2dato diverse definizioni, con livelli di autonomia differenti per le istituzioni locali,
prima di adeguarsi a nomenclature e standards esogeni (al’inizio per il solo uso
statistico), che servono alla definizione razionalizzante di“regioni per lo sviluppo”
gestibili da autorità europee (istituzioni monetarie e finanziare a dettare i ritmi).
La necessità fa ricorrere ai numeri: anche le politiche demografiche, approvate per
seguire modeli di “sviluppo” o “crescita”, sono afrontate, nel testo, con attenzione
al’aspeto legislativo, pur se quelo statistico prevale.
Segue una prospettiva storica delle relazioni con le “minoranze etniche”: ci si
riferisce alla loro influenza con i flussi migratori in uscita.
I movimenti di concentrazione e diffusione della popolazione aiutano a
comprendere che soluzioni rigide non esistono per strutturare le relazioni sociali:
l’indotrinamento al culto tradizionale(ovunque fintamente contrapposto alla
religione del’immagine pubblicitaria), viene trattato in primo luogo solo con il
distacco delle percentuali, anche se, plasmando le regole di gruppo, le affinità di
credenze sono state una testa di ponte nel’apertura di percorsi migratori
“spontanei”.
Si prosegue con una parziale “visualizzazione”delle dinamiche dei movimenti
interni al territorio romeno: la progressiva urbanizzazione, iniziata negli anni
Sessanta, ha seguito nella sua prima fase canonici modelli di polarizzazione delle
città, espanse in base alle “necessità” contingenti di concentrare le persone in
impianti industriali.
Il movimento nel circuito rurale-urbano è stato spesso pendolarismo, mentre la
residenza stabile nelle aree urbane aumentava più velocemente delle relative
certificazioni statistiche: nelle rilevazioni censorie molti non erano riconosciuti
come abitanti delle principali città (le limitazioni all’ingresso disposte per legge).
L’habitat rurale primordiale ha subito un parziale spopolamento, nel ricevere
differenti gradi di irradiazione degli stimoli esterni che ne hanno condizionato e
continuano a influenzarne la riproduzione.
3Il capitolo si conclude con un riferimento al fallimentare progetto di forte
centralizzazione delle politiche urbanistiche, ideato al’inizio degli anni Setanta del
secolo scorso: la sistematizzazione.
L’utopia di controllare con metodi rigidi e statici è sconfitta dai movimenti incisivi
del “potere” globale: non si può isolare un paese senza pensare che si stiano
utilizzando tecniche codificate senza considerazione di confini arbitrari, non stabili.
Le masse di persone provano a sfuggire più alle rigidità di controllo diretto e
imposto palesemente che all’ammaliante morbidezza del’induzione più o meno
velata (e più efficace).
L’ancoraggio ala tratazione non è abbandonato, perché se le istituzioni monetarie
e finanziarie “internazionali” sono alle redini di uno spazio transterritoriale, ben
poco raggio di azione resta ale singole costruzioni statali “nazionali”.
I vertici romeni si accorsero della propria enorme limitazione quando la guerra nei
confronti della loro organizzazione statale si presentò negli aspetti più
razionalmente economici: l’indebitamento con l’estero distrusse il modelo
centralista.
Ciò non avvenne nel 1989, ma quando si decise di compiere il massimo degli sforzi
per liberarsi dala dipendenza di “agenti economici esterni” troppo forte, perché
dissimulati in miriadi di attori e decisori nel contesto di introduzione del
monetarismo.
La transizione è stata guidata, come la pseudorivoluzione del 1989, e il contrastato
ripristino legislativo della proprietà privata ha fornito un elemento importante al
recente schema di confronto: oltre a ridistribuire parte di terre e beni
precedentemente nazionalizzati, ha garantito la possibilità di iniziare il movimento
di capitalizzazione sul mercato internazionale del “prodoto” Romania, pur nelle
sue contraddizioni. Se si considera la prospettiva dei movimenti di popolazione, ci
si accorge di come la direttrice urbano-rurale abbia avuto una fiammata in intensità
nei primi anni di ri-volgimento alla proprietà privata: le terre restituite e la ricerca
4di sussistenza hanno spinto molti ad un ritorno alle campagne (a partire dal 1996
con notevoli aumenti nelle cifre), mentre altri hanno avuto la possibilità di
regolarizzare la residenza nelle città.
