4
Così, come vi sono mezzi di individuazione e punti di
localizzazione della persona, allo stesso modo vi sono mezzi di
individuazione e punti di localizzazione dell’impresa.
L’individuazione può riguardare l’impresa come tale,
ovvero i prodotti o, ancora, i locali nei quali l’attività imprenditrice
si esplica. Sussiste, pertanto, una pluralità di mezzi di
individuazione o, come si suol dire nella terminologia corrente, di
segni distintivi, tra i quali vanno annoverati la ditta (
1
), l’insegna
(
1
) Sull’istituto della ditta, va ricordato (non senza premettere
che una ricognizione approfondita delle articolate peculiarità
dell’istituto medesimo esorbita dai limiti della nostra indagine, che,
come già affermato, è imperniata esclusivamente sull’istituto del
merchandising) che esso, secondo la definizione offerta dal codice
civile, è il nome sotto il quale l’imprenditore svolge la sua attività: non
soltanto questa, nella stragrande maggioranza dei casi, impronta di sé gli
altri segni distintivi, quali il marchio e l’insegna, e non soltanto essa
vale a contraddistinguere tutta l’attività dell’impresa, non anche singoli
elementi di essa, ma costituisce, diversamente da quanto accade per il
marchio e per l’insegna che hanno carattere eminentemente facoltativo,
un mezzo di individuazione necessario dell’impresa economica. In altri
termini, così come una persona ha necessariamente un nome, alla stessa
stregua l’impresa ha necessariamente una ditta. Intorno ai complessi
temi della ditta si rinvia a MANGINI, in Digesto, Discipline
privatistiche: Sezione commerciale, V, 76, segg.; GRAZIANI, Ditta, in
Enc. dir., XIII, 346, segg.; VERCELLONE, La ditta, l’insegna e il
marchio, in Trattato Rescigno, vol. 18, 84, segg.; DI CATALDO, I
segni distintivi, Milano, 1993, 185, segg.; RAVA’, Diritto industriale, I,
328; CARTELLA, Originalità e liceità della ditta, in Riv. dir, ind.,
1977, I, 582.
5
(
2
) e il marchio (
3
): mezzi di tutela che la legge sottopone a
rigorosa tutela, riconoscendone all’imprenditore l’uso esclusivo e
impedendo altresì che altri se ne avvalga.
Tale affermata posizione di esclusività si è pretesa
giustificare, talora considerando i segni distintivi alla stregua di
creazioni intellettuali, ma, a parte che l’attività creatrice può in
concreto essere insignificante o addirittura mancare (
4
), la tutela
dei segni distintivi trova il suo fondamento e il suo corrispettivo
(
2
) L’insegna è quel segno distintivo che è dalla legge deputato
ad individuare il locale ove si svolge l’attività dell’imprenditore. Essa
può corrispondere alla ditta e, in questo caso, la tutela dell’insegna è un
mero riflesso della tutela della ditta; può invece avere un contenuto
diverso ed essere formata mediante una denominazione o anche
mediante figure o simboli. In tale ultimo caso, la tutela dell’insegna sarà
concessa solamente a condizione che la denominazione, la figura o il
simbolo posseggano il carattere della originalità, vale a dire la capacità
distintiva, e inoltre che abbiano carattere di novità, e cioè siano idonee a
non generare confusione, in relazione al luogo e all’oggetto dell’attività
con l’insegna utilizzata da altro e diverso imprenditore. Sull’insegna cfr.
MANGINI, in Digesto, Discipline privatistiche: Sezione commerciale,
VII, 394, segg.; ID., Il marchio nel sistema degli altri segni distintivi, in
Trattato dir. comm., diretto da Galgano, vol V. 1982, 238;
BUNOCORE, Insegna (diritto privato), in Enc. dir., XXI, 714, segg.
(
3
) Sul marchio, v. le considerazioni che verranno svolte infra
nel testo. Sin da ora, comunque, si rinvia a FRANCESCHELLI, Sui
marchi di impresa, Milano, 1988; DI CATALDO, I segni distintivi, in
Corso di dir. industriale, diretto da Libertini, IV, 1985; MANGINI, Il
marchio nel sistema dei segni distintivi, in Comm.. Codice civile, diretto
da Cendon, sub artt. 2569-2574, 1437, segg.
