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individuare una patologia, sia essa organica o psicologica, e
conseguentemente ogni tentativo di sviluppare approcci terapeutici, è
destinato a quell’umiliante sequela di tentativi ed errori per ristabilire
una relativa funzionalità.
Allo stesso modo, un approccio neuroscientifico, basato
esclusivamente sulla conoscenza della “materia della mente”, non può
rendere conto della complessità dei processi mentali intesi come
interazione dinamica tra individuo e contesto, legata a regole fisiche,
chimiche, sociali e culturali, dove la componente affettiva, il “valore”
e il “significato” soggettivo assumono un ruolo di primissimo piano.
L’insieme mente-corpo, nella sua affascinante complessità, non
permette di supporre che vi siano studi monodisciplinari, per quanto
approfonditi e rigorosi, in grado di fornire un modello esaustivo del
suo funzionamento. Scrive Pancheri (2002):
“Tra eventi “psichici” ed eventi “biologici” non può essere stabilito un rapporto
di causalità univoco, ma entrambe le classi di fenomeni sono collegate tra loro da
un rapporto a due vie. Ciò ci permette di formulare il postulato fondamentale
della psicobiologia nel modo seguente: eventi biologici ed eventi psicologici sono
collegati tra loro in un rapporto di causalità circolare, dove solo in condizioni
estreme è possibile identificare un determinante primitivo”.
Uno degli obiettivi del seguente lavoro, in linea con questo postulato
fondamentale della psicobiologia, è quello di individuare, per ogni
processo psicologico descritto, il substrato neurale e i relativi processi
fisiologici, nella convinzione che attraverso questo procedimento sia
possibile arrivare ad individuare molte caratteristiche dei processi
psichici. L’esempio più eclatante è offerto dal lavoro di LeDoux
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(1996) sul processo di condizionamento alla paura; attraverso le sue
ricerche sulle vie nervose implicate in questo processo, egli ha
incontrovertibilmente messo in luce un “circuito neurale” che,
coinvolgendo strutture neurali profonde (egli parla di “strada bassa”),
elabora l’informazione in ingresso ancor prima che essa arrivi alle
strutture cerebrali deputate all’analisi razionale degli stimoli. Questo
sistema individuato da LeDoux è oggi alla base di moltissimi studi
psicologici e psicosomatici (Schacter, 1996; Bucci, 1997; Siegel,
1999; Fonagy, 2001; Solano, 2001) e costituisce uno dei passi sino ad
ora più importanti verso questo indispensabile processo
d’integrazione.
Per molto tempo la psicologia generale ha considerato la memoria
come il “deposito” nel quale vengono conservati gli engrammi,
registrazioni fedeli d’eventi passati che guidano i processi decisionali
coscienti dell’individuo. In linea con questa visione, vi era l’interesse
di indagare su quale fosse il limite della memoria, a che ritmo
venissero dimenticati i dati in essa inseriti, quale fosse il grado
d’accuratezza e dove fossero localizzati gli engrammi; in sostanza
veniva ignorata quella che è la natura dinamica dei processi di
memoria.
Nel seguente lavoro è proprio alla natura dinamica della memoria che
si farà riferimento, partendo dai presupposti che:
1) La memoria va considerata come un’attività di sistema che opera
all’interno della struttura cerebrale; di conseguenza la sua attività è
influenzata da eventi biochimici dai quali non si può prescindere.
Essendo tale struttura di tipo modulare, la memoria deve essere
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considerata un’attività che opera in diversi sistemi, ma che ha come
obiettivo primario quello di integrare le informazioni elaborate in
questi sistemi, provenienti dall’esterno e dall’interno dell’individuo.
2) In quanto proprietà di sistema, la memoria non è fatta di tracce
isomorfe di eventi o dati registrati, ma è un continuo processo di
ricostruzione soggettiva degli eventi che segue strategie ben precise
ed evolutivamente vantaggiose: opera attraverso modificazioni pre- e
post-sinaptiche che alterano la probabilità che un determinato “schema
di scarica”, solitamente all’interno di più sistemi diversi, possa essere
riproposto.
