certamente alcune lacune e imprecisioni sulle quali, purtroppo, forse si è
persa definitivamente la possibilità di fare chiarezza.
Nel secondo capitolo compio un balzo temporale di due anni che porta
direttamente alla crisi dei missili. È una storia a grandi linee nota, che però
recentemente con la pubblicazione dei documenti top secret della CIA è
stata in alcuni punti riveduta e corretta. La mia trattazione, basata in partico-
lar modo sulle opere di Beschloss e Kennedy, tiene conto di tali aggiorna-
menti (contenuti nel saggio di Chang e Kornbluh) e cerca di essere il più
possibile esauriente nonostante la brevità, approfondendo questioni come il
mistero delle due lettere di Chruš ëv, sulla quale propongo una chiave di let-
tura personale.
Con il terzo e ultimo capitolo torno ad occuparmi della stampa cubana,
ritrovandola, profondamente diversa, alle prese con la crisi dei missili.
L’analisi questa volta è concentrata sui contenuti, nel tentativo di dar conto
di cosa fosse il giornalismo rivoluzionario in un momento di estrema emer-
genza ed esaltazione patriottica.
In appendice, il lungo colloquio concessomi all’Avana da Juan Marrero,
Vice-decano dell’UPEC (Unión de Periodistas de Cuba) nonché massimo storico del
giornalismo cubano. Il documento, che si ricollega ai capitoli 1 e 3, è una te-
stimonianza molto utile per comprendere l’atmosfera dell’epoca e alcuni
punti poco chiari della storia. A seguire la traduzione di uno degli ultimi
editoriali di Jorge Zayas, direttore di Avance, che più di ogni altro difese la li-
bertà di stampa a Cuba. Del coraggio e dell’abnegazione che dimostrò in quei
giorni di passione, purtroppo, a Cuba si è persa la memoria. Per finire, una
rassegna fotografica comprendente documenti originali dell’epoca, spesso,
come nel caso delle vignette e delle lezioni di Verde Olivo, quantomeno curiosi.
5
A Manolo, Rosa, Roberto, Harold, Mirtica e Sheila
6
1
IL GIORNALISMO
CUBANO (1959–1960)
«Al que se pone contra la historia, la historia lo borra»
1
Revolución, 13 maggio 1960
1. Il giornalismo sotto Batista
Prima della rivoluzione, la situazione della stampa cubana non era più ro-
sea di quanto lo sia oggi. Sin dal suo insediamento, nel 1952, Batista e varie
testate giornalistiche si dettero reciprocamente filo da torcere: il primo sop-
primendo in più riprese la libertà di stampa; le seconde sferrando attacchi al
governo ogni qual volta ne avevano l’occasione.
All’epoca le principali pubblicazioni erano: Diario de la Marina (il decano di
tutti i giornali, fondato nel 1844 e diretto dal veterano José Ignacio Rivero),
Prensa Libre (con il motto ni con unos ni con otros, con la República, diretto da Sergio
Carbó), Avance (diretto da Jorge Zayas) e i popolari El País, El Mundo, El Excelsior e
Información. Da rilevare anche El Crisol, Alerta, La Calle e The Havana Post,
quest’ultimo in lingua inglese, destinato alla borghesia degli affari americana
e con un gusto spiccatamente maccartista. C’era poi la prestigiosa rivista Bohe-
1
«Chi si mette contro la storia, la storia lo cancella».
7
mia, molto amata dal popolo, che si distinse come campione dell’opposizione
assumendo un orientamento filo-castrista sin dai fatti della Moncada.
Nonostante gli attacchi che molti, compreso il cattolico e conservatore Dia-
rio de la Marina, diressero a Batista, la stampa cubana dell’epoca, a causa di un
sistema di malcostumi antecedente la dittatura, risultava profondamente cor-
rotta. Come ricorda Luis Ortega uno dei più influenti giornalisti pre-
castristi già negli anni ‘40:
Quasi tutte le pubblicazioni di Cuba, le più importanti, ricevevano sus-
sidi dal governo di turno. In più, i giornalisti che avevano influenza
sull’opinione pubblica ricevevano anch’essi un sussidio dal governo. Il
sistema era essenzialmente fraudolento. I giornali pagavano una miseria
i propri giornalisti e redattori, ed era sottinteso che bisognava cercarsi
il supplemento nei dipartimenti del governo. Questo, senza dubbio, vi-
ziava l’informazione alla radice. Era difficile, quasi impossibile, che il
giornalista assegnato in un ministero corresse il rischio di informare su
qualcosa che potesse dare fastidio al ministro. I giornalisti del palazzo
erano i peggiori. Si convertivano in alfieri del presidente, che in cam-
bio gettava loro un tozzo di pane. In questa maniera la censura era im-
plicita nell’organizzazione del giornale. Era autocensura. Se a questo si
aggiungono gli interessi privati dell’impresa, il risultato diventava disa-
stroso
2
.
