8
per utilizzare i fondi strutturali comunitari oppure implica anche un reale processo di
riorganizzazione territoriale della sovranità degli stati coinvolti. A tal fine il lavoro è
stato suddiviso in sei capitoli: nel primo si cercherà di inquadrare il fenomeno
euroregionale. Pertanto, dopo aver tracciato un breve percorso evolutivo, si
affronteranno rapidamente le strutture e le funzioni svolte da alcune Euroregioni
“storiche” e non, ispirandosi soprattutto alle ricerche condotte sulla tematica dagli
studiosi dell’ISIG (Istituto di Sociologia Internazionale di Gorizia) e mettendone in
risalto le potenzialità in termini di attività e compiti. Non esistendo ad oggi una
definizione puntuale di cosa sia l’“euroregione”, si riporteranno alcuni casi tradizionali
e funzionanti ed un esempio recente, i quali potrebbero essere d’aiuto per la creazione di
una futura euroregione nell’area nord-adriatica. Si vedrà così come la formalizzazione
dell’attività di cooperazione non sia l’unico modo di concepire l’euroregione; in altre
parole essa non è necessariamente l’apice delle relazioni tra entità substatali, ma può
anche essere l’inizio di una collaborazione tra partner non pubblici che, fino a quel
momento, non avevano intrapreso significativi contatti.
I due capitoli seguenti saranno dedicati alla cooperazione transfrontaliera. Nel secondo
verranno ripercorse le tappe storiche salienti dell’evoluzione del fenomeno nel contesto
europeo, partendo dal tentativo di definire che cos’è una regione di frontiera, come si
muove e opera in prospettiva relazionale, per poi analizzare le dinamiche cooperative
transfrontaliere in funzione delle fasi del processo, dei livelli attivati e ancora dei settori
d’attività abbracciati. In aggiunta, uno spazio rilevante sarà riservato all’introduzione
dei principali fattori che influenzano, in positivo e in negativo, la cooperazione
transfrontaliera; fattori che si cercherà altresì di esaminare, in sede di osservazioni
conclusive, nel contesto geografico-territoriale individuato per l’Euroregione Alto-
Adriatica.
In quanto forma di cooperazione istituzionalizzata, l’euroregione ha bisogno di solide
basi giuridiche su cui appoggiarsi. A tale scopo, nella parte finale del capitolo terzo,
oltre a mettere in luce l’importanza della funzione di stimolo della cooperazione
transeuropea svolta dagli organismi europei (in particolare il ruolo del Consiglio
d’Europa), saranno presentati alcuni strumenti giuridici europei (comunitari e non) su
cui l’euroregione potrebbe basarsi, non senza aver prima ricordato quello “storico”, in
un certo senso, costituito dalla Convenzione-quadro di Madrid (1980). Come si vedrà, è
uno strumento adottato dal Consiglio d’Europa nel 1980, importante non tanto per la
sua portata, quanto per il fatto di essere stato il primo strumento a sostegno della
9
cooperazione transfrontaliera. Di cruciale rilevanza è poi la proposta di regolamento
della Commissione del 14 luglio 2004 che mira ad istituire i Gruppi europei di
cooperazione transfrontaliera (GECT), soggetti di cooperazione tra autorità territoriali,
di diritto pubblico e capaci di agire per conto dei loro membri; inoltre, essa dimostra
che, anche a livello di cooperazione transfrontaliera si fanno sempre più sentire delle
pressioni “europeizzanti”.
Nello sviluppo del lavoro, il capitolo quarto si propone di ricordare succintamente le più
rilevanti vicende storiche avvenute nell’area geografica di studio durante l’età
contemporanea, mettendo in luce, non solo le continuità e discontinuità territoriali
determinate dalla presenza del confine, ma anche la centralità geostrategica del porto di
Trieste all’interno del sistema portuale nord-adriatico.
Si passerà poi ad analizzare, nel capitolo quinto, le esperienze di collaborazione
interregionale nell’area di studio dagli anni sessanta ai giorni nostri, focalizzando in
particolare l’attenzione sulla Comunità di Lavoro Alpe-Adria, con l’intento di
comprendere se la futura euroregione possa considerarsi come la sua naturale
evoluzione o meno.