3) La memoria opera a diversi “livelli” con modalità differenti; ogni
“livello” però, è caratterizzato da una precisa “organizzazione
schematica” che si forma dall’integrazione di caratteristiche innate e
caratteristiche acquisite con l’esperienza; tale organizzazione tende ad
operare attraverso meccanismi di “assimilazione” ed
“accomodamento”, cioè “imponendo le proprie regole” nel processo di
elaborazione di nuovi dati e allo stesso tempo “automodificandosi”
integrando questi nuovi dati con quelli acquisiti in passato. Gli effetti
di tale organizzazione sono magistralmente descritti da T.S. Eliot
(1941): “Il tempo presente e il tempo passato/ Son forse presenti
entrambi nel tempo futuro,/ E il tempo futuro è contenuto nel tempo
passato”.
4) L’attività della memoria è fortemente influenzata da un’altra
attività di sistema, l’emozione. Questa ha il compito principale di dare
un “peso” diverso ai dati interni e a quelli entranti nel sistema mente-
corpo, facilitando quindi il compito della memoria nel “selezionare” e
“organizzare” il “senso” dell’esperienza.
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5) L’attività della memoria, come del resto tutta l’attività della mente,
e i suoi esiti non si manifestano solo a livello cosciente, né esiste un
totale controllo su di essi.
6) Operando in sistemi diversi interagenti tra loro, essendo regolata da
processi soggettivi di “sottolineatura emozionale” ed essendo la sua
attività non totalmente cosciente, né controllabile, non è possibile
predire in maniera “lineare” gli effetti generati da processi di “dis-
organizzazione” in uno o più sistemi; ciò porta ad ascrivere i sistemi
in cui opera la memoria, e la mente stessa, nei “sistemi dinamici
complessi non lineari” (Siegel, 1999).
Il presente elaborato, strutturato in tre capitoli, ha come obiettivo
fondamentale quello di offrire una panoramica degli studi sulla natura
dinamica della memoria, cercando di integrare una serie di ricerche
neuroscientifiche e di dati e resoconti clinici.
Nel primo capitolo, intitolato “Sulla materia della memoria” in linea
col postulato fondamentale della psicobiologia e con chiaro
riferimento al celebre ed importantissimo lavoro di Edelman (1992)
“Sulla materia della mente”, l’attenzione è rivolta alle basi neurali
della memoria associativa e, in particolare, agli studi sull’
“associatività sinaptica” di Hebb e sulle recenti scoperte dei
neuroscienziati a favore del PLT (Potenziamento a Lungo Termine)
ippocampale, considerato il processo neurofisiologico alla base della
memoria a lungo termine. Dal “che cos’è la memoria?”, si passa al
“come funziona la memoria?”, dove viene messa in evidenza la natura
dinamica della memoria. Si tratta di una “organizzazione
dell’informazione” secondo “schemi”, non di una registrazione
isomorfa dell’informazione.
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La memoria organizza l'informazione in ingresso in base alle
esperienze passate dell'individuo con informazioni simili o ad esse in
qualche modo legate; così facendo, “sintetizza significato” dalla
nuova esperienza e facilita il recupero dell'informazione depositata. In
molti casi però l'informazione non viene organizzata e immagazzinata
dall'individuo consciamente attraverso criteri logici; in questi casi é
corretto parlare di “auto-organizzazione” secondo schemi interni, al
fine di estrarre significato dall'esperienza (Bartlett, 1932; Neisser,
1967; Edelman, 1992; Roncato e Zucco, 1993; Damasio, 1994;
LeDoux, 1996; Schacter, 1996; Treves, 1998; Oliverio, 1999; Siegel,
1999), o come precisa Jervis (1993) di “processo d’autoriferimento”,
attraverso il quale l’individuo “conosce” ciò che lo circonda riferendo
l’ambiente alla propria soggettività, ponendosi al centro del processo
di conoscenza.
In linea con i principi di quest’elaborato, l’attenzione si sposta subito
alle basi neurali di questa “organizzazione schematica”, assumendo
come modello di riferimento la “Teoria della Selezione dei Gruppi
Neuronici” (TSGN). Essa si fonda su tre principi fondamentali: 1)
l'organizzazione iniziale dell'anatomia del cervello durante lo
sviluppo; 2) la successiva selezione di schemi di risposta da
quest’anatomia nel corso dell'esperienza; 3) il processo di scambio di
segnali fra mappe celebrali costituitesi durante lo sviluppo e nella
successiva esperienza, definito “rientro” (Edelman, 1992).
