4
la Regione Friuli V.G. ed, infine, Finlombarda SpA per la
Regione Lombardia.
Nell’ultimo capitolo verrà descritto uno dei maggiori casi di
successo nella promozione del territorio e nell’attrazione di
investimenti esteri quello della Welsh Development Agency,
l’agenzia di marketing territoriale gallese.
Volutamente sono state omesse le conclusioni finali perché
obiettivo del lavoro è dimostrare che dietro l’etichetta di
Agenzie di Sviluppo si cela un mondo estremamente eterogeneo.
A giudizio dello scrivente Friulia e Finlombarda,
differentemente da Sviluppumbria e Centro Sviluppo che
operano efficacemente per la promozione e lo sviluppo del
proprio territorio, sono organizzazioni che svolgono
esclusivamente attività di erogazione dei finanziamenti stanziati
dalle rispettive regioni; non agenzie di sviluppo ma “bracci
operativi” degli enti locali.
5
Capitolo 1 Il marketing territoriale e la competizione tra i
territori
1.1 Alcune definizioni di marketing territoriale
Una prima definizione scientifica è proposta, con specifico riferimento alle
città, da VAN der MEER (1990). L’autore considera il city-marketing come un
insieme di attività indirizzate a raccordare l’offerta di funzioni urbane con la
domanda espressa dai residenti, imprese locali, turisti e dagli altri utilizzatori
potenziali dell’area. Da questo primo tentativo di formulazione si evince
l’importanza del marketing nell’avvicinare la città ai suoi utenti per soddisfarli.
Secondo VAN den BERG e KLAASEN (1990), il marketing urbano non si
limita a raggiungere lo sviluppo economico della città, ma persegue anche obiettivi
più estesi quali quelli che determinano il benessere sociale. La strategia adottabile,
secondo gli autori, è implementata in rapporto ad un più ampio programma di
sviluppo locale orientato a produrre una città armoniosa. Il marketing territoriale
non può fornire metodologie e strumenti atti al conseguimento di fini extra-
economici.
Ancora prima di tali definizioni, WALSH (1989) propone un nuovo modello
di gestione delle entità locali. L’autore sottolinea come le autorità pubbliche
devono assumere le decisioni utilizzando fedelmente le cinque fasi in cui si
articola un piano di marketing (definizione della macroarea di mercato, analisi
delle sue caratteristiche, segmentazione del mercato, posizionamento e definizione
delle politiche di marketing mix). Anche se l’applicazione della disciplina è
difficoltosa in un contesto territoriale, la logica operativa rimane la stessa sia nelle
organizzazioni pubbliche che in quelle private.
6
Un’impostazione simile caratterizza il lavoro di MEFFERT (1989), che prova
a traslare i principi del marketing “classico” alle aree urbane. Codesti principi si
possono riassumere in:
ξ servizi erogati dalle autorità urbane che devono soddisfare i target
prescelti;
ξ ricerche di mercato da condurre in maniera sistematica;
ξ azioni di marketing da prolungarsi nel medio-lungo corso;
ξ diversi approcci da seguire a seconda della tipologia di domanda-
mercato;
ξ coordinamento del piano di marketing da inglobare in una
programmazione più generale di crescita locale.
Le formulazioni di WALSH e MEFFERT generano delle perplessità poiché
essi hanno trasposto superficialmente i contenuti del marketing dal contesto
aziendale ad un’area geografica. Le sostanziali differenze di questi due “mondi”
rendono non corretto il semplice adattamento dei principi da un ambito all’altro.
Seguendo ancora un iter cronologico ritroviamo TEXIER e VALLE (1992)
1
, i
quali considerano il marketing territoriale come un insieme di azioni collettive
finalizzate ad attrarre nuove attività economiche in una determinata area, a
rafforzare le aziende locali e a migliorare l’immagine complessiva del luogo. Di
1
TEXIER L. e VALLE J.P., “Le marketing territorial et ses enjeux”, in Revue Française de gestion.
7
questa definizione è importante evidenziare la parola “azioni collettive” a
dimostrazione del fatto che occorre coinvolgere soggetti diversi per implementare
operazioni efficaci, e non concentrare tutto il potere in un attore, unico
responsabile.
KOTLER, HAIDER e REIN (1993)
2
individuano quattro attività del place-
marketing:
ξ definizione del mix delle risorse materiali e immateriali offerti
dall’area;
ξ un sistema di incentivi per gli attuali e potenziali utenti del
territorio;
ξ individuazione di efficaci canali di distribuzione per servizi e
prodotti;
ξ promozione dell’immagine del luogo per esaltarne validamente il
valore.
