Il mio tentativo è quello di vedere come coloro che si trovano, senza averlo scelto,
particolarmente coinvolti in una situazione di questo tipo vengano influenzati dalla stessa. In
sostanza la mia domanda vorrebbe essere: che effetto produce la violenza armata su coloro i
quali sono legati alle motivazioni che la generano pur senza compartirne i metodi d’azione?
Per effettuare questo studio ritengo interessante approcciarmi ad una situazione tutt’oggi attiva
per avere un contatto diretto con l’ambiente sociale in cui il processo si verifica.
Il mio interesse si è diretto verso i Paesi Baschi, uno dei pochi territori dell’Europa moderna in
cui è ancora presente una pratica continua di lotta armata, anche perché la vicinanza geografica e
la mia conoscenza del castigliano (lingua ufficiale di questi luoghi) mi rendono possibile un
contatto più diretto e profondo con tale realtà.
Dovrò però tener conto delle peculiarità di questa situazione; il professor Ruiz Olabuenaga
afferma: “[...] siamo inclini a credere che, salvo casi isolati, la violenza di e in Euskadi acquista
senso solo se interpretata come una configurazione di elementi culturali, storici, strutturali,
individuali e collettivi che si interconnettono nella nostra società” (p.19). Nella mia analisi dovrò
quindi valutare tutti questi fattori nonché cercare di comprendere una cultura simile alla nostra
ma caratterizzata da una storia ricca di problematiche e tematiche che ad una giovane italiana
possono passare a prima vista inosservate.
Tutto ciò, complicato inoltre da motivazioni nazionaliste, etniche; da una cultura semi distrutta
che risorge dalle macerie per gridare allo Stato la sua voglia di esistere, di essere libera. Una
cultura sbandierata sia dai reazionari che dai socialisti antiautoritari. I primi giustificano con la
sua esistenza la volontà di un ritorno alle origini dalle connotazioni razziste; i secondi
recuperano le peculiarità sociali della bascheità (parola da essi stessi coniata) per rivendicare il
diritto all’autodeterminazione.
Tutto ciò inserito in un panorama mondiale di guerra, postguerra, improbabili riciclaggi di poteri,
CEE, NATO, Usa e il suo ruolo di conduttore - pacificatore del mondo. Interessi internazionali, o
meglio intercontinentali, che hanno avuto una influenza non indifferente nel riciclaggio dello
Stato spagnolo. Dopo la dittatura di Francisco Franco, per paura del comunismo (o con la scusa
di tal paura) la Spagna è “rinata” conservando sostanzialmente le stesse strutture di governo, gli
stessi uomini al potere, la stessa discussa polizia; ma, finalmente, con il nome di democrazia.
“Nel 1982 dei tredici uffici superiori della polizia nove erano diretti da ex membri della Brigada
Politico Social (N.d.R. Corpo speciale franchista)”.(Miralles, Melchor y Arquès, Ricardo, 1989,
p. 93)
Democrazia che rende assurda qualsiasi richiesta di autonomia, che rende terroristi tutti coloro
che lottano per l’indipendenza, che si veste di pace con nastrini azzurri per la libertà di un
secondino (sequestrato da ETA) nonostante sia risaputo che nelle prigioni spagnole sia
comunemente praticata la tortura sui detenuti, come dimostrato anche dalle continue denunce di
Amnesty International.
Tutto ciò con l’appoggio della comunità internazionale e degli Usa che condannano solo il
terrorismo scomodo. Scrive Chomski “[...] se fossimo minimamente seri nel combattere il
terrorismo, la nostra preoccupazione principale si dirigerebbe ai casi più seri: al terrorismo su
grande scala, condotto generalmente dagli Stati o dai loro agenti, dentro o fuori dalle proprie
frontiere”.(in AA.VV., 1980 p.40)
I baschi si trovano quindi tra due fuochi, la violenza di ETA e quella dello Stato: come
percepiscono tutto ciò? “Solo un quarto della popolazione [...] si sente coinvolta nella sua vita
personale dalla violenza politica. Proporzione che si riduce drasticamente rispetto alla violenza
diretta dell’insurrezione politica armata. Paradossalmente, è più esteso il timore di una possibile
azione repressiva delle forze dell’ordine che dell’esperienza personale con la violenza
sovversiva.