Il processo di “rientro” teorizzato da Edelman (1992) consente ciò che
egli definisce “sintesi ricorsiva”, mediante la quale dalle informazioni
accumulate durante l'esperienza vengono “sintetizzati” elementi
comuni che portano alla formazione di categorie: si parla in questo
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caso di “memoria ri-categorizzante” (Edelman, 1992). La memoria ri-
categorizzante costituisce un aspetto essenziale dell'apprendimento in
quanto forma la base di “modelli mentali”, o schemi, che aiutano
l'individuo ad interpretare il presente e a prevedere le situazioni future
(Siegel, 1999).
L'individuo si trova ad interagire in contesti in cui i segnali in
ingresso, gli stimoli, non si ripresentano quasi mai con le stesse
caratteristiche e associati con gli stessi elementi ed è solo grazie al
processo di “sintesi ricorsiva” che nuove informazioni possono essere
inserite all'interno della struttura cognitiva generando una ri-
organizzazione dell'informazione contenuta precedentemente in essa.
La memoria umana, a differenza di quella del calcolatore, è inesatta
ma capace d’alti livelli di generalizzazione, proprie perché in stretta
relazione con il processo di categorizzazione.
Come sanno bene fisiologi e biologi, è dall’armonia tra eccitazione ed
inibizione che nasce la funzionalità dell’organismo; allo stesso modo
attraverso un equilibrio dinamico tra oblio e ricordo, nasce la
funzionalità della memoria (Tadié e Tadié, 1999).
Scrive Rosenfeld (1988) :
“L’intelligenza umana non consiste solo in un accrescimento quantitativo delle
proprie conoscenze, ma nel rielaborare, ricategorizzare e quindi generalizzare
l’informazione in modi nuovi e sorprendenti”.
Ma il processo di categorizzazione e la memoria, benché siano
fondamentali per l'apprendimento, non possono rendere conto da soli
della formazione di “schemi mentali” che guidano l'individuo. Se
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indiscutibilmente va dato merito ai cognitivisti di aver introdotto il
concetto d’elaborazione dell’informazione nello studio della mente, va
segnalato che spesso, soprattutto i primi cognitivisti, non
consideravano la componente emotiva implicata in questi processi;
ciò, a mio avviso, significa eludere la realtà dei fenomeni, significa
parlare di “Intelligenza Artificiale” e non di “Intelligenza Umana”.
Questa scissione tra processi cognitivi e processi emozionali, mi ha
portato nel secondo capitolo (La memoria emotiva) ha trattare
l’intenso legame esistente tra memoria ed emozioni. Infatti, se
l’obiettivo fondamentale della memoria è davvero quello di conferire
un senso all’esperienza, sembra illogico non tener presente della
componente emotiva in questo processo.
La prima parte di questo secondo capitolo è dedicata ad una critica al
“Dualismo”, risalente al pensiero cartesiano, secondo il quale mente e
corpo sono due entità distinte che devono essere studiate
separatamente, e ad una parte del “Modularismo” che poca rilevanza
ha dato ai processi di cooperazione tra “moduli” differenti e ai
processi sub-simbolici d’elaborazione dell’informazione. Segue
quindi una presentazione del modello “connessionista” e del modello
di codice multiplo di Bucci (1997) che mettono in evidenza una forte
interazione tra processi mentali e processi emozionali; da qui si passa
al concetto d’Intelligenza Emozionale, teorizzato da Salovey e Mayer
(1989/90) e approfondito da Goleman (1995) il quale parla di “due
menti, una che pensa e l'altra che sente, due sistemi che interagiscono
per costruire la ricchezza della nostra vita mentale e generare il
costrutto di “intelligenza emotiva”. (Goleman, 1995) e a quello di
“Codice Duale” proposto da Stanley Greenspan (1997) secondo il
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quale ogni percezione sensoriale fa parte di un codice duale e viene
etichettata sia per le sue proprietà fisiche (luminosità, grossezza, forza,
levigatezza e così via) sia per le qualità emotive che le attribuiamo
(possiamo recepirla come confortevole o fastidiosa, ci può rasserenare
o innervosire). Come le percezioni sensoriali anche le tonalità emotive
vengono archiviate ed hanno la funzione di etichettare, organizzare,
recuperare e soprattutto dare un senso all'esperienza (Goleman, 1995),
cosicché, sin dai primi giorni e per tutto l'arco della nostra vita, ci
costruiamo un campionario personalizzato di reazioni affettive legate
a particolari esperienze sensoriali.
