V
Ciò che rende il concetto di fedeltà particolarmente significativo è la
sempre maggiore diffusione di programmi diretti alla fidelizzazione della
clientela. I programmi fedeltà introdotti da imprese appartenenti a diversi settori
sono stati, infatti, considerati da più parti come strumenti di marketing
relazionale.
Le potenzialità dei programmi basati su carte magnetiche si sostanziano
nel poter raccogliere ed elaborare informazioni, trasformandole in conoscenza sui
comportamenti d’acquisto della clientela, dando la possibilità all’impresa di
sviluppare politiche di marketing esclusive e quindi più soddisfacenti. Tali
programmi dovrebbero inoltre essere in grado di accrescere il valore creato
dall’impresa per il cliente, migliorando l’immagine della stessa, la soddisfazione
e la fiducia dei clienti e in ultima analisi accrescendo la loro fedeltà.
I programmi fedeltà si sono evoluti molto nel tempo diventando degli
strumenti sempre più difficili da gestire. Infatti, per mantenere vivo l’interesse
dei clienti e per differenziarsi dagli schemi proposti dai propri concorrenti, le
imprese sono state obbligate a introdurre continue novità nei programmi.
In particolare, una grande innovazione si riferisce alla costruzione di un
network di partner che affianca l’impresa sponsor. Questo rappresenta per
l’impresa, da un lato un’opportunità per estendere e migliorare il pacchetto di
servizi offerto ai propri clienti, facendo leva sulla loro fiducia, dall’altro una
modalità per trasferire parte degli oneri economici e gestionali agli stessi partner.
Anche se i programmi fedeltà sono stati adottati con rapidità da
moltissime imprese, non sono ancora chiari i risultati raggiunti. In particolare
parte della letteratura ravvisa la loro scarsa efficacia nel produrre modificazioni
del comportamento dei clienti e in special modo, nell’accrescimento della loro
fedeltà.
Più nello specifico, nel primo capitolo si analizzeranno le origini
dell’approccio relazionale al marketing, approfondendo il ruolo delle risorse
relazionali all’interno di un’azienda, dal punto di vista economico e competitivo.
VI
Dopodiché si studieranno a fondo i costrutti della soddisfazione, della
fiducia e della fedeltà. Questi stessi sono stati più di altri al centro di numerose
evidenze empiriche e contributi teorici volti a comprendere le determinanti di
relazioni profittevoli di lunga durata. Per finire, si declineranno i concetti
generali del marketing relazionale al settore della distribuzione commerciale.
Il secondo capitolo sarà totalmente dedicato all’analisi dei programmi
fedeltà delle imprese di distribuzione. Prima di tutto verrà presentato un breve
excursus storico sulle origini di tali programmi. In secondo luogo saranno
approfonditi gli obiettivi che la letteratura assegna loro, individuando tre macro
aree in cui gli stessi obiettivi ricadono, a seconda che l’accento sia posto
maggiormente verso l’osservazione di cambiamenti sullo stato delle relazioni con
i clienti o verso obiettivi di natura prettamente economico-finanziaria.
Sarà poi proposta una classificazione dei programmi fedeltà in base a tre
dimensioni e in particolare saranno approfonditi gli aspetti riguardanti la natura
dei benefici offerti e la loro influenza sul comportamento dei clienti. A tale
proposito sarà poi illustrato un modello evolutivo dei programmi fedeltà sulla
base dello stato in cui si trovano le relazioni tra impresa e clienti, individuando
per ogni fase gli obiettivi e le caratteristiche specifiche che lo strumento
dovrebbe possedere per evolvere verso la fase relazionale successiva.
Anche in Italia i programmi fedeltà hanno ormai raggiunto una fase di
piena maturità, in cui le imprese introducono sempre nuovi elementi e nuove
tecniche per educare i propri clienti alla fedeltà, senza che i precedenti vengano
eliminati, con il risultato di ampliare notevolmente la varietà delle soluzioni
adottate. D’altro canto, nel settore distributivo la concorrenza è ferrata e di
conseguenza le aziende sono obbligate a introdurre continue novità, sia per
differenziarsi dai concorrenti, sia per mantenere vivi il coinvolgimento e
l’attenzione dei clienti.
L’innovazione che, più delle altre, ha portato a una grande evoluzione dei
programmi fedeltà, aumentandone di molto le complessità di gestione da parte
del distributore, e al contempo ampliando notevolmente la proposta di valore
VII
offerta ai clienti, riguarda la costituzione di un network di partner. Saranno
dunque discusse le ragioni che spingono le imprese all’implementazione di
strategie di networking, sottolineandone i vantaggi, gli svantaggi, le tipologie di
partnership che si possono creare e altresì il tipo di partner.