(Olabunenaga e altri, p.132)
Nel mio lavoro cercherò di evidenziare una relazione diretta (che io ipotizzo esistere) tra le
azioni compiute da ETA, o meglio tra la sua strategia, e la maggiore/minore adesione alle idee
indipendentiste della popolazione di Euskadi Sud
. La mia ipotesi iniziale è che, in relazione al tipo di azioni di questo gruppo armato e alla
crudezza della stesse, si producono cambi peculiari nelle simpatie all’indipendentismo. Questo
avviene a livello nazionale spagnolo ma assume caratteristiche peculiari in Euskadi dove il
coinvolgimento è più diretto e profondo.
Data l’estensione spazio - temporale della situazione, non mi cimenterò in una raccolta dati
diretta che sarebbe quantitativamente ridicola ed obbligatoriamente ridotta nel tempo, ma tenterò
di analizzare le informazioni già disponibili quali i sondaggi d’opinione e l’andamento dei
risultati elettorali, con particolare attenzione ai partiti indipendentisti: PNV, HB, EE, EA.
Per aiutarmi nella catalogazione delle informazioni, come nel successivo tentativo di
interpretazione dei risultati, effettuerò inoltre delle interviste a testimoni qualificati. Le
informazioni che mi proporzioneranno non pretendono assumere valore assoluto ma essere
importanti tracce per la comprensione di una situazione talmente complicata che, senza viverla
direttamente, rischia altrimenti di rimanere aliena.
Molteplici fattori influenzano comunque la percezione delle azioni di ETA, creano “disturbi” o
cambiano la natura del mezzo nel quale avviene la comunicazione. La teoria della
comunicazione ci insegna che numerosi elementi intervengono nello scambio di un messaggio (
peculiarità del mittente e del ricevente, loro organi ricettori e trasmissori, il mezzo in cui si
propaga il messaggio, i disturbi durante la diffusione dello stesso). La maggioranza della
popolazione non può ricevere l’informazione direttamente dall’emissore (ETA) ma, molto
spesso, solo tramite la sua ritrasmissione da parte dei mezzi di comunicazione di massa.
L’accesso all’informazione, spesso negata o distorta, gioca sicuramente un ruolo determinante
nell’influenza che ogni azione di ETA può avere su ogni singolo individuo che ne venga a
conoscenza. Come facilmente comprensibile, la stessa notizia presentata sotto luce differente
influenza le idee del ricevente in modo diseguale. Per esemplificare possiamo immaginare
l’influenza che la lettura dei seguenti titoli di giornale provocherebbero in ognuno di noi:
A) “Un nuovo sanguinoso attentato dei terroristi baschi. Decine di innocenti tra cui molti
bambini vengono uccisi o gravemente feriti dall’esplosione di una bomba in una via centrale di
Y”;
B) “ETA informa la polizia dell’imminente esplosione di una bomba collocata nelle vicinanze
della caserma di Y. Le forze di sicurezza non fanno evacuare la zona; muoiono due militari e un
bambino che passava, altri militari rimangono lievemente feriti.”.
Mentre i mezzi di comunicazione di massa danno maggior/ minor risalto ad una notizia o la
offuscano nel complesso di mezze verità, a seconda del periodo storico - politico in cui si
verificano gli atti, anche i terroristi giocano o tentano di giocare con la propaganda, come ci
ricorda Carlo Merletti: “L’agire terroristico si distingue inoltre per il fatto che in esso il danno
inferto alla parte cui è diretto non costituisce il solo obiettivo dell’azione, ma accanto al danno
materiale vi è sempre uno scopo simbolico di intimidazione e quindi di propaganda e di
comunicazione da raggiungere”.(in Bruni, p. 192)
Tornando alla teoria della comunicazione si può evidenziare un altro elemento che influenza il
processo comunicativo. L’ambiente in cui la trasmissione avviene, ovverosia la situazione
economica, politica e sociale in cui il messaggio si muove, non potrà lasciare inalterata
l’informazione o per lo meno l’interpretazione della stessa che ogni ricevente ne darà. Come la
psicologia “moderna” insegna, non si può prescindere dalle attribuzioni, dalle aspettative, dai
preconcetti di ogni individuo per capire la ricezione che farà di un messaggio. Inoltre si deve
tener conto del fatto che, come spiega la teoria sistemica, l’individuo ha una relazione biunivoca
con l’ambiente ovvero lo influenza ed al tempo stesso ne è influenzato. Se poi ci si attene alla
fisica, e in specifico alla Teoria del Caos - per la quale qualsiasi cambio o movimento, per
infinitesimale che sia, può provocare nel corso del tempo effetti imprevedibili ed enormi - si può
intuire l’immensa importanza che assumono le caratteristiche storiche, culturali, economiche e
politiche in cui si sviluppano gli atti in questione, ed i suoi piccoli/ grandi cambi, nell’influenzare
il peso e la direzione delle opinioni individuali. Nello specifico caso in esame la differenza più
eclatante si riscontra tra l’inserimento delle azioni armate all’interno della lotta antifranchista e la
perpetrazione delle stesse in un regime autodefinentesi democratico. Fondamentale è anche
verificare l’influenza esercitata dal livello di militarizzazione/repressione a cui il popolo basco è
sottoposto in seguito alle azioni di ETA. L’attribuzione che essi fanno di tale situazione sarà
determinante nella “giustificabilità” della violenza: è colpa del governo, ottusamente
indiscriminato e cruento nella repressione, o dei militanti di ETA che forzano la mano di uno
stato democratico?