Nel capitolo conclusivo ci si soffermerà prima su alcuni studi condotti dall’ISIG di
Gorizia dedicati alle possibili articolazioni che l’euroregione potrebbe assumere una
volta che la negoziazione politica avrà prodotto le premesse per la sua istituzione. Si
citerà poi il caso “EureGo”, espressione della volontà di cooperazione di due città,
Gorizia e Nova Gorica, che può essere visto come un primo tassello all’interno del
progetto più ampio di euroregione portato avanti dalla Regione Friuli Venezia Giulia. In
tal modo si cercherà di sottolineare il ruolo attivo svolto dalla Regione medesima e
tracciare, per quanto possibile, un quadro generale aggiornato dello stato
d’avanzamento del progetto euroregionale.
Al fine di inquadrare in termini generali il concetto di regione, ci pare opportuno
richiamare le considerazioni del prof.Gasparini sul tema, in particolare la sua proposta
che individua cinque concettualizzazioni della regione, fra le quali “elaborazione
dell’autoctonia, identità politico-amministrativa, sviluppo economico e sociale,
organizzazione gravitazionale interna”
2
. Secondo il sociologo queste quattro sembrano
sufficienti “per capire quanto di volta in volta ognuna di esse abbia offerto la possibilità
2
Gasparini A., Euroregione: il regionalismo per l’integrazione europea, Trimestrale di Sociologia
Internazionale, ISIG, Gorizia, dicembre 2003, p.1 e ss.
Alle quattro concettualizzazioni indicate si aggiunge una quinta, relativa all’euroregione, che verrà ripresa
in seguito.
10
di affermare l’importanza della regione, e per concludere quanto il mutamento avvenuto
negli ultimi sessant’anni in ogni paese d’Europa sia da ascrivere a linee di azione
riconducibili alla regione e al regionalismo, inteso come ideologia della regione.”
3
Si
può comprendere così “una causa per cui il potere dello stato e la sua sovranità siano
stati erosi dalle istanze regionali e dalla sensibilità della popolazione per l’autogoverno
e per l’autoctonia (mai determinata una volta per tutte, ma al contrario sempre in
movimento e capace di inglobare nuove persone) regionali.”
4
Pur affondando le proprie radici nel periodo seguente al secondo conflitto mondiale, il
dibattito sul ruolo delle regioni e sul concetto di regionalismo ha tuttavia ricevuto un
forte impulso nel quadro del processo d’integrazione europea, dove la regione non è più
trattata come mera portatrice di istanze localiste di matrice etnica ed antistatale, bensì è
considerata un attore indispensabile delle dinamiche di costruzione europea.
Prima di procedere ad ulteriori osservazioni, appaiono necessarie alcune precisazioni
terminologiche. Il concetto di regione si presta, infatti, ad interpretazioni divergenti
secondo le aree di studio, le istituzioni
5
, i paesi
6
ed i periodi storici
7
; mentre alcuni
considerano la regione nient’altro che un’unità geografica subordinata allo stato, altri
rilevano che in realtà il fenomeno regionale riveste un significato non solamente
geografico ma anche socio-culturale, economico, statistico e giuridico-istituzionale
8
.
Sotto quest’ultimo aspetto, in particolare, il termine “regione” indica, secondo il paese
cui ci si riferisce, delle realtà istituzionali variabili e in alcuni casi eterogenee.
3
Ibid.
4
Ibid.
5
La Commissione Europea si è attestata operativamente su una definizione secondo cui, pur con
dimensione, popolazione, funzioni e competenze diverse, la regione è “l’entità territoriale
immediatamente sotto il livello statale, con un’assemblea elettiva con poteri legislativi e/o amministrativi
e un proprio bilancio”. La Carta Comunitaria della Regionalizzazione definisce la regione (art.1), come
“un territorio che dal punto di vista geografico costituisce un’identità a sé stante, oppure un insieme di
territori in cui esiste una continuità e la cui popolazione presenta determinati elementi comuni, desidera
salvaguardare le proprie caratteristiche e svilupparle al fine di stimolare il progresso culturale, sociale ed
economico”.
6
La situazione regionale all’interno dei paesi europei è differenziata.
