94
Negli anni compresi tra la fine del secondo conflitto mondiale e
l’inizio del decennio 1960-’70, l’Italia compì un notevole sforzo
dapprima sotto il profilo della ricostruzione dell’apparato produttivo
distrutto in parte dalla guerra e successivamente sotto quello del
consolidamento e del potenziamento delle proprie strutture produttive.
Al termine del conflitto, tra i principali problemi economici da
affrontare figuravano la disoccupazione, l’inflazione e l’opera di
ricostruzione delle strutture produttive, abitazioni, vie e reti di
comunicazione devastate dalla guerra.
I settori industriali più danneggiati erano il meccanico e il siderurgico;
quest’ultimo che avrebbe avuto un ruolo essenziale nella ricostruzione,
aveva perso nel corso della guerra un quarto degli impianti (nel suo
complesso l’apparato produttivo era risultato distrutto per circa 1/5).
Rispetto ai due settori menzionati, tutti gli altri presentavano una
situazione meno grave dal punto di vista dello stato degli impianti.
Per tutte le imprese le maggiori difficoltà erano costituite dalla
95
disarticolazione della rete ferroviaria e di quella stradale, dalla carenza
di materie prime e combustibile dalla sproporzione fra la quantità di
manodopera e la produzione vendibile, sproporzione che dipendeva
anche dal blocco dei licenziamenti, deciso all’indomani della
liberazione.
Nel 1946-1947, mentre l’inflazione continuava la sua corsa (l’indice
dei prezzi, fatto uguale a 100 il dato riferito al 1938, saliva a 2884 nel
1944 e a 5159 nel 1947
1
) era adottata una politica economica di
ispirazione liberista. Infatti, furono progressivamente eliminati i
controlli sul corso dei cambi, sulle importazioni e sul mercato dei beni
di prima necessità. Ci si sforzò, in quel biennio, di porre un freno alla
spesa pubblica, considerata la principale causa del perdurare
dell’inflazione, mentre veniva favorito il credito alle imprese. In
funzione dell’obiettivo politico prioritario del contenimento
dell’inflazione, e nello spirito della collaborazione allo sforzo comune
per la ricostruzione dell’apparato produttivo del paese, il movimento
operaio e sindacale accettò lo sblocco dei licenziamenti generalizzato
nel gennaio (1946) e la tregua salariale che durò dall’ottobre 1946
all’ottobre 1947.
Quest’unità di intenti era sul piano politico simboleggiata dai governi
di unità nazionale, cui partecipavano tutte le forze politiche che
avevano dato vita alla lotta di resistenza.
L’inflazione però non si arrestò, anche a causa di una manovra
finanziaria errata: il ‘prestito della ricostruzione’, lanciato nel
96
settembre del 1946, aumentò infatti la liquidità delle banche.
Nell’agosto 1947 il governatore della Banca d’Italia, Luigi Einaudi,
divenuto anche ministro del Bilancio, attuò una cura drastica, basata
sulla restrizione del credito e sulla svalutazione della moneta. In questo
modo si riteneva di poter ottenere il rientro dei capitali dall’estero, la
riduzione delle importazioni, l’aumento delle esportazioni e il calo dei
prezzi. La notevole stretta creditizia determinò un brusco aumento
della disoccupazione, che nel 1948 giunse a toccare quasi il 20% delle
forze di lavoro. L’economia italiana entrò in una fase di depressione
che durò fino al 1950, quando a motivo anche della ripresa
dell’economia negli altri paesi in parte legata alla guerra di Corea, la
produzione in Italia tornò finalmente ai livelli anteguerra.
La politica economica negli anni della ricostruzione non abbracciò né
l’indirizzo liberistico-privatistico, né il dirigismo statalistico
propugnato dai partiti della sinistra, ma una forma intermedia tra le due
posizioni estreme che getterà le basi di quell’economia mista tra
pubblico e privato che aveva nelle partecipazioni statali il suo perno
più significativo. Tale politica ottenne notevoli risultati nel rilancio
dell’iniziativa privata e nell’inserimento dell’economia italiana nelle
correnti commerciali internazionali, ma non riuscì a trattenere le
concentrazioni industriali e finanziarie, favorite al contrario dalla
stretta creditizia, che rese le imprese più deboli facile preda di quelle
più forti. Inoltre i grandi gruppi pubblici come l’IRI (Istituto per la
Ricostruzione Industriale) e l’ENI (Ente Nazionale Idrocarburi) ebbero
1
ISTITUTO CENTRALE DI STATISTICA (ISTAT), Sommario di statistiche
97
alla fine degli anni ’40 un forte impulso, concorrendo nel decennio
successivo al conseguimento di un forte sviluppo economico del Paese.