Queste funzioni sono assimilabili alle famose quattro P, ossia alle leve del
marketing mix tipiche di una azienda. Essi segnalano, per giunta, il bisogno di
coinvolgere i rappresentati degli stakeholders “radicati” nel territorio per elaborare
un completo piano di marketing che riduca sensibilmente i rischi d’insuccesso da
scarsa integrazione. Questa definizione ha il pregio di descrivere esplicitamente i
contenuti strategici ed operativi del marketing in questione. In linea con la
letteratura americana gli studiosi esaltano il ruolo di tale disciplina nel conseguire
2
KOTLER P., HAIDER D.H e REIN I, “Marketing of place”, Free Press 1993.
8
obiettivi prettamente economici attraverso la creazione e promozione degli
elementi di attrazione del territorio e la collaborazione fra attori pubblici e privati
nell’esecuzione dei progetti di sviluppo locale.
Discutibile è l’idea di SMYTH (1994), che riduce il marketing ad una
semplice attività di promozione e di vendita svincolata da un programma elaborato
di sviluppo dell’offerta territoriale.
Sempre con riferimento al marketing urbano si colloca l’intuizione di
ASWORTH e VOOGD (1995), i quali impiegano tale etichetta per esprimere la
stretta relazione fra le attività urbane e la domanda proveniente dai clienti-
obiettivo al fine di ottimizzare la gestione dell’area secondo i target sociali ed
economici pianificati. Tale approccio lo si può estendere a diverse dimensioni
geografiche; di conseguenza il city-marketing può essere pensato come
specificazione di un più ampio concetto di marketing geografico. Dalla
formulazione si possono cogliere due aspetti importanti quello di processo, inteso
come un insieme di azioni che si susseguono nel tempo e che raggruppano soggetti
portatori di interessi divergenti e quello di focalizzazione della domanda, ossia di
selezione omogenea del mercato affinché la pianificazione strategica possa
indirizzarsi verso quei segmenti ritenuti più adeguati.
Altri contributi li ritroviamo in NOISETTE-VALLERUGO (1996) e
CASELLA (1997)
3
, i quali hanno assegnato alla disciplina due tipi di funzioni
differenti una “globale” e una “settoriale”.
3
CASELLA A., “Marketing della città: premesse alla definizione ed all’applicazione di nuova disciplina” in
Commercio, 1997 n. 60.
9
La funzione globale, in primis, consiste nel pianificare ed operare rispettando
l’identità dell’area regionale. Se vogliamo, possiamo considerare l’identità come
un riferimento ideale che orienta tutte le attività di gestione urbana. Un secondo
significato da attribuire alla parola “funzione globale”, è riconducibile all’idea di
immagine della città vista nella sua unitarietà. La politica di comunicazione e
promozione sono rivolti non a produrre reazioni nei comportamenti degli utenti,
bensì a rafforzare la credibilità e l’efficacia delle azioni di marketing più specifiche
(funzione settoriale). Una terza area in cui si manifesta la funzione globale del
marketing d’area è quella dell’accoglienza dei soggetti potenziali o attuali ai quali
si indirizza il piano strategico. In altre parole, si vuole sottolineare la rilevanza di
attività trasversali che favoriscano l’inserimento socio-ambientale di attori esterni
e che integrino disparate parti sociali ed economiche. La seconda funzione è quella
di natura settoriale intendendo due diversi contenuti il primo riguarda un
circoscritto intervento di marketing attuato per raggiungere uno specifico obiettivo
di sviluppo (ad esempio le politiche di deburocratizzazione amministrativa
possono considerarsi anche delle azioni di marketing in quanto si riflettono
positivamente sull’attrattività e operatività economica dell’area); il secondo
concerne attività predisposte a soddisfare clienti appartenenti a variegate funzioni
economiche (quali la R&S, l’head-quarter, l’assemblaggio) o a settori industriali e
di servizi con le loro sottoclassificazioni.
Un interessante definizione di marketing territoriale la ritroviamo in
CERCOLA (1999). L’autore considera questa attività come: “un processo
finalizzato alla creazione di valore per una collettività composta dall’insieme degli
individui che fruiscono di un territorio predeterminato nei suoi confini”
4
.
4
R. CERCOLA, “Economia neoindustriale e marketing territoriale” in Sviluppo & Organizzazione 1999.
10
È evidente come il meta-obiettivo sia la creazione di valore ottenibile
soddisfacendo i bisogni della collettività e come gli elementi tangibili e
immateriali del territorio costituiscano mezzi per produrre valore a beneficio dei
soggetti utenti.
