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INTRODUZIONE
Stranamente proprio quando si crede di aver posato il punto finale sull’ultimo pensiero,
si avverte la sensazione che in fondo c’è sempre qualcosa da aggiungere e che esiste un
tanto da introdurre ed un niente da considerare realmente concluso. Quel tanto da
presentare ha mosso i suoi primi passi grazie ad una disposizione riflessiva e ad un
desiderio intellettuale che insieme sono culminati in un argomento di tesi fedele a ciò
che osservo e problematizzo da tempo.
Questa tesi si prospetta attraverso un titolo evocativo rispetto alle intenzioni di chi
scrive. L’icona del dedalo richiama la difficoltà di trovare vie di fuga in una realtà che
si fa progressivamente più complessa; ci sono sempre più bivi, incroci, perplessità circa
la direzione da prendere che di per sé conducono ad un termine sempre più presente
nella nostra quotidianità ovvero incertezza. L’incertezza, tuttavia, non la si deve
sottovalutare poiché è grazie ad essa che possiamo affinare i nostri sensi e perfezionare
la capacità di osservazione. Ci sono momenti in cui, disorientati nel dedalo della realtà,
sembra di trovarsi in uno luogo già percorso (un disagio tutto italiano che rimanda alla
sensazione gattopardiana del tutto cambia per non cambiare niente) oppure di trovarsi
in un luogo nuovo, sconosciuto, indecifrabile (generatore di timori, esitazioni,
indeterminatezze di identità che si fanno continuamente multiformi). Nell’uno o
nell’altro caso è necessario osservare ciò che ci sta intorno cercando di non dare niente
per scontato, con occhi da straniero, con la perizia certosina di chi non si limita
all’insieme, alla quantità ma riserva attenzioni ai dettagli, ai particolari ritenuti dai più
marginali, quelli che non fanno numero. Il dedalo diventa quindi deduttivo perché
attrae lo sguardo verso la conoscenza, affascina nella sua complessità quell’umana
contraddizione verso il mistero che inquieta ma allo stesso tempo accende un insito
desiderio di sapere.
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C’è più di una semplice matrice metaforica al titolo di dedalo seduttivo. Il dedalo, nella
complessità dei suoi intrecci, ricorda la comunicazione in tutta la sua interezza; è
all’interno di esso che il mittente cerca il destinatario e se non sa ben districarsi
attraverso l’osservazione ed i cunicoli della codifica raggiungerà l’uscita senza aver
mai incrociato l’altro sguardo. La necessità di incontrare l’altro diventa obbligatoria
quando la comunicazione si fa pubblicità; in tal caso il gioco seduttivo si deve esplicare
entro un tempo limitato il ché rende tutto il processo comunicativo straordinariamente
più complesso e corposo al di là del mero fine economico.
Complessa è la realtà perché complessi sono tutti gli elementi che la compongono sin
dal suo atomo: l’individuo. Un individuo che negli ultimi decenni è stato chiamato al
confronto con la diversità più che in passato e che attraverso di essa si è posto degli
interrogativi su quelle che sino ad allora rappresentavano delle sicurezze.
Sconvolgimenti che hanno violato perfino lo sfondo sul quale si è mossa tutta
l’umanità sin dalle sue origini ossia il genere. Negli ultimi decenni il genere non è più
chiaro come lo era una volta, non rappresenta più un’assoluta certezza accreditata
dall’ascrizione dei ruoli. Oggi, infatti, quando si parla del genere lo si fa passando in
rassegna tutte quelle eccezioni alla norma che nel tempo si sono sommate cagionando
termini come indeterminatezza o ibridazione. La pubblicità, come testo, rappresenta un
mezzo interessante circa le dinamiche di genere soprattutto da quel preciso momento
storico in cui si sono affermati e celebrati i consumi. Il dedalo si fa, dunque, ancor più
fitto e ricco quando la comunicazione pubblicitaria intreccia l’ibridazione di genere; è
da questa curiosità che l’occhio di chi scrive si è fatto indiscreto ed ha cercato spunti di
conoscenza scrutando negli angoli di esperienze pubblicitarie anche marginali per
scoprire, magari, strade non ancora battute che legassero la pubblicità, nella sua
accezione comunicativa, alla cultura comunicativa stessa.
Non nego che questa tesi sia cresciuta e si sia arricchita nel tempo cercando di non dare
niente per scontato e tentando di superare posizioni di pregiudizio; terminologicamente
il criterio con il quale si sono aggiunti progressivamente i contributi e le personali
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riflessioni è stato più simile ad un work in progress, un lavoro in continua elaborazione
e definizione che prendeva le mosse, ovviamente, dai saperi appresi ed interiorizzati
durante tutto il percorso di studio. La finalità non è certo quella di offrire presuntuose
verità; l’intento è quello, piuttosto, di segnalare un punto di vista interrogativo circa un
sistema comunicativo, quello pubblicitario, che ha sperato sinora di navigare su di un
vascello sicuro soprattutto negli armamenti, osservandolo nel mare mosso del genere.
Gli armamenti cui mi riferisco trovano, comunque, un loro meritato spazio nel
Capitolo Primo dedicato interamente alla scoperta della pubblicità come strumento di
non trascurabile valore comunicativo. La forma pubblicitaria che ho prediletto è quella
televisiva proprio per i suoi disparati ingredienti; l’immagine, il movimento, la parola
scritta e pronunciata, i suoni, la costruzione di una narrativa.