In questo contesto (e al secondo capitolo, nel testo) si può inserire la complessa
ramificazione dei movimenti di persone fuori dai confini del proprio paese: non
oceani come si voleva far temere ale popolazioni “nazionali”aizzate contro
l’extraneo, ma contingenti di unità di forza lavoro che entrano (ed escono, più
spesso se pendolari in circolari movimenti con l’estero) dagli Stati più o meno
regolarmente (in proposito, l’Italia pare abusare delo schema di controlo e
gestione che nega diritti e poi sana le “iregolarità” pregresse).
Si tenta quindi di descrivere il sistema migratorio romeno, citando teorie sulla
migrazione globale e altre intuizioni e definizioni (molte contenute in ricerche e
pubblicazioni di persone che possono guidare al’osservazione del particolare).
Nella trattazione non si esclude la continuità nella considerazione degli attori
coinvolti, maggioranze e minoranze di numeri che cambiano (le biografie dei
singoli non hanno spazio se non paradigmatiche).
Le persone che si spostano ala ricerca di opportunità o “idee da seguire”subiscono
limitazioni di scelte: in Italia cambiamo la prospettiva di osservazione del caos,
passando da contingentati a contingentanti, e tentiamo di gestire la supposta
integrazione con gradazioni differenti di apertura/chiusura.
La caratteristica della migrazione romena in Italia è, negli anni successivi al’
abolizione dei visti Schengen (2002), che diventa sempre più di tipo circolare, in
specie se i partenti provengono da aree rurali romene. Tra le tendenze più
significative, infatti, è la conversione del pendolarismo nel circuito rurale-urbano
romeno in migrazione internazionale temporanea. Alcuni villaggi hanno
carateristiche di “transnazionalità” proprio per il numero elevato di residenti che
fanno la spola tra Romania e Italia.
5Il “successo” dei progeti migratori, però, è più frequente per gli abitanti di aree
urbane con percorsi di studio validi.
La mobilità studentesca è forte, e chi eccelle (ma non solo) ha la possibilità di
restare in Italia se impiegato: la fuga di cervelli che ha interessato e coinvolge molti
Italiani vale parimenti per i Romeni, anche se per i “migliori”di questi ultimi i
trasferimenti sono più spesso in Nord America che in Europa.
Parallelo agli itinerari generati dalle reti migratorie è, ma non con le sbrigative
comparazioni che gli si attribuisce, il traffico di persone, soprattutto donne (e
minori), che vede il fiorente mercato italiano della prostituzione come ottimo
sbocco per le vittime.
La possibilità che agenzie private di colocamento lavorativo al’estero si prestino
allo sfruttamento di persone è stata resa realtà in diversi casi, ma reti migratorie
consolidate di solito preservano i migranti dalle maglie di attività illegali.
Per la migrazione dalle aree rurali si sono utilizzati i dati un censimento
comunitario, effettuato dalla sede romena del’IOM con l’ausilio dele autorità di
governo centrali e locali. Si possono comprendere, così, le linee di attrazione dei
paesi in cui emigrano i Romeni.
Gli itinerari sono ben definiti, presentando diverse affinità per cultura o legami di
indottrinamento religioso in relazione alla composizione dei flussi.
Lo spostamento della forza lavoro contingentata per impiego in paesi esteri è
sempre più gestita dalle agenzie di collocazione e intermediazione, non solo private
ma anche statali, a partire dall'istituzione dell’Ufficio per la Migrazione della Forza
Lavoro (2001), con sedi locali, e del Dipartimento per il Lavoro al’Estero (2004),
tra le attività del Ministero di Lavoro, Solidarietà Sociale e Famiglia del Governo
romeno.Le misure decise per l’uscita dal paese sono rigide, anche se aggirabili con
l’interessamentodi vari attori che prestano il denaro richiesto a chi voglia partire: il
loro inasprimento per legge, nel’ottobre 2005, sembra un palliativo, anche se i
risultati dei controlli precedenti alle recentissime modifiche legislative offrono
6parziale evidenza del’eficacia nel controllo (circa 380.000 le persone a cui è stato
impedito di lasciare la Romania nei primi 4 mesi del 2005).