L’influenza e l’interconnessione di tutti questi fattori renderà necessaria un’analisi poliedrica. In
primo luogo credo sarà interessante analizzare meglio le caratteristiche della situazione in
oggetto: cosa significhi la presenza di un movimento armato legato a tematiche nazionalistiche e
socialiste e cosa comporti il fatto che tale gruppo sia inserito nello specifico contesto d’Euskal
Herria ed in quello spagnolo. Mi dedicherò quindi ad una prima analisi dei concetti d’etnia e di
nazione, delle loro peculiarità nell’Europa moderna e dei vari movimenti a base etnica che
caratterizzano il nostro secolo.
Cercherò successivamente di contestualizzare il tutto nello specifico caso d’Euskadi realizzando
un’analisi dei cambi d’opinione strettamente relazionata, oltre che alle azioni di ETA, agli
avvenimenti storico - politico - economici e sociali in cui si sono prodotti.
Il mio scopo non è quello di trovare una regola (esistono regole nei sistemi di interrelazioni
umane?) ma spero mi di comprendere meglio la situazione in esame per poter formulare delle
ipotesi sugli effetti che la violenza politica eserce sulle idee della gente; l’interpretazione delle
stesse sarà, ovviamente, suscettibile di critiche da parte di coloro i quali partissero da differenti
assunti di base.
Senza ulteriori indugi credo sia meglio entrare nello specifico di questo tortuoso viaggio.
NOTA
Avendo nel periodo di elaborazione della tesi soggiornato lunghi periodi in Spagna, ed in
particolare nei Paesi Baschi, ed avendo letto la quasi totalità della documentazione e della
letteratura in lingua castigliana, è possibile che di tutto ciò sia rimasta traccia, in qualche
imperfezione linguistica, nella redazione conclusiva del mio lavoro. Di ciò mi scuso
anticipatamente.
Appunti conclusivi
“Non è possibile render conto sia dell’esistenza della scienza che del
suo successo in termini di evoluzione a partire dallo stato delle
conoscenze possedute dalla comunità ad ogni dato periodo di tempo?
E’ veramente d’aiuto immaginare che esista qualche completa,
oggettiva, vera spiegazione della natura e che la misura appropriata
della conquista scientifica è la misura in cui essa ci avvicina a questo
scopo finale? Se impareremo a sostituire l’evoluzione verso ciò che
vogliamo conoscere con l’evoluzione a partire da ciò che conosciamo,
nel corso di tale processo, un gran numero di problemi inquietanti può
dissolversi.”
Kuhn (p.205)
Sulla base delle mie conoscenze psicologiche e del tema trattato, nonché sulle informazioni
ottenute nelle interviste realizzate e dai dati consultati, posso solo cercare di formulare alcune
ipotesi sull’oggetto della mia indagine. D’altronde, epistemologicamente parlando, qualsiasi
legge scientifica altro non è se non un modello, un’approssimazione della o delle realtà. Il
soggettivo e l’oggettivo ci sfuggono mescolandosi e amalgamandosi in un tutt’uno che forse mai,
tristemente o fortunatamente, riusciremo a discriminare totalmente. Ciò che vediamo ed
esperiamo, non potremo mai affermare essere ciò che è; sempre potranno intervenire elementi
che non siamo in grado di percepire e dei quali nemmeno sospettiamo l’esistenza a modificare e
influenzare la situazione in oggetto. La scienza altro quindi non è che una speculazione,
realizzata tentando di controllare al massimo gli elementi di un sistema che, nelle scienze sociali,
è estremamente complesso.
In relazione al mio oggetto di studio Alfonso
afferma: “ io credo che ci sia stata (e c’è tuttora) una significativa evoluzione d’opinione [...],
ciò che l’ha prodotta non è però imputabile alle azioni di ETA in sé, buone o cattive che siano,
bensì alla stessa evoluzione della lotta. La lotta è arrivata a un punto tale che abbisogna di alcuni
adattamenti e di ciò si è reso conto un settore importante di coloro che appoggiano ETA.