(
4
) In tale direzione, si pensi all’ipotesi in cui la ditta, l’insegna e
il marchio corrispondono al nome dell’imprenditore.
6
limite nell’esigenza di individuazione dell’impresa, del locale in
cui è esercitata, dei suoi prodotti ed esclusivamente in questa.
Da ciò, per l’appunto, discende che la posizione di
esclusività è solamente relativa, e ciò nel senso che essa sussiste
fino a quando è necessaria allo scopo della individuazione, e non
oltre. Così come soltanto in senso relativo va inteso il requisito
della novità. Quando non esiste la possibilità di confusione, è
sicuramente possibile l’uso contemporaneo da parte di più persone
di uno stesso segno distintivo.
Da tale considerazione discendono speciali requisiti propri
dei segni distintivi, quali quello della verità e quello della
originalità; il segno distintivo non può essere scelto in modo da
venire meno alla funzione cui è deputato, vale a dire in modo da
trarre in inganno il pubblico sulla natura dell’impresa o
sull’origine e la provenienza del prodotto (
5
) .
La tutela del segno distintivo si attua su ragioni e su basi
essenzialmente diverse da quelle per le quali e sulle quali si attua
(
5
) D’altra parte, non va sottaciuto che il segno distintivo deve
essere originale e cioè deve possedere una forte capacità distintiva, e ciò
in quanto solo in tal modo può correttamente adempiere alla funzione
che gli è propria. Da ciò, infine, deriva quella connessione tra segni
distintivi ed elementi per la cui individuazione essi sono stati creati che
ha un’influenza determinante, limitandola, nella loro trasferibilità.
7
la tutela delle creazioni intellettuali. Non a caso, infatti, la legge
rispetto alla ditta (
6
) fa esplicito riferimento alla scelta, non già alla
creazione.
Tale circostanza, com’è naturale, non vale ad escludere che
in talune specifiche ipotesi il segno distintivo possa concretamente
essere il risultato di una attività creativa (
7
), ma in questo caso la
tutela della creazione intellettuale si aggiunge a quella del segno
distintivo, rimanendone, però, del tutto autonoma ed indipendente.
1.2 Il sistema dei segni distintivi
L’attività di impresa si caratterizza per ciò che è tipicamente
un’attività di relazioni sul mercato ed in un mercato che, almeno in
linea di principio, assiste alla coesistenza di più imprenditori che
producono e/o distribuiscono beni o servizi similari o pressoché
identici. In tale contesto ogni imprenditore utilizza di regola uno o
più fattori destinati alla individuazione; uno o più segni distintivi
(
6
) La cui disciplina è dettata all’art. 2563 del codice civile.
(
7
) In tal senso, si pensi all’ipotesi di un marchio costituito da un
segno artistico.
8
che, come abbiamo visto (
8
), consentono di individuarlo sul
mercato e distinguerlo dagli altri imprenditori direttamente o
indirettamente concorrenti.
La ditta, l’insegna ed il marchio sono dunque i tre principali
segni distintivi dell’imprenditore (
9
), e più precisamente, giova
ribadirlo, la ditta contraddistingue la persona dell’imprenditore
nell’esercizio dell’attività di impresa (
10
); l’insegna individua i
locali in cui l’attività d’impresa è esercitata; il marchio, infine,
individua e contraddistingue i beni o i servizi prodotti o forniti
dall’imprenditore.
Pur possedendo ciascuno dei segni supra succintamente
esposti un proprio specifico ruolo, ditta, insegna e marchio
assolvono ad una comune nell’economia di mercato, e ciò nel
senso che favoriscono la formazione ed il mantenimento della
clientela, in quanto consentono al pubblico, ed in particolare ai
consumatori, di distinguere tra i vari operatori economici e di
(
8
) V., supra, il par. precedente.
(
9
) Sui segni distintivi cfr. DI CATALDO, I segni distintivi,
Milano, 1993; ID, I segni distintivi, in Corso dir. ind., diretto da
Libertini, vol. IV, Milano, 1985; VERCELLONE, La ditta, l’insegna e
il marchio, in Trattato di dir. priv., diretto da Rescigno, 19, Torino,
1983, 71; ID, La ditta, l’insegna e il marchio, Milano, 1993.