A concludere lo svolgimento del secondo capitolo, un breve accenno
al’importanza delle rimesse per l’economia romena (sono il doppio degli
investimenti diretti esteri), non trascurando che potrebbero esserci stravolgimenti
nella situazione economica del paese, a seguito di direttive europee.1
Si passa quindi alla parziale descrizione della situazione dei Romeni in Italia,
iniziando il terzo capitolo con la legislazione italiana in materia di migrazione, i
dati delle frequenti sanatorie, la continuità di approcci limitati(vi) alla complessità
della questione di governanti-burattini che millantano differenze di “schieramento”.
Il risultato è che buona parte delle politiche migratorie in Italia sono affidate ad un
organismo della Conferenza Episcopale Italiana, la Caritas (per “accoglienza”,
“integrazione subordinata” e gestione dei dati statistici), a carceri-lager privati
conosciuti come CPTA nei casi di mancanza di documenti di riconoscimento,
mentre stucchevoli imbonitori televisivi spingono al’astio e alla xenofobia il
popolino. Non mancano le attività di forte denuncia dei trattamenti umilianti e/o
alienanti cui sono sottoposti gli stranieri: associazioni non governative o volontarie
per i diritti si prodigano per garantire equità di trattamento ai migranti, rendendo
più contorta la spirale di interazioni in cui questi ultimi si trovano coinvolti e
lasciando sperare in un accrescimento dela sensibilità nel’approccio alla
contemporaneità. La rete internet, pur se il controllo della censura transterritoriale
1
In caso di approvazione, a gennaio/febbraio 2006, della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa ai
servizi del mercato interno, i differenziali di costo del lavoro tra Romania e i più “avanzati” dei 25 potrebbero
assumere un ruolo particolare. Facendo perno su di essi, infatti, si potrebbero ricattare tutti i lavoratori europei
prospetando di sfrutare a pieno le disposizioni contenute al'articolo 16 dela diretiva, la clausola dela “nazione di
origine”. Il ruolo delaRomania nel futuro “scacchiere”europeo diverrebbe molto diverso: fiscalità leggera, diritto
societario più permissivo, salari bassi e condizione dei lavoratori con poche tutele renderebbero il paese carpatico
ancora più “competitivo” per lo sfrutamento sistematico d’impresa.Piuttosto che delocalizzare dal’Italia in
Romania, ad esempio, le imprese italiane potrebbero trasferire la sede legale in Romania e delocalizzare in Italia,
essendo sottoposte al più permissivo diritto societario romeno.
Il dumping sociale potrebbe divenire un’arma nela politica dei redditi (come dimostrato per alcuni recenti contratti
collettivi in diversi paesi europei): se al tutto si associa la piena applicazione dei processi, iniziati con il GATS del
WTO, di svendita ai privati dei servizi, si arriverebbe ala distruzione del’edificio (già attaccato da anni e da più
parti) del welfare. Il quadro è confuso e problematico, gli scenari che potrebbero disegnarsi sono imprevedibili, ma è
certo che l’annichilimento del’uomo e la commerciabilità tratabile di tuto sono sintomi di collasso imminente.
7diviene più stringente, è il locus principale per denuncia e condivisione, e sono
molti i siti dedicati a creare comunità virtuali, anche di singole nazionalità (è il caso
dei Romeni in Italia).
Nel testo, dopo aver indicato la diffusione e stabilizzazione dei Romeni nelle
regioni italiane, si dedica spazio al riferimento ai problemi che i migranti sono
costretti a fronteggiare. Il più grave è la mancata disponibilità di alloggi, che
riguarda anche molti Italiani (e i Romeni sono stati protagonisti di diversi episodi di
estrema difficoltà nelle principali città italiane), essendo scadente l’offerta di
edilizia sociale pubblica (i “palazzinari” dominano il setore).
Gli impieghi lavorativi più frequenti sono i canonici costruzioni e agricoltura, per
gli uomini, e collaborazione domestica, per le donne.