[...] Anche la via autonomista riformista è entrata in crisi ovvero negli ultimi anni assistiamo a
una nuova situazione politica, propizia ad un riavvicinamento tra baschi storicamente avversari,
e dall’altra parte nel centralismo spagnolo, il governo del PSOE ha dimostrato che bisogna
concludere il processo di modernizzazione della Spagna riconsiderando il problema delle
nazionalità. Dobbiamo quindi riadattare la strategia per superare l’atteggiamento di mera
resistenza. [...] Per riassumere direi che la supposta modificazione d’opinione si riferisce alle
strategie di lotta; che c’è da una parte una corrente d’opinione critica e dall’altra un trincerarsi di
coloro i quali sono convinti che con un cambio dell’attuale strategia si cadrebbe nel riformismo e
nel “liquidazionismo”. [...] sono opinioni che sono sempre esistite, solo che al momento attuale
tornano ad assumere valore”.
La sua analisi mi sembra lucida e puntuale però riferita principalmente agli ultimi anni e ad un
gruppo specifico di popolazione: quello più strettamente relazionato con ETA. Il mio lavoro mi
ha portato a ritenere più in generale che non esista una così diretta influenza tra le specifiche
azioni di ETA e i cambi nell’appoggio all’indipendentismo. L’uso della violenza va
contestualizzato e probabilmente i fattori ambientali giocano un ruolo molto più rilevante della
stessa.
A livello individuale si sono sicuramente realizzati cambi profondi, anche in diretta risposta a
qualche precisa scelta strategica dell’organizzazione armata ma a livello sociale, in Euskal
Herria, tale fenomeno non sembra essersi prodotto; c’è comunque stata un’evoluzione
nell’appoggio alla scelta della lotta armata ma anche questa non è stato avulsa da fattori sociali e
politici.
Credo in sostanza che in Euskadi Sud si sia verificato un fenomeno piuttosto evidente di
polarizzazione ed esclusione
in cui le scelte di ETA hanno giocato un ruolo relativamente irrilevante.
Se ci atteniamo al modello di Kurt Lewin, per cui ogni azione umana è il risultato della somma
di vettori di direzioni e forme differenti, questo discorso diventa certamente più comprensibile.
Durante l’epoca franchista erano innumerevoli i diritti negati ai baschi ed il partecipare alla lotta
nazionalista era la scelta socialmente più applaudita all’interno d’Euskadi Sud. La repressione
agiva indiscriminatamente e la militanza attiva era solo parziale cagione di un inasprimento delle
ripercussioni personali.
Col passare degli anni si sono prodotti alcuni fenomeni che hanno portato ad una nuova
percezione della realtà.
L’acquisizione di nuovi diritti, a seguito della raggiunta autonomia, ha permesso il riappropriarsi
di alcune peculiarità della cultura basca (la lingua, una polizia propria, le imposte del Governo
autonomo etc...); si è conseguentemente ridotta la sensazione di essere sottoposti ad
un’insopportabile ingiustizia e ciò a portato ad una maggior legittimazione dello Stato.
Nello stesso tempo l’aumento del livello di vita ha prodotto una crescita dei beni materiali quali
l’acquisizione di status symbol nonché una maggiore sicurezza psicologica data da una vita
tranquilla ed una posizione sociale sicura. Ciò ha portato ad una sensezione di benessere
maggiore e ridotto la necessità e/o la volontà di mettersi in gioco a tal punto di correre il rischio
di perdere i vantaggi raggiunti.
Lo Stato ha, da parte sua, dato una forte spinta a questo processo prodigandosi per rendere
sempre più discriminata la repressione e colpevolizzare i soggetti dissenzienti
. Questa scelta, particolarmente evidente in questo contesto, non è dissimile da quella realizzata
all’interno di qualsiasi democrazia; quello che colpisce è la rapidità e la lungimiranza con cui lo
Stato spagnolo ha saputo attuare tale tattica.
La discriminazione repressiva aumenta il rischio dell’implicazione diretta in metodi politici non
formali e allontana la percezione di essere sottomessi a un’ingiustizia di quei settori che non
realizzano tale scelta. La logica della colpevolizzazione, inoltre, spinge ad emarginare coloro che
si dimostrano dissidenti e carica un posizionamento di questo tipo di un peso stigmattizzante non
assimilabile da tutti i soggetti.