Nella seconda parte del secondo capitolo viene posto il modello di
codifica duale al vaglio delle neuroscienze, facendo riferimento in
particolar modo a:
1) Le ricerche di Edelman (1992) sulla relazione tra sistema talamo-
corticale (protagonista fondamentalmente nel processo di
“categorizzazione percettiva” e nell’associazione tra stimoli sensoriali
diversi) e sistema troncoencefalico-limbico (che si occupa dei
“valori”, una serie di bisogni omeostatici, appetitivi e sessuali,
necessari a garantire la sopravvivenza e la riproduzione della specie
selezionati per via evolutiva e geneticamente determinati).
Dall’interazione di queste strutture nasce la “memoria di associazioni
valore-categoria”.
Ovviamente la complessa gerarchia dei sistemi di riferimento valore-
categoria non può essere intesa come qualcosa di statico; essi vanno
considerati come una compagine di programmi di affettività, di
pensiero e di comportamento, associati ad una base neurale, che sotto
l’influsso dell’esperienza attuale si ri-organizza di continuo in alcune
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sue parti (Ciompi, 1995).
2) Le ricerche di LeDoux (1996) sul condizionamento alla paura.
Prima di queste ricerche i neuroscienziati erano convinti che gli
organi di senso trasmettessero i loro segnali al talamo e che questi li
rinviasse direttamente ed esclusivamente alla neocorteccia per
l'elaborazione sensoriale. LeDoux ha individuato un fascio di fibre
nervose che trasmettono direttamente il segnale all'amigdala ancor
prima che alla corteccia; ciò dimostra in maniera inconfutabile che
l'attivazione di una componente fondamentale delle emozioni avviene
fuori dal nostro controllo attivando quella che lui definisce la “strada
bassa” che è molto più veloce di quella “alta”, cioè dei segnali che
arrivano all'amigdala passando prima dalla corteccia sensoriale e
dall'ippocampo. Quest’organizzazione neurale, in caso di stimoli
potenzialmente pericolosi, pur non sapendo cosa ci stia minacciando, è
in grado di elicitare una risposta d'allarme.
Questo “sequestro emozionale” (Goleman, 1995) dal punto di vista
evolutivo è molto vantaggioso, in quanto è meglio reagire a delle
circostanze potenzialmente pericolose che poi si rivelano innocue,
piuttosto che non reagire affatto e costatare che ciò c’è costato la vita.
3) I lavori di McGaugh et al. (1993) sui sistemi neuromodulatori
(GABA-ergici, Noradrenalinici, Oppioidi e Muscarinico Colinergico).
Attraverso questi studi neurobiologici e sperimentali, hanno
dimostrato quello che probabilmente ogni persona conosce e cioè che
la forza dei ricordi dipende anche dal grado di attivazione emozionale
indotto durante l’apprendimento.
Tutti questi e diversi altri presentati nel seguente elaborato,
dimostrano una forte relazione tra memoria ed emozioni; questa
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relazione vede come partner d’eccezione l’amigdala, la quale influisce
sul materiale che viene memorizzato dando rilevanza ad alcuni stimoli
o situazioni e sottolineando quelle risposte che sono state vantaggiose
per l’individuo nella sua storia evolutiva, e l’ippocampo che invece ha
la funzione di modulare le risposte emozionali, offrendo
un’elaborazione più complessa dell’informazione e del contesto che la
caratterizza, nonché la possibilità di confrontare quell’informazione
con altre simili registrate in passato, dando all’individuo la possibilità
di valutare anche gli effetti emotivi di eventuali risposte.