Per finire, nel secondo capitolo si proporrà anche una review sulle
evidenze empiriche riferite alla misurazione e verifica delle performance dei
programmi fedeltà.
Data l’incertezza prevalente in letteratura sugli effettivi risultati che tali
strumenti generano per le aziende, nel terzo capitolo si proporrà un modello
teorico avente lo scopo di indagare l’influenza dei programmi fedeltà sullo stato
delle relazioni fra impresa e clienti.
In particolare, si porranno a confronto le performance di due programmi
fedeltà della distribuzione grocery aventi caratteristiche molto diverse. Il primo
sarà un “pure loyalty scheme”, molto semplice e che non offre particolari servizi
ai propri clienti. Il secondo sarà un programma strutturato a network, che in più
offre ai suoi titolari numerosi servizi aggiuntivi, potenzialmente in grado di
determinare un consolidamento della relazione con i clienti.
I dati utili all’analisi empirica saranno raccolti tramite somministrazione di
un questionario strutturato ai clienti comuni di due punti di vendita. Questo allo
scopo di verificare, prima di tutto, la capacità dei programmi fedeltà di agire sui
costrutti caratterizzanti le relazioni di lunga durata tra impresa e clienti, e in
secondo luogo porre a confronto le performance generate da due diverse
tipologie di programmi fedeltà.
CAPITOLO PRIMO
L’APPROCCIO RELAZIONALE AL
MARKETING MANAGEMENT
1.1 Il paradigma tradizionale: il marketing secondo la
prospettiva transazionale
Secondo una definizione della American Marketing Association (1985) il
marketing è inteso come “il processo di pianificazione e realizzazione dello
sviluppo, della definizione del prezzo, della promozione e della distribuzione di
idee, beni e servizi, al fine di creare uno scambio che soddisfi gli obiettivi degli
individui e delle organizzazioni”.
Questa definizione è incentrata su uno dei concetti fondamentali del
marketing, il “marketing mix”, definito intuitivamente alla fine degli anni
Cinquanta e sistematizzato nel decennio successivo a opera di Borden (1964).
Il termine “marketing mix” si riferisce a una mescolanza di elementi utili a
perseguire una certa risposta del mercato, non a caso nei primi contributi viene
indicato come l’insieme degli strumenti che l’impresa utilizza per promuovere le
vendite.
In origine il “marketing mix” era composto da dodici elementi, poi ridotti
a quattro, per semplicità, da McCarthy (1960): product, price, place e promotion,
chiamati le “4 P” del marketing. Il cosiddetto modello delle “4 P” è diventato con
il passare degli anni un punto di riferimento fondamentale del marketing e ha
rappresentato la pietra miliare di molti modelli.
Sicuramente la concezione più tradizionale del marketing, basata sulle “4
P” e sull’attenzione posta al singolo scambio, aveva una sua utilità negli anni
Cinquanta e Sessanta, anni in cui l’ambiente di riferimento era stabile e prevaleva
la logica della produzione di massa a scapito della differenziazione. In quel
2
periodo gli obiettivi aziendali erano incentrati sulla conquista di nuovi clienti - e
non sul loro mantenimento - e sulla mera massimizzazione del profitto attraverso
l’incremento delle vendite nel breve termine.
A partire dagli anni Settanta e Ottanta sono stati sviluppati approcci
complementari alla concezione tradizionale del marketing che pongono in
evidenza l’importanza svolta dallo sviluppo di relazioni stabili con i propri
partner e in particolare con i clienti. Questi studi sono nati in seguito alla
constatazione di una aumentata complessità concorrenziale, tecnologica e
relazionale, impossibile da gestire attraverso strumenti tradizionali del marketing
quali le “4 P”. In particolare, l’approccio tradizionale è stato criticato partendo da
diverse angolazioni (Ferrero, 1992).
Per prima cosa è stato negato il valore oggettivo e universale delle
conoscenze e dei modelli interpretativi originati dagli studi di marketing,
superando così un’impostazione che fino a quel momento tendeva a ricondurre in
un unico quadro organico diversi approcci, comprimendo le potenzialità
innovative degli stessi.
In secondo luogo è stato messo in discussione il modello di rapporti di
scambio che il marketing tradizionale assume a riferimento; in particolare il fatto
che lo scambio è sempre stato analizzato con una prospettiva di breve periodo e
assumendo come universali le condizioni tipiche dei mercati dei beni di largo
consumo, cioè (Sabbadin 1997):
o una struttura polverizzata del mercato di sbocco;
o la concezione atomistica e passiva del cliente/consumatore;
o un’eccessiva attenzione alle caratteristiche fisiche, funzionali e tangibili del
prodotto;
o il considerare la qualità principalmente un problema produttivo.