Con riferimento specifico agli investitori industriali si inserisce il lavoro di
PAOLI (1999), il quale definisce il marketing d’area come: “tutte quelle attività
che esercitate su uno specifico spazio geografico possono rendere un’area attrattiva
per un prescelto gruppo di investitori logistico-industriali, sui bisogni percepiti del
quale (o dei quali) si è attuato il disegno delle caratteristiche dell’area stessa”
5
. Il
marketing d’area, cioè, si propone di orientare le azioni strategiche ed esecutive
verso l’implementazione di un pacchetto localizzativo idoneo e corrispondente alle
richieste delle imprese industriali che si ritiene opportuno attrarre sul territorio nel
rispetto del\i target obiettivo individuati attraverso la segmentazione. Il concetto di
area viene inteso come spazio geografico circoscritto più esteso di una città o
Comune ma più concentrata di una regione amministrativa.
Sul filone di PAOLI si sono successivamente avanzate altre teorie.
ANCARANI (1999) definisce il marketing territoriale come: “l’analisi dei bisogni
degli stakeholders e dei clienti-mercato volta a costruire, mantenere e rafforzare
rapporti di scambio vantaggiosi con gli stakeholders (marketing territoriale
interno) e con i pubblici esterni di riferimento (marketing territoriale esterno), con
lo scopo ultimo di aumentare il valore della risorsa territorio e l’attrattività della
5
PAOLI M., “Marketing d’area per l’attrazione di investimenti esogeni”, Guerini e Associati 1999.
11
risorsa stessa, attivando un circolo virtuoso soddisfazione, attrattività e valore”
6
.
Compare,quindi, nella formulazione la distinzione fra marketing interno e ed
esterno e la loro stretta interconnessione generativa di un circolo di sviluppo che
partendo dalla soddisfazione degli utenti locali giunge a valorizzare il territorio e
conseguentemente a renderlo più appetibile.
È interessante l’approccio di CAROLI (1999), il quale considera il marketing
del territorio come: “una funzione che contribuisce allo sviluppo equilibrato
dell’area, attraverso l’ideazione e l’attuazione di un’interpretazione delle
caratteristiche territoriali in chiave di offerta che soddisfa segmenti identificati di
domanda attuale e potenziale; questa soddisfazione è realizzata attraverso la
creazione di un valore netto positivo”
7
. Secondo CAROLI il marketing
contribuisce allo sviluppo economico ma che al tempo stesso deve coordinarsi con
altre pianificazioni, orientate all’ottenimento di obiettivi sociali e ambientali, per
consentire il raggiungimento dello sviluppo integrato ed equilibrato. Per quanto
riguarda l’espressione di valore netto positivo lo stesso fornisce un chiarimento,
sottolineando come con l’attributo “netto” s’intenda la compensazione di valore
creato per una delimitata categoria di utenti rispetto alle esternalità positive e
negative prodotte indirettamente su altri clienti del territorio.
6
ANCARANI F., “Il marketing territoriale: un nuovo approccio per la valorizzazione delle aree economico-
sociali” in Economia e diritto del terziario, 1999 n. 1.
7
CAROLI M.G., “Il marketing territoriale”, Milano, Franco Angeli 1999.
12
1.2 La competizione tra i territori
L'economia europea, come quella mondiale, è soggetta ad un ampio processo
di ristrutturazione, in cui le produzioni vengono riorganizzate e rilocalizzate, come
conseguenza di un fenomeno di accorciamento dei tempi e degli spazi e
comunemente conosciuto come globalizzazione.
In virtù dell’affermarsi delle nuove logiche di localizzazione delle unità
produttive seguite ormai sia dalle grandi che dalle piccole multinazionali, si è
determinata una dispersione mondiale degli investimenti alimentando la nascita di
un nuovo fenomeno: la competizione tra aree o sistemi territoriali. Se all’inizio tale
accadimento economico era l’effetto prodotto dalla più accentuata mobilità
d’insediamento dei soggetti economici, oggi la competizione tra aree regionali è
divenuta la causa della dinamicità localizzativa. Per comprendere il vero
significato di concorrenza tra dimensioni territoriali, è opportuno stabilire che a
competere in questo nuovo mercato non sono più solamente gli Stati, ma le realtà
nazionali con le loro articolazioni regionali e locali.
Le città, aree metropolitane, distretti e regioni competono (e sempre di più
competeranno) tra loro per attrarre investimenti industriali e infrastrutturali, turisti,
potenziali residenti, eventi e manifestazioni culturali e sportive di eccellenza,
nonché sedi scientifiche, finanziarie e di ricerca nazionali e sopranazionali.
Questa nuova sfida tra i soggetti-territori si baserà sempre di più sulla logica
del competere tipico delle imprese. Si dovrà, in altre parole, garantire l’efficienza e
l’efficacia dell’operare pubblico, migliorare gli scambi e le relazioni socio-
13
economiche e infine soddisfare le richieste del mercato senza imporre “siti” come
si è verificato fino a qualche decennio fa
8
.