7
Negli anni sessanta la regione era generalmente definita come una combinazione di aree aventi una certa
uniformità statistica all’ interno di un determinato campo di variabilità. Le aree che rispettavano questi
parametri erano definite regioni omogenee. Negli anni settanta e ottanta ha preso piede il concetto di
regione funzionale, sistema territoriale inserito nel contesto planetario di sviluppo economico, di
intensificazione degli scambi, di affermazione dei valori dell’ economia liberale e dell’ economia di
mercato. La regione funzionale è una forma di organizzazione dello spazio imperniata sul trasporto di
strada, inglobante alcuni milioni di abitanti e incentrata su un territorio dotato di un polo metropolitano.
Sull’ evoluzione storica del concetto di regione, vedi Mainardi R., Geografia Regionale, Roma, 1994.
8
Secondo l’area di studio è, infatti, possibile individuare vari tipi di regioni che, evidentemente, non si
escludono reciprocamente, ma si intersecano a vicenda. Si può quindi parlare di: regione naturale, regione
economica, regione sociologica, regione amministrativa, regione di sviluppo e regione politica. Per un’
analisi delle varie forme regionali si veda Massart-Piérard F., De la notion de “region”, in Naissance de l’
Europe des Régions, Genève, 1968, p.5 e ss.
11
Ciononostante, è possibile definire la regione, in modo generale, come una porzione di
territorio avente una certa estensione geografica e alcune caratteristiche (sociali,
culturali, economiche, amministrative, etc.) che la differenziano dal territorio più vasto
al quale appartiene; in particolare, nello svolgimento di questo lavoro la regione è intesa
come l’ente amministrativo-politico immediatamente inferiore allo stato.
Quanto all’origine del livello amministrativo regionale, il processo che ha portato alla
creazione delle regioni si può sintetizzare, alternativamente, in due movimenti politici:
il regionalismo e la regionalizzazione. Il primo corrisponde ad una richiesta proveniente
dal basso, mentre la seconda è la risposta del vertice alle istanze autonomistiche della
base
9
. Benché resti aperto il dibattito sulle nozioni di regione e di regionalismo, appare
condivisa l’opinione sull’importanza sempre più rilevante della regione, concepita come
comunità umana che difende direttamente i propri interessi, che non coincidono
necessariamente con quelli di entità politico-amministrative più ampie. Queste ultime,
tuttavia, restano titolari delle competenze necessarie ad assolvere alcune funzioni
(politica estera e di sicurezza, politica di difesa, etc.) in nome delle rispettive entità
regionali. Va precisato che l’emergere delle regioni deve essere intesa come risposta ad
un bisogno di democrazia partecipativa, all’evoluzione dell’attività economica e alla
ricerca di un’identità culturale che potremmo definire “di prossimità”.
Regioni ed Europa si presentano quindi come nuove definizioni territoriali interagenti,
in virtù del fatto che le entità substatali hanno assunto un ruolo centrale nel contesto
dell’approfondimento dell’Unione Europea. Infatti, la più attiva partecipazione delle
regioni al processo di costruzione europea è fondamentale per controbilanciare le
tendenze centralizzatrici e uniformanti sviluppate dalle dinamiche comunitarie, per
superare le frontiere nazionali attraverso la cooperazione transfrontaliera ed
interregionale
10
ed, infine, per contribuire a colmare il deficit democratico dell’Unione.
In questo quadro s’inserisce la proposta di Gasparini di una “quinta concettualizzazione
della regione, la quale diventa un’ulteriore causa di riorganizzazione della sovranità
9
Sul punto vedi Ricq C., Regione, regionalizzazione e regionalismo, in Dossier dell’ UIEE, n.1, Ginevra,
1979, p. 181. L’ autore descrive così i due movimenti: “diciamo che la regionalizzazione ha in generale l’
importante scopo di pervenire ad una migliore ripartizione della ricchezza, tentando di attenuare le zone
di sottosviluppo; al contrario, il regionalismo ha, come regole d’ oro, l’ accesso al potere di decisione, sia
questo un potere politico, amministrativo, culturale o solo universitario…”. Sul regionalismo in Europa si
veda anche AA.VV., Regionalismo e federalismo nella costruzione della nuova Europa, Trento, 1992.
10
La cooperazione transfrontaliera si riferisce alla cooperazione tra regioni di frontiera, ossia aree
geografiche contigue con confini comuni; la cooperazione interregionale è un concetto più ampio ed
indica la cooperazione tra aree non necessariamente limitrofe. Sul tema si veda Gabbe J., Collaborazione
transfrontaliera e interregionale, AGEG, 1996.