(
10
) La ditta, com’è noto, è anche comunemente denominata
con l’espressione nome commerciale.
9
operare scelte consapevoli. In altri e più semplici termini, essi
possono definirsi, come si suole dire (
11
), dei “collettori di
clientela”.
Intorno ai segni distintivi finiscono inevitabilmente per
ruotare diversi e per certi versi confliggenti interessi (
12
): a)
l’interesse degli imprenditori a dotarsi di segni che abbiano
spiccata forza distintiva ed attrattiva e di precludere ai concorrenti
l’uso di segni similari idonei a sviare, anche solo potenzialmente,
la propria clientela; b) l’interesse dei medesimi imprenditori a che
essi possano cedere liberamente ad altri i propri segni distintivi, in
modo da monetizzare l’autonomo valore economico che questi
sovente acquistano per il legame abitudinario che creano tra
impresa e clientela; c) all’interesse alla massima libertà e tutela,
proprio di chi ha adottato i segni distintivi, si contrappone poi
l’interesse di quanti con essi entrano in contatto (
13
), a non essere
(
11
) Cfr. DI CATALDO, I segni distintivi, Milano, 1985, 27,
segg.; CAMPOBASSO, Diritto commerciale. 1. Diritto dell’impresa,
Torino, 1993, 180; DALMARTELLO, I contratti delle imprese
commerciali, Padova, 1962, 15, segg.
(
12
) Sul punto, cfr. cfr. DI CATALDO, I segni distintivi, Milano,
1993; ID, I segni distintivi, in Corso dir. ind., diretto da Libertini, vol.
IV, Milano, 1985; VERCELLONE, La ditta, l’insegna e il marchio, in
Trattato di dir. priv., diretto da Rescigno, 19, Torino, 1983, 71.
(
13
) A titolo esemplificativo, vanno in tal senso annoverati
soggetti quali i fornitori, i finanziatori e, soprattutto, i consumatori.
10
tratti in inganno sull’identità dell’imprenditore ovvero sulla
provenienza dei prodotti immessi sul mercato; d) su tutti questi
interessi domina, infine, il più generale ed ampio interesse: quello
a che la competizione concorrenziale si svolga nel modo più
ordinato e leale possibile. E proprio la realizzazione di
quest’ultima finalità --attraverso il contemperamento dei diversi
interessi individuati in gioco-- è l’obiettivo cui è esplicitamente
tesa la regolamentazione giuridica dei segni distintivi
dell’imprenditore, che perciò costituisce aspetto e profilo della più
generale disciplina della concorrenza (
14
).
Nell’alveo del nostro ordinamento, la ditta, l’insegna ed il
marchio sono disciplinati separatamente: la ditta, è regolata dagli
artt. 2563 - 2567 c.c., l’insegna, è regolata dal solo art. 2568 c.c.,
mentre il marchio è a sua volta regolato dagli artt. 2569 - 2574 c.c.
e dal r.d. 21.6.1942, n. 929 ( c.d. legge marchi), il quale, dopo oltre
cinquanta anni di vita, trascorsi senza che il suo contenuto subisse
rilevanti modifiche (
15
), è stato pressoché integralmente riscritto
(
14
) In tal senso cfr. VERCELLONE, La ditta, l’insegna e il
marchio, Milano, 1993, 24; VANZETTI, La nuova legge marchi.
Codice e commento alla riforma, Milano, 1993, 46.
(
15
) Le sole modifiche degne di note apportate all’originaria
legge del 1942, si riducono all’introduzione del marchio di servizio,
avvenuta con la legge 1178/59 e alla modifica dell’art. 13, co. 2, legge
11
dal D. L. 480/1992. In tal senso, va ricordato che, com’è stato
felicemente osservato (
16
), l’impianto originario, giudicato
“sicuramente assai pregevole e meritevole di considerazione” (
17
)
è rimasto, ma le numerose interpolazioni attuate nel suo tessuto ne
hanno vistosamente alterato i contenuti originari. La riforma della
“vecchia” legge marchi ha trovato la sua occasione “istituzionale”
nella necessità di dare attuazione alla direttiva CEE di
ravvicinamento delle legislazioni nazionali in tema di marchi (
18
)
(
19
).
