3
dell’altro autore. Il punto interrogativo di Una Costituzione senza 
popolo? sottintende la posizione aperta e problematica di 
Dellavalle, “alla ricerca di un punto di equilibrio tra la necessità di 
emancipare il discorso sulla costituzione europea dai modelli della 
tradizione e la necessità di mantenere quel discorso sulla scia del 
costituzionalismo democratico”
3
; l’autore manifesta il dubbio 
sull’esistenza di un popolo europeo e cerca, a modo suo, di 
individuarla proponendosi di chiarire i presupposti normativi 
affinché il potere costituente europeo si collochi in capo ai cittadini 
anziché agli stati membri. Invece, nel testo di Scoditti La 
costituzione senza popolo “scompare il punto interrogativo e muta 
anche l’articolo: la costituzione europea qui non appare come ‘una’ 
possibile costituzione alla ricerca di un suo problematico 
fondamento di tipo democratico ma come la costituzione in sé 
determinata come un novum del tutto emancipato dal precedente 
modello storico, statal-nazionale e democratico”
4
. 
Nella prima parte del lavoro concentreremo la nostra 
attenzione sul primo dei due saggi citati, quello di Sergio 
Dellavalle
5
 che si sviluppa attorno alla questione dell’ambiguità 
                                                 
3
 M. FIORAVANTI, Recensione, p. 508. 
4
 Ibidem. 
5
 S. DELLAVALLE, Una costituzione senza popolo?, cit. 
  
 
4
concettuale dell’Unione Europea, collocabile come nuovo soggetto 
giuridico a metà strada tra un soggetto di diritto internazionale e un 
soggetto di diritto pubblico. Al riguardo, Dellavalle evidenzia le 
innumerevoli difficoltà derivanti dalla problematica identificazione 
di un “potere costituente” in seno all’Unione e dalla difficoltà di 
identificarlo nel “popolo europeo”. In questo contesto Dellavalle 
utilizza due paradigmi classici, quello olistico e quello 
individualistico, per “leggere” il concetto di popolo e procede alla 
loro analisi per andare oltre la storia del pensiero politico. Tutto ciò 
gli permette da un lato, di fare una serie di considerazioni critiche 
sull’idea di nazione e dall’altro, di prospettare un’ipotesi 
alternativa: la costituzione europea al di fuori della dicotomia 
olismo-individualismo attraverso l’esame del paradigma 
comunicativo. 
Nella seconda parte, procederemo alla ricostruzione 
dell’approccio teorico di Enrico Scoditti
6
, il quale si propone di 
delineare un’Europa diversa, che non sia la semplice riedizione 
delle democrazie nazionali su scala continentale, ovvero che non si 
tratti di un soggetto politico dotato di una sola identità ma sia una 
sorta di luogo di molte identità, di molti popoli. In tale contesto, 
                                                 
6
 E. SCODITTI, La Costituzione senza popolo, cit. 
  
 
5
secondo Scoditti, il significato dei concetti di “Costituzione” e di 
“potere” subiscono delle mutazioni radicali. La costituzione, 
dunque, non risulta essere più, come in passato, espressione di un 
solo popolo, di una sola cultura, ma deve tendere all’unità tra i 
diversi popoli europei. Invece, il potere non può considerarsi più 
alla stregua di una “guida politica” di una comunità ma diventa lo 
strumento attraverso cui si gestisce la coabitazione tra una pluralità 
di nazioni e di sistemi politici diversi. Da questo punto di vista, il 
testo di Scoditti – come vedremo nelle pagine seguenti – pur 
costituendo una riflessione originale sugli inediti scenari 
costituzionali che si stanno delineando in Europa, presenta una 
serie di aporie e di contraddizioni. 
In generale, la domanda di fondo dalla quale muovono i due 
autori può delinearsi nei termini seguenti: la scienza giuridica allo 
stato attuale possiede gli strumenti necessari per comprendere il 
complesso e articolato processo storico che sta determinando i 
caratteri di una nuova forma politica che nel linguaggio corrente ha 
assunto sempre di più la denominazione di “costituzione 
europea”?
7
.  
                                                 