12
dello stato nazionale. Tale ulteriore concettualizzazione vede la regione di frontiera a
collaborare e a coordinarsi con la regione che sta al di là della frontiera. Ed è questa che
viene indicata come Euroregione.”
11
Al fine di comprendere meglio i problemi che si pongono attualmente per la
realizzazione di un’Euroregione nell’area geografica del Nord-Adriatico si rivelano
particolarmente utili alcune recenti considerazioni di Milan Bufon
12
, il quale sostiene
che: “E’ difficile che i confini statali riuniscano spazi economici omogenei, al contrario:
il territorio statale è composto da aree eterogenee, ciascuna con la sua evoluzione
storica, con le sue strutture, e con il proprio grado di sviluppo”
13
. E’ negli anni settanta
che le politiche statali hanno iniziato a preoccuparsi del differenziale centro/periferia, un
divario dovuto tra l’altro ad una “certa” idea di sviluppo che aveva imposto, nei decenni
precedenti, una gestione essenzialmente centralizzata della attività produttive. Pertanto
si è iniziato in quegli anni a rivolgere maggiore attenzione alle problematiche regionali,
anche perché all’insuccesso delle politiche economiche si erano aggiunte le difficoltà e
gli alti costi di gestione di strutture essenzialmente centralistiche.
Spostare l’attenzione verso le regioni ha significato riconoscere la necessità di condurre
politiche di sviluppo che rispecchiassero le esigenze del territorio. In tal senso, molti
stati hanno cominciato a riconoscere il valore del pluralismo territoriale, economico e
culturale come risorsa fondamentale per la promozione dello sviluppo locale. Infatti,
secondo Bufon, “solo la piena legittimazione” dell’identità locale “saprà garantire la
piena espressione di tutte le potenzialità delle aree periferiche”
14
.
Molte regioni hanno saputo trovare una loro nuova centralità, oltre che nei propri
contesti nazionali, anche all’interno di iniziative internazionali. Un indicatore efficace
di tale evoluzione può essere rinvenuto nel sorgere di nuove alleanze transregionali e
transnazionali, in particolare di alcune associazioni europee, quali l’AEBR (Association
of European Border Regions, sorta nel 1971), la CMPR (Conference of Periferic and
Marittime Regions, creata nel 1973), il CEMR (Council of European Municipalities and
Regions, istituita nel 1984) e l’AER (Assembly of European Regions, fondata nel
1985).
11
Gasparini A., Euroregione: il regionalismo per l’integrazione europea, Trimestrale di Sociologia
Internazionale, ISIG, Gorizia, dicembre 2003.
12
Milan Bufon è ricercatore presso lo Slori, Istituto di ricerca sloveno, e professore presso l’Università
della Primorska di Capodistria.
13
Bufon M., Confini, identità ed integrazione, Slori, Trieste, 2002, p.55.
14
Op.cit., p.65.
13
Di conseguenza, mentre in passato i confini erano visti come limiti politici tra Stati
sovrani, oggi, per dirla con Bufon, “coi processi di decentramento del potere e di
rafforzamento della collaborazione e dei legami internazionali […] in buona parte
dell’Europa i confini politici arretrano [...] andando a ricollegarsi a numerose altre linee,
che marcano la varietà culturale delle province e delle regioni”
15
. Questa ridefinizione
funzionale dei confini trova oggigiorno un appoggio in molte politiche di integrazione
dell’UE. Se il sostegno della Comunità Europea è iniziato come aiuto alle economie
degli stati membri, oggi l’UE, mediante le politiche di coesione sociale ed economica e
di sviluppo regionale, è diventata promotrice di numerosi e svariati interventi a sostegno
di uno sviluppo equilibrato e sostenibile di tutte le regioni comunitarie. Proprio
nell’intento di perseguire tale obiettivo l’UE riconosce un ruolo particolare alla
cooperazione transeuropea (come suggerito dall’AEBR
16
, questa espressione è la più
efficace per indicare le tre forme di cooperazione decentrata tra autorità territoriali, cioè
quella transnazionale, transfrontaliera e interregionale); infatti, come si può leggere in
una recente proposta di regolamento della Commissione
17
: “Lo sviluppo armonioso
dell’insieme della Comunità e il rafforzamento della coesione economica, sociale e
territoriale implicano il consolidamento della cooperazione transfrontaliera e l’adozione
di misure necessarie al miglioramento delle condizioni atte alla messa in opera di azioni
di cooperazione transfrontaliera”.