158/67. A ciò può aggiungersi la disciplina delle denominazioni di
nuove varietà vegetali e dei rapporti tra le medesime e l’eventuale
marchio cui esse siano associate, di cui all’art. 5 del D. P. R. 12 agosto
1985, n. 984, revisionato con D. P. R. 22 giugno 1979, n. 338 e con
legge 14 ottobre 1985, n. 620.
(
16
) Cfr., in tal senso, . G. CAVANI, La nuova legge marchi.
Commento generale, Verona, 1995, 5, segg.; FLORIDIA, Marchi,
invenzioni e modelli. Codice e commento delle riforme nazionali,
Milano, 1993, 20.
(
17
) Così, testualmente, FLORIDIA, Marchi, invenzioni e
modelli. Codice e commento delle riforme nazionali, cit., 20.
(
18
) Consiglio CEE, Prima direttiva 21.12.1988 sul
ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di
marchi d’impresa, in G.U.C.E. L. 40 dell’11.2.1989. Per un esaustivo
commento ad essa si rinvia a VANZETTI, Commento alla prima
direttiva del 21 Dicembre 1988 sul ravvicinamento delle legislazioni
degli Stati membri in materia di marchi di impresa, in Nuove leggi civ.
comm., 1989, 1428.
(
19
) Com’è noto, obiettivo di quest’ultima era il superamento
delle numerose disparità di disciplina riscontrabili nei vari ordinamenti
nazionali, tali da ostacolare la libera circolazione dei prodotti e la libera
prestazione dei servizi, nonché falsare le condizioni di concorrenza nel
mercato comune. Peraltro, la medesima direttiva precisava come a tale
12
Tali discipline si connotano per essere parzialmente diverse
e soprattutto di diversa ampiezza, di per sé indicativa della diversa
rilevanza economica dei tre segni distintivi; ed in vero, è
sicuramente fuor di ogni dubbio l’assoluta centralità del ruolo del
marchio nella moderna economia di mercato.
scopo non occorresse “procedere ad un ravvicinamento completo delle
legislazioni degli Stati membri in tema di marchi d’impresa”, e che
fosse “sufficiente limitare il ravvicinamento alle disposizioni nazionali
che hanno un’incidenza più diretta sul funzionamento del mercato
interno”. Accanto a previsioni la cui attuazione da parte dei singoli Stati
membri era obbligatoria , se ne collocavano altre la cui attuazione era,
per converso, facoltativa. Oltre a ciò, restavano profili delle discipline
nazionali dei quali la direttiva non si occupava. Nell’opera, sicuramente
complessa, di armonizzazione della normativa nazionale alla direttiva, il
legislatore ha peraltro colto l’occasione per intervenire nel modo più
ampio sulla legislazione in vigore. In tal modo sono state introdotte, non
già solamente le disposizioni “facoltative” (a fianco di quelle
“obbligatorie”), ma anche “tutte le variazioni che si sono potute
valutare come utili ai fini dell’adeguamento della disciplina alle nuove
realtà industriali e commerciali, alle tendenze manifestatesi nella
gestione dei marchi, ed anche alle nuove esigenze di protezione del
pubblico dei consumatori” (in tal senso, testualmente, FLORIDIA,
Marchi, invenzioni e modelli. Codice e commento delle riforme
nazionali, Milano, 1993, 21 - 22). Così, a titolo esemplificativo,
anticipando nella sostanza i contenuti dell’allora imminente
regolamento sul marchio comunitario (ora adottato: Regolamento del
Consiglio CEE sul marchio comunitario del 20.12.1993 40/94 CEE, in
G.U.C.E. n. L. 11 del 14.1.1994; il testo è pubblicato anche in Riv. dir.
ind., 1994, I, 262, segg.), è stato introdotto il principio delle “cessione
libera” del marchio, non previsto dalla direttiva, ma enunciato,
all’epoca, dal progetto di regolamento sul marchio comunitario (art.
