6
È, quindi, lo Stato, inteso come apparato giudiziario, che deve
assicurare la ragionevole durata del processo.
Si pone la necessità di confrontare questa ipotesi con la l. 13 aprile
1988, n. 117, sulla responsabilità dei magistrati. La l. 89/01, invece, non
contiene alcuna norma di raccordo con questa normativa, e ciò ha fatto
sorgere il dubbio che i due rimedi fossero sovrapponibili.
Così come ulteriori dubbi concernono la natura del diritto alla
riparazione: in un primo tempo, infatti, è prevalsa la tesi indennitaria, in
piena rispondenza con la giurisprudenza europea; successivamente quella
risarcitoria.
Tale legge s’inquadra nella problematica inerente la capacità del
sistema di responsabilità civile del nostro ordinamento di far fronte
all’emergere di nuove figure risarcitorie per consentire la tutela della
persona umana in ogni suo aspetto.
Attraverso l’attività legislativa si è estesa, infatti, l’area dei danni
non patrimoniali risarcibili (precedentemente limitata alle sole ipotesi
costituenti reato), ma non in maniera tale da ricomprendere tutte le
ipotesi di lesione della persona.
7
Evidentemente, ciò determina una disparità di trattamento nei
confronti di fattispecie non legislativamente previste ma, comunque,
meritevoli di tutela.
In considerazione di ciò, si dà conto degli orientamenti dottrinali
che hanno cercato di prospettare delle soluzioni per ovviare a questa
situazione.
È stata, infatti, più volte sollevata questione di legittimità
costituzionale dell’art. 2059 c.c., prospettandone l’abrogazione – peraltro,
mai accolta dalla Corte Costituzionale.
Ed è stata configurata una nuova categoria di danno – il danno
esistenziale – tale da ricomprendere tutti i pregiudizi inerenti la persona,
che ha ricevuto anche il riconoscimento della Corte di Cassazione.
8
CAPITOLO I
La “nuova” responsabilità civile
1. Il danno alla persona e i principi della UE
La figura del danno alla persona si è recentemente imposta
all’attenzione dei giudici e dei legislatori europei come parametro di
riferimento per l’esplorazione dei confini della “nuova” responsabilità
civile.
Essa si è aperta all’influsso dei principi costituzionali, ma, al
tempo stesso, è diventata problematica la capacità dei sistemi codicistici
europei di far fronte al rischio di una dilatazione incontrollabile dei
confini della responsabilità civile, in presenza di una crescente ondata di
pretese risarcitorie (c.d. “floodgate argument”)
1
.
Infatti, già a partire dagli anni settanta si è verificato un processo di
espansione delle “frontiere” del danno ingiusto in una duplice direzione
2
.
La prima, relativa all’area degli interessi personali: si afferma
l’idea della rilevanza giuridica unitaria e generale della persona umana e,
1
BUSNELLI, Il danno alla persona al giro di boa, in Danno e Resp., 3, 2003, p.
237.
2
SALVESTRONI, Studi sulla responsabilità civile e altri scritti, Torino, 2002, p.17.
9
quindi, dell’ingiustizia delle lesioni di interessi personali anche nel
difetto di una previsione legale.
La seconda, in relazione all’area dei beni economici: l’ingiustizia
del danno si configura non solo nelle ipotesi di lesione della proprietà o
di altro diritto reale, ma anche con riguardo ai diritti di credito e ad altre
posizioni qualificate dalla giurisprudenza come diritti soggettivi, ma, a
parere della dottrina, configurabili in termini di mere situazioni di fatto o
di mere aspettative
3
.
In un tal contesto anche gli interessi legittimi, gli interessi collettivi
e gli interessi diffusi saranno reputati meritevoli di tutela civile in caso di
lesione
4
.
La storia del danno alla persona, infatti, è sempre stata
caratterizzata da un notevole e costante conflitto tra tendenze restrittive e
orientamenti espansivi.
La tensione tra questi contrapposti poli è venuta, inevitabilmente,
via via incrementandosi con il continuo aumento delle occasioni di
incidenti, e tuttora si registra soprattutto in relazione al risarcimento
relativo ai pregiudizi non patrimoniali.
3
PETTI, Il risarcimento del danno patrimoniale e non patrimoniale della persona,
Torino, 1999, p. 333.
4
Cass., 22 luglio 1999, n. 500, in Foro it., 1999, I, c. 2487.