Nell’analisi della condizione lavorativa sono state utilizzate anche statistiche delle
presenze in occupazioni subordinate nei comparti del’industria e dell'artigianato,
con riferimenti a indicatori specifici come quello, preoccupante, degli infortuni sul
lavoro.
Un altro aspetto dell’aumento degli stranieri in Italia è la sensibile crescita
dell'imprenditoria estera: si è tentato di cogliere la relazione tra il numero di
Romeni in Italia e la loro propensione all'iniziativa privata.
Elemento importante per il consolidamento della presenza dei Romeni (che
potrebbe essere più del doppio di quella censita), è il ruolo delle associazioni, che
iniziano a mobilitarsi per garantire un migliore trattamento ai migranti, fornendo
consulenze e appoggio legale: hanno volontà e ambizioni di divenire il tramite
privilegiato tra i connazionali e le istituzioni italiane.
Concludo citando un singolo evento: la pubblicazione di un articolo di giornale,
assemblato con logori stereotipi per aizzare alla xenofobia contro i Romeni. La
citazione è posta a confronto con le speculari condizioni di avversità (e odio) subite
dagli Italiani soprattutto agli inizi del’emigrazione, ramificata in in precise aree
8geografiche: si dovrebbe cercare di affinare le capacità di interpretazione per
alontanarsi dal’obnubilamento del pensiero verso cui si è indotti.
9CAPITOLO 1
ROMANIA: STORIA, DEMOGRAFIA E MOVIMENTI INTERNI DI
POPOLAZIONE
1.1. Alle origini dello Stato romeno
Popolazioni rurali, agricole e pastorali, i valacchi ed i moldavi medioevali hanno
preservato, a partire dai voivodati indipendenti di Valacchia (Basarab I nel 1319) e
Moldavia (Bogdan I nel 1352), la propria lingua e cultura malgrado i secoli di
parziale sottomissione2 a forze esterne e l’utilizzo delo Slavonico Antico
Ecclesiastico nelle pubblicazioni ufficiali e nel rito ecclesiastico.
Nela regione meridionale, nucleo del’atuale Stato, a partire dal secolo XVII il
nome ufficiale di Ţara Românească ha sostituito il precedente di Vlahia o di
Valahia.
Fig. 1.1 - Principati romeni alla metà del secolo XVIII
Fonte: Mircea Dogaru3
2 La Valacchia fu tributaria del’Impero Otomano nel periodo 1417-1601, sotomessa al’Impero Asburgico fino al
1709. Indipendente e annessa della Moldavia fino al 1788, dopo un breve ritorno sotto il controllo degli Asburgo
(1788-1792), fu nuovamente sottomessa ai Turchi. Nel 1829 iniziò la sua autonomia, tra il 1849 e il 1859 si separò
dalla Moldavia, infine si riunì a quest’ultima nel 1859 nel territorio iniziale dello Stato moderno.
La Moldavia fu tributaria del’Impero Otomano tra il 1482 e il 1709, annessa dalla Valacchia fino al 1849,
voivodato autonomo fino al 1859, fu parte, infine, del nuovo Stato romeno.
3 Dogaru, M. From Esculeu to Alba Iulia - A Millenium of Romanian History in Hungarian - German Chronicles and
Historiography.Bucureşti, Amco Press, 1995
10
1.2. Evoluzione numerica della popolazione censita
I primi dati ufficiali sulla popolazione in Romania risalgono ala sua “nascita”: la
(ri)unificazione dei principati di Valacchia (Ţara Românească) e Moldavia, nel
1859. L’ultimo censimento è stato efetuato dal’Institut Naţional de Statistica
(INSSE), nel marzo 2002:
1859– 8.600.000 abitanti (Valacchia4 e Moldavia)
1912–12.923.600
1930–18.052.896 (România Mare5)
1948–15.872.624 (territorio attuale6)
1956–17.489.450
1966–19.103.163
1977–21.559.910
1992–22.810.035
2002–21.698.181
Nela pubblicazione del’INSSE sono indicati gli abitanti dei diverse judeţe
(distretti), dal 1948 al 2002.