15
Op.cit., p.232.
16
Association of European Border Regions, Comments regarding the draft Council regulation
establishing a European cross-border authority, 15 luglio 2004, p.1.
17
Commissione Europea, Proposta di regolamento relativo all’istituzione di gruppi europei di
cooperazione transfrontaliera (GECT), 14 luglio 2004, COM(2004)496, Bruxelles, p.2.
14
CAPITOLO PRIMO
1. L’ EUROREGIONE COME SPAZIO PER LA REALIZZAZIONE
DELLA COOPERAZIONE TRANSFRONTALIERA
1.1 Origini e sviluppi dell’idea di Euroregione
All’origine dell’idea di Euroregione e della sua progettazione vi è stato un
pluridecennale dibattito sulla cooperazione transconfinaria.
Le ragioni della scoperta di tale cooperazione sono molteplici, e tra loro possiamo
senz’altro richiamare le seguenti:
1. La diffusione dell’idea che tutte le aree di un paese possono essere centro di
sviluppo e che possono essere contenitori di poli industriali, grazie anche ai
processi tecnologici che permettono la localizzazione di piccole e medie
imprese, utilizzanti energia trasferibile in qualsiasi parte del territorio nazionale;
2. Il riconoscimento alla periferia e agli enti locali della possibilità di decidere
autonomamente e di ricorrere a strumenti programmatori, e di allocazione di
risorse conseguenti, per attivare o incentivare risorse professionali o
imprenditoriali;
3. L’attenuazione del nazionalismo sia per l’effetto dell’affermarsi dei criteri della
società affluente che trasferisce la lealtà allo stato dal controllo repressivo e
sostenuto dai miti patri alla soddisfazione socializzata dei bisogni di base
(welfare state) e all’assicurazione di un accesso alla professione soddisfacente e
tale da consentire il godimento generalizzato dei consumi anche vistosi. Tutto
ciò a fatto sì che non fosse più necessaria, nelle aree di confine, l’adozione della
“doppia morale”: una da applicare all’interno della casa o della patria e l’altra
valevole in strada o in colonia o all’estero, soprattutto se quello di oltre confine;
4. La conseguente scoperta che il di qua e il di là del confine vi è sempre stata, nel
passato, una profonda cooperazione, fatta di scambio di merci, di matrimoni
misti, di relazioni culturali e di lingua; e che dunque molto spesso questi confini
15
avevano solo recentemente imposto la logica che ogni popolazione di qua e di là
del confine doveva fare da sé;
5. La successiva scoperta che il di qua e il di là del confine in realtà prima
costruiva un unico sistema, e ciò forniva molteplici vantaggi; e che ora dunque è
opportuno ricostruire tale sistema: un sistema a cavallo di due o più confini. La
rilevanza di tale approccio e della derivata rilettura delle aree transfrontaliere è
stata messa in risalto fortemente dai lavori dell’Isig [(Demarchi (1973), Gubert
(1972; 1976), Strassoldo (1972), Valussi (1972)] fin dalla sua prima uscita
pubblica del 1972 e fin dalle sue prime ricerche;
6. La ricomposizione di un sistema, spesso spezzato negli ultimi cinquant’anni o ad
ogni modo tranciato dal nazionalismo per quasi tutti gli stati europei, che ha
ricombinato la complessità delle appartenenze spesso esistenti in passato nelle
aree chiuse dai confini. Infatti, se un tempo vi era nel residente di queste parti
una sintesi di appartenenze etniche e linguistiche molto differente, nella
successiva chiusura dei confini si è elaborata concettualmente e politicamente
un’unica appartenenza (alla maggioranza o alla minoranza);
7. La nascita di una coscienza vissuta in una situazione e in una regione che è
specifica rispetto a quelle interne del sistema nazionale, e che dunque ad essa
deve essere riconosciuta una serie di specificità, più aderente alla situazione
vissuta: nella regione di confine vengono attenuate le valenze di alcune leggi
dello stato, vengono elaborate e approvate norme da valere soprattutto in queste
aree in coordinamento con le legislazioni e le normative delle regioni d’oltre
confine;
8. La coscienza che l’area di confine ha rinunciato ai vantaggi che possono venire
ad essa in quanto è in essa che si gioca la sicurezza e la difesa militare dello
stato e anche perché bisogna rimediare al fatto che la stessa regione di confine è
un generalizzato “cul de sac” lungo il quale si situano dei punti di passaggio (la
città di confine o il passaggio) sottoposti al controllo dello stato, ad opera dei
dipendenti che vengono da qualsiasi parte dello stato stesso;
9. La coscienza, anche questa di segno negativo, che l’esistenza di un limite
confinario implica la necessità di non dipendere per nessun motivo dalla regione