Nel terzo capitolo invece, si è cercato di mettere in evidenza come la
relazione tra memoria ed emozioni avvenga molto spesso fuori dal
nostro controllo e dalla nostra consapevolezza, guidando le nostre
preferenze, le nostre scelte e i nostri giudizi. In questa parte del lavoro
viene introdotto il concetto di memoria implicita, un concetto che ha
notevoli implicazioni per la psicologia clinica, dinamica, sociale e
dello sviluppo.
Benché il termine “memoria implicita” sia stato coniato da Graf e
Schacter (1985), diversi sono i lavori e gli studiosi che hanno
contribuito ad esplorarne le caratteristiche (Milner, Corkin et al.,
1968; Warrington e Weiskrantz, 1974; Cohen, 1980; e molti altri).
La riattivazione di memorie implicite non comporta la sensazione di
stare ricordando, ma quella di trovarci immersi in una particolare
condizione della realtà presente; a generare questi fenomeni sono gli
schemi mentali che abbiamo creato sulla base delle nostre precedenti
esperienze. Questi schemi mentali, coerentemente con il processo di
“Codice Duale” di Greenspan (1997), sono sempre legati a “schemi
dell’emozioni” (Bucci, 1997) che cominciano a svilupparsi in forma
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subsimbolica, poi in forma simbolico non verbale e infine simbolico
verbale. Questi “schemi di associazione valore categoria” (Edelman,
1992) sono alla base delle preferenze, delle aspettative e delle
convinzioni che condizionano il modo in cui l’individuo percepisce se
stesso e le altre persone o situazioni, ciò che si attende da loro e il
modo con cui reagisce (Bucci, 1997).
Gli studi di Edelman (1992), Damasio (1994), LeDoux (1996),
Schacter (1996), Bucci (1997), Siegel (1999) e molti altri, convergono
sull’esistenza di un duplice processo di elaborazione
dell’informazione: il primo, pur operando al di fuori della coscienza,
processa l’informazione in entrata attraverso “schemi” innati
interagenti con “schemi” sviluppatisi nel tempo, e influenza la risposta
in uscita “sottolineando” le opzioni di risposta dimostratesi più
vantaggiose in passato; il secondo, invece, opera attraverso la
coscienza e ci permette di valutare le risposte “sottolineate”, rivelatesi
più vantaggiose in passato, alla luce di nuovi contesti spazio-
temporali, di nuovi obbiettivi e nuove motivazioni.
Gli stimoli che derivano dall'ambiente interno o esterno spesso
portano ad un'attivazione contemporanea di ricordi impliciti ed
espliciti: i primi possono essere percepiti come “un'onda di sensazioni
e immagini interne” non legate ad esperienze con una precisa cornice
spazio-temporale; i secondi vengono percepiti come una scena
caratterizzata da immagini, suoni, talvolta odori, emozioni ecc. con
una precisa cornice spazio-temporale e una sensazione del tipo “ora
sto ricordando qualcosa” (Siegel, 1999). Nella nostra quotidianità
riattiviamo e ricostruiamo continuamente circuiti e profili neurali
riguardanti rappresentazioni implicite ed esplicite, nel costante
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processo di significazione e adattamento al mondo.
In alcuni casi però a seguito di eventi traumatici, l’armonica
integrazione tra memoria emotiva implicita ed esplicita viene
sconvolta. L’individuo può trovarsi ad affrontare gli effetti dei “ricordi
emotivi impliciti” privo dell’attività di modulazione emozionale
cosciente (ad esempio come nel disturbo post-traumatico da stress) o
viceversa può trovarsi con i ricordi coscienti di alcuni eventi che però
non vengono integrati dalle relative esperienze emozionali (ad
esempio nel caso dell’alessitimia). Nel corso del terzo capitolo
vengono analizzati questi fenomeni e, partendo dal presupposto che
troppo spesso alla “dis-integrazione” del paziente corrisponda nel
campo dell’intervento un insieme teorico-clinico anch’esso disgregato
e lacerato da impostazioni e concezioni diverse, in linea con le idee di
Grasso, Lombardo e Pinkus (1988) vengono presentati gli “strumenti”
terapeutici più efficaci relativi ai diversi modelli terapeutici, nel
tentativo di individuare “cosa serve a cosa” nell’approccio terapeutico
relativo alla mancata integrazione tra memoria emotiva implicita ed
esplicita. In ogni caso, indipendentemente dagli strumenti e dalle
tecniche impiegate, si può concludere che è necessario per chi si
occupa di disfunzioni mentali tenere ben presente che:
“La memoria crea la nostra realtà implicita (risposte comportamentali, reazioni
emozionali, categorizzazioni percettive, schemi di noi stessi e degli altri nel
mondo) e la nostra realtà esplicita (ricordi, pensieri, fantasie, desideri, speranze,
ecc.). Per capire le esperienze presenti e passate di altre persone, le loro
aspettative e i loro piani per il futuro, dobbiamo quindi cercare di comprendere i
diversi livelli di memoria e le loro relazioni” (Siegel, 1999).