7
 Ibidem. 
  
 
6
Da questo punto di vista, entrambi i saggi cercano di andare al 
di là della diatriba sviluppatasi a livello europeo
8
 tra “euro-
ottimisti” ed “euroscettici”
9
 in seguito alla nota sentenza 
riguardante la ratifica del Trattato di Maastricht
10
. Tale sentenza 
riveste un’importanza fondamentale per il nostro discorso poiché ha 
riproposto all’attenzione del dibattito giuridico-filosofico europeo il 
concetto di popolo alimentando una serie di polemiche che si 
protraggono da oltre un decennio. Tali nodi problematici, lungi 
dall’essere risolti, rimangono ancora oggi, soprattutto dopo il no al 
referendum da parte dei popoli francese ed olandese, i principali 
argomenti di discussione teorica.  
Com’è noto, la sentenza in questione
11
 definisce l’Unione 
europea come “un’associazione di Stati per la realizzazione di 
un'unione sempre più stretta dei popoli d’Europa organizzati 
statalmente” dunque “non uno Stato poggiante su un popolo 
                                                 
8
 Il dibattito concerne in particolar modo le distinte posizioni attorno al concetto di 
popolo, come potere costituente, e attorno alle definizioni del trattato, fondante 
l’Unione europea, come Costituzione. 
9
 Il maggior esponente della posizione euroscettica Dieter Grimm sostiene che è il 
popolo a fondare la Costituzione, all’opposto si colloca la posizione eurottimista 
teorizzata soprattutto da Jurgen Habermas il quale, affermando il primato del diritto 
sostiene che è la Costituzione a produrre il popolo.  
10
 Il tribunale federale tedesco il 12 ottobre 1993 con sentenza interpretativa di rigetto si 
è pronunciato su due distinti ricorsi: il primo di area “progressista” sottolineava la 
violazione, derivante dalla stipulazione del Trattato di Maastricht dei diritti 
fondamentali tutelati dal Grundgesets; il secondo d’ispirazione “conservatrice”, invece, 
rilevava la presunta perdita di sovranità del popolo tedesco. Cfr. R. CAVALLO. Il 
terribile potere. Il “popolo” nel pensiero di Carl Schmitt (1919-1928), in Annali del 
Seminario giuridico, Giuffrè, Milano 2005, p. 36. 
11
 Si veda ancora una volta la Sentenza-Maastricht. 
  
 
7
europeo. […]. Ogni popolo è fonte e al contempo centro di 
riferimento della potestà dello Stato. Agli stati occorrono sfere di 
compiti propri sufficientemente significativi, in ordine ai quali 
ciascun popolo possa svilupparsi e articolarsi in un processo di 
formazione della volontà politica da esso stesso legittimato e 
guidato per dare espressione giuridica a tutto ciò che, con relativa 
omogeneità, lo unisce idealmente, socialmente e politicamente”
12
. 
La sentenza Maastricht sembra, dunque, aver puntualizzato in 
maniera chiara che l’Unione Europea non è uno stato ma 
“un’associazione di stati”, e che non poggia su un popolo. 
Ciò ha fatto sorgere una serie di interrogativi che, fino ad 
oggi, nonostante i notevoli sforzi teorici, hanno ricevuto risposte 
parziali o relative. Vista l’impossibilità di delineare in maniera 
esauriente ed esaustiva i suddetti interrogativi ci limitiamo ad 
elencarne solo quelli che riteniamo, dal nostro punto di vista, i più 
significativi.  
In primo luogo, il popolo quale insieme di persone stanziate 
stabilmente all’interno di un territorio dovrebbe costituire, a detta 
della dottrina tradizionale, uno degli elementi costitutivi dello 
Stato.  
                                                 