4 La Valacchia includeva anche le regioni di Oltenia e Muntenia.
5 “Grande Romania”. Alla conclusione del primo conflitto mondiale il territorio della Romania, già costituito dalla
Dobrugia, dala Moldavia, dal’Oltenia e dala Valacchia, raddoppiò la propria estensione con l’annessione dela
Bessarabia, della Bucovina, della Transilvania e di alcune parti del Banato sino a raggiungere una superficie di
295.049 kmq.
6
Il territorio attuale è 238.391 km²
11
12
Dalle banche dati della Fao, invece, si ricava il grafico 1.1 che indica la dinamica
numerica della popolazione romena.
Grafico 1.1 - Evoluzione numerica della popolazione romena, 1961-2003 (migliaia di unità)
Fonte: FAOSTAT
1.3. Organizzazione territoriale e amministrativa
Dopo la formazione dello Stato moderno, nel 1859, con la fusione dei voivodati di
Moldavia e Valacchia sotto Alexandru Ion Cuza, il futuro re Carol I di
Hohenzollern-Sigmaringen promosse una nuova costituzione nel 1866. Nel 1878,
con il Trattato di Berlino7, la Romania fu riconosciuta come indipendente, nel 1881
il voivodato divenne regno, il voivoda (o principe) Carol I re.
La riforma amministrativa che seguì la costituzione del 1866 divise il paese in 71
province (distretti), 498 unità amministrative di secondo livello e 8.879 comuni:
applicata poco dopo la creazione dello Stato e base di successive integrazioni nelle
fasi di consolidamento delle istituzioni centrali e locali, la struttura amministrativa
è stata modificata e adattata negli anni seguenti a mutamenti importanti della
7 Il Tratato di Berlino fu l’ato ufficialescaturito dal Congresso di Berlino (13 giugno-13 luglio 1878), con il quale
Regno Unito, Impero Austro-Ungarico, Francia, Germania, Italia, Russia e Turchia modificarono il Trattato di Santo
Stefano firmato, il 3 marzo dello stesso anno, nella località dallo stesso nome (ora Yeşilköy). Il trattato sconfessò
l’esito dela Guerra Russo-Turca (1877-78), conclusasi con la vitoria dela Russia sul’Impero Otomano, già in
decadenza.
13
composizione territoriale, connessi a due guerre mondiali, in un contesto di
trasformazione del dirigismo nazionalista (re Carol II) in militar-fascista (stato
legionario del regime nazista con la dittatura del generale Ion Antonescu nel
periodo 1940-1944)8.
Dopo il breve interregno di re Mihai II (1944-1947), nella prima fase del dirigismo
comunista la legge 5/1950 rese effettiva una riforma del sistema di amministrazione
del territorio (lege de reoganizare a localităţilor)9: ispirata dal modello sovietico,
prevedeva 28 regiuni (con il municip di Bucureşti alo stesso livelo), 177 judeţe
(distretti), 4052 comuni e 148oraşe (cità).
Il decret 331/1952 diminuì il numero delle regioni da 28 a 18, ma incrementò le
judeţea 183 e i villaggi a 4096. Inoltre fu istituita la Regione Autonoma Ungherese
(RAU)10 sul modelo degli “oblast” autonomi sovietici11.
Con il decret 3/1956 leregioni divennero 16, le judeţe192 ed i comuni 4313.
La legge 3/1960 preservò il numero di regioni (16), ma ci furono cambiamenti
importanti dei limiti territoriali della Transilvania sud occidentale. Il numero dei
judeţe divenne 142 e quelo dei comuni 4259.
Con la legge 2/1968 (“Lege privind organizarea administrativă a teritoriului
Republici Socialiste România”) si ritornò ala strutura precedente il 1950, pur
cambiando rispeto ad alora l’interpretazione del’autonomia locale, che divenne
nulla: furono istituiti 39 distretti e oltre 2700 autorità locali di base. L’emanazione
di questa legge si inserisce in una fase di trasformazione dello stato in nazional-
8
Interessante è la breve trattazione della storia del dirigismo romeno nel periodo 1830-1990, da parte di Richard
Wagner, ne Il caso romeno. Roma, Il Manifesto Libri, 1991, p. 33-36
9 Paiusan, C; Ion N, Retegan, M. Regimul comunist din Romania. O cronologie politica(1945-1989) Bucarest,
Editura Tritonic, Seria “Istorie”, 2002.