L’importanza data al PNV, partito moderato che si dichiara nazionalista, ha inoltre offerto
un’alternativa alla scelta della militanza nell’area della sinistra abertzale nonché un’ulteriore
giustificazione alla repressione dello Stato. L’alleanza tra il governo e questo partito permette di
sostenere che c’è una reale volontà di risolvere la situazione discriminante a cui si sentono
sottoposte alcune etnie e, contemporaneamente, che non sono ammessi metodi non democratici
di raffronto.
Probabilmente ETA, da parte sua, non ha saputo reagire in modo appropriato a tale strategia, non
è riuscita a creare un nuova modalità di rapportarsi alla modificata situazione ma si è trincerata
dietro una logica di resistenza. Questo ha condotto anche a scelte forti che spesso non sono state
condivise da vasti settori della popolazione e inoltre hanno dato adito alla campagna
criminalizzante realizzata dallo Stato.
Negli ultimi anni nella società basca si è quindi prodotta una netta. La gente ha dovuto
posizionarsi o da una parte o dall’altra; o sei con ETA e quindi d’accordo con tutti gli atti che
compie o sei un democratico che accetta le decisioni parlamentari senza lamentarsi.
In un’altra realtà sociale, probabilmente, una siffatta situazione avrebbe annichilito totalmente un
gruppo delle caratteristiche di ETA togliendogli tutto l’appoggio popolare; ritengo che ciò non
sia completamente avvenuto per tre motivi fondamentali:
il sentimento nazionalista è qui piuttosto radicato;
le generazioni più adulte hanno vissuto sulla propria pelle la repressione franchista e le bugie
informative che in essa regnavano e non sono propensi a credere a tutto ciò che gli viene detto
oggigiorno;
un fattore culturale. In Euskadi si ha a volte la sensazione di essere in un grande paese, la gente
parla, si frequenta e condivide le proprie esperienze. Quasi tutti quelli che ho conosciuto, tanto
giovani quanto vecchi, avevano sofferto in modo diretto gli effetti della repressione; hanno
parenti o amici che sono stati torturati, altri in esilio o in carcere e non riescono a darsi una
ragione del perché ciò avvenga. Nei paesi piccoli, in special modo, le informazioni passano di
bocca in bocca e chi le fornisce è un amico o una persona conosciuta da tutta la vita che ti
racconta la sua storia per la quale è difficile non sentire simpatia.
Solo nelle città più grandi, dove questa collettività sta perdendo il suo essere, i messaggi
governativi riescono a fare breccia producendo la forte spaccatura di cui si parlava; la Euskadi
efficiente e moderna pretende una scelta nettae in questo contesto è dove ETA perdite appoggio.
Per semplificare credo che si possa sostenere che all’inizio quest’organizzazione era formata da
un nocciolo duro di militanti, circondati da un settore di simpatizzanti attivi che a loro volta
erano sostenuti da simpatizzanti passivi che si trovavano inseriti in una società dove gli agnostici
erano molti. Oggi, la situazione si è probabilmente ribaltata; molti agnostici e simpatizzanti
passivi si sono posizionati dal lato dei contrari, forse anche per i vantaggi di questa scelta come
per la riduzione delle pretese nazionaliste. Nello stesso tempo l’alto stress imposto da una lotta
tanto lunga, i sacrifici che essa comporta, il peso dell’essere considerati i “cattivi” ha obbligato
l’organizzazione e i suoi militanti a serrare le fila e a pretendere maggior coinvolgimento, anche
da parte dei simpatizzanti, e ha portato ad una maggior chiusura verso l’esterno.
Dall’unione di questi due fenomeni deriva probabilmente anche l’inasprimento dei contrasti a
livello sociale che si realizzano tra i due opposti gruppi. Secondo Mila oggi gli unici
indipendentisti sono coloro che si identificano in una forma di lotta della sinistra abertzale; gli
altri possono anche dichiararsi abertzali però non sono indipendentisti.
Questi appunti sono giunti al termine ma il viaggio all’interno di questa sfaccettata realtà
meriterebbe sicuramente ulteriori approfondimenti. Tra questi nuova luce al tema potrebbe
essere fornita, in special modo, da lavori sul significato della violenza e sull’influenza dei mezzi
di comunicazione.
Questo studio mi ha chiarito le idee sulla complessa situazione d’Euskal Herria e sul fatto che il
giudizio etico sulla violenza è direttamente relazionato a fattori ambientali che la rendono più o
meno legittima.
Ritengo comunqure che l’interpretazione realizzata non sia utilizzabile per spiegare situazioni
apparentemente simili, potrebbe però servire da ipotesi iniziale per eventuali studi su di esse.