12
 Il passaggio riportato nel testo è ripreso da R. CAVALLO, Il terribile potere, cit., p. 
36. 
  
 
8
Al contrario, i trattati dell’Unione, tra cui lo stesso trattato di 
Amsterdam, parlano di “popoli” (al plurale) e non di “popolo” (al 
singolare). Pertanto sorge spontaneo un primo interrogativo: si può 
immaginare un’assemblea costituente che rediga un testo 
costituzionale dell’Unione europea da sottoporre successivamente 
all’approvazione diretta dei popoli degli stati membri?
13
. 
In secondo luogo, la costituzione tradizionalmente deriva la 
propria autorità dal potere costituente; al contrario, i trattati 
fondativi dell’Unione sono stati stipulati sotto forma di accordi 
internazionali tra i capi di stato dei rispettivi paesi membri, pur 
tuttavia la Corte di Giustizia
14
 ha definito il trattato “Carta 
Costituzionale”, il cui contenuto si rivolge sia ai singoli stati 
membri che agli stessi cittadini
15
. Dunque si dovrebbe affermare 
che la Carta costituzionale europea non può essere paragonata alla 
costituzione degli stati membri?  E’ realistico chiedersi, inoltre, se 
la trasformazione della Carta Costituzionale Europea in 
                                                 
13
 L’approvazione popolare tramite referendum dovrebbe sopperire a quello che viene 
definito il deficit di legittimazione della Costituzione europea. Con quest’espediente 
l’autorità della Carta deriverebbe direttamente dai cittadini e non dall’autorità dei 
singoli stati membri, considerati fino ad oggi i soli padroni dei trattati. Questa soluzione 
non sembra essere così logica perchè la maggior parte degli stati membri non si è mai 
mostrato entusiasta di tale eventualità; tra l’altro una tale prospettiva solleva altre 
difficili questioni soprattutto nel caso in cui uno o più popoli si rifiutassero di approvare 
la costituzione così data. In questo caso la difficoltà maggiore sarebbe definire la 
conseguenza che ne deriverebbe nei confronti dello Stato. 
14
 Parere n°1/91. 
15
 Ricordiamo anche che la revisione e la correzione del trattato richiedono la 
partecipazione di ogni singolo stato membro. 
  
 
9
costituzione nel senso classico del termine sia la sola strada da 
percorrere? All’opposto potrebbe condividersi l’idea presentata da 
coloro che non si pongono questo problema sul presupposto che se i 
trattati fondanti l’Unione Europea possano definirsi come “Carta 
Costituzionale” non necessariamente debbano essere identici o 
simili alla Carta Costituzionale degli stati membri; in realtà la 
“soluzione” potrebbe essere quella di considerare i Trattati il 
semplice riflesso della natura stessa dell’Unione, la quale, a sua 
volta, deriva la sua autorità dal singolo stato membro pur difettando 
di alcune caratteristiche essenziali, tralasciando per un momento 
quella che potrebbe essere la legittimazione più o meno 
democratica dell’Unione. 
In terzo luogo, un altro punto dibattuto riguarda la mancanza 
di omogeneità del popolo europeo. E’ un dato di fatto che i popoli 
dei vari stati abbiamo origini differenti e parlano lingue diverse, ma 
questo esclude che possano condividere altre affinità?
16
 Il problema 
potrebbe essere risolto pensando noi stessi non solo in termini di 
cittadinanza nazionale e non solo appigliandoci alla mancanza di 
                                                 
16
 Gli europei potrebbero condividere altre cose importanti che li accomunano e che li 
distinguono geograficamente, storicamente e culturalmente da altre società: 
geograficamente, l’Europa è naturalmente separata dall’Asia dai monti Urali che 
formano il confine naturale con l’Est; storicamente gli europei affondano le loro radici 
nelle civiltà greca e romana e sulla religione cristiana; culturalmente, nonostante le 
relative ricchezze e diversità, l’Europa è chiaramente distinta da altri continenti tra cui 
gli Usa. 
  