Già nel definirla mi sono confrontata con una serie di ragguardevoli punti di
osservazione che ne decretano la complessità, interdisciplinarietà nonché la sua
intrinseca radice comunicativa. La pubblicità, in effetti, contiene tutti gli elementi che
connotano un processo comunicativo e la discolpano, quindi, dall’essere spesso
accusata di essere uno strumento di persuasione a senso unico. A tal proposito viene
riservato un ampio spazio al concetto di persuasione, inteso come ineluttabile facoltà
di poter direzionare l’azione del target ovunque voglia il pubblicitario; ci si chiede se
davvero chi riceve il messaggio sia impreparato, incompetente o quantomeno
disarmato. Per tale motivo si comprende come sia più pertinente il termine di
seduzione anziché persuasione dal momento che, in ogni caso, chiunque riceva un
messaggio non è sprovvisto di strumenti di difesa, se così vogliamo chiamarla. Se,
inoltre, indaghiamo su come si sviluppano le fasi di creazione del messaggio
pubblicitario appare ancor più assiomatico quanto sia difficile poter essere
assolutamente certi dell’esito di un messaggio nonostante si tenti di arginare il più
possibile il margine di rischio.
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Tutto questo senza dimenticare il significato di comunicazione nella sua più
pragmatica accezione; si utilizzano spesso termini quali emittente, ricevente,
messaggio tuttavia nient’altro sono che semplificazioni terminologiche ben lontane dai
concetti puramente trasmissivi e unidirezionali.
Il Capitolo Secondo approfondisce il rapporto fra pubblicità ed insieme di individui, o
meglio società. Per chi deve ideare una campagna pubblicitaria è necessario uscire da
sé e conoscere, penetrare, studiare coloro con i quali si intende comunicare: il target.
Quelli che suscitano interesse sono gli stili di vita comuni dei propri interlocutori che
nel loro insieme formano una categoria di consumo. Le semplificazioni che vengono
operate nel caso dell’individuazione di un target debbono oggi fare i conti con la stessa
complessità di cui parlavamo in precedenza; gli Istituti di ricerca, infatti, si tengono
costantemente aggiornati circa le nuove tendenze in atto che potrebbero essere
antesignane del prossimo futuro. Rispetto al ritratto che la pubblicità riserva alla
società non si possono escludere i simboli e le rappresentazioni che mette in atto; è
imprescindibile, pertanto, fare riferimento ai concetti di stereotipo e categorizzazione.
Si giunge così al quesito che spesso anche gli operatori del settore si pongono; la
pubblicità anticipa o si limita a descrivere la realtà?
Dopo aver analizzato la comunicazione pubblicitaria nel suo rapporto con la società, il
riferimento alla modernità che si intraprende nel Capitolo Terzo è in effetti doveroso.
In questa sede viene reso noto il background formativo al quale sento di appartenere;
autori che mi hanno particolarmente influenzata ed ispirata rispetto al mio interesse
verso la cultura e le sue poliedriche forme. La pubblicità come testo può aprire scenari
e punti di osservazione intriganti circa le tendenze culturali di uno specifico momento
storico, circa le differenze fra una cultura ed un’altra, circa il passato ed il presente. E’
in questa sede che riconosco la mia propensione al dettaglio che considero un valore
aggiunto alla realtà sempre meno dei più e sempre più dei particolari. Il dettaglio può
rappresentare il seme di un avvenire ancora lontano e può agevolare la vista verso
quell’orizzonte non ancora definito ma che concede già degli inestimabili indizi.
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Il Quarto Capitolo è probabilmente la parte più personale. E’ un momento nel quale
svelo nuovamente ma in termini diversi, le mie radici formative e le riflessioni più
sentite circa il tema della comunicazione. Se nella prima parte mi ero necessariamente
soffermata su quei dispositivi ritenuti ineccepibili dagli operatori del settore
pubblicitario, adesso manifesto una mia proposta metodologica di chiara inclinazione
culturale.
Il Quarto Capitolo chiude la dissertazione sulla materia strettamente pubblicitaria
congiungendola al tema del genere.
Il debutto del Quinto Capitolo è assegnato al genere, alla sua ovvietà, alla sua valenza
culturale e storica; cartina tornasole che può palesare, chiarire o commentare eventi
passati e presenti, utile anche come strumento di comparazione storiografica. Su questa
linea, quella storica per inciso, si è cercato di porre a confronto un’epoca esemplare per
il nostro Paese, ovvero Carosello, con le rappresentazioni del genere nelle pubblicità di
oggigiorno onde tracciare e carpire quegli sviluppi che ci hanno portato a generi
contaminati, ibridati e spesso avvertiti come indefiniti.
L’intreccio fra ibridazione di genere e comunicazione pubblicitaria è stato oggetto di
un focus group la cui descrizione ed analisi viene esposta nel Capitolo Sesto. La
tecnica del Focus Group è risultata il metodo più appropriato rispetto alle intenzioni di
chi scrive non solo perché attualmente viene utilizzata anche dalle agenzie
pubblicitarie nei pre-test ma anche per simulare una qualunque situazione di gruppo
dalla quale scaturisce un dibattito il più possibile aperto e disinibito nei confronti
dell’oggetto di interesse.
La tesi giunta al suo Epilogo indirizza lo sguardo verso il futuro, cercando di
avvistarne i segnali attraverso i valori aggiunti, i particolari del presente.
Giunti a fine lettura ci si accorgerà del taglio spiccatamente interdisciplinare suscitato
sia dal desiderio di valicare il riduzionismo tecnicistico e manualistico della maggior
parte della letteratura in materia pubblicitaria (cui comunque è dedicato uno suo
meritato spazio), sia dall’intenzione di analizzare il testo pubblicitario da un punto di
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vista più critico e partecipato. Auspico, altresì, che risulti intrigante, quanto lo è stata
per me, la questione del genere vista attraverso le narrative pubblicitarie giacché,
ritengo, che su di essa confluiscano numerosi punti controversi della modernità quali
l’alterità, la stereotipizzazione, l’incertezza, la complessità e non ultima la riflessività.