Con Batista, la situazione non migliorò. Nel ‘55 egli stanziò 125.000
pesos mensili da distribuire tra i direttori “come contributo alla propaganda
e alla pubblicità della politica economica e sociale del governo”. In pratica,
questi soldi si elargivano a seconda dell’enfasi con cui parlavano del suo ope-
rato. Altro strumento di controllo erano le botellas, posti di lavoro negli uffici
pubblici che pur inesistenti si pagavano regolarmente. Diario de la Marina, ad e-
sempio, risultava possedere 14 posti al ministero dell’economia, 14 alle co-
2
Luis Ortega, Reviviendo el pasado, in “Casa de las Américas”, XLII, 2001, n. 222.
8
municazioni, 19 all’agricoltura, 21 ai lavori pubblici e altri ancora alla giusti-
zia, all’educazione, alla banca nazionale e in vari uffici statali
3
.
L’etica giornalistica, che pur si dimostrò forte e viva al momento di difen-
dere la libertà di stampa, si chinò completamente di fronte alle convenienze
del momento. Per fare un esempio, il 15 ottobre del 1952 Diario de la Marina
pubblicò, in risposta alla limitazione delle libertà civili imposta nell’aprile
precedente, un coraggioso documento (“Exhortación patriótica”) firmato dai di-
rettori dei maggiori quotidiani. Poco più tardi lo stesso giornale, in seguito
all’assalto alla Moncada, descrisse in maniera servile Castro e i suoi uomini:
«sembra che avessero tutti la fedina penale sporca, che fossero implicati in
omicidio, traffico di droga, furto, assassini e altri gravi delitti»
4
.
La libertà per cui alcuni lottarono strenuamente risultò in definitiva una
libertà di facciata, dal momento che le sorti di un’impresa editoriale dipen-
devano per buona parte dalla prodigalità del governo.
Fidel Castro, dal canto suo, si rese presto conto che con questo tipo di
stampa non sarebbe andato lontano. Nonostante dopo i fatti della Moncada
fosse diventato un personaggio pubblico di primo piano, solo in rare occa-
sioni riuscì a far sentire la propria voce (su Alerta, Prensa Libre e Bohemia). Come
in seguito ricorderà:
Tutte le vie della lotta civica erano chiuse [...] nessuna soluzione al
problema poteva trovarsi civicamente, perché bisognava svendersi, biso-
gnava sposare quella situazione, bisognava accettarla
5
.
Ostracizzato in patria, Castro scelse la via dell’esilio in Messico, da dove
avrebbe potuto preparare più agevolmente il suo riscatto. Il 2 dicembre 1956
giunsero sulle coste orientali di Cuba, a bordo della barca a motore Granma,
82 guerriglieri al suo comando. Il governo reagì inizialmente sospendendo i
3
Juan Marrero, Dos siglos de periodismo en Cuba: momentos, hechos y rostros, Pablo de la To-
rriente Editorial, La Habana 1999, pp. 86-87.
4
Ivi, p. 69.
5
Fidel Castro, discorso radiotelevisivo del 29 marzo 1960, citato in Ivi, p. 67.
9
diritti civili per 45 giorni e successivamente, il 17 maggio del ‘57, dichiaran-
do lo stato di emergenza nazionale in virtù del quale la stampa, in relazione
alle attività dei rivoluzionari, poteva pubblicare solo comunicati ufficiali. La
prima breccia nel muro censorio sopraggiunse quando Herbert Mattews,
giornalista del New York Times, dopo essere riuscito a incontrare Castro sulla
Sierra Maestra, pubblicò un lusinghiero articolo riportato il 3 Marzo ‘57 a
Cuba dalla battagliera rivista Bohemia.