d’oltre confine. Ciò significa che ci si deve dotate di tutti i servizi, in particolare
per quanto riguarda le città di confine, come ad esempio, ospedali, stazioni,
caserme, stadi, aeroporti, servizi di trasporto, ecc. Tuttavia tali dotazioni
16
implicano spreco di risorse, che potrebbero essere utilizzate altrimenti se non vi
fosse il confine che divide;
10. L’affermazione dell’idea d’Europa e poi delle istituzioni e delle politiche del
mercato economico europeo, della comunità economica europea, dell’unione
Europea, che si sono mosse lungo due direttrici: (1) dell’affermazione
dell’importanza delle regioni e dell’Europa delle regioni; e (2) dell’erosione, nei
fatti, delle sovranità nazionali attraverso un sistema di premi a enti e individui
che seguono le regole comunitarie e di sanzioni agli stati che contravvengono
alle politiche europee;
11. La scelta, da parte degli organismi comunitari, della cooperazione
transfrontaliera come momento emblematico dell’integrazione europea, in
quanto è in quella complessità etnica, giuridica, politica, economica, culturale,
sportiva che può venire l’esempio più visibile di ciò che significa l’Europa unita
del futuro prossimo e remoto.
Tutte queste sono cause che, a mio avviso, hanno enfatizzato la voglia di collaborare
con la società che sta al di là del confine, e che hanno implicitamente spinto attori
politici, sociali, economici, culturali a discutere, a formare commissioni, a organizzare
eventi culturali e connessioni economiche.
Accanto alle commissioni intergovernamentali e alle comunità di lavoro, si sono
affermate tra gli enti autonomi locali degli stati europei altre forme di cooperazione, che
hanno dato a vita a vere e proprie regioni comuni o euroregione. Queste strutture non
rappresentano un nuovo livello amministrativo, ma un’interfaccia, un centro servizi per
tutte le persone e per ogni ente al di qua e al di là del confine.
Il vantaggio essenziale delle Euroregioni è soprattutto di tipo pratico. Grazie al loro
legame diretto con il territorio, infatti, queste istituzioni sono in grado di individuare i
problemi delle zone frontaliere già al loro nascere e di evitare che né sorgano gravi
conseguenze.
18
Esse rappresentano, inoltre, uno strumento di armonizzazione e
collegamento tra i vari organi, dotati ciascuno di particolari competenze, delegati dallo
stato alla gestione delle politiche regionali.
Spesso, infatti, lo stato ha mostrato difficoltà nel modificare le sue strutture o
competenze in considerazione delle regioni di confine. Occorre quindi un elemento di
contatto e servizio che sia transfrontaliero nella struttura e nell’organizzazione, affinché
18
Si veda Ferrara W., Le Euroregioni, in Trimestrale di Sociologia Internazionale, anno VII, dicembre
1998, pag. 2 e ss.
17
le decisioni di rilevanza transfrontaliera possano concretizzarsi con gli stessi collaudati
meccanismi nazionali siano essi politici o progettuali. Le Euroregioni nascono quindi
dal bisogno di dare razionalità e coerenza alla gestione degli interessi transfrontalieri
attraverso un ente comune dotato di poteri autonomi di proprie competenze e di organi
permanenti in grado di rispondere concretamente alle esigenze delle popolazioni di
confine. Benché la struttura organizzativa delle euroregioni sia molto simile a quella
delle Comunità di lavoro (assemblea dei membri, commissioni, gruppi di lavoro,
presidenza a rotazione), la partecipazione dei governi locali al loro interno e più
comune, le camere di commercio, le università e altri organi non pubblici sono più
coinvolti e il “sentimento comunitario” e più presente. Questo tipo di cooperazione
interessa soprattutto determinati bacini geografici, come l’aria scandinava, la zona di
confine lungo il Reno, la zona pirenaica e, recentemente, anche l’Est-Europa. Per citare
alcuni esempi delle oltre quaranta Euroregioni presenti sul territorio continentale, si
possono menzionare le intese tra enti territoriali locali stabilite tra Germania e Paesi
Bassi: Eugenio (1958); Regio Rhein-Waal (1969); Regio Ems-Dollart (1978); tra
Germania, Svizzera e Francia: Regio Basiliensis (1963); tra Germania, e Repubblica
Ceca :Euroregio Egrensis (1991); Euroregio Elba (1992); Euroregio Erzgebirge- Krusne
Hory (1992); Euroregio Bayericher Wald/Sumava (1993). Tra Germania e Polonia:
Euroregione Pomeragia (1991); Euroregio Spree-Neisse: Bober (1992); Euroregio Pro
Europa Viadrina (1993). Ancora tra Germania, Polonia e Repubblica Ceca: Euroregio
Neisse-Nisa-Nysa (1991). Infine tra Ungheria, Polonia Ucraina, Slovacchia e Romania:
Euroregione dei Carpazi.