10 Era divisa in due unità amministrative, Mureşe Stalin (a sua volta scissa in Covasna e Harghita), le quali
accorpavano le 4 province che componevano in precedenza lo Székelyföld (Terra dei Secleri): fu eliminata con la
revisione costituzionale, entrata in vigore il 21 agosto 1965. La costituzione sostituiva la Republica Popolara
Româna con la Republica Socialistă Româna, nei fati e nel’evoluzione storica uno stato nazional-comunista. Per
uno studio sulla Regione Autonoma Ungherese si consulti il paper di Bottoni, S. Tra stalinismo e nazionalismo. La
creazione della Regione Autonoma Ungherese in Romania (1952), in rete al’indirizzo
http://www.ens.fr/europecentrale/colloque_elites2004/5Participants/Bottoni2003_tra_stalinismo.pdf
11 La teoria dela nazione di Stalin prevedeva che gruppi etnici “compati” abitassero un determinato territorio.
14
comunista (“degenerato” poi in quelo che Linz e Stepan12 definiscono un regime di
tipo sultanistico, ovvero il secondo periodo Ceauşescu, dopo il 1971).
Negli anni otanta, il decret 5/1981 aumentò di un’unità (Giurgiu) il numero dei
distretti: 40 (oltre al municipio di Bucarest).
L’impianto dela legge non è stato modificato, poi, fino al 1996:
in base ala “lege 35/1996 pentru modificarea Legii 2/1968 privind13 organizarea
administrativa a teritoriului Romaniei”, la Romania è stata divisa in 41 distretti14 e
il municipio di Bucarest, 262 città e 2685 comuni. A questa ultima legge sono
succedute numerose integrazioni (correttive e/o abrogative di precedenti decisioni)
che hanno introdotto cambiamenti nella delimitazione territoriale e negli statuti
amministrativi per alcune autorità locali, l’ultima essendo la lege 270/200515:
riconosce 265 città e 2686 comuni.
Per adeguarsi ai criteri di elaborazione e gestione introdotti dal contraddittorio
processo di integrazione delle unità territoriali in un confederazione europea, la
Romania ha emanato la “lege 151/1998 privind dezvoltarea16 regională în
România”, che introduce il concetto delle regioni per lo sviluppo, senza poteri
amministrativi, in corispondenza ale indicazioni del’Unione Europea per la
creazione della NUTS17 : sono state create 8 regioni per lo sviluppo (a cui ci si
riferirà nel capitolo successivo). La legge 151/1998 ha subito diverse modifiche,
infine è stata abrogata e sostituita dalla nuova “lege 315/2004 privind dezvoltarea
12 Linz J. - Stepan A.L’ Europa post comunista. Bologna, Il Mulino, 2000
13 Il termine privind si traduce con “riguardo a”
14
Il nuovo distretto creato nel 1996 è Ilfov.
15 Si può seguire l’evoluzione legislativa in materia di amministrazione territoriale (ma non sono presenti i testi delle
leggi, a parte quello della 2/1968) al’indirizzo web: http://diasan.vsat.ro/pls/legis/legis_pck.htp_act?ida=15549
16 Il termine dezvoltarea si traduce con “lo sviluppo”
17 “Agli inizi degli anni ‘70 la Commissione ha istituito la “Nomenclatura dele unità territoriali per la statistica”
(NUTS) nel’intento di creare un unico sistema coerente di suddivisione del territorio del’Unione europea in vista
della compilazione di statistiche regionali per la Comunità. Per una trentina di anni la classificazione NUTS è stata
applicata e aggiornata sula base di una serie di “gentleman’s agreements”, conclusi tra gli Stati membri e la
Commissione talvolta dopo lunghe e difficili negoziazioni. Nel’intento di dare uno status giuridico ala
nomenclatura, nela primavera del 2000 è stata avviata la procedura per l’elaborazione di un regolamento che è stato
adotato nel maggio 2003 ed è entrato in vigore nel luglio 2003”. Il riferimento è tratto dalla comunicazione della
commissione al parlamento europeo e al consiglio relativa al’opportunità di fissare norme su base europea in merito
a livelli più dettagliati della classificazione NUTS, datata 6 ottobre 2005. Il testo completo si trova al’indirizzo
http://europa.eu.int/eur-lex/lex/LexUriServ/site/it/com/2005/com2005_0473it01.pdf
15
regională în România”, che si conforma al regolamento 1059/2003 del’Unione
Europea riguardante la NUTS, creando inoltre il Consil Naţional Pentru
Dezvoltarea Regională.