17.1 Reg.: “Il marchio comunitario, indipendentemente dal
trasferimento dell’impresa, può essere trasferito per la titolarità o parte
dei prodotti o dei servizi per i quali e stato registrato”).
13
Tuttavia, dalle tre discipline supra menzionate è dato
desumere alcuni principi ispiratori, per così dire, comuni,
espressione chiara ed inequivoca della funzione omogenea dei
segni distintivi e della correlativa identità degli interessi coinvolti
(
20
). Principi, che sinteticamente possono così essere fissati:
a) l’imprenditore gode di ampia libertà nella formazione dei
propri segni distintivi, pur essendo tenuto, però, al rispetto di
determinate regole, volte ad evitare inganno e confusione sul
mercato: verità, novità e capacità distintiva (
21
);
b) l’imprenditore ha sì diritto all’uso esclusivo dei propri
segni distintivi, ma si tratta, si badi bene, di un diritto non assoluto,
ma relativo e strumentale alla realizzazione della funzione
(
20
) E’ opinione ormai pressoché unanimemente condivisa
quella secondo cui i segni distintivi non costituiscono un numero chiuso
e che l’imprenditore può agevolmente avvalersi di altri simboli di
identificazione sul mercato (c.d. segni distintivi atipici). Tale è, a titolo
esemplificativo, lo slogan pubblicitario. Si ritiene che a tali segni si
debbano applicare per analogia i principi base dei segni distintivi tipici,
ed in tal senso si rinvia a DI CATALDO, I segni distintivi, Milano,
1993, 216, segg., cui adde ID., I segni distintivi, in Corso dir. ind.,
diretto da Libertini, vol. IV, Milano, 1985, 48, segg.; CAMPOBASSO,
Diritto commerciale. 1. Diritto dell’impresa, Torino, 197, segg.; ed in
giurisprudenza, con specifico riferimento allo slogan, cfr. le
argomentazioni svolte da Appello di Roma, 20.1.1981, in Giur. ann. dir.
ind., 1980, n. 214.
(
21
) DI CATALDO, I segni distintivi, Milano, 1993, 216, segg.,
cui adde ID., I segni distintivi, in Corso dir. ind., diretto da Libertini,
vol. IV, Milano, 1985, 48, segg.; CAMPOBASSO, Diritto commerciale.
1. Diritto dell’impresa, Torino, 197, segg.
14
distintiva rispetto agli imprenditori concorrenti. In tale prospettiva
il titolare di un segno distintivo non può perciò impedire che altri
adotti il medesimo segno distintivo quando, per la diversità delle
attività di impresa o per la diversità dei mercati serviti, non vi è
pericolo di confusione e di sviamento della clientela (
22
);
c) l’imprenditore può trasferire ad altri i propri segni
distintivi, ma nemmeno tale diritto è pieno ed incondizionato, e ciò
sul presupposto che il trasferimento è possibile solo se è
contestualmente trasferita anche l’azienda (o ramo di essa). Si
vuole, in altri termini, che permanga almeno un collegamento
oggettivo con l’apparato materiale utilizzato dall’originario titolare
del segno distintivo (
23
).
Da tutto ciò emerge palesemente che se è vero che i tre
segni distintivi tipici dell’imprenditore sono tutelati sul piano
patrimoniale, è parimenti vero che ciò avviene in modo non pieno
ed assoluto. Ed il carattere relativo e funzionale della tutela dei
segni rende controverso se essi possano essere inquadrati nella
categoria dei beni immateriali e, quindi, se si possa parlare di un
(
22
) Cfr., ancora, DI CATALDO, I segni distintivi, op loc. cit.;
CAMPOBASSO, Diritto commerciale. 1. Diritto dell’impresa, op loc.
cit.
(
23
) Cfr. DI CATALDO, I segni distintivi, cit., 224.
15
vero e proprio diritto di proprietà su un bene immateriale (
24
).
Sembra, dunque, corretta l’affermazione che l’inquadramento e la
qualifica possano essere accettati e condivisi essendo ormai
patrimonio acquisito della dottrina civilistica il concetto di
“proprietà limitata e funzionale”.