Furono gli anni ’50 il periodo nel quale l’Italia compì marcate
trasformazioni strutturali che ne cambiarono il volto. Essa passò da
paese prevalentemente agricolo a paese industriale soprattutto per
effetto di uno sviluppo economico intenso che divenne massiccio verso
la fine del decennio. Sono gli anni del ‘miracolo economico’: tra il
1951 e il 1958 il prodotto nazionale lordo cresce ad un tasso medio
annuo, in termini reali, del 5,3%, con ulteriore salto in avanti nel 1959
(6,6%) e nel 1960 (6,3%); il massimo incremento fu raggiunto nel
1961, quando la crescita toccò l’8,3%
2
. Negli stessi anni il reddito pro
capite giunse a raddoppiare: nel 1952 era pari a 557 dollari, nel 1957 a
704, mentre nel 1963 arrivava a 970, registrando quindi un forte
aumento nel periodo considerato pari al 74%.
Nel frattempo la crescita della produzione industriale sfiorava il 10%
annuo, mentre l’agricoltura doveva accontentarsi del 3%. Cambiavano
evidentemente gli equilibri e la consistenza fra dei grandi settori
economici. All’inizio del decennio l’agricoltura era ancora il settore
che deteneva il maggior numero degli addetti; alla fine del decennio è
l’industria che contava il maggior numero di forze di lavoro, seguita
dal settore terziario. Esaminando la composizione del prodotto del
settore privato, si trova che l’agricoltura, che nel 1951 rappresentava il
23, 5% del totale, nel 1963 scendeva al 15,7%, mentre l’industria
saliva dal 33,7% al 43,8%. Negli stessi anni si registrava una
storiche 1926-1985. Roma, 1986.
98
consistente riduzione del livello di disoccupazione dal 10,3% del 1950
al 3% del 1962: un livello che poteva essere considerato di piena
occupazione
3
.
All’intensa crescita del reddito non corrispondevano, in quel periodo,
significative tensioni inflazionistiche. I prezzi all’ingrosso erano
stazionari o in lieve diminuzione fino al 1961, mentre i prezzi al
consumo crescevano del 15% tra il 1953 e il 1960. L’incremento del
reddito pro capite era superiore a quello dei consumi, il che stava a
significare l’esistenza di una forte quota di reddito risparmiata. I
principali elementi trainanti dello sviluppo, che fu reso possibile da
una crescente integrazione dell’Italia nell’economia internazionale,
furono gli investimenti, che conobbero in quegli anni una crescita
rilevante e le esportazioni che passarono dal 6,1% del prodotto
nazionale lordo nel 1952 al 9,9% del 1957 fino al 15,2% nel 1963
4
. I
prodotti italiani raggiunsero un buon livello di competitività sui
mercati internazionali soprattutto per l’effetto dell’ammodernamento
tecnologico delle imprese e del basso costo del lavoro, con salari più
bassi della media europea.
Terminato lo sforzo condotto per la ricostruzione delle strutture
produttive distrutte dalla guerra, l’economia italiana, tra la fine del
1950 e il 1951, come quelle di altri paesi dell’europa occidentale,
cominciò “a tirare” grazie ai venti di guerra provenienti dalla Corea.
Se i progressi economici ottenuti nel 1951 furono rapidi, nel 1952 si
2
ISTAT, Sommario di statistiche storiche 1926-1985, cit.
3
Ibidem
4
Ibidem
99
ebbe un relativo ristagno, ma poi nell’anno successivo la ripresa si
riavviò, sia pure con alti e bassi.
“Nel 1953 il reddito nazionale globale registrò un aumento del 20%
rispetto al 1938. Nonostante l’aumento della popolazione, nel
frattempo intervenuto, il reddito individuale nel 1953 superò anch’esso
quello prebellico. In particolare nel quinquenni 1948-1952 il reddito
aumento del 61%”
5
.