Nonostante il parziale successo, i ribelli mancavano però di mezzi per in-
formare e sensibilizzare il popolo cubano, quasi del tutto ignaro sui motivi e
sugli esiti delle loro azioni. Il loro destino, e quello della rivoluzione, dipen-
deva dalla capacità di portare la gente dalla propria parte. All’epoca, il mezzo
più facile, immediato, capillare e d’impatto, era la radio. Fu così che, su ini-
ziativa di Ernesto “Che” Guevara, nel ‘58 cominciarono, direttamente dalla
Sierra Maestra, le trasmissioni di Radio Rebelde. Batista non aveva modo di im-
pedire che di notte, immerso tra le ombre domestiche, il popolo porgesse
l’orecchio alla radio per ascoltare la voce incitante di Fidel. Come nel ‘53 in
Egitto e nel ‘56 in Algeria, la radio diventò, nelle mani di un movimento di
liberazione, strumento fondamentale di lotta
6
. Non mancarono le pubblica-
zioni clandestine, su tutte Revolución, che tuttavia, dati i pericoli e le difficoltà
che comportava la diffusione, ebbero un impatto minore.
All’inaspettata vittoria dei rivoluzionari, che il primo gennaio 1959 co-
strinsero alla fuga Batista e i suoi uomini, i giornali, pur salutando la vittoria
e condividendo in parte l’euforia popolare, reagirono con estrema prudenza
(fatta eccezione per Bohemia). Si erano liberati del dittatore, ma ora si trova-
vano ad avere a che fare con un uomo di cui non si fidavano e che in passato
alcuni di essi avevano apertamente attaccato. Incerti sull’immediato futuro,
scelsero di tenere un basso profilo, nella convinzione che si trattasse solo di
un vento passeggero. L’ 8 gennaio, dopo una trionfale entrata, Castro teneva
6
Armand Mattelart, La comunicazione globale, Editori Riuniti, Roma 1998, pp. 75-76 (ed. or. La
mondialisation de la communication, Presses Universitaires de France, 1996).
10
il suo primo discorso da vincitore nella capitale. Tra lo stupore generale,
mentre parlava, una colomba bianca gli si posò simbolicamente sulla spalla.
La faccenda si sarebbe fatta complicata.
2. L’avvento di Castro
Al contrario di quanto si potrebbe pensare, il nuovo governo rivoluziona-
rio non adottò misure repressive della libertà di stampa, che anzi fu ristabilita
formalmente dal Colegio Provincial de Periodistas
7
. Fatta eccezione per Tiempo en Cu-
ba, Ataja, Mañana, Pueblo e Alerta, soppressi perché voci della dittatura, tutti gli
altri giornali poterono continuare a uscire senza restrizioni. Nel panorama
editoriale una novità furono le pubblicazioni rivoluzionare, uscite dalla clan-
destinità degli anni della lotta. La più importante, Revolución (del Movimiento 26
de Julio), superò nelle prime tirate i 100.000 esemplari. Al suo fianco Hoy (del
Partido Socialista Popular), che tornò alla luce dopo anni di persecuzione (nel ‘65
si fonderà con Revolución per dare vita all’attuale Granma); Combate (del Directorio
Revolucionario 13 de Marzo) e Sierra Maestra, di Santiago de Cuba, ancor oggi esi-
stente.
Tra le riviste, oltre alla nuova Verde Olivo (organo delle forze armate rivolu-
zionarie), conobbe grande fortuna l’antica Bohemia, strenua avversaria di Bati-
sta, che l’11 gennaio salutò l’avvento dell’era rivoluzionaria con un numero
straordinario di 208 pagine dalla tiratura record di un milione di esemplari.
Ancor oggi, tra le bancarelle dell’Avana, è possibile trovare diverse copie di
quella che verrà ricordata come la “edición de la libertad”. Lo stesso Castro volle
pubblicarvi un messaggio personale:
Alla rivista Bohemia il mio primo saluto dopo la vittoria, perché è stata il
nostro più fermo baluardo. Spero che ci aiuti in tempo di pace come ci
7
Quando menzioniamo il Colegio Provincial de Periodistas ci riferiamo sempre a quello
dell’Avana, l’unico che abbia rilevanza nella nostra storia.
11
ha aiutati in questi lunghi anni di lotta, perché ora inizia il nostro
compito più difficile e duro
8
.