Le Euroregioni sono enti dotati di una propria autonomia, definita dalle competenze
loro riconosciute dall’apparato statale, che quindi mantiene una completa sovranità sul
territorio interessato dalle attività delle varie Euroregioni. Tra le numerose condizioni
che devono essere presenti affinché l’ipotesi di istituire un’Euroregione abbia successo
il presupposto fondamentale è anzitutto che i soggetti e gli enti interessati da iniziative
di cooperazione condividano dei valori comuni sulla base dei quali costruire un rapporto
di fiducia e di armonia. In tal senso assume quindi una grande importanza un’analisi
relativa al substrato culturale, sociale, giuridico ed economico delle zone di confine che
intendono creare un’istituzione di controllo e gestione di attività transfrontaliere
comuni. L’istituzione di un Euroregione comporta, infatti, la predisposizione di schemi
operativi e normativi che devono trovare fondamento non solo su esperienze di
18
cooperazione già in atto, ma anche su forti motivazioni e aspirazioni, in modo da
rispondere alle esigenze di tutti i soggetti che decidano di farne parte.
Riassumendo, si può quindi affermare che le Euroregioni sono dei fattori di
integrazione, dei laboratori della pratica della sussidiarietà e dei generatori di potenziali
sinergie. In questo senso, la formazione di un’Euroregione può rappresentare lo
strumento idoneo a conciliare la tutela del tessuto culturale e linguistico di una
determinata zona di confine e la promozione dei principi che ispirano l’integrazione
europea. Bisogna tuttavia realisticamente constatare che la cooperazione transfrontaliera
dipende da molti fattori interagenti, tra cui le motivazioni dell’elite politica ed
economica locali, la presa di coscienza delle differenze di sviluppo e la presenza di
similitudini o differenze culturali. Né le percezioni forgiate dalla storia, né la psico-
sociologia degli attori possono essere ignorate nel determinare le possibilità di attività
più o meno istituzionalizzate di cooperazione transfrontaliera. In ogni caso, bisogna
rilevare che, quando sono intraprese iniziative congiunte, i tratti comuni ai diversi
approcci di cooperazione non nascondono la maggior efficacia di organismi come le
Euroregioni, vale a dire delle forme più evolute di cooperazione istituzionalizzata,
rispetto alla semplice cooperazione transfrontaliera generata da attività spontanee. E’
comunque opportuno che le varie forme di cooperazione possano diffondersi e
convivere nell’interesse delle popolazioni coinvolte dal fenomeno transfrontaliero.
In generale, si può sostenere che le Euroregioni si configurano e atteggiano come delle
strutture di mediazione tra le comunità di appartenenza (locale, regionale, statale) e la
costruzione ideale rappresentata dall’Europa, diventando un modo per affinare e far
progredire la coscienza dell’appartenenza europea e sollecitando la volontà di
partecipazione. Nell’ottica di Bruxelles, infatti, le Euroregioni rappresentano laboratori
di microintegrazione, ambienti nei quali si prepara il terreno dei futuri sviluppi dell’U.E.
e si attivano processi di europeizzazione nella quotidianità, nel concreto di un tessuto
relazionale a maglie sempre più fitte.