Praticamente nel decennio 1950-1960 l’Italia registrò un aumento
medio annuo del prodotto nazionale lordo, cioè della ricchezza
annualmente prodotta, del 6%
6
, consentendo al paese, già agli albori
del “miracolo economico”, di raggiungere livelli di efficienza e
competitività produttiva molto vicini a quelli di altri paesi europei.
Determinanti per il conseguimento di questi risultati furono, sotto
l’aspetto politico, le relazioni di tipo simbiotico che si instaurarono fra
il partito di maggioranza relativa, la DC, e gli organismi parastatali
come l’ENI, l’IRI e la Cassa per il Mezzogiorno.
Al riguardo va rammentato un caso emblematico “sotto la direzione
dinamica e stimolante dell’ingegnere Oscar Sinigaglia (in quegli anni
massimo dirigente della Finsider), l’industria siderurgica italiana fu
trasformata in cinque anni in un’industria moderna ed efficiente, in
grado di competere con le migliori industrie del mondo”
7
5
Piero BARUCCI, L’economia tra stabilizzazione e riforme, in “Il Parlamento
Italiano – Storia parlamentare e politica dell’Italia 1861-1988”, Il centrismo, vol.
XVI. Roma, Nuova Cei, s.d., p. 52.
6
ISTAT, Sommario di statistiche storiche 1926-1985, cit.
7
Norman KOGAN, L’Italia del dopoguerra, Storia politica dal 1943 al 1966. Bari,
Laterza,1973, pag.83.
100
Dall’impegno di Ezio Vanoni
8
, ministro delle Finanze ed estensore del
noto piano di sviluppo economico decennale (1954), all’opera di
tecnocrati illuminati e intraprendenti come Enrico Mattei chiamato a
presiedere l’ENI, ed a quella di tanti altri dirigenti dello Stato e del suo
apparato parastatale, cioè il complesso di queste attività tecnico
politiche, tutti insieme costituirono le fondamenta di quel regime che
portò l’Italia dalle gravi condizioni socioeconomiche del primissimo
dopoguerra alle vette proprie dei paesi economicamente più evoluti.
Tali personaggi con tanti altri, tra cui il governatore della Banca
d’Italia Donato Menichella, furono tra gli attori principali della
gestione delle risorse del paese alla ricerca dell’equilibrio ottimale tra
sviluppo privato e sviluppo pubblico del nostro sistema
socioeconomico.
9
Osserviamo ora le vicende politiche più rilevanti succedutesi negli
anni del dopoguerra e il ruolo che in esse ebbero la DC e i suoi
principali leader: De Gasperi, prima, e Fanfani, poi.
Il 1947 fu l’anno dei grandi cambiamenti nel quadro politico italiano.
8
Ministro delle Finanze nei governi De Gasperi, autore della riforma fiscale del
gennaio 1951, che impose la presentazione annuale della dichiarazione dei redditi.
Presentò al consiglio dei Ministri del 29 dicembre 1954 uno schema di piano
decennale per lo sviluppo economico che si proponenva il raggiungimento di tre
obiettivi: l’assorbimento della disoccupazione, l’eliminazione progressiva del
divario tra nord e sud, il pareggio della bilancia dei pagamenti.
Lo schema Vanoni non forniva indicazioni specifiche per l’intervento pubblico, se
si eccettuano i campi classici in cui questo si era tradizionalmente esercitato
(agricoltura, opere pubbliche e di pubblica utilità). La novità consisteva nel fatto
che per la prima volta in Italia veniva introdotta la previsione di lungo periodo,
utilizzando alcuni parametri macroeconomici e veniva abbozzato un tentativo di
programmazione.
101
Si registrarono due avvenimenti importanti: la scissione socialista e il
viaggio di De Gasperi negli Stati Uniti dal quale ne derivò una
sostanziale collaborazione tra i due paesi.
Nell’ottobre dell’anno precedente PSIUP (Partito Socialista di Unità
Proletaria) e PCI (Partito Comunista Italiano) avevano stipulato un
patto di unità d’azione. Non tutti i settori del PSIUP, però, erano
d’accordo con questa linea.