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SULLA MATERIA DELLA MEMORIA
“Tre sono i tempi: il passato, il presente e il
futuro. O meglio, tre sono i tempi: il presente
del presente, il presente del passato e il
presente del futuro.” (Sant'Agostino, 397).
Ognuno di noi, fatta eccezione per i momenti in cui dimentichiamo di
fare qualcosa di molto importante, stenta a riconoscere l'enorme
importanza che la memoria ricopre in ogni attività della vita
quotidiana. Il concetto di memoria viene quasi sempre associato alla
ricerca di eventi passati, in qualche modo depositati nella nostra
mente. In realtà la memoria è molto di più, non rappresenta soltanto la
ricerca del tempo perduto. Può ragionevolmente essere considerata la
funzione superiore più importante in quanto, attraverso il suo ruolo di
ponte tra la percezione e l'apprendimento, ci permette di generalizzare,
organizzare e significare tutto ciò che ci circonda e ci appartiene,
compresa l'identità personale. La memoria, infatti, è anche la
funzione psicologica che più ci caratterizza come individui dotati di
una conoscenza e di un panorama emozionale del tutto personali,
costruiti attraverso processi che integrano passato, presente e futuro.
Essa non è soltanto ciò che ricordiamo, ma l'insieme dei processi in
base ai quali gli eventi del passato influenzano le risposte presenti e
future e gli eventi presenti e futuri ri-significano le risposte passate.
Secondo Jaques (1982) gli esseri umani organizzano il loro mondo
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temporale lungo due assi: 1) la dimensione della successione del
tempo lineare, oggettivo, che procede inesorabile senza considerare le
nostre intenzioni ed i nostri scopi; 2) la dimensione della predizione e
dell’intenzione, la quale contiene la concezione dell'essere orientati
verso uno scopo e che è rappresentata come un tempo circolare.
Questa distinzione è rappresentata con i termini greci Chronos e
Kairos.
Chronos, nel mito greco fratello della dea Memoria, è il tempo
oggettivo e impersonale, che procede ininterrottamente e
costantemente senza considerare i nostri scopi e le nostre intenzioni.
Kairos (nell'antica mitologia figlio di Zeus e dio della sorte) è il tempo
ciclico, il tempo mitico delle tragedie ripetitive, e quello celebrato
nelle festività e che presiede a molte delle diverse sedute terapeutiche.
La memoria copre un ruolo di primaria importanza nella costruzione
di queste due differenti esperienze del tempo, grazie alla sua capacità
di prendere elementi che stanno su un punto qualunque della linea
temporale e, sulla base della propria esperienza individuale, metterli in
connessione con altri elementi che stanno su altri punti della stessa
linea, creando rapporti di causalità che a loro volta potranno essere
collegati ad altre esperienze (Edelman, 1992). Si vedrà nel terzo
capitolo come tale capacità della memoria la renda l'elemento chiave
della coscienza. Scrive Bartlett:
“La memoria e tutto il fiorire di immagini e parole che la accompagna è tutt’uno
con l'antica conquista dei sensi e con quello sviluppo dell'immaginazione e del
pensiero costruttivi nel quale troviamo la più completa indipendenza dalle
delimitazioni del tempo e del luogo attuale” (Bartlett, 1932).