La critica è scaturita dal fatto che si è tentato, con scarso successo, di
applicare i modelli di marketing usati tradizionalmente nei mercati di largo
consumo, anche ad altri settori, come quello dei servizi e dei beni industriali. Da
3
ciò è nata la convinzione che fosse necessario ricercare nuove vie per le
applicazioni del marketing in questi contesti.
In terzo luogo è stata messa in risalto la crescente perdita di efficacia
dell’impostazione tradizionale del marketing anche in quei settori in cui aveva
originariamente trovato applicazione a causa della crescente complessità e
dinamicità dell’ambiente di riferimento, dello sviluppo di nuove tecnologie e da
cambiamenti avvenuti nella domanda di beni di largo consumo.
E’ bene sottolineare che sviluppare relazioni di lungo periodo con i propri
clienti e realizzare scambi con gli stessi tramite un approccio di tipo relazionale
non deve essere visto come un metodo sostitutivo rispetto alla visione
tradizionale del marketing, ma piuttosto come un approccio complementare.
Sarebbe, infatti, impossibile prescindere dal concetto di marketing mix in quanto
è proprio attraverso le quattro variabili di cui è composto che l’azienda presenta
le sue proposte di valore al mercato e i clienti decidono l’acquisto, il riacquisto
ed eventualmente proseguono nella relazione (Costabile, 2001).
4
1.2 Il superamento del paradigma tradizionale: l’approccio
relazionale al marketing management
1.2.1 Le origini del marketing relazionale
I concetti di base del marketing relazionale sono stati elaborati a partire
dalla seconda metà degli anni Settanta dalla cosiddetta “Scuola Svedese di
Marketing Industriale” e dagli studi di service marketing, con il contributo di altri
filoni di ricerca, quali quelli riguardanti le relazioni distributive e il Database &
Direct Marketing (Ferrero, 1992; Grönroos, 1994-b; Berry, 1995; Gummesson,
1996; Parvatiayar e Sheth, 2000; Möller e Halinen, 2000; Guenzi, 2002).
In particolare, la “Scuola Svedese di Marketing Industriale”, attraverso
l’IMP Group (International Marketing and Purchaising Group), si è occupata dei
processi di scambio in mercati caratterizzati da clienti poco numerosi, ma di
grandi dimensioni e prodotti complessi di elevato valore economico unitario,
tipici del settore industriale.
L’obiettivo di tale approccio, noto con il nome di Interaction and Network
Approach, è stato quello di comprendere e spiegare il funzionamento dei mercati
industriali secondo due prospettive: quella delle relazioni diadiche che si
sviluppano fra venditore e acquirente e quella relativa alle relazioni multipolari
che collegano le imprese (Ferrero, 1992; Möller e Halinen, 2000)
Anche il marketing dei servizi si sviluppa negli anni Settanta come una
area separata del marketing per l’impossibilità di applicare i tradizionali modelli
della disciplina ai servizi, che presentano caratteristiche peculiari rispetto ai
prodotti fisici. I principali aspetti che distinguono i servizi da questi ultimi sono
l’immaterialità, la contestualità fra produzione e consumo e la derivante
impossibilità di costituire scorte.
Grönroos (1995) ha sottolineato che la natura dei servizi è intrinsecamente
relazionale proprio per il fatto che di norma avviene un contatto diretto fra il
cliente e l’impresa nei cosiddetti “momenti della verità”. Dunque si deduce che
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per le imprese di servizi l’orientamento alle relazioni con i clienti è sempre stato
importante in quanto il cliente costituisce parte integrante del processo produttivo
(Carù, 1996).
In letteratura esistono molteplici definizioni di marketing relazionale, tutte
accomunate dall’attenzione rivolta alla natura dello scambio tra le parti e al
contrasto esistente fra uno scambio relazionale e una transazione pura (Gruen,
1995). Non mancano differenze fra le varie definizioni: ad esempio, alcune
considerano solamente le relazioni tra impresa e clienti, altre prendono in
considerazione anche altri soggetti con cui si può instaurare una relazione, come i
propri dipendenti, i fornitori o addirittura il governo.