Nel gennaio 1947, in occasione di un Congresso straordinario voluto
da Nenni per cercare una oramai impossibile ricucitura tra i due gruppi
in cui si era diviso il Partito socialista, la componente
socialdemocratica, contraria all’unità d’azione con il PCI, lasciava la
sala congressuale, guidata da Saragat e da Matteo Matteotti per riunirsi
a Palazzo Barberini, in Roma, e fondare un nuovo partito, autonomo e
democratico, denominato Partito socialista dei lavoratori italiani
(PSLI). Al nuovo partito, che si schierò subito a favore del campo
occidentale, aderì tra gli altri Roberto Tremelloni.
Il viaggio di De Gasperi negli Stati Uniti era risultato particolarmente
fruttuoso. Esso poneva fine all’isolamento politico e diplomatico in cui
l’Italia si era trovata al termine della seconda guerra mondiale e nello
stesso tempo a seguito degli incontri di De Gasperi con i politici
americani si ponevano le basi per un’alleanza con la maggiore potenza
mondiale, uscita vincitrice dall’ultimo conflitto.
Anche gli aiuti economici, di cui l’Italia aveva tanto bisogno promessi
dagli Stati Uniti, non solo per la ricostruzione del paese, ma anche per
9
Mariuccia SALVATI, Stato e industria nella ricostruzione: alle origini del potere
102
la sopravvivenza della popolazione erano considerati sostanziali. Da
parte americana veniva precisato, però, che l’ulteriore assegnazione di
aiuti economici era legata alla “stabilità e al consolidamento del
regime democratico italiano”; ciò comportava non solo il
rafforzamento dell’ordine pubblico, ma anche l’esortazione di lasciare
comunistie socialisti fuori dal governo
10
.
L’evoluzione del quadro politico internazionale condizionava
fortemente la situazione italiana. Infatti la contrapposizione tra il
blocco sovietico e quello occidentale si radicalizzava. Con
l’enunciazione ufficiale della “Dottrina Truman” e gli aiuti del Piano
Marshall
11
gli Stati Uniti decidevano di porsi apertamente alla guida
economica e politica dell’Occidente.
In Europa occidentale giunse al termine l’esperienza dei governi di
democristiano (1944- 1949). Milano, Feltrinelli, 1982, passim.
10
Francesco MALGERI, Le origini: la DC dalla Resistenza alla Repubblica, in
“Storia della DC 1943-1948”, vol. I. Roma, Cinque Lune, 1987, p.136.
11
Al termine del secondo conflitto mondiale, gli USA approntarono un piano
economico teso ad aumentare in modo rilevante le quote di produzione esportata.
Il piano, noto con il nome del generale Marshall, Comandante delle truppe
americane durante la guerra e poi Segretario di Stato del presidente Truman, si
fondava sulla necessità di garantire i livelli di produzione interna statunitense e di
ripristinare le capacità commerciali dell’Europa, sostenendo il suo sviluppo
produttivo. Gli Stati Uniti per il Piano stanziarono 17 miliardi di dollari in 4 anni,
al fine di permettere la ricostruzione dell’Europa. I fondi stanziati furono divisi in
aiuti gratuiti e in aiuti a titolo di prestito; vennero amministrati dall’ECA
(Economic Cooperation Administration).
In Italia tale piano fu accusato dai partiti di sinistra di finalità essenzialmente
politiche e utilizzato in funzione elettorale dalle forze dell’area governativa.
A differenza di altri paesi europei, esso non fu di particolare stimolo alla ripresa
industriale. I 12 milioni di dollari avuti in dotazione furono impiegati per lo più
nel raggiungimento del pareggio del bilancio statale, mantenendo basso il volume
della spesa pubblica, della domanda interna e quindi della produzione. Mancò un
articolato programma di impiego dei fondi.
103
unità nazionale, che avevano visto impegnate insieme le forze della
Presistenza: in marzo i comunistibelgi furono esclusi dal governo; in
maggio fu la volta dei francesi; in novembre gli stessi fatti accaddero
in Austria.
In Italia De Gasperi, rientrato dagli Stati Uniti, alla fine di gennaio
procedette ad una riduzione del peso delle forze di sinistra nel governo
e tre mesi dopo, con la costituzione del suo IV Gabinetto escluse i
partiti di sinistra definitivamente dal governo. In seguito al responso
delle elezioni del 18 aprile 1948, De Gasperi fu l’artefice di una nuova
fase della politica italiana, contrassegnata da governi di centro a guida
democristiana.