10
L’esigenza di armonizzazione degli ordinamenti europei ha ad
oggetto, inevitabilmente, anche la materia del danno alla persona.
Esistono, infatti, nonostante le differenze - è ben noto il diverso
ruolo svolto dalla giurisprudenza e dal legislatore - principi comuni sul
piano dei valori costituzionali condivisi dai Paesi dell’Unione Europea.
Il principio della tutela della dignità umana assume un ruolo
centrale.
Esso impone la necessità di distinguere, con riferimento al
risarcimento del danno alla persona, un nucleo risarcitorio ineliminabile
affiancato ad altre voci di danno eventuali che, invece, devono essere
risarcite se esplicitamente dimostrate (lucro cessante) o qualora il sistema
lo consenta (perdite non economiche non oggettivamente dimostrabili o
quantificabili).
Altro principio condiviso a livello di Unione Europea è la
protezione del diritto alla salute, che combinandosi con il principio di
tutela della dignità proietta la tutela della salute in una posizione
preminente rispetto alla tutela risarcitoria di altre voci di danno alla
persona.
11
Infine, è necessario garantire la tutela della dignità umana, e in
particolare della salute, attraverso il risarcimento del danno connesso a
tali lesioni.
Ciò consente di dare attuazione al principio di uguaglianza
sostanziale e di parità di trattamento di situazioni analoghe, in modo da
offrire una tutela uniforme
5
.
5
COMANDE’, Il danno alla persona in Europa tra giudice e legislazione, in
PONZANELLI, La responsabilità civile. Tredici variazioni sul tema, Padova, 2002,
pp. 31-39.
12
2. Il danno alla persona
2.1 Il sistema italiano di responsabilità civile
Il modello di responsabilità civile che si trae dal Codice civile
italiano ha una struttura essenzialmente bipolare, sebbene sia discussa
l’estensione delle polarità, corrispondenti a due figure di danno: il danno
patrimoniale e il danno non patrimoniale.
Esso prevede per i danni patrimoniali una regola di generale
risarcibilità (art. 2043 c.c.), condizionata dall’ingiustizia del danno e
dunque da criteri di selezione delle ipotesi meritevoli di tutela.
Per i danni non patrimoniali, invece, la regola è speciale: la
risarcibilità è ammassa esclusivamente nelle ipotesi espressamente
individuate dal legislatore (art. 2059 c.c.).
Il legislatore italiano del 1942 propende, quindi, per una soluzione
che sintetizzi quanto previsto dai due principali modelli di quell’epoca: il
modello francese, che all’art. 1382 del Code Napoléon prevede una
clausola generale di garanzia per il risarcimento del danno, senza
distinguere tra danno patrimoniale e danno non patrimoniale
6
; il modello
tedesco, nel quale i danni non patrimoniali sono tipizzati; il ruolo
6
Questa impostazione fu seguita dal codice civile italiano del 1865, che all’art. 1151
recitava: «Qualunque fatto dell’uomo che arreca danno ad altri, obbliga quello per
colpa del quale è avvenuto, a risarcire il danno».
13
dell’elemento soggettivo dell’illecito è fondamentale e si accompagna
all’elencazione delle ipotesi in cui i diritti violati comportano anche un
risarcimento del danno non patrimoniale
7
.
Il legislatore italiano, invece, adotta per l’art. 2059 c.c. una formula
aperta che rinvia alle ipotesi determinate dalla legge, evitando
un’elencazione che impedirebbe all’ordinamento di adeguarsi
all’evolversi dei tempi.
Le limitazioni alla risarcibilità del danno non patrimoniale sono il
frutto di una interpretazione che non dipende direttamente dal contenuto
letterale della norma, bensì ha radici storico-politiche
8
.
Si riteneva, infatti, che il risarcimento del danno non patrimoniale
avesse una funzione punitiva-afflittiva, tipica delle sanzioni penali;
diversamente dal sistema di responsabilità civile che si basava su di una
finalità compensativa.
L’art. 2059 c.c. era, per questo motivo, un’eccezione alla regola
generale che trovava la sua giustificazione nel verificarsi di un’ipotesi di
reato.
7
BONETTA, I limiti della riparazione del danno, in PONZANELLI, La
responsabilità civile. Tredici variazioni sul tema, Padova, 2002, pp. 68-69.