Lo stesso saluto non fu riservato a quei giornali ed erano i più che non
solo non avevano sostenuto l’impresa dei ribelli, ma talvolta avevano remato
contro. Castro evitò tuttavia, inizialmente, attacchi troppo diretti nei loro
confronti. Capiva che si rendeva necessario un periodo di transizione tran-
quillo e accettabile da tutti perché la rivoluzione potesse consolidarsi. In quei
primi mesi agì spesso in maniera disorientante, nascondendo le proprie car-
te, ma i suoi veri progetti, portati avanti attraverso un “governo ombra” (che
si celava sotto l’innocuo nome di “Ufficio di coordinamento e progettazione
rivoluzionaria”
9
), erano chiari e delineati, probabilmente anche nei con-
fronti della stampa.
Per quanto riguarda i direttori dei maggiori quotidiani, come detto non
poterono esimersi dall’unirsi anch’essi, seppur con diffidenza, alle celebra-
zioni rivoluzionarie. Norman Lewis, testimone di quei giorni all’Avana, ri-
corda che «l’ondata di entusiasmo civile era così potente da indurre ad alli-
nearsi persino molti antirivoluzionari di vecchia data»
10
.
Diario de la Marina era certamente tra questi. Nella sua secolare storia si era
trovato ad appoggiare prima gli interessi del colonialismo, poi quelli degli
americani, arrivando ad esultare alla morte di padri della patria come Martí o
Maceo
11
. Nonostante questo il primo gennaio non senza una punta di velato
timore accolse con favore l’entrata di Castro a Santiago:
Diario de la Marina saluta l’avvento di un nuovo ordine di cose, che spera
orientato a garantire i valori essenziali del popolo cubano, con le parole
8
“Bohemia”, LII, 11 gennaio 1959, in Marrero, Dos siglos, cit., p. 76.
9
Ne facevano parte, oltre a Castro, Antonio Nuñez Jiménez, Ernesto “Che” Guevara, Alfredo
Guevara, Vílma Espín, Oscar Pino Santos e Segundo Caballos. Cfr. Tad Szulc, Fidel: il caudillo
rosso, SugarCo, Milano 1989, p. 282 (ed. or. Fidel: a critical portrait, Morrow, New York 1986).
10
Norman Lewis, Niente da dichiarare, Adelphi, Milano 2000, p. 177 (ed. or. The world, the
world, Jonathan Cape, London 1996).
11
Cfr. Marrero, Dos siglos, cit., pp. 45-46.
12
serene che la maturità può mettere a disposizione delle forze giovanili
che tutto hanno sacrificato in omaggio ad un ideale
12
.
Messo al riparo dalle critiche interne dall’euforia di quei primi mesi, Ca-
stro dovette guardarsi soprattutto dalla stampa estera, statunitense in primis,
che lo attaccava per aver giustiziato in seguito a processi sommari degli oppo-
sitori. I toni non erano leggeri: l’AFP il 14 gennaio, in un dispaccio da Wa-
shington, riportò come «l’ondata di morti causate dai ribelli impazziti dalla
sete di vendetta» provocasse «nausea nei cittadini decenti»
13
.
È probabile che attacchi così esasperatamente accesi fossero politicamente
orchestrati. Di certo, non si perse tempo nel cavalcare quell’onda: Wayne
Haeys, membro del congresso, il 21 gennaio dichiarò che il governo america-
no avrebbe dovuto considerare di inviare truppe a Cuba e di imporre sanzio-
ni economiche
14
.
Per Castro si trattava di un’evidente campagna di diffamazione tesa a giu-
stificare un intervento armato. Una campagna che considerava per giunta di-
sgustosamente ipocrita. Come ricorda Tad Szulc:
A Fidel Castro e ai cubani non andava affatto che il governo degli Stati
Uniti non avesse mai protestato contro l’uccisione e la tortura di mi-
gliaia di oppositori del vecchio regime, mentre ora gli americani si in-
dignavano perché i rivoluzionari vittoriosi punivano i colpevoli con la
pena di morte o lunghe detenzioni
15
.
Ancor di meno andava giù a Castro il fatto che molti quotidiani cubani,
come Diario de la Marina o Avance, riportassero certe velenose agenzie statuniten-
si senza giustapporre alcun filtro o commento. Con i venti che soffiavano
minacciosi sulle coste cubane e che si sarebbero concretizzati di lì a poco più
12
“Diario de la Marina”, CXXVI, 1 gennaio 1959, n. 1 (Edicion extraordinaria), p. 1.
13
Marrero, Dos siglos, cit., p. 77.
14
Cfr. Cuba: US Government on trial, in “The Guardian”, CLXXIX, 1 marzo 2000.
15
Szulc, Fidel, cit., p. 282.
13