Da quell’anno, il 1948, e fino al fallimento della riforma elettorale del
1953 l’Italia fu governata da una coalizione di partiti che diedero vita
ad una formula denominata centrismo che coincise con la leadership di
De Gasperi; seguì poi una fase di transizione, in particolare dopo la
morte di De Gasperi (estate 1954) in cui la guida della DC passò nelle
mani di Amintore Fanfani, dopo un aspro contrasto con Scelba. Infatti
in seguito alla sconfitta elettorale del 7 giugno 1953 all’interno della
DC si ebbero animate discussioni, tra le quali emerse quella tra Scelba
e Fanfani che si preparavano ad accogliere l’eredità di De Gasperi. Il
primo per continuarne la politica centrista, il secondo per apportarvi
alcune importanti modifiche. Questa nuova fase storico-politica è stata
denominata del centrismo destrutturato, cioè la formula di governo era
sempre quella formata dai quattro partiti alleati come ai tempi di De
Gasperi, ma la linea politica non si richiamava più ai tradizionali valori
104
e alle idee proprie del pensiero degasperiano.
Dopo di che si ebbe un periodo di crisi politica vera e propria,
compreso tra le elezioni del 1958 e il governo Tambroni. Seguì, infine,
la fase di avvio del centro-sinistra fino alla fine del 1963, quando si
instaurò il primo governo di centro-sinistra organico con la
partecipazione del PSI.
Nell’arco di tutti questi anni il ruolo di guida del governo fu assunto
dalla DC. Questa è stata definita in modi diversi: partito della
borghesia di Stato, partito conservatore, partito democratico, partito
del capitale monopolistico, partito dei cattolici.
Secondo Togliatti il capitalismo italiano dopo la guerra, non essendo
riuscito a creare un proprio partito di massa, fu costretto a dare il suo
appoggio all’unico partito in grado di fronteggiare adeguatamente il
PCI ossia la DC.
Secondo altri, la DC ha rappresentato gli interessi di quel ceto sociale
che controllava la spesa pubblica e ne trasse i relativi benefici: la
cosiddetta borghesia di Stato
12
.
Per Franco Cassano, invece, la DC è emersa dal periodo fascista e
dalla Resistenza come il partito guida del sistema politico italiano.
D’altra parte, l’unico partito alternativo, il PCI, non sarebbe potuto
andare al governo, essendo un partito ‘anti-sistema’, perciò la DC si
considerava ‘condannata’ ad essere sempre il partito di governo.
Al fine poi di garantire la riproduzione del sistema (capitalistico) la
DC dovuto conciliare l’accumulazione del capitale privato con il
105
garantire la pace e la legittimità sociale.
Inoltre la graduale estensione del proprio potere sull’apparato statale e
sull’economia pubblica non è stata la conseguenza di una propria
ideologia al riguardo, bensì l’effetto del fatto che il partito non aveva
alternative al suo governo. Da qui derivava la considerazione che la
DC non poteva semplicemente essere definita un partito
conservatore
13
.
Per il politologo Gianni Baget-Bozzo “i democristiani sa[pevano] bene
che se il PCI non fosse esistito avrebbero dovuto inventarlo”
14
.
Secondo altri storici, la DC fu il partito dei cattolici nel loro
complesso, auspice la Chiesa e con il contributo determinante di
Alcide De Gasteri, ma fu anche e soprattutto il partito della
borghesia
15
.
A sua volta lo storico Pietro Scoppola ha sostenuto che il binomio
movimento cattolico-borghesia ha costituito un’operazione dal
significato essenzialmente democratico, in quanto l’appoggio della
Chiesa servì a convogliare sulla DC i consensi di una borghesia che
12
Donald SASSOON, L’Italia contemporanea. I partiti, le politiche, la società dal
1945 ad oggi. Roma, Editori Riuniti, 1988, p. 305 e segg.
13
Franco CASSANO, Il teorema democristiano. Bari, De Donato, 1979, passim.
14
Gianni BAGET-BOZZO, Tesi sulla DC. Rinasce la questione nazionale.
Bologna, Cappelli, 1980, p.69.