8
JANNARELLI, Il danno non patrimoniale: le fortune della “doppiezza”, in Danno
e Resp., 1999, pp. 740-745.
14
Inoltre, tradizionalmente, il diritto civile si occupava di dirimere le
controversie di natura patrimoniale e la tutela della persona era affidata,
al contrario, all’ambito del diritto pubblico e con più precisione al diritto
penale
9
.
Conseguentemente, attraverso la riserva di legge di cui all’art.
2059 c.c., la risarcibilità del danno non patrimoniale è stata ricondotta
alle sole ipotesi di reato. Si è precluso, in tal modo, ad una consistente
fascia di ipotesi dannose, quali i danni alla persona, per loro natura
insuscettibili di una diretta valutazione economica, la possibilità di
ottenere un risarcimento .
Il mutamento della sensibilità sociale nell’ottica della centralità
dell’individuo e della sua personale realizzazione e l’esistenza della Carta
Costituzionale, caratterizzata dalla preminenza riservata ai valori della
persona rispetto a quelli economici, hanno, però, fatto emergere le
limitazioni del sistema così delineato.
La materia del danno non patrimoniale, infatti, è stata caratterizzata
dai tentativi di superare e aggirare l’art. 2059 c.c., nel tentativo di dare
9
FANELLI, Le ragioni dell’emersione di una nuova categoria di danno, in
PONZANELLI, Critica al danno esistenziale, Padova, 2003, pp. 24-25.
15
una risposta adeguata alla sempre maggior richiesta di giustizia di fronte
a fatti illeciti che rimangono privi di rimedi
10
.
2.2 Il danno alla persona nell’ordinamento italiano
Il risarcimento dei danni non patrimoniali è stato a lungo confinato
ai limiti estremi del diritto.
Il danno alla persona era ben poca cosa (si pensava, infatti, che,
non essendo stimabile, non fosse risarcibile) e i danni risarciti risultavano
quelli relativi a pregiudizi strettamente economici
11
.
Solamente nel corso del XIX secolo alcuni Paesi, tra i quali
soprattutto l’Inghilterra, cominciarono ad allargare gli schemi risarcitori,
pur nel primato della valutazione relativa alle conseguenze economiche
delle lesioni personali (c.d. “non pecuniary losses”).
In Italia, le corti iniziarono in questo periodo a risarcire il danno
morale, ma il parametro per la liquidazione del danno alla persona rimase
ancorato ad una visione strettamente patrimonialistica.
10
Si tratta della c.d. «strategia dell’erosione»: BUSNELLI, Progettare il futuro
tornando al passato (remoto), in ID., Il danno biologico. Dal «diritto vivente» al
«diritto vigente», Torino, 2001, pp. 245-250; MONATERI, Danno biologico da
uccisione o lesione alla serenità familiare? (l’art. 2059 visto come un brontosauro),
in Resp. civ. prev., 1989, p. 1176.
11
L’autore che per primo ha proposto la trattazione autonoma del danno alla persona
è GENTILE, Danno alla persona, in Enc. dir., XI, 1962, p. 641.
16
In considerazione della sostanziale irrisarcibilità del danno alla
persona
12
, e dell’impossibilità di porre il danneggiato nelle stesse
condizioni nelle quali si sarebbe trovato qualora non si fosse verificato il
fatto illecito, il parametro da utilizzare al fine di graduare il compenso è
individuato nel reddito lavorativo della persona danneggiata (c.d. “regola
del calzolaio”)
13
.
Le ragioni addotte da larga parte della dottrina e della
giurisprudenza contro l’allargamento dello schema risarcitorio ai danni
non patrimoniali erano:
a) di ordine etico, poiché era considerato immorale
solamente il fatto stesso di pensare che le sofferenze
potessero essere compensate in denaro;
b) di ordine probatorio;
c) legate all’impossibilità di stabilire un’equivalenza tra
danno e risarcimento
14
.
La problematica del danno alla persona si riconnette,
inevitabilmente, a quella dei diritti della personalità.
12
GIANNINI, Il risarcimento del danno alla persona nella giurisprudenza, Milano,
2000, pp. 12-13.
13
GIOIA, Dell’ingiuria dei danni, del soddisfacimento e relative basi di stima
avanti ai Tribunali civili, Lugano, 1840, p. 167.
14
MONATERI, Il danno alla persona, I, Torino, 2000, p. 5.