 
10
una lingua comune, abbracciando frontiere che vanno oltre i confini 
nazionali
17
. 
In definitiva, le difficoltà derivanti dal definire la Costituzione 
Europea come carta costituzionale e l’Unione europea come stato 
senza demos
18
 sembrano derivare dalla naturale ritrosia da parte 
della scienza giuridica tradizionale di adattare i suoi strumenti - sia 
nell’ambito del diritto pubblico statale che del diritto pubblico 
europeo - alla figura dominante dello Stato post-sovrano. Di fronte 
a tale presa di coscienza definire, qualificare, comprendere il 
significato del novum insito nell’attuale prospettiva della 
costituzione europea rimane completamente irrisolto
19
. Alcune 
delle suddette domande trovano una parziale risposta nei testi più 
volte citati di Sergio Dellavalle e Enrico Scoditti che affrontando 
l’argomento in modo radicalmente opposto cercando di trovare un 
fondamento alla costituzione europea. Pur tuttavia, i saggi qui 
commentati, al di là delle loro innegabili virtù, lo anticipiamo fin da 
ora, sembrano anch’essi viziati da una sorta di giuridicismo di 
fondo che costituisce a detta di Pietro Barcellona “l’arretramento di 
un intero ceto intellettuale che ha volutamente rinunciato a 
                                                 
17
 Al riguardo, Scoditti parla di nazionalità duale, da intendere come cittadinanza 
nazionale ed europea allo stesso tempo. 
18
 L’assenza di un demos comune è l’ostacolo principale al processo di integrazione 
europea. 
19
 M. FIORAVANTI, Recensione, p. 506. 
  
 
11
misurarsi con la sostanza politica dei problemi e con la dura realtà 
del rapporto tra forza e diritto”
20
. 
 
 
                                                 
20
 P. BARCELLONA, Prefazione al libro di A. CANTARO, Europa Sovrana. La 
Costituzione dell’Unione tra guerra e diritti, Dedalo, Bari 2003, p. 7. 
  
PARTE PRIMA 
L’APPROCCIO COMUNICATIVO DI SERGIO DELLAVALLE 
  
 
13
 
1.1. Premessa 
 
 
Il punto di partenza del saggio di Sergio Dellavalle è la 
rilettura del processo di costruzione europea alla luce di due 
paradigmi classici: il paradigma olista e quello individualista. 
Il primo paradigma, com’è noto, cerca il fondamento della 
costituzione in un popolo inteso come soggetto dotato di una forma 
e di una sostanza storica unitaria precostituita, il secondo 
paradigma considera la costituzione lo strumento di garanzia dei 
diritti individuali, ovvero si fonda su un contratto stipulato tra gli 
individui medesimi
1
. Per la dottrina olistica
2
 la collettività sociale e 
politica non coincide con la somma degli individui che la 
compongono ma forma una totalità, un insieme, che mantiene il 
proprio interesse alla sussistenza non derivabile dalla sussistenza 
dei suoi membri e contraddistinta da un valore che va al di là del 
valore di questi ultimi.  
                                                 
1
 La concezione individualista afferma la priorità dell'individuo e lo considera come 
l’unico soggetto idoneo a costruire la società civile secondo ragione. 
2
 La parola olismo, com’ è noto, deriva dal greco antico òlon che significa la totalità, il 
tutto. 
  
 
14
La dottrina olista mira, dunque, al mantenimento della 
coesione del tutto e alla sua conservazione
3
. In altri termini, per i 
sostenitori della tesi olistica “la società è un grande organismo le 
cui parti sono destinate a perire nel caso affermino con radicalità il 
loro diritto all'autonomia”
4
.  
Al riguardo, Carl Schmitt, quando definisce la collettività 
politica, non usa il termine "cittadini" ma utilizza il concetto di 
"popolo"; questo aspetto emerge soprattutto nella definizione 
schmittiana di democrazia, intesa come forma di governo in cui il 
potere costituente è detenuto dal popolo che dà a se stesso la 
costituzione. In tal senso, Schmitt può essere senza dubbio ascritto 
a tale paradigma. La legittimità di una costituzione deriva secondo 
Schmitt dal riconoscimento del potere costituente, poiché la 
democrazia, secondo il giurista tedesco, si basa sulla “identità 
immediata del popolo con se stesso”
5
. I criteri utilizzati da Schmitt 
per definire l'appartenenza al popolo si basano sulla comunanza di 
razza, sulla fede e sulla tradizione; si tratta, in fondo, di criteri 
sostanziali come sostanziale è la definizione schmittiana di 
democrazia basata sull'identità nazionale.  
                                                 
3
 S. DELLAVALLE, Una costituzione senza popolo?, cit., p. 68. 
4
Ibidem.  
5
 Schmitt (1983), pg. 226.