Su altri aspetti caratteristici del partito democristiano si vedano altre due opere
dello stesso autore:
- Il partito cristiano al potere. La DC di De Gasperi e di Dossetti 1945-1954.
Firenze, Vallecchi, 1974;
- Il partito cristiano e l’apertura a sinistra. La DC di Fanfani e di Moro 1954-
1962. Firenze, Vallecchi, 1977.
15
Claudio GIOVANNINI, La DC dalla fondazione al centro-sinistra (1943-1962).
Firenze, La Nuova Italia, 1978, p.14
106
altrimenti avrebbe potuto indirizzarsi verso soluzioni autoritarie di
destra
16
.
Al di là delle diverse valutazioni storiche, la DC sembrò caratterizzarsi
per una intransigenza anti-comunista decisa ed aspra; tale
atteggiamento politico era dovuto non solo alla realtà nazionale, ma
anche a quella internazionale che alimentavano paure, diffidenze e
sospetti all’interno dei ceti borghesi
17
.
Fu quello dello scontro DC-PCI un fatto notevole che ritardò sia
l’allargamento della base sociale dello Stato che una più matura
crescita politica e democratica dello stesso; tutto ciò frenò poi una
politica organica di riforme strutturali, per rinnovare sul piano
economico, sociale ed istituzionale lo Stato italiano dopo gli anni bui
del fascismo e della guerra.
L’epoca del centrismo ‘organico’, ossia il governo quadripartito (DC-
PRI-PSDI-PLI), si può anche definire età degasperiana. In quegli anni
la DC occupava una posizione dominante nella coalizione di governo
rispetto ai partiti ‘laici’ ad essa alleati, che in pratica accettarono di
svolgere una funzione di copertura sia sulla destra (PLI) sia sulla
sinistra (PRI e PSDI) dello schieramento politico, emarginando la
classe operaia legata ai partiti di sinistra. Il suo obiettivo principale, la
ricostruzione economica del paese e l’avvio di una politica di sviluppo,
furono raggiunti in pochi anni, ma si determinò uno squilibrio
16
Pietro SCOPPOLA, La proposta politica di De Gasperi. Bologna, Il Mulino,
1977, pp. 150 e segg.
17
Francesco MALGERI, Storia della DC dal 1948 al 1954. Roma, Cinque Lune,
1987, vol.II, Introduzione, p. V.
107
crescente tra il nord e il sud Italia e tra le aree industriali e quelle
prevalentemente agricole.
Il movimento operaio dovette subire l’incontrastata supremazia del
padronato nelle fabbriche, dove furono discriminati i consigli di
gestione e dove le commissioni interne furono ridotte al solo ruolo di
controllo dell'applicazione dei patti nazionali di categoria
18
.
Anche questo aspetto della vicenda sindacale oltre a quello già citato
della netta e marcata contrapposizione anticomunista fu tra i principali
caratteri della politica centrista. Ma non solo. Il centrismo
degasperiano ebbe il merito di guidare il paese verso uno sviluppo
democratico, ma fu ben lungi dall’avere trovato stabilità e omogeneità.
Il quadro politico sarà destinato a mutare una volta che verrà posta in
modo strutturale la questione socialista, in pratica dell’allargamento al
PSI della collaborazione a livello di governo; il problema
dell’autonomia socialista, che avrà uno dei suoi momenti culminanti
nei fatti d’Ungheria del 1956, finì con lo smentire la tesi di un
centrismo visto come puro anticomunismo
19
.
Il decennio 1953-1962 evidenziò un’evoluzione degli equilibri
internazionali (dalla prima fase della guerra fredda fino al massimo di
tensione nucleare) in parallelo alle vicende storiche nazionali, le quali
a loro volta si caratterizzavano per una lunga evoluzione; infatti dopo
una fase di crisi e di instabilità segnata dal governo Tambroni, seguì un
18
Claudio GIOVANNINI, La DC dalla fondazione al centro-sinistra (1943-1962),
cit, p.42.
19
Leopoldo ELIA, La ricerca di nuovi equilibri (1953-1962), in “Il Parlamento
Italiano – Storia parlamentare e politica dell’Italia 1861-1988”, vol. XVIII. Roma,
Nuova Cei, s.d., pp. 45-46.