’altra, in mancanza di comprovate ragioni tecniche, organizzative e
produttive assume importanza anche quando lo spostamento avvenga in un ambito
geografico ristretto, e quindi in assenza di disagi personali o familiari, poiché lo
scopo principale della norma sarebbe quello di tutelare la dignità del lavoratore e
proteggere il complesso di relazioni interpersonali e affettive che lo legano a un
determinato complesso produttivo
10
.
7
Cass. 14 giugno 1999 n. 5892, in Riv.it. dir.lav. 2000, 4, 702, con nota di A. LASSANDARI,
Nozioni consolidate e argomentazioni oscure in materia di trasferimento del prestatore;
8
F. SANTINI, Trasferimento del lavoratore e ruolo del contratto collettivo, in Giur.It., 2002, IV,
712, nota a Cass. 12 luglio 2001 n. 9459.
9
Pret. di Pisa 16 dicembre 1998, in D.L. Riv. critica dir. lav. 1999, 571; Trib. Roma 31 maggio
2002, in Il Lavoro nella giur. 2002, 1215, cit. In senso contrario, Trib. Milano 6 luglio 2002, in Il
lavoro nella giur. 2003, 593.
10
Cass. 26 maggio 1999 n. 5153, cit.
5
La Corte rileva che lo spostamento del lavoratore da una sede ad altra di una
stessa grande città può causare maggiori disagi del trasferimento a un'unità
produttiva situata in un comune vicino. In concreto, infatti, vi possono essere
spostamenti che non comportano la necessità del lavoratore di modificare la
propria residenza, ma che comunque incidono pesantemente sulla sua
organizzazione familiare, come per esempio nel caso in cui il lavoratore venga
spostato in un reparto autonomo dello stesso complesso produttivo, con turnazioni
e orari di lavoro inconciliabili con i suoi impegni familiari. Ciò non significa, ha
aggiunto la Corte, che le esigenze sociali e familiari legate ad un determinato
territorio non vengano in rilievo quando il trasferimento comporti non solo uno
spostamento ad altra unità produttiva, ma anche lo spostamento del luogo di
lavoro in altro Comune
11
.
Il trasferimento ad unità produttiva contigua potrebbe avere inoltre
conseguenze sul piano dell’attività sindacale provocando un mutamento della base
elettorale delle rappresentanze sindacali aziendali, di cui all’art. 19 dello Stat.lav.
In tali circostanze, il potere unilaterale di modificare il luogo d'adempimento
dell’obbligazione lavorativa deve trovare egualmente opportuni limiti nella
sussistenza di comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive, non
potendo ritenersi ammissibile che spostamenti di tale natura siano lasciati a scelte
esclusivamente discrezionali del datore di lavoro
12
.
11
Cass. 9 novembre 2002 n. 15761, in Mass. giur. lav. 2003, 9; Cass. 29 luglio 2003 n. 11660, in
Notiziario giur. lav, 2004, 194 ; Cass. 2 gennaio 2001 n. 27, in Notiziario giur. lav. 2001, 313 e
anche in Giust. civ. Mass. 2001, 27.
12
S. BARTALOTTA Sulle nozioni di giustificato motivo e di unità produttiva rilevanti in materia
di trasferimento del lavoratore, cit.