In altri termini, le Euroregioni dimostrano che differenza non è necessariamente
divisione e che questa, a sua volta, non coincide necessariamente con rivalità;
l’esperienza dei fenomeni euroregionali ci dice, infatti, che si sviluppano sinergie, le
quali riprendono le diversità e le valorizzano in nuove forme di aggregazione. Partendo
dalla convinzione che le frontiere non possono essere superate se non si mettono in
comune i differenti interessi presenti da un lato e dall’altro della stessa e se non
19
vengono ricomprese nell’azione la molteplicità delle componenti, si può affermare che
il principio ispiratore dell’attività delle Euroregioni è quello della pluralità.
19
Tuttavia, quando associazioni e strutture transfrontaliere come le Euroregioni
intraprendono iniziative tanto numerose e variegate, è comprensibile che suscitino le
reazioni più disparate, dagli elogi alle critiche.
Di fronte alle accuse di voler far rivivere un etnonazionalismo regionale, i promotori
delle Euroregioni replicano sostenendo che l’unione degli sforzi e delle risorse
nell’intento di superare le frontiere non va intesa come manifestazione della volontà di
creare nuove frontiere.
In ultima analisi, le Euroregioni si propongono piuttosto di fare in modo che l’Europa di
domani faccia dimenticare le frontiere d’oggi senza neanche doverle ufficialmente
abolire. Al fine di perseguire questo scopo, le Euroregioni si considerano degli
strumenti attraverso i quali:
ξ Promuovere e salvaguardare i diritti dei singoli cittadini, garantendo loro la
possibilità di poter approfittare di iniziative congiunte di sviluppo
transfrontaliero e di poter riannodare tutta una serie di legami storico-culturali
spesso interrotti, ostacolati o mitizzati dalla presenza del confine;
ξ Gestire in maniera sistematica ed organica gli interessi transfrontalieri,
favorendo la decentralizzazione delle competenze per consentire, almeno in
alcuni ambiti, la formazione di decisioni più vicine ai bisogni delle popolazioni
delle realtà di frontiera;
ξ Favorire, mediante la realizzazione di veri e propri spazi di micro-integrazione
transfrontaliera, il processo di costruzione di un’Europa integrata non solo dal
punto di vista economico e monetario, ma anche politico, culturale e sociale.
19
Si veda Gasparini A. (a cura di), Problemi e prospettive dello sviluppo di euroregioni sul confine nord-
orientale italiano: il caso del Friuli Venezia Giulia, ISIG, 2001.
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1.2 Indicazioni per una definizione di Euroregione
Si può ragionevolmente affermare che il punto di arrivo del processo di cooperazione
transfrontaliera è in Europa l'euroregione.
In realtà essere punto finale di un processo che ha generato l'euroregione, non significa
che anche per il futuro l'euroregione deve collocarsi alla fine del processo di
cooperazione. In altri termini, può senz'altro essere che l'inizio della cooperazione
transfrontaliera sia atteso proprio dalla costituzione di un'euroregione, e cioè di una
regione che concettualmente è l'incrocio di molteplici appartenenze: agli stati di
riferimento per quanto riguarda la sovranità, all'Europa per quanto riguarda la
standardizzazione dei parametri di sviluppo e di organizzazione, a se stessa per quanto
riguarda la cultura, l'economia e la società. Ciò che risulta importante è che, a questo
punto, l'euroregione è uno strumento istituzionale e funzionale per agire nell'area
transfrontaliera e produrre cooperazione.
Quando i reggitori di molteplici regioni o di spezzoni di regioni, solcate da confini
politici, pensano alla costituzione di un'euroregione, dovrebbero affrontare i molteplici
quesiti, che vengo a considerare qui di seguito: quante euroregioni organizzare nell'area
transfrontaliera, dove collocare la singola euroregione, in quale momento e in quali
condizioni affrontare il problema, quanto ampia deve essere, quanti abitanti deve
contenere, di cosa deve essere contenitore, quali hinterlands deve avere, quali funzioni
deve svolgere, quali contesti interorganizzativi deve sviluppare, quali istituzioni deve
elaborare, come deve organizzarle e farle funzionare, quali networks deve sviluppare
l'euroregione (danaro, affari, informazione, istituzioni, cultura, ecc.), come può
dominare l'ambiente, quale tipo di integrazione deve perseguire.
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Disamina tratta dal contributo di Gasparini A., Processi di istituzionalizzazione: vademecum per una
“buona” euroregione, in Trimestrale di Sociologia Internazionale, anno XII, n. 3-4, dicembre 2003, pagg.
15-25.