1.3 I marchi di impresa in generale
Il marchio, come già avvertito (
25
), è il segno distintivo dei
prodotti dell’impresa. Esso non può certamente definirsi alla
stregua di un segno distintivo essenziale, ma è parimenti certo il
più importante dei segni distintivi. Nella moderna economia
industriale il marchio costituisce, infatti, il principale simbolo di
(
24
) In tale prospettiva cfr., in modo particolare, ASCARELLI,
Teoria della concorrenza e dei beni immateriali, Milano, 1966, 269,
segg.; SANTINI, I diritti della personalità nel diritto industriale,
Padova, 1959, 137, segg.; ARE, Beni immateriali, in Enc. dir., V, 244,
segg.. Nel medesimo senso appare orientata la giurisprudenza
largamente prevalente che ne deduce, ad esempio, la possibilità di
acquisto per usucapione del diritto sui segni distintivi: cfr. Cassazione,
22.1.1978, n. 6130, in Giur. it., 1980, I, 321. In senso critico cfr., ex
multis, FRANCESCHELLI, Sui marchi d’impresa, Milano, 1988, 129,
segg.; VANZETTI, Funzione e natura giuridica del marchio, in Riv.
dir. comm., 1961, I, 85, segg.; SCOZZAFAVA, I beni e le forme
giuridiche di appartenenza, Milano, 1982, 447, segg.
(
25
) V., supra, al par. precedente.
16
collegamento tra produttori e consumatori e svolge per tale ragione
un ruolo preminente nella formazione e nel mantenimento della
clientela.
Al marchio gli imprenditori affidano la funzione di
differenziare i propri prodotti da quelli merceologicamente similari
immessi sul mercato dai concorrenti. Il pubblico è in tal guisa
messo nelle condizioni di riconoscere con immediatezza i prodotti
provenienti da una determinata fonte di produzione; può
selezionare fra i molti prodotti similari quello ritenuto
comparativamente migliore per qualità e prezzo, orientando così in
maniera consapevole le proprie scelte di consumo (
26
).
La delineata funzione distintiva dei prodotti è la tipica
funzione assolta dal marchio; funzione giuridicamente protetta sia
dall’ordinamento nazionale, sia da quello internazionale (
27
).
Entrambe le normative, imperniate sull’istituto della registrazione
(nazionale ed internazionale) del marchio, riconoscono al titolare
del marchio, rispondente a determinati requisiti di validità, il
diritto di uso esclusivo del medesimo per quel determinato settore
(
26
) Cfr. AA. VV., La nuova legge marchi, in Atti del convegno
di Milano del 3 - 4 Dicembre 1992, Milano, 1993, 44, segg.
(
27
) Sul punto si rinvia alle indicazioni bibliografiche contenute
nel par. precedente.
17
merceologico, così consentendo che il marchio assolva pienamente
la sua funzione di identificazione del prodotto sul mercato.
Il marchio, però, non esaurisce la propria funzione nella
differenziazione dei prodotti similari esistenti sul mercato (
28
). E’
anche indicatore della provenienza del prodotto da una fonte
unitaria di produzione: al marchio di camicie Alfa il pubblico di
regola associa sia quelle determinate camicie, sia un determinato
fabbricante delle stesse.
Il ruolo di indicatore di provenienza è, a ben guardare, un
aspetto della funzione distintiva del marchio. Ed è un aspetto che il
legislatore non manca di tutelare prevedendo limitazioni alla
libertà di trasferimento del marchio: in particolare, collegando la
circolazione dello stesso al trasferimento dell’azienda o, quanto
meno, di quella parte del complesso produttivo utilizzato per la
produzione di quei determinati beni.
(
28
) Per una chiara, oltre che esaustiva, analisi delle funzioni
svolte sul piano economico dai marchi e di quelle che ricevono
protezione giuridica dall’ordinamento, si rinvia, ex multis, a
VANZETTI, Funzione e natura giuridica del marchio, in Riv. dir.
comm., 1861, I, 16, segg. Diffusa è anche, in parte della dottrina, la
tendenza a sottolineare la carica monopolistica insita nella protezione
del marchio e i pericoli che ne possono derivare per il corretto
funzionamento del mercato della distribuzione. Per una lucida
illustrazione dei relativi problemi, v. MANGINI, Il marchio e gli altri
segni distintivi, cit., 26, segg.