Alcuni autori hanno dimostrato di avere una visione meno ampia del
marketing relazionale assimilandolo al Database Marketing, che ne rappresenta
semplicemente uno strumento, o focalizzandosi solamente sulla customer
retention, che in realtà ne rappresenta solo un rilevante indicatore di risultato,
oppure considerandolo solamente una tecnica di “lock-in” attraverso la quale
“imprigionare” il cliente nella relazione. Altre definizione adottano una visione
più ampia, strategica, considerando il marketing relazionale una filosofia
gestionale (Parvatiyar e Sheth, 2000; Barnes, 1994).
Affinché si possa parlare correttamente di marketing relazionale occorre
perciò la contemporanea presenza di alcune condizioni, ovvero (Barnes, 1994):
o l’esistenza di alternative accessibili per le parti coinvolte e in particolare per i
clienti, in quanto non si può parlare di fedeltà e di instaurazione di una
relazione sincera se questi ultimi si trovano a non avere possibilità di scelta;
o la volontà di entrambe le parti di partecipare alla relazione, in quanto è
sicuramente deleterio per la relazione obbligare i propri clienti a restare tali ad
esempio aumentando gli switching cost;
o un ruolo attivo per entrambe le parti, non è dunque sufficiente solamente
raccogliere i dati di acquisto dei clienti attraverso un database, ma è
necessario anche comunicare con gli stessi, ascoltarli e farsi carico delle
problematiche da loro eventualmente riscontrate.
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Il termine “marketing relazionale” appare per la prima volta nella
letteratura del marketing dei servizi in uno scritto di Berry del 1983 (Berry,
1995), il quale lo definisce come un approccio gestionale finalizzato a “attrarre,
mantenere e intensificare, nel caso di imprese multi-servizi, le relazioni con i
clienti” (p. 236). L’autore sottolinea come attrarre nuovi clienti debba essere
visto solo come un passo intermedio nel processo di marketing; appare quindi
molto importante anche il processo attraverso il quale potenziare le relazioni ed
estenderne la durata tramite la trasformazione dei clienti indifferenti in clienti
fedeli.
Un’altra definizione di ampia portata è quella data da Grönroos (1994-a),
secondo il quale il marketing relazionale potrebbe rappresentare un nuovo e
dominante paradigma di marketing: “il marketing è stabilire, mantenere e
rafforzare i rapporti con i clienti e gli altri partner in modo da trarne profitti e
da raggiungere gli obiettivi delle parti in causa. Questo si ottiene mediante un
reciproco scambio e un reciproco mantenimento delle promesse” (p. 142).
Un aspetto importante di tale definizione è che essa implica che il
processo di marketing comprenda tre importanti stadi: il primo contatto con il
cliente, il mantenimento della relazione esistente e il rafforzamento del rapporto
in modo che il cliente decida di estendere il contenuto dello stesso, ad esempio,
acquistando maggiori quantità o nuovi prodotti dallo stesso venditore. Un altro
aspetto della definizione che merita attenzione è il carattere di reciprocità che
deve avere l’interazione fra le parti e l’importanza data alle reciproche promesse
che devono ovviamente essere mantenute per proseguire nella relazione.
Nella definizione proposta da Morgan e Hunt (1994) il marketing
relazionale si riferisce a “tutte le attività di marketing dirette a stabilire,
sviluppare e mantenere scambi relazionali profittevoli” (p. 22). Secondo gli
autori questa definizione, al contrario di altre, comprende tutte le forme di
scambio relazionale, anche quelle che non hanno come controparte diretta un
cliente, ma un partner.
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Questa definizione è stata sottoposta a critiche da parte di alcuni studiosi
per il fatto di essere troppo ampia e inclusiva considerando come soggetti del
marketing relazionale non solo l’impresa e i suoi clienti, ma anche i fornitori, i
dipendenti e l’ambiente competitivo che sono studiati da altre discipline.
Un’impostazione di tale tipo può infatti correre il rischio di attenuare il valore e il
contributo del marketing nell’indirizzare lo sviluppo teorico e pratico del
marketing relazionale. Per questo motivo viene proposto di limitare il dominio
del marketing relazionale solamente alle relazioni tra impresa e clienti (Peterson,
1995; Parvatiyar e Sheth, 2000).
Un’ultima definizione di marketing relazionale che in qualche modo
racchiude le precedenti è quella proposta da Parvatiyar e Sheth (2000) che lo
considerano “un processo attraverso il quale impegnarsi in attività e programmi
cooperativi e collaborativi con i propri clienti finali allo scopo di creare o
accrescere il reciproco valore economico al costo minore” (p. 9). Come per la
definizione proposta da Berry (1995) i soggetti coinvolti sono l’impresa e i
clienti finali; i due autori sottolineano poi, come fanno Grönroos (1994-a) e
Morgan e Hunt (1994), che è necessario ricercare l’economicità, che le relazioni
devono essere profittevoli per entrambe le parti e devono creare valore.