A livello globale sono quindi i sistemi territoriali a competere e non solo le
imprese localizzate in tali contesti geografici. Per essere pronti al nuovo fenomeno
di iper-competizione fra spazi, è necessaria una riforma radicale della pubblica
amministrazione. Bisogna cambiare la logica gestionale del territorio, pervenendo
al tanto sperato new public management, in modo da applicare principi e tecniche
manageriali alle P.A. e sollecitare il passaggio da un modello classico, burocratico
e giuridico-istituzionale dei rapporti delle autorità pubbliche con il cittadino ad un
modello economico-aziendale erogatore di servizi pubblici.
Tale trasformazione si deve accompagnare al mutamento della concezione di
cittadino da “suddito” a fruitore del servizio
9
.
Dinanzi a politiche di internazionalizzazione strategica delle unità logistico-
produttive, le aree, parallelamente, hanno sentito l’esigenza di attrarre codeste
tipologie d’investimento per garantirsi un loro sviluppo locale trasformandosi in
soggetti attivi nei processi di globalizzazione. Certamente, tale allargamento del
piano di lettura delle dinamiche competitive ha subito un’accelerazione in virtù di
processi d’integrazione politica ed economica innescati negli ultimi anni.
L’accentramento di istituzioni nazionali in apparati internazionali sta provocando
un depotenziamento dei poteri degli organi costituzionali dei Paesi aderenti,
accentuando e irrobustendo l’autonomia politica ed economica delle realtà locali.
8
P. BASSETTI, “Città: nuove forme di governo per essere competitive”, in Impresa & Stato, 1994 n.27.
9
E. VALDANI e F. ANCARI, “Strategie di Marketing del territorio”, Milano, Egea 1999
14
Nel processo di costituzione dell’Unità Europea, la competizione tra aree è il
meccanismo prescelto dalle istituzioni europee come modalità di sostenimento
dello sviluppo economico regionale destinando alle Regioni i fondi e i
finanziamenti comunitari, quali mezzi per essere più attrattive e di conseguenza
più competitive. Con l’Europa delle Regioni cresce il ruolo dei governi locali e
contemporaneamente i Governi nazionali assumono una nuova funzione di
coordinamento e controllo fra le autonome realtà circoscritte. Il più ampio
decentramento politico, fiscale ed amministrativo include una maggiore
responsabilità degli enti locali nell’affrontare le problematiche economiche e
socio-ambientali. D’altronde nell’odierno scenario competitivo le autorità regionali
saranno i veri responsabili dell’offerta di condizioni d’area che rispondano con
efficacia alle dinamiche spaziali delle attività economiche.
E’ opportuno che le aree territoriali valorizzino le loro specificità e i propri
fattori qualificanti per differenziarsi dalle realtà locali concorrenti e posizionarsi
sul mercato come unici e inimitabili. Occorre che i sistemi geografici esaltino e
promuovano le risorse e le capacità di cui dispongono avvalendosi di mezzi,
strumenti e politiche di marketing nei confronti dei target-clienti. Soltanto in
questo modo le aree più in difficoltà potranno reggere la sfida con le altre realtà
territoriali più attrattive e sviluppate.
E’ evidente che, in primis, vi debba essere alla radice un diverso
atteggiamento dei funzionari della pubblica amministrazione nel rivestire i panni di
soggetti attivi, professionalmente qualificati e specializzati, per imporre un nuovo
15
modello di comportamento competitivo d’area che i francesi hanno già chiamato
col nome di ville acteur
10
.
Affidarsi al mercato per la crescita potrebbe però significare abbandonare, in
tutto o in parte, quello spirito solidaristico e assistenzialistico che ha giustificato
interventi economici assai discutibili senza ottenere alcun risultato degno di
attenzione. Ancora, il lasciarsi andare alla regola della competizione potrebbe
accrescere il divario fra realtà ricche e in salute e quelle più in difficoltà che non
potrebbero contare per la loro crescita di interventi straordinari di natura
finanziaria o comunque beneficiare paritariamente dei flussi di finanziamento
spettanti alle aree più attrattive se gli aiuti fossero legati ai risultati di mercato
conseguiti
11
.
Di seguito sono riportati alcuni fattori strategici che, combinati tra loro,
possono determinare il successo di un’area.
Gli incentivi. Anche se le agevolazioni finanziarie e fiscali hanno perduto
quel ruolo strategico assegnato loro storicamente, continuano a rivestire una
funzione di notevole importanza nella predisposizione dei pacchetti d’offerta.
Tuttavia gli appoggi e le facilitazioni finanziarie non sono da soli sufficienti,
per cui è obbligatorio potenziare altre risorse strutturali e immateriali se l’area è
intenzionata a vincere la sfida di mercato.
10
G. VITALI, “Una politica di promozione degli investimenti esteri in Italia: alcune riflessioni” in
L’Industria, 1999 n.2.
11
E. VALDANI e F. ANCARANI, “Strategie di Marketing del territorio”, Milano, Egea 1999