La divisione territoriale conforme alla nomenclatura18 NUTS è:
NUTS I livello: Romania
NUTS II livello: 8 regioni per lo sviluppo
NUTS III livello: 42 distretti (41 più Bucarest)
UAL19 I livello: non utilizzata poiché non sono state promosse associazioni di enti
locali
18 “La Nomenclatura NUTS è stata elaborata e sviluppata conformemente ai principi seguenti:
a) La NUTS privilegia le ripartizioni istituzionali.
Nel ripartire il territorio nazionale in regioni vari sono i criteri utilizzabili. Essi in genere si suddividono in criteri
normativi e analitici:
Le regioni normative sono l'espressione di una volontà politica; i loro limiti sono fissati a seconda dei compiti
attribuiti alle comunità territoriali, della consistenza demografica necessaria per effettuare tali compiti in modo
efficace ed economico e dei fattori storici, culturali e di altro genere;
Le regioni analitiche (o funzionali) sono definite in base a requisiti analitici; esse raggruppano zone utilizzando
criteri geografici (ad esempio, altitudine o tipo di terreno) oppure criteri socio-economici (ad esempio, omogeneità,
complementarità o polarità delle economie regionali).
Per motivi pratici attinenti alla disponibilità dei dati e all'attuazione delle politiche regionali, la Nomenclatura NUTS
è basata soprattutto sulle divisioni istituzionali attualmente in vigore negli Stati membri (criteri normativi).
b) La NUTS privilegia unità regionali di carattere generale.
In taluni Stati membri possono essere utilizzate unità territoriali specifiche a determinati settori di attività (regioni
minerarie, ferroviarie, agricole, di mercato del lavoro, ecc.).
La NUTS esclude unità territoriali specifiche e unità locali favorendo invece unità regionali di tipo generale.
c) La NUTS è una classificazione gerarchica a tre livelli.
Trattandosi di una classificazione gerarchica, la NUTS suddivide ogni Stato membro in un numero intero di regioni
NUTS 1, ognuna delle quali è a sua volta suddivisa in un numero intero di regioni NUTS 2, e così via.
A livello regionale (senza tener conto delle unità amministrative a livello locale) la struttura amministrativa degli
Stati membri comprende, in genere, due principali livelli regionali ("Länder" e "Kreise" in Germania, "régions" e
"départements" in Francia, "Comunidades autonomas" e "provincias" in Spagna, "regioni" e "province" in Italia,
ecc.).
Il raggruppamento di unità comparabili in ogni livello della NUTS implica l'istituzione, per ogni Stato membro, di un
ulteriore livello regionale, che si aggiunge agli altri due livelli principali sopra menzionati. Questo livello
supplementare corrisponde quindi ad una struttura amministrativa meno importante o addirittura inesistente, e il suo
livello di classificazione varia tra i primi 3 livelli della NUTS, unicamente a seconda dello Stato membro: NUTS 1
per la Francia, l'Italia, la Grecia e la Spagna, NUTS 2 per la Germania, NUTS 3 per il Belgio, ecc.
Il regolamento NUTS fissa i seguenti limiti (minimo e massimo) per la dimensione media delle regioni NUTS:
NUTS 1 (3 milioni - 7 milioni)
NUTS 2 (800.000-3 milioni)
NUTS 3 (150.000 -800.000)
Ad un livello più dettagliato figurano distretti e comuni, che vengono denominati "unità amministrative locali"
(UAL) e non sono soggette al regolamento NUTS.Nel regolamento è previsto tuttavia che, dopo due anni, la
Commissione pubblichi una relazione circa l'opportunità di estendere la ripartizione NUTS a un quarto livelo.”
Il testo si trova al’indirizzo http://europa.eu.int/comm/eurostat/ramon/nuts/basicnuts_regions_it.html
19 Erano indicati come NUTS IV e NUTS V in precedenza.