In sintesi, la prospettiva del marketing relazionale si distingue da quella
transazionale per numerosi aspetti (Guenzi, 2002) (Tabella 1). Prima fra tutti
l’attenzione maggiore riservata all’obiettivo di mantenimento e sviluppo della
relazione con i clienti attuali, piuttosto che all’acquisizione di clienti sempre
nuovi, adottando di conseguenza una prospettiva temporale più ampia, dove la
singola transazione rappresenta solo un episodio all’interno della relazione.
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Tabella 1 Le principali differenze fra la visione tradizionale del marketing e quella
relazionale
APPROCCIO
TRADIZIONALE
APPROCCIO
RELAZIONALE
Obiettivo attrarre clienti
mantenimento e sviluppo della
relazione con i clienti
Oggetto
offerta di un prodotto
essenzialmente pre-definito nelle
sue componenti fondamentali
possibilità di adattamento e
personalizzazione dell’offerta in
tutte le sue componenti
Orizzonte
temporale
breve periodo lungo periodo
Ripartizione
del potere
impresa attiva, cliente passivo entrambe le parti attive
Modalità di
comunicazione
unidirezionale (dall’impresa al
cliente)
bi-direzionale
Organizzazione
e responsabilità
funzione marketing
marketing diffuso fra varie unità
organizzative dell’impresa
Adattato da Guenzi (2002)
La prospettiva relazionale riconosce, altresì, il ruolo attivo svolto dal
cliente e quindi la bi-direzionalità degli scambi tra le parti. Tali scambi risultano
avere una natura multidimensionale, ciò significa che essi incorporano non solo
beni e informazioni, ma anche componenti sociali, perdendo l’esclusiva natura
strettamente economica.
Inoltre, l’approccio relazionale supera l’interpretazione funzionale delle
attività di marketing tipico di un approccio di tipo tradizionale, che ha come
conseguenza l’isolamento all’interno dell’azienda della stessa funzione
marketing. Un’interpretazione funzionale, infatti, non permette di prestare la
dovuta attenzione ai cosiddetti part-time marketers, cioè coloro che, pur non
appartenendo alla funzione marketing, hanno una relazione con i clienti e il cui
operato impatta direttamente sulla soddisfazione percepita dagli stessi clienti.
Per finire, la prospettiva di marketing relazionale presta molta attenzione
ai processi di creazione e trasferimento di valore, e alle possibilità di adattamento
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e personalizzazione date dai prodotti o servizi offerti sul mercato dall’impresa. In
tale prospettiva si riconosce, inoltre, che la creazione di valore per il cliente può
attuarsi, oltre che con l’adattamento alle sue esigenze individuali, anche mediante
l’accrescimento del suo livello di coinvolgimento.
1.2.2 Il ruolo delle risorse nel marketing relazionale
L’importanza dell’ampiezza e della qualità delle relazioni di un’impresa è
ormai considerata decisiva per acquisire un vantaggio competitivo sostenibile
sulle imprese concorrenti e rappresenta una delle più importanti forme di
ricchezza che essa possiede (Costabile, 2001; Valdani e Busacca, 1999).
Il nuovo contesto economico è basato sempre meno sui flussi di merci e
sempre più sulla conoscenza, come frutto di un processo che coinvolge più
partner, sia in senso verticale che orizzontale. Per questo motivo le strategie di
marketing relative a un prodotto o servizio devono includere sia i fornitori di
input materiali e immateriali a monte, sia la distribuzione a valle, sia gli stessi
clienti finali che possono fornire informazioni preziose sui propri bisogni.
Instaurando relazioni con la clientela, passando da un’ottica in cui
l’attenzione è rivolta alla singola transazione di vendita ad una che contempla la
gestione di un rapporto a lungo termine, l’impresa è in grado di acquisire
importanti risorse, chiamate risorse relazionali, mediante le quali è possibile
differenziare la propria offerta e difendersi dalla concorrenza (Costabile, 2001).
Le risorse relazionali sono assimilabili alle risorse di fiducia che, secondo
una classificazione proposta da Vicari (1991), costituiscono congiuntamente alle
risorse di competenza, le risorse immateriali a disposizione di un’impresa. In
particolare le relazioni che vengono stabilite con i soggetti esterni sono
considerate una fra le principali fonti per la generazione di risorse immateriali
(Vicari, 1991; 1992).
La convinzione che le risorse immateriali siano importanti per il successo
di un’impresa è emersa con sempre maggiore evidenza a partire dal lavoro di